Lettera 8 (Prima Serie)

Agli amici

Cari amici,

il nostro lavoro prosegue serenamente confortato dal vostro consenso sul metodo seguito e sui contenuti presentati. In questo numero portiamo avanti e concludiamo, per il momento il discorso. sul clero romano, che abbiamo sviluppato in questi mesi con l’intento di favorire un ripensamento degli amici lettori sulla funzione ministeriale all’interno della nostra chiesa locale.

Alcuni contatti avuti negli ultimi tempi con il “Movimento Laureati di A.C. di Roma, ci permette di presentare il lavoro che nel suo seno si sta portando avanti e di offrire una valutazione di esso nella prospettiva di servizio che vuole e può rendere alla comunità ecclesiale.

Si riporta inoltre, come promesso, il testo del nostro intervento all’incontro realizzato recentemente a Roma dagli amici di “Lettere ‘69”.

Cogliamo l’occasione per ringraziare di cuore tutti coloro che hanno voluto aiutarci anche finanziariamente a portare avanti il lavoro del ciclostilato. Ricordiamo, a chi volesse contribuire alle spese, che lo può fare servendosi del c.c.p. 1/44109 intestato a Gianfranco Solinas. Vi preghiamo infine di notare, per l’inoltro della corrispondenza, che l’indirizzo de “La Tenda” è cambiato, come indicato in calce e che, per il recapito telefonico, bisognerà, per motivi tecnici, attendere il mese prossimo.

Vi salutiamo fraternamente

Il gruppo La Tenda

Segreteria presso Maria e Gianfranco Solinas

via G.B. Falcone, 6 – 00149 Roma

Il Nostro Intervento All’Incontro Di “Lettere ‘69”

Per iniziativa di Raniero La Valle e degli amici di “Lettere ‘69”, si è tenuto a Roma, il 20 dicembre u.s., presso il Convento dei PP Camaldolesi di S. Gregorio al Celio, un incontro teso ad evidenziare la situazione, i problemi e le speranze della chiesa locale di Roma.

Gianfranco Solinas, a nome degli anici de “La Tenda” ha svolto una breve relazione introduttiva che riportiamo di seguito, nella quale si è cercato di ipotizzare alcune linee di sviluppo della comunità ecclesiale romana.

“Abbiamo soltanto da poco tempo iniziato, nel nostro gruppo, un lavoro di chiarimento di alcuni aspetti della vita della chiesa romana; ci sentiamo perciò impreparati ad un lavoro sistematico, tale da poter ordinare tutti i problemi e far emergere possibilità di soluzione e di sviluppo. Ci sforzeremo di porre alcune ipotesi di lavoro che, senza la pretesa di fornire risposte certe, possano risultare di aiuto per la riflessione e la ricerca, invitiamo quindi: tutti a prendere le nostre affermazioni per quello che valgono, nella loro realtà di strumenti di lavoro offerti a coloro che se ne vogliono servire.

Un primo ordine di problemi riguarda la Chiesa di Roma nella ,sua configurazione strutturale; La dimensione delle comunità nelle quali si articola la Chiesa romana si pone come uno dei maggiori ostacoli alla crescita del popolo di Dio nella comunione e nel servizio. Si impone un ridimensionamento a livello umano delle comunità di base, cosicché la preghiera, la meditazione della parola e la celebrazione dell’Eucarestia siano espressione di un gruppo di persone in dialogo non fittizio fra loro. E’ auspicabile che a tali comunità siano dati presbiteri individuati nel loro stesso seno e che, per saggezza, per testimonianza di vita virtuosa e per capacità dialogica, si mostrino agli occhi del vescovo e delle comunità stesse sufficientemente maturi per tale compito ministeriale. Ovviamente dovrà essere attribuito alle comunità di base un completo corredo di facoltà catechistiche e liturgiche, quali sono peculiari di una comunità cristiana costituita.

“Anche. nella costituzione di un presbiterio fra i sacerdoti ,delle varie comunità intorno ad un vescovo dovrebbe essere rispettata la dimensione di un gruppo umano normale. Ciò dovrebbe in una città dalle grandi dimensioni, come Roma, alla costituzione di più presbiteri e, perciò alla presenza di più vescovi, i quali ultimi, a loro volta dovrebbero dar vita ad un collegio ed. eventualmente eleggere, fra loro, un primus. Che questi possa essere garante, oltreché dell’unità del concilio romano dei vescovi, anche dei vescovi d’Italia o del mondo intero, lo riteniamo possibile, senza approfondirlo in questo momento.

“Da tutto ciò discende un ripensamento del ruolo delle parrocchie, che sempre più vanno perdendo il significato di comunità umane di base e che potrebbero divenire luogo d’incontro e di servizio per le comunità di base ed in parte anche sede del Ve scovo.

“In questa prospettiva sorge anche il problema della ammissione agli atti ecclesiali per quanti li richiedono. Sarà possibile finalmente una verifica dell’appartenenza dei cristiani alla comunione. Ancora, si richiede un ripensamento su basi nuove del problema del clero come anche del ruolo svolto dai religiosi. nella diocesi.

“La revisione del concetto di edilizia sacra in funzione di quello di comunità di base dovrà tradursi nella possibilità di avere luoghi di incontro rispondenti alle esigenze di plurifunzionalità, di semplicità e di accoglienza avvertite dalle comunità, le quali dovranno. assumersi anche gli oneri corrispondenti. Ci sembra che il modo migliore per risolvere il problema finanziario nella chiesa spesso degenerato a livello di tassazione, consista nel riproporlo unicamente in termini di offerta spontanea nel corso della celebrazione festiva della Messa che dovrà riacquistare tutto il suo significato, offertoriale. Riteniamo ancora che non possa essere rinviata una riflessione sulla funzione della proprietà nella chiesa, come anche una revisione dei nodi istituzionalizzati della presenza “ecclesiastica” nel tessuto civile, particolarmente a Roma (assistenza, collegi, istituti, ospedali scuole. ricoveri ecc.).

“Un secondo ordine di riflessioni dovrebbe portare, a nostro avviso, alla riscoperta dei problemi della città come problemi essenziali cui i cristiani non possono e non devono sottrarsi.

Si pensi agli scottanti problemi di Roma, si dall’urbanistica alla scuola, dallo sfruttamento nel lavoro, specie nel settore commerciale e alberghiero. al parassitismo diffuso nel settore pubblico, dalla partecipazione alla vita amministrativa della città alle strutture sanitarie. E dovere di ogni cristiano tenere gli occhi bene aperti su questa realtà nella quale è calato così da poter favorire, specie nell’ambito delle proprie capacità e competenze professionali, in collegamento con tutti gli uomini di buona volontà, un sostanziale rinnovamento della vita associata.

E’ questo, a nostro avviso il modo più sublime per tradurre in fatto operante il comandamento dell’amore verso il prossimo che non può essere licitato ad una carità spicciola fatta di aperture, episodiche e slegate fra loro.

“Il Cardinale Dell’Acqua, in un recente messaggio (vedi , “La tenda” n°.6 pag.9), addita in modo vigoroso alla attenzione dei cristiani la vita della città come fatto centrale del loro impegno, restituendo con ciò alla chiesa locale un compito che, nell’enfatizzazione di altri più marginali, in passato ha corso, il rischio di passare in second’ordine.

“L’ultimo tipo di considerazioni concerne il lavoro da svolgere per misurare nei cristiani il senso della responsabilità personale che e dell’impegno politico-sociale ed ecclesiale dal momento che l’atteggiamento predominante nei cristiani di Roma è quello dell’attesa miracolistica dell’intervento dall’alto. Si tratta di un impegno rivolto a muovere la personalità dell’individuo e richiede l’azione dei catechisti, dei predicatoti e di tutti coloro che vogliono contribuire allo sviluppo delle idee. Un tale lavoro è reso oggi assai difficile dalla grave mancanza di informazione seria su fatti e problemi, anche di natura e ecclesiale, perché a livello dei grandi giornali romani di informazione, oltre che dalla mancanza di dialogo tra i cristiani.

“Attraverso la nostra lettera mensile noi ci siamo proposti appunto accanto ad altri amici e gruppi che perseguono lo stesso impegno, di favorire la riflessione ed il dialogo tra i fratelli della chiesa di Roma.

A questa è seguita una seconda riflessioni l’introduttiva di Piero Pratesi. I lavori sono proseguiti con un vivace e stimolante dibattito che purtroppo non siamo in grado di riportare, e si sono conclusi con Raniero La Valle e con il saluto di padre David Turoldo.

L’incontro ci ha permesso di avvicinare nuovi amici e maturare insieme i problemi della Chiesa locale di Roma.

Riflessioni Sul Clero Romano (5)

Riprendiamo un argomento che con assiduità trattammo nei primi numeri, ma che dal novembre scorso à rimasto “senza seguito sulle nostre pagine.

Nei numeri 1 e 2 de “La Tenda” ci interessammo agli aspetti quantitativi del clero romano; nei numeri 3 e 5 ci avviammo invece ad una analisi più distesa delle varia classi-età di sacerdoti romani divisi per decenni, con l’occhio rivolto ai contesti nei quali essi venivano formati ed a quelli nei quali espressero il loro servizio alla comunità.

Aggiorniamo ora la presentazione di questo secondo aspetto con alcune purtroppo, rapide note sui preti ordinati negli ultimi venti anni (1950‑1970).

Invero nel numero di novembre scorso (La Tenda, 5) ci spingemmo fino al Sinodo Romano (1960) ed alla elezione di Papa Giovanni (1958), ma la presentazione delle varie classi dei preti si fermava al 1950, tenendo conto che alcune e anticipazioni sul loro ordinamento nel decennio ’50 ‘60 appunto in chiave di prosecuzione delle direttrici del passato.

Invece lo sviluppo interiore del clero ordinato dopo il 1950, non è riducibile ad un modello unico. Infatti mentre il clero ordinato fino a tale data è in genere omogeneo su quei valori alquanto ridotti che descrivemmo a suo tempo, quello ordinato dopo il 1950 è profondamente diviso.

Prendiamo come eventi sintomatici i due già nominati: Sinodo, Romano (1960) ed elezione di Papa Giovanni (1958). Alla fine del decennio che ancora desideriamo approfondire si trovano quindi faccia a faccia i prodotti di due mondi e di due chiese; il Sinodo, espressione della chiesa che tramonta, Papa Giovanni, primo frutto a livello istituzionale universale sbocciato nella chiesa che nasce. E i due mondi che generano rispettivamente Sinodo e Papa Giovanni sono anche le matrici di due diversi tipi di clero-romano-1950.

Nel decennio ‘50 i messi del Vicariato girano ancora per le librerie cattoliche a ritirare i libri di Congar, di Milani, le riviste impegnate; il seminario ufficiale e la scuola del Laterano godono dell’avallo autoritario della curia; gli uomini stessi della curia sono variamente influenti nella formazione delle coscienze. Niente di strano che una parte del clero romano ordinato nel decennio ‘50 sia vecchio nell’impostazione umana; teologica e pastorale. A tanto si può giungere conservandosi al riparo di costruzioni antiche e dalla mole apparentemente solida. Dinanzi a qualche accenno di crisi, di “disordine” come si dice, il Sinodo è il tentativo massiccio e ingenuo di imbrigliare la città che ha i primi sussulti.

Perché allo stesso tempo un altro clero nasce. I libri stranieri circolano, le rivisto teologiche franco‑belghe portano a livello di riflessione ecclesiale le tematiche esistenziali e, personalistiche e le ricerche bibliche più aggiornate; la gregoriana il Biblico sono a Roma scuole d’avanguardia e non se può esagerare il merito. I docenti, abilissimi amministratori della fiducia ottenuta dal primo Pio XII di ritorno dalla Germania, si impegnano a costruire basi teologiche e scritturistiche per costruzioni pastorali e liturgiche che essi non potranno innalzare, ma chi ha orecchi intende e saprà tirar fuori dal suo tesoro a tempo opportuno. Nello stesso concilio emergerà improvviso il frutto di lavori per tanto tempo nascosti. E parte del clero romano è formato in quelle scuole. Le esperienze dell’azione cattolica decapitati nel 1950 e costretta ad una agonia che durerà vent’anni, ferisce nel vivo molti preti e li costringe a meditare sulle vere forme della teologia del laicato e della comunità. De Foucauld, Theillard, Rahner, Iemolo, Congar, Jungmann, Monnier, Maritain e decine di altri nomi sono l’ispirazione segreta e quotidiana di un clero diverso. Il fronte unico del clero romano è rotto.

Il nuovo clero, questa parte avanzata della generazione 1950 che stiamo considerando, matura lentamente: è autodidatta, soffre la troppo incombente sicurezza della istituzione, deve nutrirsi a straniere e la trasposizione in termini italiani, romani, non è autentica ne sarà portata a pieno compimento.

E’ un clero, già interiormente distaccato dalle forme ufficiali della struttura diocesana, ma che non esprime scelte di rottura. Visto a distanza e nella dinamica generale questo è il gruppo che muove i primi passi, che vince l’inerzia dell’equilibrio statico che ad ogni movimento deve cercare di consolidarsi e di giustificarsi. Eppure ha in sé le intuizioni della nuova chiesa, una profonda capacità di riflessione. Il concilio lo troverà pronto.

Quando questo clero è posto nel decennio successivo, gli anni ‘60, dinanzi alla realtà di una parrocchia da condurre, pur con riserve gravi, accetta. E’ l’ottimismo conciliare, è la lunga abitudine alla lotta per vie interne (l’unica concepibile fino ad allora) persino coronata dall’apparente rapido successo di Giovanni XXIII e del Concilio, è la tradizionale assenza di chiasso del clero romano, è la certezza che un mutamento non può che essere progressivo, è la coscienza, forte a Roma come in alcun altro luogo, che la struttura non teme i nemici che si scoprono, è l’età matura, è l’assenza di teologie di rottura, sono tutte queste cose insieme e le due parti del clero del decennio ’50 tanto opposte tra loro si trovano fianco a fianco nella guida delle parrocchie pur con profondo divergenze di impostazione interiore. I più tradizionali nella numerosa compagnia degli anziani; i più moderni nella speranza di poter agire.

A dire il vero dobbiamo riconoscere oggi che da tale speranza non si son raccolti molti frutti. E notiamo subito la causa: se uno dei cavalli della biga era più giovane ed incerto, neppure l’auriga era dalla sua parte. I parroci più vivi sono costretti nel decennio ‘60 alla cautela; non è possibile sperimentare, non è possibile sbagliare. Le impostazioni nuove vogliono anni di incubazione e persino una strana prassi di continui trasferimenti permette solo l’ordinaria amministrazione. Così viene l’atrofia e si resta con le buone intenzioni. Quando verrà, neppure una guida più elastica potrà recuperare forze ormai consumate nella attesa.

Oggi questa classe di parroci conduce nel complesso un rinnovamento reale delle strutture parrocchiali, ma generalmente troppo lento, seguendo del resto i rinnovamenti ufficiali. Diversi dagli anziani, certo, ma invischiati nella prassi antica, per di più a costo di nuove ispirazioni umane, teologiche e pastorali, e neppure affiancati dai più giovani.

Perché, se questo sopra brevemente descritto è il clero ordinato nel decennio ’50 e giunto alla guida della parrocchia nel decennio ‘60, profondamente diversa è l’ultima classe di preti eletti al ministero sacerdotale nel decennio post‑conciliare ‘60.

Se a Roma è possibile ancora qualche parto senile e si riproduce qualche prete preconciliare anche di questi tempi, abbiamo in gran parte preti ben aderenti al mondo che li racchiude. Il mondo ecclesiale e non, nazionale ed internazionale è in profondo rinnovamento nel senso che prende sempre più coscienza di sé. E rispettivamente nell’ultimo clero non c’è clero non c’è dottrina teologica, modulo pastorale, espressione liturgica, norma morale, programma sociale, comportamento comunitario che non venga posto sotto analisi. Il concilio ha confermato che le vie intraprese dalla ricerca più avanzata solo buone. E il nuovo clero cammina per queste vie ben più spedito e sicuro del precedente.

In quelli che si son lasciati formare secondo il modello antico compare il disadattamento, ma l’attrazione è ormai sull’altro polo e la più gran parte con sforzo di elasticità raggiunge o almeno comprende e apprezza chi è già avanti nella maturazione personale.

Maturazione personale, diciamo, perché la struttura diocesana non si è egualmente incamminata per la via dell’aggiornamento comunitario. E qui appare la differenza a parer nostro capitale tra questi preti e quelli della generazione del decennio precedente qui sta la novità: questi preti non aspettano!

Per tutto c’è un prezzo: non solo rinunce materiali, spesso contraccolpi psicologici profondi nello staccarsi dalle consuetudini del “presbitero” ufficiale. Ma il guadagno è una humanitas ritrovata, un continuo rifarsi al Vangelo, il sostegno della comunione con preti e chiese di tutto il mondo. Perché i maestri sono ormai Luther King, Illich, Leger, Lercaro, Mazzolari, Milani, Torres, Mazzi. Per questi preti la mole della struttura centrale non ha fascino. Il divorzio tra essi e la struttura è ormai consumato, ed essi sono inutilizzabili per la struttura.

A Roma dal 1968 molti preti giovani impongono a sé ed alla diocesi una vita che non ha relazione con le forme pastorali Ufficiali (parrocchia, scuola di religione). E’ un momento decisivo. Che farà la diocesi? la diocesi accetta! Accetta di non utilizzare nelle sue strutture uomini che aveva preparato con questo unico scopo, ma che sono ormai inadatti. La crisi della parrocchia e delle usuali forme pastorali è dunque alle porte.

E qui il nostro discorrere sul clero romano visto nelle sue componenti interiori fa sosta, dopo aver dato un prima traccia di riflessione. E fa sosta saldandosi con quanto concludeva al

termine delle prime note a riguardo degli aspetti quantitativi (cfr. “La Tenda” 1 e 2). Dicevamo: sempre meno preti per sempre più numerosi battezzati. Possiamo precisare: preti sempre più eterogenei tra loro e meno disposti al rapporto pastorale che la struttura ufficiale della chiesa romana propone.

Non troviamo parole per dire quanto riteniamo necessaria la preghiera e la riflessione dei nostri amici e la loro collaborazione con noi per il problema assolutamente capitale dei presbiteri delle nostre comunità cristiane.

Il Movimento Laurati Di A.C. Di Roma Si Pone Al Servizio Della Chiesa Locale

Abbiamo ricevuto il 1° quaderno di lavoro del Movimento Laureati di A.C. della diocesi di Roma; il titolo stesso dell’opuscolo, e più ancora il sommario dei temi che vi sono trattati, rivelano un’impostazione nuova, frutto di un ripensamento che ha già acquisito alcuni essenziali punti fermi. La lettura ce ne ha dato conferma, e in particolare è stato per noi, amici de La Tenda, motivo di conforto al nostro lavoro ritrovare in quelle pagine talune esigenze che cerchiamo di partecipare, e le primizie di un’esperienza in atto per dare ad esse una concreta risposta.

Il Movimento Laureati di Roma prende atto della crisi in cui versano le forme tradizionali di organizzazione dei laici; è consapevole che non è tale da poter essere superata con appelli alla buona volontà e con campagne di tesseramento, ma soltanto rimediando in piena libertà di spirito, alla presenza di Dio, sulla vocazione di ogni cristiano al servizio della Chiesa del mondo. Da questo atteggiamento è scaturita la scelta di un tema centrale di, riflessione: la libertà cristiana.

E’ un tema che riconduce il pensiero all’essenziale “Cristo incarnato, morto e risorto, è il fondamento della libertà cristiana” (p.17); e che fornisce la giusta prospettiva per comprendere l’essenza della Chiesa: la libertà cristiana è in primo luogo “accettazione dell’invito di cristo al ministero della salvezza” e perciò “esercizio dei carismi, dei ministeri, delle ispirazioni divine”; esige perciò non solo la libertà della Chiesa da condizionamenti esterni negativi, ma anche la libertà nella Chiesa; il suo riconoscimento comporta quindi la garanzia di “un pluralismo teologico e il rispetto di autonomie e di spontaneità di realtà e istituzioni nell’interno della comunità ecclesiale: diocesi, ordini religiosi, gruppi, individui, onde evitare il conformismo e il livellamento sterile e infecondo di vitalità cristiana” (p.18) Ed appunto in funzione del riconoscimento, della promozione e dell’armonica composizione delle “varietà e ricchezze di tutti” che va concepito il ministero dei Pastori (p.17).

Restituendoci il senso autentico della comunità ecclesiale, la riflessione sulla libertà cristiana conduce naturalmente in primo piano la realtà della chiesa locale.

 

Se crescere nella fede significa vivere sempre più profondamente in comunione, dando così testimonianza al mondo della presenza di Cristo, la nostra vita cristiana si identifica con la vita della chiesa locale in cui apparteniamo. E tutto ciò che promuove od ostacola sua perfezione, incide direttamente su quella di ciascuno dei suoi membri.

Muovendo da questi presupposti, viene definitivamente superata la concezione di un Movimento Laureati di A.C. che lavora per scopi interni, per uno sviluppo di se stesso in quanto tale o per uno sviluppo autonomo di se stesso nell’Azione Cattolica (p.11). Insomma il Movimento riconoscerà la sua ragione d’essere unicamente nella sua capacità di recare un contributo peculiare alla pastorale della chiesa locale, contributo che viene individuato (torneremo poi su questo punto) è nel dare chiarezza e organicità alle “esigenze e alle aspirazioni atomistiche e disperse del popolo di Dio”.

È evidente che il rapporto a questa nuova opzione il Movimento non ha più motivo di conservare la sua caratterizzazione formale: “il criterio per definire l’intellettuale, l’uomo di cultura, non è e non può essere la laurea, il titolo accademico, ma è intellettuale solo chi è consapevole dei problemi caratteristici del ruolo da lui occupato nella società e del rapporto tra questi problemi e il complesso dei problemi della società” (p.10).

Il “Movimento Laureati” si avvia così a trasformarsi in una èquipes di intellettuali al servizio della Chiesa locale.

Rileviamo inoltre: il riconoscimento del pluralismo come manifestazione della vitalità della Chiesa, e condizione essenziale di un’autentica comunione, genera nel Movimento l’esigenza di una collaborazione non solo con i vari rami dell’Azione Cattolica, ma “con i vari gruppi spontanei o informali, in qualunque sede, pur che prevalga il “sentire cum ecclesia” sia e il “sentire ecclesiam”, e ciò senza presunzione di fagocitare o di federare nessuno, perché sono tanti i modi di lavorare nella Chiesa; contro ogni monolitismo (burocratico ed ormai irreale) che mortifica le diversità di ministero e di carisma dei singoli gruppi radicali” (pp. 12-13).

Diamo ora una breve informazione sulle relazioni dei quattro gruppi di lavoro. I temi di studio sono:1) libertà cristiana e realtà diocesana; 2) strutture assistenziali-sanitarie e libertà religiosa nella diocesi di Roma; 3) strutture urbanistiche in Roma, in rapporto alla vita cristiana; 4) autorità e libertà nell’azienda industriale.

Il lavoro del primo gruppo, sia a motivo del tema prescelto che del modo in cui è stato affrontato, ci sembra particolarmente significativo: esso si colloca al di là della sfera tradizionale di “competenza” del “laico”. La ricerca ha preso la via direttamente dalla Parola di Dio (Antico testamento: promessa della nuova alleanza; Nuovo Testamento: Cristo liberatore dal peccato, dalla morte e dalla legge – opposizione dello Spirito alla legge nelle epistole paoline; Documenti Conciliari: la Chiesa come popolo di Dio, la qualità carismatica del popolo di Dio). In questa prospettiva si è poi sviluppato con estrema chiarezza il tema della chiesa locale. E noi pensiamo di non fare cosa sgradita riportando integralmente il paragrafo 3° della relazione del gruppo (Libertà cristiana e Chiesa Locale):

“E’ proprio in un discorso sulla libertà che viene chiamato in causa il tema della Chiesa locale: se infatti i carismi e le vocazioni che lo Spirito suscita fra i credenti hanno valore in ordine alla Chiesa universale, è poi di fatto nell’ambito circoscritto della diocesi che essi vengono autenticati e si offre loro la possibilità di esplicarsi nel servizio concreto alla comunità. Attraverso le strutture comunitarie avviene dunque la realizzazione della propria vocazione è perciò legittimo interrogarci sul significato e sulla validità della chiesa locale, chiederci in che misura essa favorisce il discernimento e l’attuazione della Parola di Dio.

La realtà della chiesa locale nasce dall’incontro fra un ordine di valori che sono espressione di un particolare contesto storico-geografico (con tradizioni, sociologia, cultura propria)con quelli che sono gli elementi fondanti di ogni comunità cristiana: lo Spirito, la Parola di Dio, l’Eucarestia. La chiesa locale non va dunque definita sulla scorta di categorie giuridiche, perché non ha nulla a che vedere con una semplice circoscrizione di uno stato più ampio in cui l’autorità assolve un ruolo funzionale nei confronti dei poteri centrali: la chiesa locale è la stessa chiesa nella sua totalità perché uno è lo Spirito, una è la Fede e una l’Eucarestia. Ora solo nella misura in cui la chiesa locale si rende disponibile alla voce dello Spirito e si alimenta del Pane sostanziale ‑ respingendo la tentazione di appoggiarsi a realtà umane estrinseche alla sua natura(la politica, la rìcchezza, il prestigio delle istituzioni, ecc.) – essa diventa lo strumento che veramente rende possibile l’esercizio della libertà cristiana (pp.25‑26).

Alla luce di questa premessa, il piano per il lavoro futuro del gruppo si rivela molto promettente:

‑ Il significato di “Chiesa romana”: ambiguità del concetto

‑ Tradizione e storia

‑ Le componenti sociali

‑ Le strutture gerarchiche

‑ La presenza della Curia a Roma

‑ La vita pastorale: parrocchie, associazioni, gruppi spontanei

‑ La liturgia e la catechesi

‑ La cultura religiosa

Il secondo gruppo, ancora allo stadio embrionale quando fu redatto il quaderno di lavoro, propone una ricerca sulla situazione assistenziale ‑sanitaria nella diocesi di Roma “per una trasformazione di strutture e per una formazione di operatori, in detti settori, atte ad assicurare una solidarietà ai “carenti” (in salute, in mezzi economici, il affetti) che non sia soltanto la migliore in termini civili e sociali, ma che metta i singoli in uno stato di recettività ottimale del soprannaturale” (p.31). (A questo proposito vorrei suggerire un’indagine su l’assistenza religiosa negli ospedali).

‑ Il terzo gruppo, sulle strutture urbanistiche, ha cominciato con l’individuare alcuni condizionamenti negativi della libertà religiosa e cristiana nella nostra città: quartieri strutturati con separazione netta fra le diverse categorie o classi di popolazione, mancanza di spazi in cui i cittadini di un quartiere abbiano effettiva occasione di incontrarsi, stato caotico e largamente insufficiente dei trasporti pubblici e delle vie di traffico. Compiendo un ulteriore approfondimento il gruppo ha ravvisato nella “sopraffazione dell’economia” propria del mondo capitalistico, la causa di questa disarmonia nell’organizzazione spaziale della nostra città. Si è quindi dato avvio a una ricerca dei modi di azione “per ‘ristrutturare’ validamente le situazioni di partenza attuali”. Rileviamo con molto interesse l’esigenza, “di alcuni chiarimenti specifici sul ruolo delle strutture urbanistico‑architettoniche dei complessi ‘sacri’ (e sui modi di concepire strutturalmente tale ruolo, in termini di grandezza, flessibilità, collocazione e simili), specie per quanto concerne l’edificio ‘chiesa”(p.36).

Infine il quarto gruppo ha messo a fuoco i seguenti argomenti: l’autorità in rapporto ai fini dell’azienda;‑ la sua giustificazione, e il suo esercizio nel concreto contesto storico‑giuri&ico attuale; la “partecipazione” nell’azienda.

A conclusione di questo articolo, vorremmo partecipare agli amici del Movimento Laureati alcune domande chi ci siamo posti leggendo il loro “quaderno di lavoro”. Ci chiediamo innanzitutto se non si presti ad un’interpretazione paternalistica il definire il ruolo del cristiano “intellettuale” come quello di un “competente dei segni dei tempi” (p.11) che dia chiarezza e organicità alle esigenze “atomistiche e disperse” del popolo di Dio.

L’atomismo e la dispersione derivano dalla mancanza di una vera vita comunitaria, condizione essenziale di una non unilaterale presa di coscienza dei “segni dei tempi”, alla luce della parola di Dio ascoltata insieme e nel vincolo dell’eucarestia. La chiarezza e l’organicità non ci sembra perciò il frutto di un lavoro di specialisti, ma di una ricerca comune di tutti i fedeli. La cultura umana e teologica, le specifiche competenze professionali, costituiscono certo un rapporto indispensabile a tale maturazione; ma d’altra parte potranno diventare fattori operanti solo nella misura in cui esisteranno già comunità almeno embrionali disposte a recepirle. Emerge così in primo piano il problema della comunità di base, delle sue dimensioni e del suo modo di essere perché possa realizzarsi come aiuto alla testimonianza cristiana negli ambienti naturali, e non come causa di evasione da essi.

Il Movimento laureati sì pone il problema se queste nuove intuizioni comunitarie e di apostolato ch’esso va maturando potranno inserirsi nelle attuali strutture (parrocchie, movimenti di A.C., attuale configurazione della diocesi)? Inoltre è vero che nello schema di relazione del presidente per l’assemblea del 29 novembre scorso è posta la domanda: “perché creare incontri anemici e straordinari quando la vita contemporanea ci mette già in contatto diretto e ordinario con singoli e gruppi nel nostro lavoro quotidiano? non basterebbe qualificare e valorizzare la nostra presenza negli ambienti naturali nei quali già siano, senza aggravare la nostra giornata di altri obiettivi comuni?” Ma poi vengono prospettati per il lavoro futuro “tavole rotonde, conferenze, comunicazioni, dibattiti”, cinque‑sei sere consecutive in preparazione alla Pentecoste”… Insomma un complesso di iniziative indubbiamente positive, ma che a nostro avviso presentano il rischio di surrogare piuttosto che valorizzare la presenza del cristiano negli ambienti naturali. Pensiamo infatti che tale presenza comporti una reale partecipazione alla vita familiare, e un impegno professionale che non può limitarsi al proprio perfezionamento, ma è quotidianamente messo a confronto con le sue strutture nelle quali operiamo. Tra l’altro ci sembra che una più approfondita riflessione sul nostro nodo di presenza nel l’ambiente di lavoro farebbe emergere in primo piano le esigenze e i problemi comuni a “credenti” e “non credenti”, e quindi ci renderebbe più consapevoli del fatto che le carenze e le anomalie della vita della nostra città, e della nostra società, condizionano negativamente non solo la nostra crescita nella fede, ma lo sviluppo dei valori umani. E quindi ci renderebbe più sensibili all’esigenza di una ricerca in comune con ogni uomo di buona volontà.

Rivolgiamo agli amici del Movimento laureati un fraterno augurio di buon lavoro, e lì ringraziamo del servizio che stanno prestando nella nostra chiesa di Roma.

I gruppi di lavoro sono così composti:

1) Libertà cristiana e realtà diocesana: responsabile Luigi Fiorani (tel.854.581); collaborano Fidelia Baici, Francesco Dore, Franco Palutan; assistente: don Clemente Riva.

2) Strutture assistenziali‑sanitarie e libertà religiosa nella diocesi di Roma: responsabile prof. Francesco Di Raimondo (tel.470.824, prima delle 7,30, dalle 13,30 alle 14,40 e dopo le 21); assistente: don Alessandro Plotti.

3) Strutture urbanistiche in Roma in rapporto alla vita cristiana: partecipano al gruppo: Eugenio Abruzzini ‑ Sandro Benedetti – Mario D’Erme ‑ Andrea Ferrari Toniolo ‑ Piero Grassini – Vittorio Leti Messina ‑ Paolo Luzzi – Erminia Malavasi ‑ Paolo Nervi ‑ Camillo Nuccí; assistente p. Anselmo Giabbani.

4) Autorità e libertà nell’azienda industriale: partecipano al gruppo: Salvatore Bruno ‑ Beppino Capuano – Giuseppe Criconia ‑ Guido De Guidi – Mario Lombardi ‑ Ettore Massacesi – Ugo Milano ‑ Giovanni Montironi ‑ Franco Morabito ‑ Pina Occhiuto ‑ Federico Usai ‑ Luigi Zaffi ‑ Sisto Zecca.

Movimento Laureati di Azione Cattolica, Diocesi di Roma ‑ Corso Rinascimento, 40, tel. 564.987.