Lettera 74 (Seconda Serie)

 

II parte “Quali priorità per la nostra Chiesa e quali priorità per la nostra società?”

 

Care amiche e cari amici,

questa è la seconda parte della pubblicazione degli interventi svolti e del successivo dibattito durante l’incontro che si è tenuto a Torre Angela il 23 settembre

Come al solito aspettiamo sia da chi è intervenuto, sia da chi non c’era le vostre reazioni e i vostri commenti, sarebbe bello se a queste domande provassimo a risponder in tanti.

Quali le priorità per la nostra Chiesa?              Micaela Soressi

Il grido profondo dell’essere umano, quello di cui abbiamo bisogno è di entrare in comunicazione, quindi di essere in ascolto dei reciproci problemi, praticare l’accoglienza. L’apertura e l’ascolto nella Chiesa ci rimandano al Concilio che è stato un periodo miracoloso nella vita della Chiesa. Il Concilio infatti ci richiamava ad essere in ascolto della società contemporanea, come Gesù che si faceva interpellare e nella sua parte umana senz’altro si è messa in discussione, in cammino. Io credo che questo Gesù che cammina con noi sia la chiave per riscoprire quanto di bello la Chiesa può ancora dire e dare alle persone del mondo, senza pretendere di avere in tasca l’unica verità, ma conscia di quale meravigliosa verità sia custode, la verità che l’essere umano ha una sua verità in ricerca e che l’unione di queste ricerche ci può fare arrivare al sentiero comune. Per me dunque l’esigenza fondamentale della Chiesa è riuscire ad essere Chiesa oggi. Questo è il nocciolo che non credo che la Chiesa abbia mai abbandonato ma dopo aver raggiunto uno status di cultura cristiana nella società forse la Chiesa si è come tranquillizzata e questo sedersi ha cominciato a spegnere tante scintille che invece erano vivissime e che io credo che come sopita esigenza ci sia ancora nei giovani, tuttavia è un’esigenza impigrita perché comunque qui in Europa occidentale siamo stati benino e questa esigenza si è placata.

Come è essere Chiesa oggi? In tante piccole occasioni dobbiamo interrogarci con l’umiltà di Gesù di fronte alla richiesta della società che è disperata nel volersi far sentire, le coppie separate ad esempio. Quante coppie non hanno la fortuna e la grazia, la fortuna di trovare la persona giusta e la grazia di poter continuare a chiedere al Signore l’aiuto. Non tutte ce l’hanno ma io non vedo in questo un peccato, vedo una fragilità e credo che la Chiesa possa dare molta della sua misericordia, trasmettere la misericordia di Dio a tante di queste richieste.

Un’altra criticità è vedere che tante persone non vengano considerate creature naturali ed io esprimo la mia difficoltà nel sentirmi profondamente cristiana ma ad appartenere ad una Chiesa che fatica tanto ad accogliere, ad includere come naturale delle persone in una condizione che molto spesso è fisiologica che è quella dell’omosessualità. Io penso che Gesù sia sempre stato netto sul fatto che l’essere umano debba essere sincero con sé stesso e non tradire. Io credo che il Signore non sia interessato al modo con cui si ama se è un modo rispettoso della libertà cosciente e consapevole delle due parti.  Mi dispiace tanto non poter chiamare famiglia delle persone, e ne conosco, che si amano da anni. Non pretendo che la Chiesa proclami che siamo tutti figli di un Dio che non si è sbagliato quando ha fatto i gay perché Dio crea e tutto ciò che è creato è naturale, io infatti sono consapevole che la Chiesa ha una tradizione profonda e lunga e mi pare quasi impossibile che cambi qualcosa in questo senso, ma il mio sogno è che impari sempre di più, tutta la Chiesa, perché tanti uomini di Chiesa sono in umile dialogo, ma sogno una Chiesa come quella delle origini in cui i cristiani erano guardati quasi con stupore dalla società. Il cristiano era capace di anticipare i movimenti della società, era contro la schiavitù in una società schiavista, era per considerare la parità di dignità tra uomo e donna, forse a parte Paolo che qualche dubbio ce l’aveva, in una società in cui le donne erano poco considerate e poco libere.

So che forse non posso sognare una Chiesa così rivoluzionaria da chiamare famiglia l’amore tra due persone dello stesso sesso perché capisco che ciò che per me è il femmineo e il mascolino, io mi sono data questa di spiegazione, gli omosessuali li vivono ma in maniera diversa e i loro rapporti non sono meno puri del mio. Io ho ascoltato per tre anni con grande fatica una mia amica che ha tradito il marito, coppia eterosessuale, coppia benedetta in Chiesa e lei che allegramente mi parlava di questo ed io che le dicevo che se me ne voleva parlare ne doveva parlare come un percorso perché io conosco anche il marito e non potevo fingere che tutto andasse bene. Alla fine io mi sono chiesta e ho chiesto a Signore se l’amore esiste davvero, invece questi miracolosamente si sono riavvicinati e hanno capito tante cose.

Auspico che la Chiesa ascolti, accolga, entri in relazione e che così si renda vera comunione, che si viva una comunione che faccia sentire non solamente scusati o tollerati come sbagli della natura, ma li faccia sentire persone, persone così come sono, persone preziose nelle quali c’è lo Spirito. Siamo carne ed anima e non credo che una cosa abbia la prevalenza sull’altra. Auspico dunque che la Chiesa guardi all’anima delle persone e le faccia sentire tutte figlie di Dio. Non si dovrebbe più rinnegare la Sapienza creatrice di Dio, bollando come innaturale la condizione vissuta da circa 200 milioni di persone al mondo: tutte creature formate dalla Provvidenza di un Padre che vede prima ed al di là della visione umana, tutti figli di un Dio che non limita all’atto procreativo la fecondità dell’Amore che possono condividere due persone, qualsiasi sia il loro orientamento sessuale.

Ecco, dunque, secondo me, la priorità della Chiesa: essere davvero Chiesa Oggi, realizzare il vero SINODO, porsi in cammino umile e fiducioso, porsi in ascolto dello Spirito attraverso gli infiniti refoli della realtà. Non giudicando e condannando fratelli che gridano un disperato “eccomi”, ma accogliendo la destabilizzante Verità dell’Amore che si incarna nella storia, in ogni storia. Perché questa è l’eterna Verità che ci ha rivelato il Vangelo e che San Paolo ripete ai Corinzi: quando l’uomo si riconosce debole allora agisce la Forza di Dio.

Solo quando la Chiesa si conforma all’ Amore Crocifisso, dalla morte delle certezze umane può sgorgare la vera Vita della meraviglia divina.

 

“Sgorgheranno sorgenti nel deserto, il suolo riarso avrà sorgenti d’acqua” (Is. 35,4-6)            Lorenzo D’Amico

Se in una famiglia non si trovano momenti in cui poter raccontare, discutere ciò che viviamo fuori casa ed a casa, che fine fa la famiglia?

A questo punto vorrei farvi una domanda più precisa: qual è il luogo in cui noi cristiani possiamo incontrarci, nelle singole comunità cristiane e interrogarci con regolarità sui problemi più gravi della vita, interrogativi nostri e di coloro che sono fuori dalle nostre comunità, ma in ricerca? Al tempo stesso non è necessario condividere la vita e le speranze di tanti impoveriti, rendendoli protagonisti nella vita? Dopo esserci incontrati, aver riflettuto, esserci impegnati assieme ad approfondire, è fondamentale che ci siano dei brevi ritorni nelle liturgie domenicali, a volte presentando i nuovi punti di vista che sono emersi, a volte le domande che sono nate, a volte i nuovi sentieri che si aprono ed è necessario sperimentare…

Quando ascoltiamo l’incontro di Gesù con la Cananea (che risponde: “si hai ragione,, ma anche i cagnolini si nutrono delle briciole che cadono dalla tavola del loro padrone”), il lebbroso, il paralitico…sono persone che Gesù ha incontrato lungo le strade della vita.

Lo Spirito del Signore è ancora all’opera nei nostri quartieri, non ha finito le cartucce, sta a noi aprire gli occhi, vedere ciò che opera oggi, così che la nostra vita acquista un nuovo respiro e poi la liturgia domenicale, la messa è arricchita dalla nostra vita quotidiana.

Ripeto: il posto dei cristiani è nel mondo e possiamo affrontare le fatiche e le speranze della vita se la liturgia domenicale, la messa, è segnata anche da ciò che di prezioso viviamo nel quotidiano e dalla meditazione della parola di Dio nei piccoli gruppi nelle case.

Se ci sono luoghi di confronto mensile nelle singole comunità allora sono stimolato ad aprire gli occhi e a meditare su ciò che vivo. All’inizio l’esprimere a parole ciò che viviamo è faticoso ma poi dischiude una ricchezza incredibile che ci permette di affrontare i sentieri quotidiani.  Non possiamo lasciar soli tutti quelli che si trovano nelle strette della vita a causa della fame, di una separazione, di uno sfratto, di una migrazione, di una grave malattia, per le violenze subite, per il fine vita…

Proprio una liturgia contaminata dalle nostre vite quotidiane, porta a crescere uomini e donne capaci di collaborare con tutti coloro che hanno a cuore promuovere una città fraterna e capaci di rimuovere gli ostacoli ad una reale dignità per tutti, al di là delle differenze di fede e di pelle.

La coscienza della vicinanza del Signore nella vita, ci aiuta a cogliere ciò che di positivo c’è in ogni persona che incontro ed ogni situazione che vivo, sapendo al tempo stesso vedere ciò che è necessario fare per cambiare le vere cause di certi problemi gravi ed allora realmente si riaccende quella Speranza che ci permette di dire: “Coraggio, non temete! Sgorgheranno sorgenti nel deserto, il suolo riarso avrà sorgenti di acqua.” (Is 35, 4⋅6)

 

Camminare con Gesù nella speranza, coinvolgere i giovani                 Riccardo Lamba Vescovo ausiliare di Roma

Lorenzo mi pare abbia chiarito quello che la Chiesa italiana e la Chiesa di Roma propongono di speciale per quest’anno, ed è l’immagine del Vangelo di Luca dei discepoli di Emmaus che camminano, ed è vita vissuta, con Gesù. Questo ci ricorda l’importanza della parola di Dio e della celebrazione eucaristica, parlano infatti tra di loro dei temi vivi dell’esperienza che loro stanno facendo, della morte di un loro amico, come noi potremmo parlare delle sofferenze e delle nostre morti. Gesù pian piano li porta ad incontrarlo come risorto. Quindi quello che diceva Lorenzo anticipa quello che sarà il cammino della Diocesi.

Su quello che ho ascoltato vorrei dire qualche cosa e vi racconto due piccole cose, la prima nasce dall’incontro che ho fatto in questi ultimi mesi, un prete anziano che è stato molto male, ma prima che si ammalasse mi aveva chiamato dicendomi che voleva dirmi qualcosa, “te ne devo parlare perché potrei presto morire” allora gli ho detto: “giovani si può morire, vecchi è sicuro”. Neanche lo avessi previsto, dopo tre giorni è stato male da morire, poi si è ripreso e qualche giorno fa sono andato di nuovo ad incontrarlo e parlavamo dei vari problemi della chiesa e lui mi diceva “vorrei essere una mosca e vivere ancora cent’anni perché sono sicuro che Dio sta preparando delle cose bellissime per la chiesa.” Sto quindi cercando di comunicare: la speranza.  Bonhoeffer riprendendo un testo di Geremia, era in un campo di concentramento da lì a poco lo avrebbero ammazzato, dice “continuate a coltivare i campi, continuate a costruire le case…” avere questa speranza per chi è certo di stare andando verso la morte non è proprio da tutti, non è la prima cosa che ti viene in mente a meno che tu non sia un uomo di fede. Quindi la speranza, noi coltiviamo la speranza in questo cammino, vediamo questi due uomini tristi che camminano vengono riavviati nella speranza.

Il secondo messaggio è questo, mi guardo intorno e vi vedo, il più giovane tra noi ha… (43 risponde Micaela) io ne ho 67 e qui qualcuno ne ha forse di più di me. Quello che voglio dire è che se avessi avuto qui i miei nipoti che hanno dai 26 ai 35 anni, gli avrei detto, ragazzi stamattina si viene qui. Voi dovete coinvolgere i vostri nipoti, se non coinvolgiamo questa fascia d’età, noi stiamo parlandoci addosso, lo dico perché anche noi preti quando parliamo spesso vediamo solo “cape bianche”. Allora questa speranza, questo desiderio che abbiamo dobbiamo condividerlo con i giovani che vedo quasi disperati, noi dobbiamo condividere la speranza, ai giovani dobbiamo offrire come diceva don Milani, e io sono un appassionato di don Milani, la possibilità di riflettere, ragionare, confrontarsi, e noi dobbiamo imparare a dialogare nella lingua degli uomini del nostro tempo.

Interventi

Antonella Soressi: noi possiamo pure stimolare i nostri ragazzi a partecipare alla vita della Chiesa ma se le celebrazioni restano quello che sono, loro se ne allontanano, le rifiutano, io lo dico per esperienza personale. Ci vuole quindi un cambiamento innanzi tutto della liturgia domenicale che è fatta di tante orazioni ripetute ed accumulate nei secoli che non si sa più cosa significhino, riavvicinare il momento della consacrazione a quello della distribuzione del pane. Gesù non ha fatto cento discorsi, ha detto “prendete e mangiate” e glielo ha dato. Quindi semplificare cercando così di rendere più evidente ciò che è essenziale.

Riccardo Lamba: Questo è uno stimolo fortissimo, mi devo rileggere “Dalla parte degli ultimi”, io non mi ricordo che don Milani abbia mai parlato di una celebrazione eucaristica Il problema non è la celebrazione eucaristica, a quello ci arriveremo dopo, Gesù per convincere i due di Emmaus non ha fatto una celebrazione eucaristica ma ha cominciato a riflettere con loro a partire dalla parola di Dio. Con i nostri nipoti ci dobbiamo confrontare, parlare, non dare per scontato nulla. Sono felicissimi se noi li ascoltiamo prima di tutto, se noi poniamo loro delle domande, se chiediamo spiegazioni, alla messa arriveremo dopo.

Chiara Flamini: io insegno alle medie e con i ragazzi parlo moltissimo, quando noi poniamo loro dei temi importanti, ad esempio ieri abbiamo parlato delle migrazioni, ottengo un silenzio che con la geometria non riesco ad ottenere, c’è una sete di parole vere. Ma dove stanno i luoghi nella chiesa di Torre Angela e in tante parrocchie in cui queste cose si possono mettere sul tavolo? Io avevo chiesto di fare l’annuncio di questo incontro nella messa domenicale ed il prete mi ha impedito di farlo. Come possiamo portare dentro la nostra chiesa quello che lei dice?

Micaela Soressi: nelle famiglie questo dialogo nello spirito c’è, nella mia famiglia di origine ma anche con i miei figli, ma se gli dico, andiamo nel gruppo della parrocchia non sentono, bisogna che anche la Chiesa si mostri ufficialmente in questo.

Riccardo Lamba: il vangelo di oggi è la parabola del seminatore, cosa vuol dire? Che Gesù in quel momento sperimenta la difficoltà dell’evangelizzazione, questa parabola ci dice che c’è una difficoltà nella ricezione, ci sono rovi, spine, terreno arido, ma c’è anche il terreno buono. Dobbiamo coltivare la speranza che lavorando insieme possiamo piano piano portar via qualche sasso, qualche rovo e che si continui a sperare.

Antonietta Maiozzi: Il vescovo parlava dei giovani e c’aveva ragione, non è che gli dobbiamo dire di venire a Messa, ma basterebbe che quando li incontriamo per strada gli facciamo un sorriso. In famiglia bisogna parlare, di qualsiasi problema, bisogna parlare ed ascoltarsi. Per noi la famiglia è importante, se non si parte a insegnare l’educazione dalla famiglia nostra non possiamo pretendere che questa educazione la trovino fuori

Maurizio Firmani: volevo fare delle considerazioni su quelle che potrebbero essere le priorità della Chiesa, partendo un po’ da lontano, la croce di Gerusalemme questo simbolo meraviglioso che ha una croce centrale e quattro croci nei quattro settori e rappresenta cinque Chiese: la Chiesa di Gerusalemme, la Chiesa di Antiochia, la Chiesa di Roma, la Chiesa di Alessandria e la Chiesa di Bisanzio. Sono le cinque Chiese madri, le cinque Chiese che la tradizione dice siano state fondate dagli apostoli, le cinque Chiese i cui vescovi si chiamano Papi. Questa croce unisce le nostre origini ma la nostra storia non è stata poi così unita perché nel quattrocento la Chiesa di Alessandria si è staccata dando luogo alla Chiesa copta, nel seicento poi l’occupazione araba ha invaso i territori della Chiesa di Gerusalemme, di Antiochia, di Alessandria e tutto il Nordafrica che si collegava alla Chiesa di Roma. Negli anni mille c’è stata la grande scissione per cui le Chiese di Gerusalemme, di Antiochia e di Bisanzio hanno dato origine alla Chiese ortodosse che si sono separate da Roma e poi si sono espanse in tutto l’est europeo, infine nel quindicesimo secolo la caduta di Bisanzio.

La Chiesa cattolica non ha alle spalle poteri, anzi è in netta crisi Papa Francesco ha ribaltato delle certezze secolari riammettendo alla frequentazione dei sacramenti delle persone risposate ed è stata una rivoluzione. La Chiesa quindi ha dimostrato di volersi muovere, certo ancora non sembra che sia un rinnovamento sufficiente. E noi? Noi possiamo fare qualcosa? Noi che frequentiamo le parrocchie, noi siamo il biglietto da visita della Chiesa, chi si avvicina alla parrocchia non è che conoscerà il vescovo o il Papa, conoscerà noi, la segreteria, i catechisti, gli operatori sociali, e noi che impressione diamo? Siamo persone accoglienti, serene, gioviali, collaborative? Siamo noi che diamo, a chi si avvicina, l’immagine concreta della Chiesa.

Fra’ Marino: sono da solo due settimane in questo quartiere, come francescani abbiamo affittato una casa tra le case, siamo in aiuto ai preti della parrocchia. Nella vita ho avuto la fortuna di girare tantissimo il mondo e ho visitato tante Chiese locali sia nel nord che nel sud e nell’est del mondo, molti dei discorsi che ho sentito stamattina mi sono familiari, vi pregherei però di essere più pragmatici e cercare delle risposte concrete senza fermarci solo sui massimi sistemi. Su don Milani dico che io sono stato uno dei primi cento italiani che si sono giovati della legge sull’obiezione di coscienza per cui la sua battaglia fu determinante.

Vorrei fare a questo punto una proposta concreta, è importante parlare di questa celebrazione della domenica che è così in crisi. Perché non lo facciamo? Ogni venerdì alle 21 noi frati ci prepariamo alla liturgia attraverso la condivisione del vangelo che si leggerà. (Chiara dice che lo facciamo qui in Chiesetta il giovedì). Ecco non dobbiamo disperderci ma fare un unico gruppo, lì la vita e le problematiche entrano con forza, è importante conoscere le ferite e le contraddizioni del territorio. Le prime domande che ho rivolto ai preti di qui sono state: “Quanti handicappati ci sono? Quanti disabili? Quanti disoccupati?” Nessuno ha saputo rispondermi.

Questi incontri sono un ascolto umile della parola coniugato con l’ascolto attento dei bisogni della comunità cristiana. Mio nipote mi dice che viene a messa solo se la messa la dico io, questo è un problema, ma siamo noi che ci dobbiamo muovere per rendere bella la nostra Chiesa. E se il prete non è disponibile…cambia chiesa!

Lina Luciano: Mi ricordo quando nelle parrocchie c’era il campetto di pallone e i ragazzi erano spinti ad andare e venivano seguiti. Una volta in una parrocchia che frequentavo a questa richiesta è stato risposto negativamente. Ma perché? Era un modo per farli avvicinare e aggregare tra loro.

Albert Kappers: dalla mia esperienza condivido l’importanza del “votare col portafoglio”, comprare all’equo e solidale, poca carne, affrontare gli enormi problemi mondiali cominciando da sé stessi. Ogni ristorante in Olanda ha un ottimo menù vegetariano, si comprano macchine elettriche. Sono scelte personali che permettono anche alla politica di cambiare strada quando la gente è già sensibilizzata. Dare poi donazioni ad organizzazioni che possono influenzare i decisori. È importante decidere dove mettiamo i nostri soldi.

Valentina De Luca: Mi ha colpito quello che diceva Micaela del suo rapporto con i suoi amici gay, lei è come una lampada, li attrae e poi si parla e così inizia un dialogo perché anche loro hanno bisogno della parola divina che è la parola d’amore di Gesù. Perché l’amore non si può circoscrivere all’amore umano. Bisogna vincere la paura, vedo questo mondo così difficile, i giovani si allontanano, hanno i loro strumenti ma restano in solitudine, si nutrono di un dialogo virtuale il cui contenuto però non conosciamo chi e come lo ha preparato, senza rimproveri dobbiamo cercare di capire e dialogare con loro.

Mara Fabbri: io ho due figli ed il tema di come nutrirli, che cibo dare loro è un tema essenziale e non si più rinchiudere tra le pareti di casa. Il tema che qui è stato toccato a più riprese è che questi luoghi bisogna crearli nelle nostre parrocchie, io non voglio cambiare chiesa, non voglio andare da un’altra parte, perché così come non mi sono scelta mio fratello, non mi devo scegliere i fratelli che c’ho intorno, i vicini, quella è la mia parrocchia, quelli sono i miei fratelli e i fratelli non ce li scegliamo e vorrei nutrire i miei figli anche di questo. Vorrei che imparassero che i fratelli non si scelgono, fratelli sono quelli che hai a fianco e tu li ami per quello che sono.

Quindi vorrei dei posti per i miei figli dentro la mia parrocchia, vorrei poter parlare con il mio parroco, vorrei poter parlare con la mia comunità per farmi aiutare ad educare questi ragazzi perché da sola non lo posso fare, specie nella fede. Adesso sono stata benedetta dall’incontro con delle persone che concedono ai miei figli di pregare e leggere insieme la Bibbia una volta ogni due settimane. Questo è possibile qui a Torre Angela perché qui questa cosa esiste, nella mia parrocchia non c’è, ma perché non c’è? Io sono stata benedetta perché il padrino e la madrina dei mei figli sono qui a Torre Angela e mi aiutano ad educarli nella fede, come dovrebbero fare i padrini. Allora il tema è: perché il vescovo va via senza ascoltare? perché voi francescani pregate il venerdì sera e qui c’è un gruppo che legge il vangelo della domenica il giovedì? Ma io non dovrei dover venire qui a Torre Angela per cercare queste cose. Certo noi ci dobbiamo mettere in prima persona a costruire queste cose, ma anche dall’altra parte abbiamo bisogno di qualcuno che ci ascolti quando diciamo queste cose. Il mio parroco a me non mi sente, dentro la mia parrocchia questa cosa non c’è. Qui ci dobbiamo chiedere cosa serve alla nostra Chiesa, non cosa serve a noi e bisogna che lo diciamo che questa è una cosa che serve alle nostre chiese. Servono i gruppi del Vangelo, serve chi legge il Vangelo della domenica e ne parla, serve che la liturgia venga ripensata e non serve che questi ragazzi vengano attratti dalle cose belle che trovano in parrocchia, perché le cose belle ce l’hanno, ne hanno una marea, i capi scout dei miei figli si chiedono se non sia un problema di linguaggio e se non dovremmo parlare loro con un linguaggio diverso. Ma non è un problema di linguaggio, è un problema di contenuti, a questi ragazzi bisogna parlargli come se capissero, perché capiscono. Quando il parroco fa la predica e parla con i ragazzini della Prima Comunione i miei figli alzano gli occhi al cielo, a otto anni mio figlio mi ha chiesto: “Ma perché ci parla come se fossimo stupidi?” Dobbiamo ricominciare a raccontargli le tante cose che sono nel Vangelo, agli scout hanno fatto tante cose ma del Vangelo non hanno mai parlato.

Gianfranco Solinas: quando Nicola se ne stava andando dalla parrocchia della Trasfigurazione mi ha chiamato e mi ha chiesto una mano, “dobbiamo nascondere biliardini ecc. nel sotterraneo della Chiesa”. Quello che spesso è accaduto è il ricatto, puoi venire a giocare se vieni a messa o al catechismo, da piccolo ne ho fatto esperienza, per andare al campetto ci voleva il timbro che eri stato a messa. Gli spazi ricreativi della parrocchia devono essere spazi liberi, aperti, di quartiere. Bisogna incontrare i ragazzi nella libertà. Ci dobbiamo interrogare se dobbiamo portare i ragazzi dentro ripercorrendo il cammino di portare dentro o se dobbiamo vivere una Chiesa in uscita.

Caterina Monticone: Ho una domanda da porre per cui chiedo aiuto e nasce da questa considerazione: si è parlato di disimpegno, di deresponsabilizzazione, della responsabilità di noi adulti per aver mollato, c’è poi questa sensazione di vivere in tempi bui, io mi oppongo sempre quando sento questa considerazione, perché se penso ai miei genitori che hanno fatto la guerra, che sono venuti a Roma dalla campagna, avevano delle vite davvero grame, abbiamo la sensazione di vivere in tempi bui perché i problemi sono tanti, ma onestamente c’è un avanzamento nei diritti in molti campi. Io qui oggi percepisco una grande ricchezza, ci sono tante persone che vogliono riflettere e condividere le riflessioni, si parla della Chiesa ma anche del tema politico e sociale. Questa ricchezza che trovo qui oggi io spesso la trovo. Allora la domanda che voglio porre è: per quale motivo non si riesce a convergere? Perché per me la difficoltà in politica come nella Chiesa è quello delle divisioni, della difficoltà a convergere. Abbiamo spesso a S. Leone invitato associazioni ambientaliste ma in genere le abbiamo trovate molto identitarie, se parli di quello che interessa loro vengono, se no non vengono e così tanti gruppi. Quindi ripeto la mia domanda: perché questa difficoltà a convergere? Il risultato è la poca efficacia e di conseguenza la tendenza ad abbandonare.

Io poi, a proposito della scuola, non mi do pace e qualche volta ho detto provocatoriamente: “aboliamo i decreti delegati”, infatti c’è gente che davvero ha dato il sangue per conquistarli ed ora non si trovano neanche le persone per fare un seggio per eleggere i rappresentanti di classe, per non parlare di quelli d’istituto.

Noi dobbiamo veramente trovare una soluzione per aprirci a chi sta fuori, tutti noi che stiamo qui abbiamo consapevolezza, abbiamo senso del bene comune ma dobbiamo trovare una chiave per comunicare e per convergere.

Chiara Flamini: sono contenta che il tema non sia solo le priorità nella Chiesa ma anche le priorità nella società civile. Anche io mi trovo in luoghi assembleari che dovrebbero essere democratici, in particolare il Collegio dei Docenti della mia scuola decide sempre tutto all’unanimità senza che nessuno dica la sua. Nella scuola è andata in pensione la generazione che partecipava di più, la mia impressione è che le generazioni seguenti siano disilluse rispetto alla possibilità di incidere realmente e quindi fanno un passo indietro.

Anna Cioffarelli: io non vivo qui a Torre Angela ma ci ho vissuto nella mia giovinezza, quando ho vissuto qui mi ricordo che c’erano tanti luoghi e tante persone volenterose con cui si poteva condividere le riflessioni di una visione e di una speranza nel futuro. Mi chiedo ora:  qual è lo scopo nelle famiglie? quello di dare tutto ai figli senza farglielo guadagnare? Ma se una cosa richiede sacrificio stiamo insegnando ai figli a lottare. Se gli prospettiamo un mondo in cui hanno tutto nella famiglia poi, quando vanno fuori, si disinteressano perché non hanno nell’immediato quello che loro desiderano. Nelle famiglie bisogna abituare a vedere le cose a lungo termine, a coltivare la speranza di qualcosa ed anche la dignità di guadagnarselo.

Io sto ancora nel mondo del lavoro e vedo che ormai anche il sindacato non fa più riunioni, io sono trent’anni che sono iscritta, prima facevamo tre o quattro riunioni all’anno, ora niente, ti comunicano le cose con le chat, ma questi nuovi mezzi non possono interrompere il confronto, la tecnologia non lo può sostituire.

Penso che dobbiamo creare nuovi linguaggi con i giovani ma soprattutto riabituarli a crescere insieme per poi ritrovare un interesse. Se guardiamo le cose solo a breve termine va a finire che si abbandona la lotta per cambiare il mondo, una lotta per cui non abbiamo risposte preconfezionate ma che dobbiamo trovare a mano a mano stando con gli altri. Ma se ognuno si limita al suo cellulare non cercando il confronto è difficile anche all’interno della Chiesa creare spazi comuni.

  1. Paolo Salvini: sono un prete di Roma, vissuto per trent’anni in parrocchia ed ora in Caritas Diocesana. Vedo quattro cose che viviamo di positivo:
  • La possibilità di prendere la parola in chiarezza e di fare emergere i conflitti nella Chiesa, mi sembra che oggi questa possibilità ci sia più di quanto ci fosse fino a dieci o quindici anni fa. Anche il Sinodo è un luogo in cui più che nel passato emergono i conflitti e questa mi sembra una cosa necessaria e buona.
  • La seconda cosa è l’invito di Francesco a fare attenzione ai segnali dello Spirito che è in azione nella storia e ci precede. Ghislain Lafont mi pare che attribuisse molta importanza alle figure di Chiesa che si basano sulla fiducia nello Spirito Santo. Dobbiamo passare da un protagonismo nostro a pensarci come collaboratori dello Spirito e soprattutto cercatori dei segni in cui lo Spirito sta già agendo nella storia. L’impostazione del processo sinodale, pur con tutti i suoi limiti, della Chiesa italiana e della nostra Diocesi ha al entro questo elemento, discernere i segni dello Spirito in azione.
  • La terza cosa è la presenza diffusa di segni di amore e di intelligenza della realtà, vedo tanta ricchezza qui e tanta in molti luoghi, c’è forse difficoltà a far convergere questa ricchezza ma ci sono. Molte persone fanno cose belle, intelligenti, hanno elementi di comprensione di una realtà che è molto complessa e richiede quindi la convergenza di tanti pensieri e di tante competenze. Mi sembra che in giro ci sia molto.
  • La quarta e ultima è una grande possibilità di comunicazione, abbiamo la possibilità di ascoltare persone che quotidianamente ci parlano di quello che succede in altri angoli del mondo. Abbiamo una grande possibilità, forse anche superiore alla nostra capacità di digerire tutta questa offerta di comunicazione, di comprensione.

 

Dopo gli aspetti positivi volevo esaminare la grave situazione in cui si trovano le comunità cristiane e la nostra società, ne elencherò due per le comunità cristiane e quattro per la società civile:

  • La concentrazione di potere del ministero ordinato che si arroga il diritto di chiudere gli spazi di partecipazione alle altre persone, la concentrazione di parola del clero nella liturgia con l’esclusione quasi totale di parole che vengono da altre prospettive. Questo mi sembra che sia un tema importante, però ci sono nel Concilio e ora nel papato di Francesco tanti elementi che ci spingono a correggere tali deviazioni, quindi credo che possiamo tutti dire che così non va. Non è un favore che il prete, il vescovo o il diacono di turno ci fanno quello di poter prendere la parola, ma è questione della dignità nativa dei battezzati.
  • La seconda è l’estraneità che molte persone che sono state in contatto con la Chiesa ora vivono con essa, i giovani, ma non solo i giovani, molti anche adulti si sentono estranei a questa Chiesa. Non credo però che possiamo ridurre questo alla prima cosa, credo che ci sia qualcosa di più complesso che forse dovremmo provare a capire insieme, non è solo perché si chiudono gli spazi di comunicazione. Questo è successo anche in Chiese che hanno vissuto maggiori aperture, la Chiesa olandese è stata maestra per molti in Europa, ma anche la Chiesa olandese mi pare che patisca molto. Vedo i miei nipoti che sono cresciuti nella Chiesa ed in una Chiesa non particolarmente brutta, ma ora sono piuttosto estranei. Forse c’è qualcosa che ora non capiamo ma viene dallo Spirito? Non lo so.

Per quel che riguarda la società:

  • L’inequità che cresce in maniera esponenziale e lascia parti sempre maggiori della società nella povertà e nella mancanza delle cose essenziali per una vita degna: cibo, acqua, abitazione, lavoro, cure mediche. È vero in giro per il mondo ma è vero sempre di più anche nel nostro paese.
  • La polarizzazione della comunità sociale e la gestione violenta dei conflitti che tende all’eliminazione degli altri da noi. Dovremmo riflettere che siamo diventati tutti un po’ figli di questo modo di comunicare, di schierarci in partiti nemici nella società e nella Chiesa. Credo che bisogna trovare modi diversi di comunicare mettendo il conflitto in chiaro e affrontandolo in maniera non violenta.
  • L’allontanamento nel mondo dai principi fondamentali della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, e in Italia dai valori della Costituzione. Ci siamo abituati oramai che l’essere tutti egualmente degni resti un principio astratto e che il mondo vada in un altro modo e davanti a questo ci sentiamo molto disarmati e abbiamo la sensazione di non riuscire ad incidere. Quante esperienze sono state fatte di formazioni politiche alternative ai partiti storici che poi si sono ridotte all’irrilevanza. È la difficoltà di stare in un mondo complesso incidendo su questo mondo in modo che quei valori della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo e della nostra Costituzione siano rispettati.
  • La mancanza di una istituzione sovranazionale che obbedisca ai principi del diritto e non della forza. Lo svuotamento dell’Organizzazione delle Nazioni Unite è sotto i nostri occhi, ma se non c’è una istanza sovranazionale che non abbia a che fare solo con la forza economica e militare è difficile immaginare un altro ordine possibile.

 

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