Lettera 75 (Seconda Serie)

Lettera introduttiva

Care amiche e cari amici,

con questa lettera completiamo la pubblicazione degli interventi svolti e del successivo dibattito durante l’incontro che si è tenuto a Torre Angela il 23 settembre

  Come al solito aspettiamo sia da chi è intervenuto, sia da chi non c’era le vostre reazioni e i vostri commenti, sarebbe bello se a queste domande provassimo a rispondere in tanti.

Presentiamo anche il discorso tenuto dal teologo Thomas Halík alla Federazione Luterana Mondiale, sono parole di grande apertura e di speranza per una nuova “riforma” della Chiesa e non solo. Il testo qui presentato è stato da noi ridotto, chi vuole trovare il testo integrale lo può cercare sul nostro sito.

 

“Quali priorità per la nostra Chiesa e quali priorità per la nostra società?” III parte

Monia Cittadino: mi pare che non ci sia più interesse a coltivare la fede, qui per esempio, in questa parte di Torre Angela, è sempre aperto e sempre pieno di ragazzi che giocano e di mamme volenterose che aprono e che li seguono, ma se io propongo un percorso di crescita insieme nella fede non interessa. Quando il giovedì c’è la lectio o il venerdì sera il gruppo del Vangelo dentro le case, non interessa. Non interessa alle persone ma tante volte neanche al prete. Se io dico che è bello certamente anche fare la pizza o la braciolata insieme e condividere il mangiare, ma che sarebbe necessario anche trovare uno spazio per far crescere noi famiglie confrontandoci insieme, si risponde “Poi si farà” sono passati quasi due anni da quando lo propongo e non si è fatto niente. Quindi è difficile, però teniamo duro!

Maria Pia Schutzman: Ci vorrebbe almeno una settimana per metabolizzare quello che uno ha ascoltato. Mi ha colpito quello che ha detto Caterina sulle difficoltà dei suoi genitori e anche Micaela quando parlavi dei cosiddetti diversi, perché siamo tutti diversi, e poi Anna che diceva che bisogna abituare i ragazzi a guadagnarsi le cose che vogliono. Nella mia generazione le difficoltà ci sono state ed anche molto più pesanti di ora, penso a mia mamma che ha vissuto una guerra, la sua mamma ne ha vissute due. Veramente c’è la globalizzazione dell’indifferenza: “Ma che ce ne frega della Siria, ma che ce ne frega della Turchia o del Marocco.” Pensiamo di essere tanto infelici noi, mi pare una gabbia di matti. Anche noi come famiglia abbiamo avuto una vita difficile ma se invece della bistecca mi mangio una panzanella non muoio. Ma guardiamoci intorno invece di pensare di essere i più infelici del mondo.

Per tutti c’è spazio per parlare ed esprimersi ma nella misura in cui te ne importa qualcosa di chi ti sta vicino.

Luigi Mariano: Prendo spunto dal nome, l’incontro è de “La Tenda”, per me la tenda ha un doppio significato, dentro e fuori, dentro ci sono delle persone, io per esempio poche settimane fa ho rincontrato un abitante de La Tenda. Ho bussato alla tenda e ho trovato una grande disponibilità di ascolto, comprensione, aiuto. Io penso che La Tenda serva a questo, serve ad essere presente nel territorio e chi abita dentro una tenda è un errante, è un pellegrino, non è uno stanziale con le sue sicurezze, ma dentro la tenda si trovano tante ricchezze spirituali ed umane e se bussi alla tenda ricevi questa ricchezza. Poi c’è una seconda valenza, quella ad extra, la tenda e Torre Angela, la tenda e Boccea, perché la tenda si pianta nei territori, e secondo me la tenda può avere la funzione del lievito o del sale in un territorio che sarebbe insipido.

A volte neanche noi sappiamo dire ai nostri figli dove andare, la società è diventata liquida come diceva Bauman, tutto è evanescente ma non è colpa nostra questo è il nostro tempo, la politica è liquida, l’economia va per conto suo, la Chiesa ha delle grosse difficoltà. Proviamo a dialogare con gli abitanti del territorio che sono fuori della tenda e proviamo a fare qualcosa. Proviamo ad unirci, a trovare le sinergie, a convergere, abbiamo talmente poche forze che non ci possiamo permettere il lusso di disperderle. Quanto bene c’è a Roma, cerchiamo di far si che questo bene, i giovani che fanno volontariato ad esempio, diventi una testimonianza.  Proviamo a diffondere queste perle di altruismo e generosità là dove c’è una difficoltà esistenziale.

Gemma Vitolo: sono stata insegnante per molti anni e sono in pensione da più di vent’anni. Quello che mi interessa sottolineare oggi è la presenza di una pubblicazione che ho presa nella parrocchia di S. Pio X: “La Chiesa in uscita”, un testo scritto da don Bruno Forte che mi è molto caro, ho seguito le sue pubblicazioni, il libro “Se permetti ti parlo di Dio” e i suoi articoli. I discorsi sulla Chiesa in uscita proposti quasi dieci anni fa, sono di una attualità sconvolgente. Ve ne volevo parlare, avere la possibilità di capire cosa c’è di nuovo, perché c’è tanto di nuovo nella Chiesa oggi: il Sinodo ma soprattutto questo Papa. La Chiesa deve essere in cammino sempre e dobbiamo dare valore anche alle piccole esperienze che riusciamo a fare localmente.

Piccola Sorella Lazzarina: io volevo ringraziare per tutto quello che avete condiviso e che io ho ricevuto, che stimola nella vita. Io penso che c’è tanta speranza, quello che ognuno vive e ha comunicato dà questa forza per sperare. Bisogna ascoltare il desiderio, il grido dei giovani, poi il tempo ci dirà come si realizzerà, ma bisogna iniziare i processi e penso che anche qui, almeno nel desiderio, tanti processi sono iniziati. Io sono una Piccola Sorella e quel che posso dire è che mi lascio molto toccare dalla sofferenza delle persone che incontro, la mia collaborazione è nella preghiera, perché è tanto il desiderio, la sete che si legge nei volti delle persone. Io frequento gli ospedali e lì mi sono fatta tante amiche che mi telefonano chiedendomi di pregare. Già che si creda nella forza della preghiera è un bene. Questo volevo condividerlo perché fa parte della mia vita. Penso che di fronte allo sconvolgimento attuale, alle preoccupazioni delle mamme, la preghiera possa essere una forza e dobbiamo credere nello Spirito che guida e che se mette questi desideri ci darà un seguito. Grazie a ciascuno.

Franco Battista: le cose che sono state dette sono tante e per tanto tempo ci sarà da lavorarci sopra. Noi viviamo nel presente e ci rivolgiamo al passato per capire se c’è una traiettoria. Il Signore ci dice di seminare senza curarci del resto, quello che viene è opera dello Spirito. Però noi stiamo guardando verso il futuro con uno spirito buono. Parlando dei giovani parliamo del futuro, è difficile parlare dei giovani, con i figli un po’ disponi quello che vuoi fargli fare, con i nipoti non è proprio così perché sono i genitori che se ne devono occupare, ma come nonno non riesco a stare solo a guardare e vorrei trasmettere qualcosa nonostante le difficoltà. Con loro ho un dialogo e vedo che loro sono contenti. Voglio parlare di qualcosa che da giorni mi tiene sconvolto e di cui ho quasi paura di parlare, dei profughi, della gente che viene qui scappando maggiormente dall’Africa. A livello politico ho la sensazione che tutte le decisioni siano per creare difficoltà a quelli che vogliono venire da noi. Ma io dico, se vivi in un posto dove hai fame e vedi i tuoi figli deperire anziché crescere e vedi che dall’altra parte del mare si sta bene, c’è l’Eldorado, con una visione anche in parte distorta, ma che fai, tuo figlio lo lasci a morire? Sicuramente lo spingerai dall’altra parte e certo questo non è da condannare. Quella che secondo me potrebbe essere una soluzione: sono tanti secoli che l’Europa succhia materie, energia e ricchezze dell’Africa, noi invece di spendere tanti soldi per fermare quelli che vogliono arrivare, dovremmo portare delle attività lavorative che possano renderli autonomi, almeno dove il clima lo consente; per gli altri forse il problema si potrebbe almeno in parte risolvere. Invece spendiamo chissà quanto per costruire muri. Ci sono tante persone che mandano aiuti concreti, ma a livello politico non c’è nessuno che prova a fare un discorso di giustizia e di umanità per affrontare questo problema, di modo che chi vuole restare possa restare e chi invece vuole partire lo faccia in tranquillità e libertà.

Antonella Soressi – La comunità dell’Idroscalo è formata da abitanti di una zona molto povera alla foce del Tevere, è una comunità fortemente legata al tessuto sociale, con laboratori di falegnameria e sartoria a cui partecipano anche ex detenuti e la loro celebrazione eucaristica è segnata da ciò che vivono nella settimana. Dopo una breve omelia anche i laici possono intervenire legando la parola ascoltata al vissuto quotidiano, quando la situazione sembra richiederlo don Fabio muta la recitazione del credo in formulazione che si fanno domande, anche le preghiere spontanee non sono quelle dei foglietti. Vi partecipano molte persone che non hanno i capelli bianchi.

Luigi Mochi – C’è un filo conduttore che unisce le priorità nella Chiesa e priorità nella società civile: occorre ricreare dal basso una partecipazione attiva, occorre creare opportunità di partecipazione, occorre partecipare, rimetterci in gioco per un bene comune.

Gianfranco Solinas – La partecipazione comunionale è molto più della democrazia. Il servizio comunionale è un servizio fraterno, è al centro dei ministeri ed ha come punto di riferimento la lavanda dei piedi.

Lorenzo D’Amico– Noi pensiamo di avere nella testa una grande chiarezza, quando poi la esprimiamo ci accorgiamo di una grande confusione, ma è anche vero che la fatica di comunicare ci aiuta a maturare, si apre una profondità nuova, una nuova chiarezza. Il nostro radunarsi, cercare insieme, non è solo la somma dei singoli contributi, ma un moltiplicare il potenziale.

È fondamentale che ognuno di noi sappia ascoltare, approfondire, si lasci interrogare da coloro che sono fuori ma in ricerca, in particolare da coloro che non hanno voce.

A volte leggo la Bibbia con i lontani e mi capita di scoprire una loro ricerca fresca, non annacquata da tante prediche e spiegazioni.

Chiara Flamini– È necessario chiederci che eredità lascio, cosa è importante trasmettere, quali sono le cose su cui fondo la mia vita? A volte ciò che trasmetto è attraverso battaglie, faccio un esempio: nella mia scuola si sta creando uno spazio per formazioni che vengono dalle società private e mi chiedo possiamo lasciare questo spazio a chi ha creato e crea disastri ambientali per esempio in Italia in Basilicata e nel mondo nel delta del Niger (vedi l’Eni). Non ci si interroga nel lasciare spazio ad un progetto di un’azienda di questo tipo.

Michele Del Campo – Riusciamo a parlare solo ad alcuni tipi di persone perché non facciamo i conti con il linguaggio molto diverso da persona a persona, ad es. il senso che do alla parola sviluppo o fede, per alcuni fede vuol dire verità rivelate e definitive, per altri fede è capire come lo Spirito agisce nel mondo, come mobilita la vita. La Chiesa ha frenato gli interrogativi sulla modernità, sugli atteggiamenti evolutivi, se non accettiamo di ripensare radicalmente il nostro linguaggio, come faccio a spiegare che il battesimo ti rende partecipe di una comunità in cammino, come facciamo a spiegare che dalla morte, dalla morte in croce nasce la vita, nasce la resurrezione, come facciamo a spiegare ad un giovane il valore della confessione che è stata totalmente individualizzata se ho perso un rapporto comunitario, come facciamo a passare dalla croce alla misericordia, una misericordia che si può comprendere solo se si è stati amati, una fiducia che può crescere solo se c’è stato chi ha avuto fiducia in noi; dobbiamo trasmettere la fede in modo diverso da come ce l’hanno trasmessa, perché i giovani vivono in una realtà profondamente cambiata. Siamo troppo concentrati sulle organizzazioni delle varie realtà esistenti mentre dobbiamo scoprire come attivare la ricerca dell’altro, invece di aspettare che vengano organizzate dall’alto dobbiamo dar vita ad esempio a gruppi capaci di interrogarsi intorno alla Parola, perché è la Parola che suscita la vita. I processi di partecipazione dobbiamo produrli in ogni ambito della nostra vita, a volte non sappiamo dove porteranno ma il presumere di sapere in partenza quale sarà l’arrivo, paralizza il cammino; è camminando che si fa luce, che si scoprono ricchezze inaspettate ed è necessario il nostro impegno, cioè io mi do in-pegno, do in-pegno la mia esistenza per suscitare vita, per una vita comunitaria, mi do in-pegno per nuovi linguaggi, nuovi significati. Allora anche lo stesso Sinodo non è uno scambio di pareri, ma un andare al cuore della ricerca: “Ma voi chi dite che io sia? Cosa sono io per voi?” Nostro Signore forse non lo sapeva neanche lui: “sto facendo bene? Sto camminando nella direzione del Dio creatore o sto camminando secondo la logica del mondo?” Sono questi gli interrogativi che dobbiamo porci.

Noi abbiamo scoperto la grande ricchezza dei diritti ma vi si è inserito un tarlo capace di eliminare il tutto, siamo passati dai diritti comuni ai diritti individuali. Se cerco di utilizzare personalmente quei diritti (ad esempio alla salute) contro la dimensione pubblica, cade tutto. L’impegno a riportare i diritti dentro la logica collettiva, permette al singolo che non ce la fa più perché deve lavorare 12-14 ore, deve rinunciare alle cure, deve condividere la casa con altre famiglie… permette al singolo di ritrovarsi in un processo collettivo, a non sentirsi più solo.

Dobbiamo diventare una comunità capace di leggere correttamente gli eventi, costruiremo le nostre catechesi a partire dagli ultimi, solo così possiamo riaccendere la speranza. Non dobbiamo partire dalle analisi disperate, dobbiamo impegnarci a partire da ciò che genera speranza.

Gianfranco Buttarazzi – Nella nostra parrocchia ci sono molte attività e servizi, manca la comunicazione e il collegamento; non si conoscono le varie attività e non c’è alcun collegamento tra i vari servizi. Ci siamo seduti, occorre rilanciare la speranza.

Maurizio Firmani – Quando ho finito gli studi ho atteso 20 giorni prima di trovare lavoro. Oggi in Italia ci sono tre milioni di persone i neet, giovani che non studiano più e non hanno un lavoro che non hanno alcun diritto perché non lavorano, che ne è del loro futuro? Dobbiamo occuparci anche di loro.

Lorenzo D’Amico– Marco, un amico, raccontava una proposta nel mondo greco antico: quando nasceva un bambino veniva posto in un grande letto comune, poi quando la madre tornava a casa le veniva dato un bambino a caso; la madre si legava a quella creatura, si spendeva totalmente, però quando incontrava un altro bambino pensava: “potrebbe essere mio figlio” e aveva anche per lui una grande attenzione. La proposta fa parte della leggenda, ma il significato è chiaro: impegnarsi ad aver cura dell’altro al di là delle appartenenze ma sapendo cogliere i suoi bisogni e le sue ricchezze.

Gianfranco Solinas – C’è Ivan un mio figlio esperto agronomo e al tempo stesso da sempre molto attento ai fragili, che sta svolgendo corsi proprio per questi ragazzi i neet, per avvicinarli ai lavori della campagna con esperienze agrarie e informatiche… Siamo spaventati per un albero che cade ma perdiamo di vista la foresta che cresce. Dobbiamo essere capaci di vedere e valorizzare i semi di speranza e al tempo stesso dobbiamo essere capaci di vedere che la maggior parte della migrazione sarà sempre più motivata da tragedie climatiche, causate da vecchi e nuovi colonialismi e da inquinamenti di cui siamo responsabili. Ci stanno facendo credere che la causa delle nostre difficoltà deriva dai più poveri tra i poveri. Un compito importante dei genitori: insegnare a prendersi cura dei più fragili e di chi è in difficoltà… e ci accorgeremo che proprio i più fragili ci insegneranno a loro volta cose fondamentali. Sta a noi impegnarci di fronte a richieste specifiche, acquisire le competenze necessarie.

Chiara Flamini – Dopo la tragedia di Cutro sono entrata in una classe delle medie e ne abbiamo parlato, alla fine ho chiamato uno ad uno i ragazzi con genitori stranieri, gli ho chiesto di alzarsi e di mettersi da una parte, erano la metà… poi ho chiesto a tutti loro: “dobbiamo rimandarli al loro paese?” Si è creato un silenzio terribile. È passato del tempo e ho chiesto loro: “come vi siete sentiti?” Uno di loro, che era tra quelli rimasti seduti ha risposto: “Mi sono sentito solo.”

Micaela Soressi – Riferisco una frase che mi ha detto fra Marino sul tema dell’omosessualità prima di andar via: “non vi aspettate sempre il placet delle autorità, quando capisco che una cosa è davvero importante la faccio.” Mi accorgo che tante persone anche dentro la chiesa capiscono e si muovono, questo non vuol dire “faccio ciò che mi piace” ma è necessario muoverci anche individualmente per aprire sentieri nuovi.

Antonella Soressi – Ha detto papa Francesco: “Chi sono io per giudicare un omosessuale?”

Micaela Soressi – In fondo mai nella vita abbiamo un consenso di tutti sulle nostre azioni, anche su quelle che riteniamo le più importanti.

Mara Fabbri – Questo è un tema che divide praticamente non solo la Chiesa ma anche la società civile.

  1. Paolo Salvini – Intorno al tema lgbt che è stato ripreso due volte direi: quando si è incontrata la sofferenza di persone che sentono il peso del giudizio sulla loro vita, è bene ricordare che in vari paesi del mondo e anche in Italia ci sono diversi gruppi preziosissimi che si interrogano, che sono in ricerca, composti da cristiani lgbt, da genitori che fanno da ponte con la Chiesa perché sono genitori che si occupano della formazione di coppie, perché sono genitori di figli lgbt, che difendono i loro figli con una certa energia. C’è un movimento, che è una rete di vari gruppi, reso possibile dall’attuale pontificato, ma possibile anche grazie a coloro che di fronte alle polarizzazioni tendono invece a riaprire un dialogo, un ascolto vero delle varie posizioni senza aspettare una parola autorevole dalle gerarchie, questi gruppi si stanno interrogando, stanno maturando, quindi stanno lì senza aspettare permessi per fare ciò che è possibile e necessario fare.

 

Alle soglie di una nuova Riforma (Tomas Halík)

Alla 13a Assemblea generale della Federazione luterana mondiale (FLM), che si è tenuta a Cracovia (Polonia) dal 13 al 19 settembre sul tema «Un solo corpo, un solo Spirito, una sola speranza», il discorso d’apertura è stato tenuto da Tomas Halík.

Il filosofo e teologo ceco ha sottolineato che «è necessario comprendere e accettare più profondamente quella che è la missione e l’essenza della Chiesa: essere un segno efficace… dell’unità a cui tutta l’umanità è chiamata, essere uno strumento di riconciliazione e di guarigione delle ferite del nostro mondo comune. Se aspiriamo all’unità non è per rendere il cristianesimo più potente e influente in questo mondo, ma più credibile: “Perché il mondo creda”». (da Il Regno n. 17 2023 Alle soglie di una nuova riforma)

 

Sorelle e fratelli! Il cristianesimo si trova sulla soglia di una nuova «Riforma». Non sarà la prima, né la seconda, né l’ultima. La Chiesa è, secondo le parole di sant’Agostino, sempre in riforma, «semper reformanda». (…)

Da Martin Lutero (…) imparare a cogliere come la potenza di Dio si manifesta nelle nostre crisi e debolezze. (…)

 

Un solo corpo, un solo Spirito, una sola speranza

Due Riforme parallele nel XVI secolo, quella luterana e quella cattolica, hanno arricchito, rinnovato e approfondito il cristianesimo, ma lo hanno anche diviso. (…)

L’impegno oggi è di riunire l’intera famiglia umana e di assumere una responsabilità comune per il suo ambiente, l’intera creazione.

(…) Dobbiamo chiederci non solo che cosa «lo Spirito dice alle Chiese oggi», ma anche come «lo Spirito, che soffia dove vuole», opera al di là delle Chiese. (…)La missione e l’essenza della Chiesa: (…) essere uno strumento di riconciliazione e di guarigione delle ferite del nostro mondo comune. (…)

San Paolo chiama i cristiani non all’uniformità, ma al rispetto reciproco e all’armonia tra le varie parti del corpo, insostituibili proprio per la loro diversità e unicità. È questa unità dei cristiani, l’unità nella diversità, che deve essere l’inizio, la fonte e l’esempio della convivenza all’interno dell’intera famiglia umana, uno stile di condivisione, di compatibilità reciproca dei nostri doni, esperienze e prospettive.

La prima Riforma nacque dal coraggio di san Paolo di condurre il giovane cristianesimo fuori dagli angusti confini di una delle sette ebraiche e nell’ecumene più ampia del mondo di allora. Lo presentò come un’offerta universale, che trascendeva i confini religiosi, culturali, sociali e di genere: non importa più se uno è ebreo o gentile, uomo o donna, libero o schiavo, siamo tutti nuove creature in Cristo.

L’auto-trascendenza del cristianesimo

(…) Contribuiremo con la nostra testimonianza a trasformare questo mondo in una «civitas oecumenica», o invece saremo complici, con la nostra indifferenza e il nostro egocentrismo, del tragico scontro di civiltà? (…) Quella del mondo e della Chiesa è (…) una lotta costante tra la grazia e il peccato, la fede e l’incredulità, combattuta in ogni cuore umano.

(…) Una fede senza domande critiche può portare al fondamentalismo, al bigottismo e al fanatismo. Un dubbio incapace di dubitare di sé stesso può portare al cinismo. La fede e il pensiero critico hanno bisogno l’uno dell’altro.

Occorre resistere alla tentazione delle risposte troppo semplici offerte dalle pericolose ideologie contemporanee. Al concilio Vaticano II la Chiesa cattolica si è impegnata a ricercare l’unità fra i cristiani, a dialogare con i credenti di altre religioni e con le persone prive di fede religiosa e a essere solidale con tutti gli uomini, specialmente i poveri e i bisognosi. (…)

Feuerbach, Marx e Freud ci hanno detto che molte delle nostre idee su Dio erano solo proiezioni delle nostre paure e desideri e delle nostre condizioni sociali.

Il vero Cristo è quello ferito

Le persone al tempo di Martin Lutero erano attanagliate dalla paura per la salvezza delle loro anime. (…)

I populisti, i nazionalisti e i fondamentalisti religiosi sfruttano questa paura per il loro potere e i loro interessi economici. La sfruttano nello stesso modo in cui veniva sfruttata la paura per la salvezza della propria anima quando si vendevano le indulgenze. Offrono come sostituto dell’«anima» vari tipi di identità collettiva sotto forma di nazionalismo e settarismo politico o religioso. Inoltre abusano dei simboli e della retorica cristiana; fanno del cristianesimo un’ideologia politica identitaria. (…)

Attraverso le crisi globali che si accumulano nel nostro mondo – il cambiamento climatico, la distruzione dell’ambiente, le pandemie contagiose, la crescita della povertà, della guerra e del terrorismo – partecipiamo alla «passio continua», il continuo mistero della croce. «Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia» (Rm 5,20), scrive san Paolo. (…) La fede nella risurrezione non è una grazia a buon mercato.

(…) La fede nella risurrezione include l’avventura di cercare il Cristo nascosto e trasfigurato. Conosciamo il vero Cristo, la vera Chiesa e la vera fede dall’essere feriti. Un Cristo ferito, una Chiesa ferita e una fede ferita portano nel mondo il dono dello Spirito, della pace e del perdono.

Il segno delle chiese vuote

Jorge Maria Bergoglio, in un’omelia prima della sua elezione a vescovo di Roma, ha citato le parole dell’Apocalisse: Gesù sta alla porta e bussa. E ha aggiunto: oggi Gesù bussa dall’altra parte, dall’interno della Chiesa, vuole uscire, e noi dobbiamo seguirlo.

Vuole andare prima di tutto da tutti gli emarginati, da coloro che sono ai margini della società e della Chiesa, dai poveri, dagli sfruttati, va dove la gente soffre. La Chiesa deve essere un ospedale da campo dove le ferite – fisiche, sociali, psicologiche e spirituali – vengono medicate e curate.

Nel bel mezzo della pandemia e della chiusura, ho scritto un libro, Il segno delle chiese vuote (Vita e Pensiero, Milano 2020; ndr). Ho visto questa esperienza come un monito dei tempi: se il cristianesimo non subirà una trasformazione radicale, le chiese, i monasteri e i seminari chiusi e vuoti continueranno a moltiplicarsi.

(…) Il numero di coloro che rispondono di non riconoscersi  in nessuna religione (nones), sta crescendo rapidamente.

(…) Tra i «nessuna religione» ci sono molti che sono rimasti delusi, spesso scandalizzati, dallo stato delle loro Chiese. Tra questi c’è chi ha cercato nelle Chiese una risposta alle proprie gravi domande esistenziali, ma ha sentito solo frasi religiose stereotipate. Ci sono gli «apatheist», gli apatici religiosi, che sono indifferenti alla fede perché non hanno mai incontrato un cristianesimo che parla in un linguaggio che possano capire e credere. Tra loro ci sono quelli che sono stati educati alla fede nell’infanzia, ma quando sono cresciuti oltre la forma infantile della fede nessuno ha offerto loro una fede matura per persone adulte. Quando Gesù ci dà come esempio i bambini, non ci chiama a una religiosità infantile, ma piuttosto a essere aperti, spontanei, desiderosi, diretti e anche capaci di crescere e imparare come loro.

(…) In base alla nostra esperienza passata, dobbiamo ricordare che il numero di battesimi e di chiese piene è ben lungi dall’essere un criterio affidabile e l’unico segno necessario per garantire la continua vitalità della Chiesa. (…)

Dov’è il Cristo vivo?

Ma torniamo alla storia della Pasqua. Coloro che si avvicinano alla «tomba vuota» non devono cadere nella tristezza e nella confusione. Non dobbiamo lamentarci del cristianesimo morto del passato. Non dobbiamo essere sordi alla voce che ci chiede: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto!» (Lc 24,5-6), «Ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete» (Mt 28,7).

Il compito dei discepoli di Gesù, a partire dal mattino di pasqua, è quello di cercare il Cristo vivo, ma spesso irriconoscibilmente cambiato, di cercare la «Galilea» dove possiamo incontrarlo oggi. Questa Galilea di oggi non è forse proprio il mondo dei «nessuna religione», delle persone che vivono al di fuori dei confini della religione? Non è forse soprattutto a loro che deve essere rivolta la nostra missione?

Nella Chiesa troviamo molte «valli di ossa secche» a cui deve essere annunciata la parola del Signore.

(…) Sarebbe un equivoco considerare coloro che «non camminano con noi» come atei o non credenti. (…) questo non significa necessariamente che siano chiusi al mistero che designiamo con la parola Dio.

(…) Non possiamo avvicinarci agli altri come arroganti possessori della verità. Solo Gesù può dire: io sono la verità. Noi non siamo Gesù; siamo discepoli imperfetti di Gesù, in un cammino di discepolato in cui lo Spirito ci porta gradualmente alla pienezza della verità.

(…) Questa consapevolezza dei limiti delle nostre prospettive individuali e di gruppo dovrebbe portarci all’umiltà e al riconoscimento che per espandere questi limiti abbiamo bisogno di ricettività e rispetto per l’esperienza degli altri.

L’obiettivo della missione non è quello di reclutare nuovi affiliati per comprimerli nei confini mentali e istituzionali esistenti delle nostre Chiese, ma di andare oltre quei confini e insieme a loro, nel rispetto reciproco e nel dialogo arricchente, fare il passo successivo

nel viaggio verso un Cristo che è più grande delle nostre idee su di lui.

Se la Chiesa scende in guerra

(…) Qui c’è un ruolo importante per la Chiesa; i cristiani dovrebbero essere esperti nel processo di riconciliazione. (…)Il processo di riconciliazione è spesso difficile: la colpa deve essere nominata e confessata, dev’essere intrapreso un percorso di pentimento, di guarigione.

(…) Amare il nemico significa, nel caso di un aggressore, impedirgli di fare il male, come insegna papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti; in altre parole, togliergli di mano l’arma del delitto.

(…) Dove la Chiesa entra in «unione civile» con il potere politico, soprattutto con i partiti nazionalisti e populisti, paga sempre un prezzo pesante. Quando si lascia corrompere da un regime politico perde innanzitutto i suoi giovani e i suoi fedeli educati al pensiero critico; la nostalgia per il passato, per il matrimonio tra Chiesa e stato, priva la Chiesa del suo futuro.

(…) Al tempo del comunismo la Chiesa aveva bisogno soprattutto della virtù della fortezza per difendersi. Oggi ha bisogno soprattutto della virtù della saggezza, l’arte del discernimento spirituale.

Per l’unità della famiglia umana

(…) Il vescovo di Roma chiama a lottare per l’unità dell’intera famiglia umana, di cui scrive nell’enciclica Fratelli tutti.

(…) Forse anche papa Francesco e l’intera Chiesa cattolica si stanno rendendo conto solo gradualmente che il rinnovamento sinodale è un processo che non riguarda esclusivamente la Chiesa cattolica.

Si tratta di molto più che la trasformazione della mentalità clericale e delle rigide istituzioni della Chiesa cattolica, squassate da scandali e lotte intestine, in una rete dinamica di comunicazione reciproca. La sinodalità (syn hodos, via comune) richiede solidarietà, cooperazione, compatibilità e comunione ecumenica nel senso più ampio e profondo del termine. È più dell’unità fra i cristiani o dell’approfondimento del dialogo interreligioso.

 

La prima luce del giorno

Il processo di globalizzazione e integrazione del mondo è in grave crisi nel nostro tempo. I suoi tanti lati oscuri sono stati rivelati: l’aumento della disuguaglianza economica, la globalizzazione del terrorismo, le malattie contagiose, le ideologie infettive dell’etno-nazionalismo, del populismo e delle teorie della cospirazione. Ma i grandi problemi dell’umanità non possono essere risolti solo a livello nazionale. (…)

Non è solo con tutti i cristiani, ma con tutti gli esseri umani e tutte le forme di vita sulla terra, che formiamo un unico corpo. (…)

Per concludere vorrei citare una storia ebraica chassidica. Il rabbino Pinchas pose ai suoi allievi una domanda apparentemente semplice su quando finisce la notte e inizia il giorno. «È quando c’è abbastanza luce per distinguere un cane da una pecora», suggerì uno di loro. «È quando possiamo distinguere un gelso da un fico», argomentò un altro. «È nel momento esatto», rispose rabbi Pinchas, «in cui possiamo riconoscere nel volto di qualsiasi essere umano il nostro fratello. Finché non riusciamo a farlo, è ancora notte». (…)

L’obiettivo della «nuova Riforma» è trasformare e unire il cristianesimo nella lotta per l’unità della famiglia umana.

È un obiettivo escatologico, ma nel nostro tempo abbiamo un passo importante da compiere qui e ora. Consiste nel riconoscere e nel prendere atto – con tutte le sue implicazioni – che tutte le persone sono nostri fratelli, che hanno uguale diritto al riconoscimento della loro dignità, alla nostra accettazione nel rispetto, nell’amore e nella solidarietà. Persone, nazioni, culture e Chiese sono alla ricerca della loro identità e di una nuova speranza in un mondo distrutto.

(…) Siamo testimoni di una fede che risveglia continuamente la speranza attraverso l’amore. (…)

Che la vostra Assemblea possa essere un segno convincente della speranza che la notte sta passando e che il giorno si avvicina.

 

 

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