Lettera 37 (Seconda Serie)

Carissimi amici e amiche,

In questa lettera presentiamo la trascrizione dell’incontro che si è tenuto a S. Romano (Pietralata, Roma) il 25 luglio con Padre Ghislain Lafont.

Come ricorderete il tema era l’Enciclica “Laudato sì”. Sia la relazione di Padre Ghislain che il dibattito che ne è seguito è stato secondo noi di grandissimo interesse.

Come al solito chiediamo ai nostri amici, per quello che è loro possibile, di partecipare a questa collettiva costruzione di riflessione e di prassi e di comunicare attraverso questo strumento i loro pensieri e le loro esperienze.

 

Comunichiamo che, su richiesta, è disponibile la riedizione dell’Antologia degli articoli più significativi apparsi sulla lettera de’ LA TENDA nella sua prima serie tra il 1969 e il 1986 che publicammo con le Edizioni Dehoniane nel 2006 col titolo “Roma come chiesa locale: un’esperienza di dialogo”

(qui sopra la copertina in ultima pagina una breve presentazione)

Sommario della 37° lettera:

  1. Introduzione e presentazione di Lorenzo D’Amico
  2. Relazione sull’Enciclica “Laudato sì” di Ghislain Lafont
  3. Dibattito, domande e risposte
    1. Introduzione e presentazione di Lorenzo D’Amico

Introduzione E Presentazione

Ringraziamo don Marco e la comunità di San Romano per l’ospitalità. Ringraziamo tantissimo Ghislain per questo viaggio a Roma: viene per salutare gli amici.

Volevo solo dire qualche parola sul gruppo de La Tenda. Stamattina, del gruppo iniziale, ci sono Gianfranco e Maria Solinas, che sono stati i primi segretari di questo ciclostilato fatto a mano, le mani sempre sporche di inchiostro. Hanno iniziato nel ’69 e fino all’ ’86 hanno pubblicato 151 numeri. Erano gli anni dopo il Concilio e a ridosso del ’68, fermento di cultura, di pensiero, di speranza, di rivoluzioni. Un gruppo di laici, provenienti soprattutto da Monteverde (quartiere di Roma), si incontrava attorno a Nicolino Barra per riflettere e per aiutare la comunione e la comunicazione all’interno della Chiesa e della società civile. Nel 2000, Nicola, dopo essere stato i primi anni al Borghetto Prenestino e poi come parroco ad Ostia, è salito al cielo, dopo 40 mesi di malattia portata con grande dignità: diverse operazioni, diverse chemio… Dopo la sua morte ci siamo ritrovati, insieme a Vincenzo Apicella, allora vescovo ausiliare di Roma, a Tommaso Federici, “il prof.”, professore di liturgia, di patristica e di Bibbia, Francesco Cagnetti ed altri amici, a stampare un primo libretto, “Nicolino Barra, prete e operaio a Roma”, che era una raccolta di varie testimonianze di amici scritte dopo la sua “partenza”. Nel 2004, il gruppo di Ostia a cui si erano aggregate persone del Borghetto Prenestino, trasferitesi a Torre Angela e di Monteverde, ha pubblicato “Vita di una comunità locale. Esperienze di evangelizzazione”. Nel 2005, dopo una lunga fatica, abbiamo realizzato l’antologia del ciclostilato “La Tenda”[1], raccolta di alcuni articoli pubblicati, ordinati secondo varie tematiche: il ruolo del prete, quello del vescovo, il vescovo di Roma, il diaconato, l’abate Franzoni, la situazione della povertà, del disagio, le classi differenziali… Ci siamo accorti che molti degli scritti di quell’epoca rimangono molto attuali.

Ghislain Lafont in questi anni ci ha molto seguito, ci ha aiutato più volte. Io ho conosciuto Ghislain all’Università di S. Anselmo dove insegnava. La sua vita è stata caratterizzata dal trascorrere una parte dell’anno a La Pierre-qui-vire, il suo monastero in Francia, e l’altra parte in giro per il mondo: in Africa, Asia, le due Americhe, in Europa… in Italia. A Roma ha insegnato per molti anni alla Gregoriana ed a S. Anselmo ed ha scritto molti libri. Quello che ha caratterizzato sempre l’insegnamento di Ghislain è stata una grande sapienza unita ad una grande umiltà. Nel corso degli anni non ho avuto mai imbarazzo nel parlare con lui, non ho avuto mai di fronte un uomo che facesse pesare la sua cultura e la sua sapienza. Per me è stato fondamentale il suo modo di ascoltare: all’inizio ti lascia parlare a lungo, senza interrompere mai, poi, quando hai finito sintetizza ciò che ha ascoltato chiedendoti se ha capito bene, infine chiede se c’è ancora qualcosa che vuoi aggiungere e solo alla fine dice una parola. Questa cosa qui, nel corso di tanti anni, è stata per me molto ricca.

Ghislain ha seguito il gruppo de La Tenda durante questi anni. Dopo aver scritto la prefazione all’antologia, lo abbiamo avuto come relatore ai nostri convegni:

  • “I poveri e la Chiesa” (Lercaro e il Concilio Vaticano II) 2007
  • “La Chiesa dell’amore” 2010
  • “La riscoperta della Bibbia nel mondo cattolico” 2013
  • L’enciclica “Laudato si’ ” 2015

Quando qualche mese fa chiedemmo a Ghislain di venire a parlare, gli demmo un tema generico: “La Chiesa: quale futuro?”. E lui, proprio in questo lasciarsi cambiare dalla vita, ci ha proposto di riflettere proprio su “Laudato sì “.

Il gruppo de La Tenda non è una comunità, è un gruppo di persone che provengono da varie parrocchie. Un gruppo di persone molto diverse tra loro, che vivono tale diversità come una ricchezza. Abbiamo cercato nel corso dei vari incontri di trovare un equilibrio tra testimonianza e riflessione. Sempre più spesso si sente parlare dell’importanza dei testimoni… sono d’accordo, ma una testimonianza senza una riflessione su quello che si vive ha le gambe corte.

Concludo dicendo che Ghislain mi ha parlato molto, negli ultimi anni, di un libro che ha scritto su scienza e fede, “Cosa possiamo sperare?” e mi spiegava la gravità sia per la scienza che per la fede della separazione tra esse. Ghislain ha lavorato molto su questa necessità di ricostruire questa collaborazione che ritroviamo in “Laudato sì”.

 

Relazione Sull’Enciclica “Laudato Sì” Di Ghislain Lafont

 

All’età di 87 anni, guardandomi indietro, mi accorgo di aver ricevuto tante grazie. Una di queste è stato l’incontro con voi, con Lorenzo. Sinceramente l’incontro con l’Italia in generale e con voi in particolare, con don Nicola, che ho avuto il privilegio di conoscere, è stato davvero un dono di Dio. Sono quindi contento di essere venuto oggi, forse per l’ultima volta, chissà…

L’incontro avrà al centro l’enciclica “Laudato sì “. Articolerò il mio intervento in quattro punti:

  1. chi parla: papa Francesco;
  2. l’oggetto dell’enciclica;
  3. quale rimedio è possibile alla situazione illustrata;
  4. elementi, principi con i quali possiamo rispondere a questa enciclica.
  5. Chi parla è papa Francesco. Chi è papa Francesco? All’inizio del suo pontificato e anche in seguito Francesco ha detto di sé: “Sono un peccatore”. Bisogna prendere questo sul serio, perché tutti siamo peccatori… Siamo in una situazione umile. Non siamo tutto peccato, ma non siamo delle persone giuste, fedeli: siamo sempre in cammino, bisognosi di pazienza e di misericordia. Ma siamo peccatori perdonati. Il papa è un uomo come gli altri: il fatto di essere peccatori ci accomuna.

Francesco è un uomo con una sua storia. Viene da una famiglia di migranti del Piemonte. E’ cresciuto in Argentina, è diventato gesuita e ha fatto quello che ha potuto nella situazione difficile del suo paese. Lui stesso dice: “Ho fatto quello che ho potuto, forse anche un po’ di meno…”. In questi anni difficili, ha capito un po’ il prezzo della povertà, si è lasciato toccare dal mistero della povertà. Ha sentito profondamente il funzionamento cattivo della società, che lentamente ma progressivamente va forse verso una catastrofe della nostra “casa comune”. A suo modo ha conosciuto altri profeti dell’America Latina, come Helder Camara o Oscar Romero o Gustavo Gutierrez e ha fatto il suo cammino personale. Di questo cammino siamo parte anche noi con lui.

Francesco è anche il vescovo di Roma, primate della Chiesa cattolica, di cui ha la responsabilità mondiale. Si situa come una persona ordinaria e si rivolge a tutte le persone, che sono persone ordinarie. Madeleine Delbrêl, che ha vissuto nelle borgate comuniste di Parigi ed è morta nel 1964, diceva che la gente ordinaria è il cuore del mondo. Il papa si è rivolto alla gente ordinaria e scrive una lettera a tutti. Si inserisce in una tradizione, quella cattolica romana: all’inizio dell’enciclica fa riferimento ai suoi predecessori. Immediatamente dopo fa riferimento a tutti gli scienziati di tutti i campi: non vuole dare delle soluzioni del magistero, ha ascoltato anche queste persone. Conosco un astronomo, che frequenta il nostro monastero e che fa parte dell’Accademia delle Scienze di Francia e di Roma, in Vaticano, egli ci ha mostrato dei testi elaborati in queste accademie da persone che non sono sempre cattoliche e che hanno studiato soprattutto il problema del clima. Il papa fa riferimento a queste ricerche e non si pone come uno che ha in mano la verità: condivide la ricerca degli altri. Inoltre Francesco cita almeno 18 conferenze episcopali: quella portoghese, tedesca… Questo valorizza la parola dei vescovi, responsabili delle chiese. In più cita altri autori non sempre cattolici, non ecclesiastici come Dante, un teologo come Guardini (che, nonostante il nome italiano, è tedesco), Paul Ricœur, che è protestante, un sufi musulmano, un sociologo del suo paese che ha lavorato sul tema della povertà… Noi, per esempio, avremmo citato altre persone. Così il papa ci manda un testo personale, con una data precisa: è umano e in questo senso diventa autorevole. Una persona che ha autorità dice tutto; una persona autorevole dice, ma senza imporre niente. La sua è una lettera autorevole che parla a tutti e a ciascuno. Francesco insiste dicendo che non parla solo ai cattolici, ma a tutti.

L’enciclica ha provocato incontri diversi. A Parigi si è svolto, per esempio, un incontro di persone di alto rilievo sull’aspetto morale del problema del clima. Ha partecipato, per esempio, il patriarca Bartolomeo e il presidente Hollande, che non è certo un buon cattolico, ha introdotto l’incontro.

Leggendo questa lettera, dobbiamo prima di tutto verificare la nostra identità: prima di leggere con la mente o anche con simpatia, bisogna che ci rendiamo conto che anche noi siamo peccatori, che siamo inseriti in un contesto in modo particolare, siamo collegati con altre persone, abbiamo le nostre letture, la nostra cultura. E’ necessario ritrovare la propria qualità di persona, di peccatore perdonato, di persona che cerca il bene. A partire da questo mi lascio toccare profondamente dal contenuto dell’enciclica. Se invece la leggo come un documento scritto da un’autorità, rimango in superficie. Se prendo questa lettera come rivolta a me, può iniziare un certo processo di conversione o almeno di disposizione a cambiare qualcosa se possibile.

  1. L’oggetto della lettera è la “casa comune” che è pericolante. Non so se vi ricordate a Roma la scritta “pericolante” su una casa: questo può dare un’immagine del nostro pianeta. Il pericolo è al livello mondiale: l’acqua inquinata, l’aria inquinata, la terra a cui chiediamo di produrre troppo e che diventa arida, il riscaldamento globale. Ci sono elementi essenziali che vengono a mancare: l’aria, l’acqua, il fuoco e la terra. Le cose essenziali iniziano a mancare. C’è un esaurimento delle risorse naturali. Se veramente continuiamo a distruggere gli elementi, la casa comune non ci sarà più. Nel capitolo primo di Isaia, c’è una descrizione del popolo di Israele che può valere per la nostra “casa comune”: “Tutta la testa è malata, tutto il cuore langue. Dalla pianta dei piedi alla testa non c’è nulla di sano, ma ferite e lividure e piaghe aperte, che non sono state ripulite né fasciate né curate con olio” (Is 1, 5b-6).

Sembra che il pericolo della “casa comune” non si possa attribuire alla colpa umana, non ci sono responsabili: è una colpa generale. Così l’individuo non si sente coinvolto. Giovanni Paolo II parlava di strutture di peccato: non è il peccato che posso confessare, ma strutture di peccato. Noi che cosa possiamo fare? E’ interessante il discorso del papa in Bolivia ai movimenti popolari in cui insiste sulle tre t: Tierra, Techo y Trabajo (Terra, Casa e Lavoro). Per i popoli dell’America Latina la terra è molto importante. La casa è un problema generale così come la disoccupazione. Dunque il sistema minaccia tutti e coinvolge tutto. Dopo la lettura della lettera ci si chiede, mi chiedo: “Che possiamo fare?”. Ci si può scoraggiare.

  1. Il papa parla della globalizzazione della speranza. Ma come possiamo avere una speranza? Da dove può venire una speranza? Ieri ero in aeroporto, dove c’è tutto il lusso del mondo. Un mondo superficiale. Tutti avevano un i-Phone ed è possibile collegarsi con tutto il mondo. Ma questa capacità tecnica non provoca la guarigione del mondo. Dov’è allora la speranza? Riflettendo, ho trovato tre elementi di speranza. Il primo, che mi sembra molto, molto importante, è il principio della piccolezza. La sapienza popolare l’ha capito da molti anni. Da bambino conoscevo una favola che parlava di una forte quercia e una canna, debole. Arriva una violenta tempesta, con molto vento. La quercia viene sradicata e muore, mentre la canna resiste. La canna dice: “Mi piego, ma non mi spezzo”: l’umile può sopravvivere. La gente sa che le cose piccole sono più forti. La civiltà progredisce attraverso i piccoli. Per esempio i dinosauri, terribili, fortissimi, sono scomparsi a causa di una pioggia di meteoriti. I piccoli, per esempio i mammiferi, non sono stati distrutti e l’evoluzione ha potuto andare avanti. C’è una teoria sulla civiltà che dice che, quando un sistema è ben fatto, è chiuso. La nostra civiltà attuale è molto chiusa, l’Europa diventa sempre di più una prigione. Ci sono regole e regolamenti che intrappolano: non si può fare questo, non si può fare quello… Quando ero bambino e andavo in bicicletta non avevo bisogno del casco. Ora vedo i miei pro-pronipoti di cinque anni che devono mettere il casco, perché se accadesse un incidente, l’assicurazione non pagherebbe nel caso non lo indossassero. Non sono sicuro che questi regolamenti siano immuni da ragioni economiche. Ci sono sempre di più dei regolamenti che ingabbiano. Per esempio io mi occupo del bucato in monastero e, poiché non riusciamo a fare tutto noi, abbiamo chiesto aiuto ad un’impresa. Abbiamo cominciato tre settimane fa. Quando è arrivato il bucato, non era tutto pulito. Abbiamo chiesto spiegazioni e ci hanno risposto che per legge non si può più usare varechina. Adesso si deve accettare che il bucato non sia pulito per dei regolamenti che vogliono assicurare tutto, ma che non assicurano niente alla fine. Il sistema è molto forte. Che cosa possiamo fare? La rivoluzione francese è venuta dal basso: la nobiltà e il clero non avrebbero mai immaginato che ci sarebbe potuta essere, che i piccoli potessero fare qualcosa di importante. Il cambiamento è venuto dai piccoli e non dai ricchi. Per esso sono necessarie delle fessure nelle quali il nuovo può introdursi. Le fessure sono aperte dai poveri, che ad un certo punto non possono più vivere in un certo sistema e cercano alternative. Se rileggiamo la storia ci rendiamo conto che sono dei movimenti piccoli che hanno provocato un rovesciamento.

Il principio di piccolezza è legato alla creazione divina e al cammino dell’evoluzione che non è una progressione, ma funziona attraverso “rotture instauratrici”, così come le ha denominate un gesuita, Michel de Certeau. Questo vale anche per l’America Latina. Ho letto un libro su Pio XII, una persona che credo abbia veramente cercato il bene. Quando lui era nunzio apostolico in Germania, in una delle sue relazioni inviata alla Santa Sede diceva che il socialismo è pericoloso per le anime. Mi sono chiesto perché… Poi ho capito. A quell’epoca l’inferno era considerato una minaccia pericolosissima e, se il clero, è perseguitato chi darà i sacramenti? E senza l’assoluzione dei peccati si va all’inferno. L’ultima parola del Codice di Diritto Canonico del 1917 era: “salus animarum principium legis”. La salvezza delle anime è il principio delle leggi. L’inferno era una minaccia per tutti. Anche io avevo paura dell’inferno. All’epoca si credeva che se un uomo per nove primi venerdì del mese si confessava e si comunicava andava in paradiso. Così con mio fratello ci siamo detti: “Facciamolo!”. Non era facile per nove mesi consecutivi, ma ci siamo riusciti: io e mio fratello non andremo all’inferno! Dunque bisogna ricollocare tutto nel periodo storico. Per Pio XII il Diritto Canonico era in funzione della salvezza delle anime.

Torniamo al principio della piccolezza. Tutti noi vogliamo sempre di più, vogliamo essere più grandi… ma la storia funziona con il “sempre meno”. Se questo principio di piccolezza funziona anche nella la natura, è il principio scelto da Dio per la comunicazione di sé, per la nostra salvezza. Quando pensiamo un po’ alla storia universale, a tutti i paesi, alla diversità delle persone, ci rendiamo conto che Dio ha scelto alcune piccole tribù in un piccolissimo territorio. Una storia difficile… Dio ha scelto questo. Prendiamo il Burundi in Africa, un piccolissimo stato come Israele: è come se adesso Dio scegliesse il Burundi. Chi è il Figlio di Dio? Un ragazzo di un paesino, di una borgata in un paese occupato dai Romani, senza futuro. Questo ragazzo vive per 30 anni a Nazareth e lavora come falegname. Il Figlio di Dio un falegname. Dunque 30 anni di lavoro manuale, due anni e mezzo di predicazione che è stata meravigliosa all’inizio, poi man mano fallimentare e infine è morto crocifisso. La resurrezione è stata molto discreta: nessuno lo ha visto risorgere. La testimonianza era di 4-5 donne e 11 discepoli. Chi li conosceva? Impressionante. Il principio di piccolezza naturale e soprannaturale.

Come possiamo capire questo? Come credere a questo Dio e a questa salvezza? Noi piccoli…

Dopo la risurrezione Gesù ha mandato il suo Spirito: questa è una cosa essenziale. Ma lo Spirito non si vede. E’ stato dato a tutti gli uomini: Cristo lo ha mandato perché fosse comunicato a tutti.

A partire da questo possiamo arrivare a due conclusioni. La prima è che il mondo è salvato. Se Cristo, questo piccolo Gesù, che ha fatto piccole cose, è risorto, ha mandato lo Spirito, la salvezza è compiuta. Contrariamente a quanto si pensava nel passato, non è compiuta solo per un piccolo popolo scelto, ma per tutti. Dunque la valida speranza è che tutto è stato salvato in Cristo e lo Spirito spingerà, secondo questo principio di piccolezza, le forze necessarie perché le cose possano andare avanti. E sappiamo che la fine, nell’escatologia, ci sarà quando tutti saranno salvati, il mondo, questa “casa pericolante”, sarà salvato. Se lo Spirito è stato veramente mandato da Cristo il bilancio è positivo, è verso la salvezza. Solo che non si vede. Ero nell’aeroporto, che è un posto in cui si può pensare, aspettando l’aereo, e si può osservare la gente, che circolava con le valigie, moltissimi con il telefonino, l’iPhone. Mi dicevo che almeno il 51% ha la grazia. Ciascuno di noi fa parte del 51% e del 49%. Anche adesso la salvezza è acquistata, ma in modo piccolo. La Bibbia è un libro “piccolo”, Dante è un grande… Ma la nostra vita cristiana, leggendo questo piccolo libro, si interroga. E nell’eucaristia insieme possiamo celebrare Cristo, il suo sacrificio che è il nostro e la sua gloria che è la nostra. E tutto questo, passo dopo passo, crea la società “perfetta”, l’edificio comune non pericolante.

Il principio di piccolezza diventa principio di speranza. La speranza cristiana è fondata su questo principio di piccolezza e di trasfigurazione.

 

  1. Veniamo al quarto punto: come rispondere alla lettera del papa. Mi pare che nella sua enciclica il papa ci insegni come fare. Mi riferisco al suo discorso in Bolivia, in cui parla della globalizzazione della speranza: “Cosa posso fare io, raccoglitore di cartoni, frugatrice tra le cose, raccattatore, riciclatrice, di fronte a problemi così grandi, se appena guadagno quel tanto per mangiare? Cosa posso fare io artigiano, venditore ambulante, trasportatore, lavoratore escluso se non ho nemmeno i diritti dei lavoratori? Cosa posso fare io, contadina, indigeno, pescatore che appena appena posso resistere all’asservimento delle grandi imprese? Che cosa posso fare io dalla mia borgata, dalla mia baracca, dal mio quartiere, dalla mia fattoria quando sono quotidianamente discriminato ed emarginato? Che cosa può fare questo studente, questo giovane, questo militante, questo missionario che calca quartieri e luoghi con un cuore pieno di sogni, ma quasi nessuna soluzione ai miei problemi?”. Dà un buon quadro della situazione. Io aggiungerei, pensando ad un mio nipote: “Che cosa posso fare io che sono segretario generale di una multinazionale?”. Non è facile… Concretamente: cosa posso fare? Si inizierà una strada, quando capirà che non può fare quasi niente. Il papa continua: “Molto!”. Parla sì il successore di Pietro, ma un uomo. “Voi, i più umili, gli sfruttati, i poveri e gli esclusi, potete fare e fate molto. Oserei dire che il futuro dell’umanità è in gran parte nelle vostre mani, nella vostra capacità di organizzare e promuovere alternative creative nella ricerca quotidiana delle “tre T” (lavoro, casa, terra) e anche nella vostra partecipazione attiva ai grandi processi di cambiamento, nazionali, regionali e globali. Non sminuitevi!”. “Fate molto“: cioè funziona!

Prendiamo il paragrafo 112 dell’enciclica: “È possibile, tuttavia, allargare nuovamente lo sguardo e la libertà umana è capace di limitare la tecnica, di orientarla e di metterla al servizio di un altro tipo di progresso, più sano, più umano, più sociale e più integrale. La liberazione dal paradigma tecnocratico imperante avviene di fatto in alcune occasioni. Per esempio, quando comunità di piccoli produttori optano per sistemi di produzione meno inquinanti, sostenendo un modello di vita, di felicità e di convivialità non consumistico. O quando la tecnica si orienta prioritariamente a risolvere i problemi concreti degli altri, con l’impegno di aiutarli a vivere con più dignità e meno sofferenze. E ancora quando la ricerca creatrice del bello e la sua contemplazione riescono a superare il potere oggettivante in una sorta di salvezza che si realizza nel bello e nella persona che lo contempla”. Anche questo è importante, trovare il tempo per il bello. Quando c’è, anche negli ambienti poveri, il bello, allora è possibile vivere. Bisogna non solo risolvere i problemi, ma favorire la bellezza. “L’autentica umanità, che invita a una nuova sintesi, sembra abitare in mezzo alla civiltà tecnologica, quasi impercettibilmente, come la nebbia che filtra sotto una porta chiusa”. La conversione dello sguardo… Parlavo a colazione dell’aeroporto, che per me è un luogo simbolico, Lorenzo mi faceva notare le piccole cose belle che avvengono anche in un aeroporto: la gente che fa attenzione, chi cede il posto a qualcuno…Cose che non si vedono, impercettibili… La civiltà nuova che filtra… La speranza è sempre alla porta per tutti noi. Bisogna saper cogliere “la nebbia che filtra attraverso una porta chiusa”. Ancora: “Sarà una promessa permanente, nonostante tutto, che sboccia come un’ostinata resistenza di ciò che è autentico?”. Non sono parole magisteriali: è una convinzione che Francesco vuole condividere con noi e quindi ci tocca personalmente. La speranza che la piccolezza del Regno funziona sempre.

Il secondo principio che il papa mette in rilievo è quello associativo. Prendiamo il paragrafo 149: “È provato inoltre che l’estrema penuria che si vive in alcuni ambienti privi di armonia, ampiezza e possibilità d’integrazione, facilita il sorgere di comportamenti disumani e la manipolazione delle persone da parte di organizzazioni criminali. […] Tuttavia mi preme ribadire che l’amore è più forte. Tante persone, in queste condizioni, sono capaci di tessere legami di appartenenza e di convivenza che trasformano l’affollamento in un’esperienza comunitaria in cui si infrangono le pareti dell’io e si superano le barriere dell’egoismo. Questa esperienza di salvezza comunitaria è ciò che spesso suscita reazioni creative per migliorare un edificio o un quartiere”. Tessere legami di appartenenza e di convivenza, perché in essi c’è il Regno di Dio, c’è la carità, c’è il volto di Cristo. Ma questo volto è tanto nascosto. Bisogna trovare il tempo di scoprirlo, senza togliere gli altri, quelli negativi, perché altrimenti si cade nell’ingenuità, credendo nel valore definitivo e creativo dei piccoli nel tessere legami di appartenenza e di convivenza. Non è evidente tutto questo, soprattutto per chi vive nelle grandi città, dove è difficile. Ho passato 10 mesi a Roma, dove insegnavo. Ero a Corso Vittorio, seduto sull’autobus e guardavo le persone, il loro volto triste. Mi dicevo: “Ci sono tante chiese su questa strada, ma Dio è assente!”. Ho avuto la fortuna subito dopo di pensare: “Che ne sai che Dio è assente? Guarda questa mamma che porta il figlio a scuola: fa esattamente ciò che deve fare; questo signore che va al lavoro: fa quello che deve fare…”. Dunque i legami piccoli di appartenenza sono il Regno di Dio e sono di più di quello che possiamo capire. Intervenire sull’edificio pericolante non significa rifare tutto, ricostruire quello che c’era, ma riparare dall’interno.

Il papa parla anche della diversificazione delle azioni. Prendiamo al paragrafo 180: “Non si può pensare a ricette uniformi, perché vi sono problemi e limiti specifici di ogni Paese e regione”. Il papa non ha la ricetta, nessuno ce l’ha, neanche il presidente degli Stati Uniti, neanche la Merkel. Riprendiamo la lettura: “È vero anche che il realismo politico può richiedere misure e tecnologie di transizione, sempre che siano accompagnate dal disegno e dall’accettazione di impegni graduali vincolanti. Allo stesso tempo, però, in ambito nazionale e locale c’è sempre molto da fare, ad esempio promuovere forme di risparmio energetico. Ciò implica favorire modalità di produzione industriale con massima efficienza energetica e minor utilizzo di materie prime, togliendo dal mercato i prodotti poco efficaci dal punto di vista energetico o più inquinanti. Possiamo anche menzionare una buona gestione dei trasporti o tecniche di costruzione e di ristrutturazione di edifici che ne riducano il consumo energetico e il livello di inquinamento. D’altra parte, l’azione politica locale può orientarsi alla modifica dei consumi, allo sviluppo di un’economia dei rifiuti e del riciclaggio, alla protezione di determinate specie e alla programmazione di un’agricoltura diversificata con la rotazione delle colture…”. In ogni campo c’è la possibilità di fare qualcosa al livello locale, associativo, anche politico. A proposito della politica, vorrei citare un altro passaggio al paragrafo 206: “Un cambiamento negli stili di vita potrebbe arrivare ad esercitare una sana pressione su coloro che detengono il potere politico, economico e sociale

È ciò che accade quando i movimenti dei consumatori riescono a far sì che si smetta di acquistare certi prodotti e così diventano efficaci per modificare il comportamento delle imprese, forzandole a considerare l’impatto ambientale e i modelli di produzione.

È un fatto che, quando le abitudini sociali intaccano i profitti delle imprese, queste si vedono spinte a produrre in un altro modo. Questo ci ricorda la responsabilità sociale dei consumatori. «Acquistare è sempre un atto morale, oltre che economico». Per questo oggi « il tema del degrado ambientale chiama in causa i comportamenti di ognuno di noi »”. Per esempio, per venire in Italia è meglio prendere il treno o l’aereo? Prendo l’aereo perché più facile, ma dimentico che fino 10-15 anni fa costava molto di più e si prendeva il treno. Ora è possibile al livello economico prendere l’aereo, dunque lo faccio, ma è ragionevole? Se negli anni ’40, dopo la guerra, i governi non avessero scelto per un trasporto pubblico, ma personale, sarebbe stata una scelta terribile. Una volta ero con degli amici con cui siamo andati alle Catacombe di S. Callisto con l’autobus. Vedevo passare le macchine che andavano verso il centro con una sola persona a bordo, macchine che si sarebbero ritrovate ad avanzare di due metri ogni due minuti, perché in questo modo il traffico diventa impossibile. Avremmo dovuto scegliere i trasporti comuni e non le macchine private, con tutto il risparmio energetico che questo comporta. Dunque la domanda può essere: “Prendo il treno o la macchina per andare in città?”. E’ questo tipo di questioni che è importante. Prendo il treno o l’aereo, compro questa cosa o quell’altra? Cambio il mio computer o non lo cambio. Il papa pensa che, se ci fosse una convergenza di tanti piccoli atti, la casa sarebbe meno pericolante. Abbiamo veramente delle decisioni da prendere. Si potrebbe fare l’elenco delle nostre decisioni, dei nostri comportamenti, per capire che cosa potrei fare di più. Ho letto tante encicliche, come teologo, -è il mio mestiere-, encicliche anche bellissime, ma non mi sono mai sentito interpellato personalmente.

Arrivo alla conclusione, paragrafo 212: “Non bisogna pensare che questi sforzi non cambieranno il mondo. Tali azioni diffondono un bene nella società che sempre produce frutti al di là di quanto si possa constatare, perché provocano in seno a questa terra un bene che tende sempre a diffondersi, a volte invisibilmente. Inoltre, l’esercizio di questi comportamenti ci restituisce il senso della nostra dignità, ci conduce ad una maggiore profondità esistenziale, ci permette di sperimentare che vale la pena passare per questo mondo”.

E’ veramente un grido di speranza, ma di speranza concreta, incarnata. Non sappiamo come sarà il futuro, forse il papa non sarà ascoltato. Non sappiamo, ma speriamo. Questo tempo potrebbe essere il tempo di passaggio dal sapere alla speranza. Faccio un esempio, un libro che è stato importante nella teologia, “Sperare per tutti” di Hans Urs Von Balthasar. Questo teologo studia la frase “Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti” e dice che, a partire dalla scrittura, non si può dire qualcosa di certo riguardo alla salvezza per tutti. Non possiamo sapere, ma possiamo sperare. Questa la posizione di questo teologo, che è, credo, la stessa posizione di papa Francesco. Tu chi sei? Se sei un peccatore, il tuo posto è all’inferno… Se sei peccatore, fuori da me. Il papa dice: “Sono un peccatore”, dunque sono nell’inferno. Il monaco Silvano dice: “Mettiti nell’inferno e spera nella mia misericordia”. Il papa dice questo: “Sono un peccatore, ma spero nella misericordia”. Ma tu non puoi sperare per te e disperare per gli altri, perché non sei più degno degli altri della misericordia di Dio. Se c’è peccato dappertutto, dappertutto c’è la misericordia, che quindi non può essere solo per te. Se c’è per te, c’è per tutti. Dunque non abbiamo risposte, non sappiamo, ma possiamo sperare. Questo può essere un principio generale per oggi. Nella nostra civiltà occidentale abbiamo troppo privilegiato il sapere, perché abbiamo bisogno di sapere come le cose sono, come funzionano. Siamo arrivati a sapere molto e, quindi, a fare molto. Ma forse non abbiamo sperato, perché la speranza pone un fine che tu non puoi raggiungere da solo e sul quale tu non hai un sapere chiaro, ragionevole. Bisogna sapere il necessario per assicurare, per nutrire, per sostenere la nostra speranza. Non vedo ancora questo passaggio nella teologia dal sapere alla speranza.

 

Dibattito, Domande E Risposte

Alberto:

 

Grazie all’incontro di oggi ho letto in questa settimana l’enciclica: è una lettura apparentemente semplice, ma di grande ricchezza, e ci pone tanti interrogativi. Ringrazio Ghislain Lafont perché mi ha aiutato ad avere una chiave di lettura di speranza, che non è di ottimismo banale, ma è la speranza che, attraverso tante piccole cose, “se ne può uscire”. E’ interessante che il Papa citi, tra tanti, cattolici non cattolici, Teilhard de Chardin, teologo, grande pensatore, che ha visto proprio come la storia venga attratta verso il futuro e quindi vada verso un completamento e non verso un disfacimento. Completamento che non è facile ma impegnativo, è complesso e richiede molti sforzi.

Questo oggi ci è stato spiegato bene, saper vedere i segni dei tempi. A proposito di questo mi ha colpito molto in questi giorni, leggendo il testamento spirituale di fratel Arturo Paoli, che dica con grande chiarezza e senza prosopopea che, se qualcosa si può imputare ai due papi dopo Paolo VI è quello di essere incorsi nel rimprovero di Gesù che diceva agli Apostoli che non sapevano vedere i segni dei tempi. In questo pontificato, senza santificare nessuno perché siamo tutti deboli, c’è un taglio nuovo che è questa capacità di vedere i segni dei tempi, di vedere il buono che si va costruendo. Dice sempre Arturo Paoli una cosa fondamentale di Gesù Cristo, come figlio di Dio, è che ha avuto l’impegno, il compito di armonizzare il mondo. Ecco quindi come prima domanda: che cosa può significare saper vedere i segni dei tempi?

Mi viene in mente poi un intervento al quale io sono molto affezionato, di Pier Carniti un sindacalista che ora sta in pensione ma che è stato un gran personaggio della Cisl italiana, il quale ha scritto tre paginette ricche, belle nelle quali dice che ci saranno molti omaggi rituali ma poi ci si tirerà indietro, a seguire quelle cose che dice il Papa.

Nel titolo e anche nel testo, lui dice che il Papa suggerisce che occorra una ridistribuzione del potere. Ecco questa cosa mi ha lasciato molto perplesso. Credo che affermare che l’indicazione del Papa sia quella di dire che è necessario ridistribuire il potere sia impreciso e riduttivo. Il Papa dice molto di più, dice che occorre un cambiamento di stile di vita, un cambio di mentalità, una trasformazione, e si dice sicuro del nostro impegno nelle varie comunità a livello locale, nazionale ed internazionale. Dà questa rilevanza ai fatti concreti, piccoli ma anche importanti e quindi io prenderei le distanze da questo discorso di potere perché secondo me è lontanissimo da questa enciclica. Su questo chiedevo un parere illuminante. Grazie

Gianfranco:

Anche a me questa enciclica ha colpito molto, anche se non l’ho letta ancora completamente.

Due riflessioni: la mia percezione è che questa enciclica ci spinga a scrivere la nostra enciclica nel quotidiano e questo non l’ho trovato in passato. Ci incoraggia cioè ad essere noi persone della strada, costruttori, abbandonando la tentazione che sia necessario diventare chissà chi per dare il proprio contributo alla costruzione del Regno, alla umanizzazione del mondo. Il Papa, del resto seguendo proprio Gesù in questo, ci restituisce la possibilità di dare, ognuno a suo modo e seguendo la propria originalità, un contributo, personale e insieme in una dimensione comunitaria. Io del resto vengo da una scuola, quella di Nicolino che insomma tutta questa enorme produzione cartacea dei vescovi dei Papi, la guardava con sospetto, diceva che si scriveva troppo e molte volte anche con un linguaggio non accessibile, più da addetti ai lavori. Anche in questo Papa Francesco ha innovato molto perché il suo stile di comunicazione rivoluziona la modalità ecclesiastica di comunicare, la rivoluziona completamente. Poi l’altra cosa incoraggiante che trovo a livello personale è che l’impegno nella tessitura di relazioni che tu hai molto richiamato stamattina, anche citando l’Enciclica è un contributo straordinario al cambiamento del mondo, all’ umanizzazione del mondo.

Personalmente ho trovato un grande incoraggiamento rispetto alla mia vocazione: non so fare molte cose, poche, ma ho avuto sempre la passione di costruire delle relazioni di amicizia, delle relazioni in cui si sta insieme, non per diventare più bravi, più potenti ma per ritrovare il senso di questo nostro stare al mondo, e qui c’è un grande segno di speranza a mio avviso.

Luigi:

Anche a me interessa in modo particolare questa citazione di Papa Francesco della convivialità e dell’ organizzazione dal basso.

Io penso che non si tratti di diffondere il potere ma di provare ad annullare il potere; è questo discorso, tendenzialmente anarchico, che io vedo nella sostanza del messaggio cristiano. Certo è un divenire, non può essere un distruggere perché l’altra cosa importante che vedo in questa enciclica è nell’attenzione a salvare. Come Dio fa con noi, che non ci distrugge per ricostruirci ma da dentro tira fuori quello che abbiamo di buono, così non bisogna distruggere il mondo per rifarlo ma entrarci dentro e da dentro rivitalizzarlo. Penso che il discorso” dell’anarchismo cristiano”, come lo chiamo io, parte non da diffondere un potere ma dal creare una società conviviale che non abbia più bisogno del potere per ristrutturarsi. Questo è anche il pensiero che appartiene ad Ivan Illich, che, anche se il Papa non ha citato nell’enciclica, io rivedo molto in queste parole: ci fa riscoprire la possibilità di una vita conviviale e autorganizzata che forse è una delle poche strade possibili per cambiare il mondo.

Chiara:

Mi colpiva la cosa che diceva Ghislain che dai piccoli viene il cambiamento vero e mi trovo fortunatamente ad essere spettatrice di questo. Posso citare il mio vicino bengalese che riporta venti euro alla posta, perché gli sono state date in più e la reazione dell’altro vicino italiano, che ha dei tratti razzisti, che se ne rende conto, perché lo vede alla posta che fa questo atto e dice: “mamma mia che uomo Kebir” e da lì inizia una reazione per cui la moglie di Toni, conosce il nome dei bambini di Kebir che gli abitano di fronte. Questo atto del vicino bengalese secondo me è dirompente, ha una forza enorme di cui non conosciamo le proporzioni, perché Toni è da questo atto che ha fatto un cambiamento.

Mi capita spesso di parlare di Ponte di Nona, dove insegno, per due motivi: uno perché ci sono affezionata, l’altro perché questa realtà non è conosciuta, la realtà dei quartieri popolari. Credo sia importante che le persone che non ci vivono la conoscano, nelle problematiche ma anche in ciò che succede di buono e di importante.

In uno dei cortili di Ponte di Nona c’è uno spaccio con persone che fanno il palo tutto il giorno, oppure che spacciano direttamente e nonostante i capi dell’organizzazione siano stati arrestati a Febbraio, lo spaccio continua. In quel cortile ci abitano due fratelli miei ex alunni, con una madre straordinaria. Uno di loro va a tagliare i capelli ad un suo coetaneo che sta a casa agli arresti domiciliari per una rapina fatta ad un supermercato. Perché i quartieri come Ponte di Nona non implodono? perché non tutti i ragazzi si bruciano con la droga? Perché ci sono ragazzini e ragazzine che fanno atti che vanno contro questo e che continuano a convivere con gli altri. L’altro giorno la mamma al telefono mi diceva: io l’ho detto ai miei figli, spartire la droga con loro no, ma se volete andare a mangiare una pizza anche con loro ci potete andare. Forse è stata anche fortunata che i suoi figli riescono a farlo, ma riescono a farlo. Questa cosa qui cambia il volto di Ponte di Nona.

Mi colpiva una cosa detta da Ghislain: bisogna alimentare la speranza e radicarla su qualcosa di solido. Una di queste che aiuta a radicare la speranza è rendersi conto delle cose positive che avvengono. Se uno riesce ad avere occhi per guardare queste cose, la speranza ha un fondamento solido su cui poggiare. Quello che manca è fare emergere queste cose positive. Cioè, se Kebir avesse riportato i soldi alla posta, ma Toni non me lo avesse raccontato, io non mi sarei accorta di quello che stava avvenendo. Toni ha fatto emergere ciò che era successo, l’ha portato alla luce. Penso che questo è qualcosa che possa aiutare ad alimentare la speranza.

Ghislain:

Riprenderò quello che è stato detto e che condivido totalmente. Mi aiuta anche a capire le cose, a comprendere le difficoltà.

Papa Francesco e Papa Giovanni XXIII, direi che sono dei profeti. Il profeta in una situazione data, da una parte riesce a sentire, comprendere le cose, ad intuire il significato, e dall’ altra parte riesce a capire quale è l’ azione giusta da fare. L’Enciclica Pace in Terris fu una cosa unica, forse vi ricordate, i più anziani, la situazione difficile; era il tempo della guerra fredda tra la Russia e l’America, la criticità di Cuba. Ecco il profetismo: lui ha sentito che doveva, da Papa, scrivere qualcosa sulla pace e rivolgersi a tutti gli uomini. Ha inserito uno stile nuovo, scrivere un’enciclica sulla pace, credo non ce ne fosse una prima, da rivolgere a tutti. Questo suppone che lui abbia avuto una consistenza profetica: sapere e dire.

Io penso che Papa Francesco abbia questo aspetto di profeta. Lui non dice niente che non sia già stato detto, se avessi ancora degli studenti direi di prendere l’enciclica di Papa Giovanni Paolo Secondo “Veritas in Caritate”, e la “Laudato sì” e di vedere le corrispondenze. Penso che al novanta per cento hanno detto lo stesso, però il profeta ha un certo stile suo, che capisci, e parla in un modo nuovo. Abbiamo si già sentito quelle cose però mancava, io parlo a mio nome, nel mio piccolo, mancava forse questo senso dei segni dei tempi, come diceva il signore che ha parlato prima. Lo dico per Papa Francesco ma anche per tutti coloro che cercano di capire le cose in un modo diverso. Alcuni hanno capito. Altri invece hanno una resistenza perché questo modo di parlare tocca intuizioni o sistemi ragionevoli che sono già, come dire, istituiti, e dunque è difficile rompere.

Stiamo per avere il secondo Sinodo, sulla famiglia. Mi sembra che non sia facile, si potrebbe pensare che intorno alla famiglia tutto sia stato detto dal magistero della chiesa cattolica a cui noi apparteniamo e dalla enciclica “Casti connubi” del 1930, fino alla “Familiaris Consortio” di Giovanni Paolo II, tutto è stato detto e detto bene. Allora che significa fare un sinodo di nuovo sulla famiglia? Penso che questo è l’ aspetto profetico: tutto è stato detto ma si deve ancora riprendere la cosa, perché il Papa sente, come tutti noi, che il discorso, intelligente, tradizionale non basta a permettere alla gente di vivere. Si deve rimettere tutto sul tavolo, forse ascoltando altri. Per questo prossimo Sinodo l’ atteggiamento profetico è di dire dobbiamo ripensare un po’ tutto, perché la dottrina della “Casti connubi” è inserita in un sistema giusto, utopista, morale, buono, ma che non è andato fino in fondo e, se non prendiamo il problema ad un altro livello di profondità, non faremo nessun passo avanti, perché la famiglia è una cosa e l’istituto del celibato, la vita religiosa, un’altra. Più ampiamente che cosa è la sessualità nella vita cristiana? Non è tanto facile rispondere; bisogna capire che oggi i problemi sono posti in un modo nuovo. Ricordo Antonio e sua moglie quando si sono sposati, forse 40 anni fa, non so, c’era la teoria che il fine primario del matrimonio fosse la procreazione dei bambini, mentre adesso il Concilio ha messo in rilievo che questo scopo è più largo, fondare una famiglia ma nella relazione privilegiata tra l’uomo e la donna che coinvolge anche il corpo, la sensibilità, ecc. Le cose sono cambiate perché la sessualità è vista in un altro modo.

Nello stesso tempo il sacerdozio, io non voglio distruggere i sacerdoti, lo sono anch’ io, ma il sacerdote anche ha cambiato la sua definizione. Quando sono stato ordinato, sessantatré anni fa, il prete era soprattutto l’uomo che aveva il potere di fare l’Eucarestia, se dico: “hoc est corpus meum”, funziona, se tu lo dici non funziona. Ed è vero, io lo credo, ma questo potere di trasformazione eucaristica o il perdono del peccato adesso è inserito in un’altra definizione. Il sacerdote è quello che ha la responsabilità di un’accoglienza cristiana. La responsabilità di fare sì che tutto funzioni bene, ascoltare un po’ tutte le persone e dire le parole giuste per creare il legame e l’attività evangelica e la parola sacramentale viene per consacrare e portare a suo compimento la parola umana, la parola evangelica. Dunque un altro discorso, e io credo al celibato, sono celibe (per forza o per scelta). Il celibato era molto legato nei testi a questo potere sacramentale: l’uomo che tocca il sacro non può toccare la donna (il che non è una descrizione molto nobile dalla donna). Io dico che credo nel celibato ma le fondazioni sono cambiate e probabilmente l’elemento profetico è accettare di considerare questo cambiamento di prospettiva ma è molto difficile perché scuote un po’ i concetti a cui siamo un po’ abituati. Abbiamo ancora bisogno di profeti che dicono la maniera di comprendere le cose.

Abbiamo un vescovo appena arrivato e lui dice che con questo Sinodo non arriveremo a niente se non cambiamo prospettiva perché, nella prospettiva classica, tutto è stato detto, dunque si deve trovare, e questo è profetico, quale è il modo di accostarci a questa domanda e questo sta nel segno dei tempi. Si capisce che c’è una resistenza terribile perché la dottrina è solida e mettere un chiodo dentro la dottrina rischia di far saltare tutto. I profeti sono accolti e da una parte e meno accolti dall’ altra, dunque tocca a noi prenderci la responsabilità di dire: che penso io di questo, aldilà della pubblicità dei giornali, ecc. Che penso io della sessualità, del matrimonio, del celibato della vita religiosa? E io quando faccio queste domande a me, dico non so tutto, vedo soprattutto i problemi, vedo il valore della tradizione classica, intravedo forse una possibilità e questo è ascoltare i profeti.

Quando Gianfranco diceva “scrivere la nostra Enciclica” questo è il punto: trovare dentro di me quale è il profetismo che mi fa vivere, non per avere un’originalità ma per andare aldilà del buono conosciuto e trovare dove si può andare avanti e forse ascoltare quelli che stanno studiando questo. Per avere un esempio concreto: l’Italia, non so quale corte internazionale, dice che deve istituire un Pax o dei Dico (perché non avete nulla) a favore delle coppie omosessuali e alcuni sono favorevoli e altri no. Qui si deve vedere dove va il profetismo e non è facile perché l’omosessualità per un cattolico normale, come credo di essere io, non è normale, non è una sessualità autentica. Ma forse si potrebbe cercare, in tutto questo movimento che da noi in Francia è arrivato al Pax e al matrimonio tra due persone dello stesso sesso, dove in questo sviluppo è il male, l’errore e dove è una cosa giusta. Questo per me è l’elemento profetico, almeno accettare di porre tranquillamente la domanda, di non essere sicuri, di essere il piccolo che dice forse si o forse no, e se arriviamo al no, perché pensiamo, con il nostro livello profetico, che non ci vuole. Perché i profeti condannano, non dicono sempre si, tutto giusto. Dunque ritrovare un po’ il nostro profetismo, quindi scrivere la nostra Enciclica sulle cose che agitano un po’ la mente di oggi.

Il tema della redistribuzione del potere: mi sembra che su questo punto, con l’apporto del Concilio Vaticano II, la Chiesa Cattolica potrebbe essere la prima a redistribuire il potere perché quello ecclesiastico e gerarchico è legato all’interpretazione di istituzione del ministero, molto legata alle strutture del potere civile dell’epoca. La società civile aveva l’imperatore mentre quella religiosa il Papa e tutto questo andava bene con l’idea che se tu hai il denaro, l’istruzione, la vocazione, tutto questo ti mette in un ruolo di potere, e tu devi esercitare bene il potere. Ma forse con il Vaticano II dopo due secoli di discussione abbiamo capito che il potere evangelico è un’altra cosa e che dobbiamo intravedere un altro tipo di potere. Forse da noi in Francia siamo avvantaggiati rispetto a voi perché voi avete il privilegio e nello stesso tempo l’elemento negativo di essere molto vicini al potere papale. Durante gli ultimi quattrocento anni i Papi infatti sono stati italiani e sopprimere, toccare il potere papale da voi è come toccare l’equilibrio totale dello stivale italiano. Avete una memoria di questo che io non ho, è scritto nel vostro sangue e in questi venticinque, trenta anni che sono venuto regolarmente in Italia ho visto che il Vaticano ha un potere forte, non solo il potere giuridico, ma nella mentalità, nella reazione popolare. Nel Vaticano II si diceva che la curia doveva essere integrata da stranieri, ma quelli arrivati erano troppo vicini ed un po’ della stessa famiglia. Quindi il problema è di accettare in profondità questo cambiamento dell’idea stessa del potere, passare dall’autorità all’autorevolezza e questo lo dico in parte, non l’ho ancora studiato e non so se potrò studiarlo, avviene anche a livello dei Sacramenti. Chi fa i Sacramenti, perché e come? Questo è forse un po’ troppo profetico, e non l’ho ancora abbastanza studiato, ma per dire l’ampiezza della problematica che richiede una profezia e io penso che io non sono stato profetico ma molto spesso la profezia non ha più funzionato nella sua dinamica, perché era veramente pericolosa.

Oggi vediamo comunque il risultato che fa parte della casa comune pericolante. La Chiesa classica è pericolante perché la Chiesa classica si appoggia sui preti e sui religiosi, ma le vocazioni dei preti e dei religiosi crollano. Quando ho fatto gli esercizi spirituali a Milano trenta anni fa c’erano due seminari quelli del primo e secondo anno, quelli del terzo e quarto ed erano molto numerosi, c’erano cinquanta ordinazioni all’anno. Oggi a Milano funziona ancora abbastanza bene e avete cinque, dieci ordinazioni; i religiosi sopravvivono, per così dire, le religiose non sono più tante, dunque ciò che manteneva il sistema lo manteneva bene. Abbiamo tutti conosciuto dei preti vecchio stile che erano delle persone meravigliose, ho visto tante religiose che in quello che era allora il loro quadro hanno fatto progredire il Vangelo. Oggi il Vaticano II ha preso atto di un cambiamento generale e forse un po’ più di profetismo avrebbe permesso di marciare in un modo un po’ diverso sulla redistribuzione del potere attraverso un cambiamento del concetto del potere, ma forse non siamo ancora riusciti a capire questa dimensione del potere, cosa è esattamente e come funziona. In un paese democratico come il mio, un mio amico che lavora alla Camera dei Deputati come responsabile di una commissione, mi diceva che il sistema organizzativo è molto gerarchico, ci sono il segretario generale, i capi dei partiti, i capi delle commissioni e tutto si fa dall’alto, è una cosa naturale. Quindi anche la Repubblica non ha trovato dei modi veramente democratici di funzionare.

I vescovi nominati più di recente (perché quelli nominati da Giovanni Paolo II erano più conservatori), i primi nominati da Paolo IV e gli ultimi di Francesco, a mio avviso cominciano a capire che cosa è il potere. Anche nella vita religiosa, nella parrocchia il parroco può essere una persona tirannica perché ha tutti i poteri; dunque ritrovare questo senso, come comunità, che funziona non come autorità, ma si sforza di essere autorevole.

Noi possiamo sperare che i nostri nipoti capiranno che noi antichi abbiamo fatto tanto cammino e che è il momento di continuare e sarà difficile, noi non torneremo mai ad una Chiesa trionfante come quella conosciuta da bambini, ma sarà un piccolo gregge ..

Angela:

Mi ha colpito quello che avevi detto tu tra testimonianza e riflessione. Che è un po’ un modo di essere. Poi mi piaceva parlare delle fessure: mi ha attratto questa possibilità di vedere le cose dalle fessure. E’ un posto dove si sta e dal quale si può vedere la polvere ma anche l’aria. E’ un posto da dove prendere respiro dalla cappa delle omologazioni e dalle cose che ci schiacciano come l’eccesso di tecnologia ed altre cose. Quindi la fessura come posto di vita e come sguardo dal quale guardare il mondo.

Franco

Anche io ho dato una prima lettura di questa Enciclica e ti ringrazio perché il testo che ho letto io era tutto stampato con un solo carattere. Tu invece hai evidenziato le cose significative, importanti, ma non solo, perché con la tua attenzione hai scavato dentro le parole, per cui hai ampliato, ingrandito. Tutte le cose che hai detto sono importanti, ma in particolare ho scoperto il tema della responsabilità. Secondo l’accezione comune vivere senza responsabilità, è sicuramente vivere in maniera spensierata, più tranquilla. Per me responsabilità significa invece capacità di entrare di più nelle cose, capacità di vivere di più le cose; tanto più si è responsabili tanto più si è capaci di capire le cose. La cosa che mi hai aggiunto tu è che la responsabilità è individuale, ma non solo: la responsabilità deve essere condivisa. Questo è un pensiero che non avevo mai fatto, nel senso che non solo io devo essere responsabile ma devo anche essere attento e cercare di aiutare gli altri a tirare fuori il meglio che c’è in loro per condividere questa responsabilità. Farlo insieme. Questa è la cosa che oggi ,in particolare mi porto dentro.

L’ultimo tema è quello della speranza; chiedo a te perché tanti anni fa, mi è stata raccontata una storia, non ricordo chi e dove, comunque credo al Louvre ci sia un quadro: La Fede, Speranza e La Carità. La Fede e La Carità sono rappresentati da due ragazze che tengono per mano una bambina più piccola, che è La Speranza. Una famiglia, composta da un marito, una moglie e una figlia commenta il quadro, il papà dice: guarda, La Fede e La Carità tirano la Speranza; la figlia risponde, no papà è La Speranza che spinge la Fede e la Carità. Ecco tu mi hai suscitato questa immagine, io stamattina cercavo proprio sul tema della speranza, perché in questo mondo fatto così tante volte gli occhi non riescono più a vedere a scoprire dove è la speranza. Io ti ringrazio, anche di questo.

Lorenzo

Una cosa che mi colpiva particolarmente nell’enciclica è questo intreccio tra fede, scienza e politica. Per una scienza proprio al servizio della gente, perché quando scrive certi passaggi, si capisce che non sono cose sue. Forse si è servito di persone che da anni ed anni lavorano stando in basso con la gente più povera; e quando fa una serie di passaggi tra “la casa comune”, il creato e le popolazioni povere è perché in realtà sono sovrapponibili continuamente. Quando parla di potere, non so se è scritto qui, ma ad un certo punto racconta che Paolo VI in piena dittatura spagnola e un’altra dittatura feroce che adesso non ricordo, chiese ai capi di quelle dittature di togliere i privilegi che la Chiesa Cattolica aveva. Per cui Quando Francesco parla di potere, parla di un potere di cui dobbiamo riappropriarci tutti e che va esercitato. Quando prima Ghislain faceva questa descrizione dura della realtà, a volte sembrerebbe tragica, ma non lo è, perché c’è un coinvolgimento del potenziale che è in ciascuno di noi. Per cui alla fine della lettura noi abbiamo un respiro salutare.

Micaela:

Sono due le osservazioni che riesco a dire, rispetto alla valanga di cose che credo, io e tutti, abbiamo dentro. La prima è la fortuna di essere chiamati senza presunzione, questa fortuna ci può dare ancora di più una spinta, perché già esserne consapevoli è motivo di speranza. Quello che mi commuove così è che non sempre riesci ad essere portatore di questa speranza e di questa bellezza, che realmente si può cogliere in ogni sfumatura. Questo mi tormenta, però, a parte ciò, sono sicura e questo è stato bellissimo sentirlo anche oggi, sono sicura che è lo Spirito che ci dice cosa dire, soprattutto se ci poniamo in ascolto. Sentire da uomini come Francesco, Ghislain, Lorenzo e alla fine ognuno di noi che sento in queste fortunate occasioni, sentire anche nella propria piccolezza, tutto quello che tuttavia si scatena, ogni volta che una piccola virgola viene cambiata, questo mi da proprio una gioia immensa. Questa era la seconda osservazione. La domanda che seguiva, ha già avuto risposta perché una delle questioni che mi pongo di più adesso è legata alla giustizia di essere tutti portatori degli stessi diritti. Quindi I fratelli che hanno una diversa percezione della sessualità, vorrei tanto vedere che anche per loro esiste una condizione, ufficialmente uguale alla mia. Io credo infatti che Dio, dal momento che permette che nascano queste situazioni, già le comprenda in Sé.

Non so se la mia direzione è sana, è buona nel dire si a questo, perché quando hai detto che il profeta non dice sì a tutto con facilità, come nulla fosse, mi hai dato da riflettere. Per me era proprio categoricamente aperta la cosa ma in effetti, forse c’è da interrogarsi ancora meglio su questo.

Ghislain:

Quello che dice Micaela fa parte mi sembra, della piccolezza: dire che non in tutto riesco e non sempre sono all’altezza della richiesta. E fa parte della speranza, cioè questa consapevolezza molto forte, molto intellettuale dell’incapacità è un dono. Una parte del nostro sforzo è accettare di non riuscire. Però cercare anche sempre di riuscire. Sarà sempre così. Ora sei ancora giovane ma da vecchia, come sono io, avrai ancora il diritto di non riuscire. Il Papa, settantotto anni, quando è stato eletto ha detto: sono un peccatore.

Antonella:

Grazie perché la situazione mondiale è terribile, però quando pensiamo che Gesù con poche persone, semplicissime, all’ultimo livello della scala sociale è riuscito, non Lui personalmente che forse è morto per dare agli altri la dimostrazione che poteva essere un’opera umana, animata dal divino, la diffusione della Fede, allora possiamo avere una speranza. Quindi ringrazio proprio per questo, per la parola di speranza che è dentro di noi e che il Signore ci continua a dare. Grazie

Lorenzo:

Un piccolo episodio di cui sono venuto a conoscenza questa estate a Cetraro, in Calabria. Era un campo di famiglie in adozione ed affido in collegamento: calabresi, pugliesi, campani e molisani. C’era un ragazzo fantastico, diciannove anni, l’ho riconosciuto dai racconti del passato fatti su di lui da Pio Parisi. L’avevano trovato in montagna, legato ad un albero; non parlava, muto e camminava mani e piedi. Quando hanno chiesto alla mamma naturale se potevano portarlo in Italia, per vedere cosa era successo, ci fu una famiglia italiana pugliese che cominciò a fargli fare delle visite. I medici dissero che non c’era niente da fare, perché aveva avuto una meningite gravissima: “ha perso la parola e non potrà avere alcun miglioramento”. Questa coppia lo portò a casa, il marito finalmente in pensione, andò con lui in campagna e gli chiedeva di mettere i sassi piccoli in una cesta e i sassi grossi in un’altra e si accorse che il bambino partecipava. La mamma affidataria lo aiutava a fare le feci nella tazza, lui le faceva normalmente e poi le prendeva e le tirava contro di lei. Dopo qualche giorno in cui la storia si ripeteva puntualmente la mamma le schivò e andarono a finire sulle maioliche del bagno; dopo che essa le spalmò ben bene lo invitò a ripulire ma lui si rifiutò. Lei insistette perché le feci non erano le sue ma del ragazzo …. così il tira e molla andò avanti per quattro ore con il bambino che piangeva finché alla fine hanno ripulito insieme, si sono anch’essi lavati, abbracciati e dopo aver pianto nel bambino era avvenuto un cambiamento. Io adesso l’ho visto al campo, era uno degli animatori: una meraviglia di persona. Ecco quando parlavi dei segni di speranza, penso siano importanti tutti i segni di speranza, innanzitutto vederli e poi trasmetterli, perché noi siamo soffocati e schiacciati da tutte queste notizie di disperazione, dai telegiornali eccetera e invece saper vedere, e per poter vedere bisogna rallentare i ritmi e poi raccontarli.

Ghislain:

Volevo ringraziarvi di essere venuti, di questa condivisione che ci costruisce finalmente, è un passo piccolo, piccolo, ma un passo della nostra responsabilità nella vita della Chiesa. Dunque ringrazio Dio, Lorenzo perché ha insistito che io venissi, e voi di tutto ciò che ho ricevuto attraverso la vostra presenza.

Roma come Chiesa Locale: un esperienza di dialogo.

Era il 1969 quando un gruppo di laici e un prete romano, don Nicolino Barra, mettendosi al servizio del dialogo nella chiesa locale di Roma e nella società, diedero vita ad un ciclostilato, “La Tenda”. Era un periodo di straordinaria fecondità spirituale, culturale e politica: si era appena concluso il Concilio Vaticano II ed aveva preso vita il movimento del Sessantotto. Il ciclostilato venne stampato fino al 1986.

Nel 2000, in seguito alla morte di don Nicolino, alcuni dei precedenti redattori, insieme con i suoi amici, sorpresi dalla grande forza e attualità del lavoro svolto in quegli anni, hanno deciso di riprendere quello che fu l’impegno principale de “La Tenda“: osservare la realtà e aiutare ad osservare, riflettere, al fine di elaborare una teologia che parta dai fatti, riattivare i canali esistenti della comunicazione e del dialogo nella chiesa locale e nella comunità civile.

Nel 2005 si arrivò alla pubblicazione di un’antologia degli articoli più significativi del ciclostilato, divisi per argomento: “La Tenda, Roma come Chiesa locale”. Questo testo ne è la ristampa.

Nel 2007 il gruppo ha ripreso la pubblicazione periodica della lettera “La Tenda” (ogni tre mesi circa) e organizza, una volta l’anno, un incontro aperto a tutti coloro che sono interessati ad una comunione che favorisca la comunicazione e la condivisione.

Alla base della nostra ricerca comune è sotteso un equilibrio prezioso e delicato tra testimonianza e riflessione.

I temi trattati negli ultimi incontri sono stati:

  • Evangelizzazione
  • I poveri e la Chiesa: Lercaro e il Concilio Vaticano II
  • Una morale condivisa
  • Edificare la Chiesa dell’amore
  • Rom, Sinti e dintorni
  • Dialoghi sulla sofferenza e la morte
  • Economia e lavoro: difendere la giustizia e creare opportunità per i giovani
  • La riscoperta della Bibbia nel mondo cattolico
  • Scuola tra poveri
  • “Laudato si'”

Come in altri tempi della storia, siamo dentro una grave crisi che investe l’intero pianeta, ma, proprio dentro queste difficoltà, l’appello del nostro vescovo Francesco ad una reale sinodalità dell’intero popolo di Dio fa emergere risorse per affrontare i problemi della “casa comune”.

E’ possibile trovare l’archivio di tutte le lettere de La Tenda sul sito: www.latenda.info

Nota di servizio: anche questa lettera è stata spedita al nostro indirizzario. Chi si trovi inserito senza desiderarlo ci scusi, basta una comunicazione e provvederemo a cancellare l’indirizzo. Chi invece viene a conoscenza di questa lettera e vuole riceverla ce lo faccia sapere. Come sempre sono gradite segnalazioni di indirizzi di persone interessate. Come sapete non prevediamo un abbonamento per ricevere questa nostra lettera in modo da non limitarne la diffusione, le spese di stampa e di spedizione infatti sono contenute. Ogni partecipazione a queste spese sarà comunque gradita, il nostro Conto Corrente Postale è il 45238177 intestato a Francesco Battista

 

  1. Ristamperemo il volume dell’antologia de La Tenda: chi volesse riceverne una copia, può contattare Lorenzo D’Amico (06/2009085) o Chiara Flamini (340/3837971).