Lettera 3 (Prima Serie)

Agli amici

Amici,

dopo la breve parentesi estiva il nostro dialogo riprende il suo cammino, sul terreno, tutto da dissodare, dei tanti problemi vecchi e nuovi.

Col passare del tempo, ci rendiamo sempre meglio conto della realtà in cui ci troviamo ad operare, così ricca di fermenti e di possibilità e così imbrigliata da strutture, schematismi e pigrizie elevate a sistema che, spesso, mortificano e bruciano sul nascere quegli stessi fermenti e quelle stesse possibilità. Eppure, non c’è finora segno di scoraggiamento nel nostro impegno, né ci sono speranze infrante su cui versare lacrime, certamente perché ci ha sempre animato un sereno realismo alieno dai facili entusiasmi, ma, più in fondo, perché soltanto in Cristo abbiamo riposto tutte le nostre speranze e le nostre attese. Di qui l’invito che rivolgiamo a noi stessi per primi ed a tutti voi, cui ci accomuna la buona volontà, a cercare in ogni momento in Cristo e soltanto in Cristo il senso dell’impegno, rifuggendo dai tatticismi, dai piccoli calcoli, dai giochi dialettici, dal pettegolezzo e dando al dialogo le dimensioni della disponibilità, della pazienza, della comprensione e della fraternità. Troviamo sempre il coraggio di chiederci se il nostro dialogare col prossimo somigli alla preghiera e, nello stesso tempo, cerchiamo di dare alla preghiera il respiro del dialogo. Solo così avremo la possibilità di arricchire di nuovi significati l’esperienza comunitaria e di recuperare i valori della partecipazione e della solidarietà.

Il gruppo ‘la tenda’

Riflessioni Sul Clero Romano (3)

Abbiamo dato alcuni cenni statistici sulla consistenza numerica, anzianità, attività, mobilità del clero diocesano romano.

Ci introdurremo ora in due ordini di problemi. Primo: quali idee o meccanismi hanno presieduto all’impiego del clero romano. Secondo: come si è cercato di far fronte alla scarsezza di clero quando l’emergenza del problema impose decisioni non differibili. I due aspetti, impiego del clero e scarsità di clero, sono stati nel fatto intimamente connessi fino ai nostri giorni, perché finora si è sempre tentato di far fronte alla mancanza di clero manovrando quello esistente. Al termine di queste note vedremo come tutte le possibilità di manovra nell’utilizzazione del clero si siano ormai esaurite e come al secondo problema, quello della scarsità del clero, si impongono ormai soluzioni al di fuori della normale amministrazione delle forze disponibili.

Ma dovremo procedere con ordine, da lontano e lentamente, né potremo trasurare di mettere in luce elementi d’assoluto interesse che pure in queste note non potranno essere sviluppati.

Non è neppure da dire quanto queste note siano iniziali, troppo sommarie anche per una riflessione superficiale. Per quanto ne sappiamo, però, esse non trovano alcun precedente di rilevazione statistica o di ricerca storica della diocesi. Se qualcuno dei nostri amici ci metterà al corrente di studi o dati precisi, anche parziali, non mancheremo di darne conoscenza a tutti e i correggere nel caso le nostre valutazioni.

Seguiremo un metodo cronologico e, va senza dirlo, le divisioni tra i periodi saranno indicative e non daranno conto dei contorni ben più sfumati della realtà.

Per comodità si tenga presente la seguente

Tabella 7

CRONOLOGIA DEI VESCOVI DELLA DOIOCESI DI ROMA DAL 1922

Papa

Anno Anno Vicario
Pio XI 1922 1931 Pompili dal 1913

Marchetti

Pio XII 1939 1951 Micara (+ 1964)
Giovanni XXIII 1958 1960 Traglia (Provicario)
Paolo VI 1963 1965

1968

Traglia (Vicario)

Dell’Acqua

Consideriamo un periodo, dal 1922 fino al 1930, comprendente quindi il primo decennio di Pio XI ed il secondo decennio del Card. Pompili. E’ un periodo che conclude tutta la storia precedente e va tenuto ben presente anche da chi affronta i problemi della diocesi di oggi.

I giovani, soprattutto ragazzi, che si preparano all’ordinazione hanno, in questo periodo, a loro disposizione il “Seminario Romano” (“Minore” fino al ginnasio, “Maggiore” per il liceo, filosofia e teologia, con studi all’annessa scuola lateranense). Se provengono da famiglia nobile o di borghesia papale, preferiscono il Collegio Caprinica con studi all’Università Gregoriana dei padri Gesuiti.

Trascuriamo il notevole divario di impostazione teologica esistente tra le due scuole (ancor più a partire da Pio XII, 1939 con l’immissione alla Gregoriana di docenti che seguono gli indirizzi delle scuole francese, belga e tedesca; si pensi in prospettiva allo scontro del Concilio); questo divario è certo uno dei fattori più pesanti di una delle molte gravi fratture esistenti tra i sacerdoti della diocesi.

Al termine degli studi di base (liceo, filosofia e teologia per un totale di otto anni variamente distribuiti fra i tre corsi per successive riforme scolastiche) viene l’ordinazione sacerdotale.

A questo punto, ancora fino al 1930, periodo che consideriamo, ai sacerdoti del clero romano si presentano tre possibilità:

  1. la carriera diplomatica (per un organico limitato, s’intende). Ad essa si avviano specialmente quelli del Collegio Caprinica dopo altri due anni di preparazione giuridica presso la Gregoriana e dopo un ultimo anno di preparazione specifica presso l’Accademia dei Nobili Ecclesiastici (sic).
  2. Impiego nella Curia Romana. Ciò dopo gli studi giuridici di due-tre anni, possibili anche al Laterano.
  3. La parrocchia. Ad essa si accede immediatamente dopo la sola preparazione di base (liceo, filosofia, teologia), avvenuta spesso in corsi semplificati, i cosiddetti “corsi seminaristici”.

E’ da notare immediatamente come tra le vie che si aprono al clero romano manchi quella dello studio e dell’insegnamento, vuoi in scienze sacre (filosofia, teologia, scrittura, liturgia, ecc.), vuoi nelle scienze laiche.

Il fatto è che alla preparazione delle nuove leve possono provvedere gli ordini religiosi (Gregoriana, Angelicum) e una scuola interna, il Laterano (in questo periodo e fino al 1936 non ancora Ateneo), al quale possono facilmente esser chiamati religiosi o docenti da altre diocesi. Fa leggera eccezione la Scuola di diritto canonico, ovviamente fiorente all’ombra degli uffici centrali.ma la vicinanza della Curia comporta l’utilizzazione in quest’ultima del personale ecclesiastico docente. Ne conseguono scarsità di impegno di ricerca, ripiego della Scuola su posizioni giuridiche di appoggio alla struttura, funzionalizzazione della scuola alla carriera dei docenti o al futuro impiego dei discenti.

Qualcosa di simile, su scala più ridotta ma altrettanto gravida di cattive conseguenze, avviene per qualche approfondimento di liturgia che rapidamente scade in rubricistica per le cerimonie della corte.

Emerge quindi fin da questo periodo un fatto assai grave: Roma ha un clero diocesano povero di studi e prospettive intellettuali in ogni campo. La diocesi non è spinta a crearsi delle strutture di ricerca e un corpo docente perché può provvedersi altrimenti. Eventuali capacità vengono sviluppate per iniziativa dei singoli, al di fuori di una scuola e quindi senza seguito, il più delle volte in direzioni (diritto e liturgia) che preludono ad una riutilizzazione burocratica.

Ma torniamo a considerare gli aspetti più generali dei nostri problemi nel periodo preso in esame, fino al 1930. il numero dei sacerdoti è tale che i tre organismi nominati (diplomazia, curia, parrocchia) possono ancora attingervi con una certa larghezza. Ai motivi che specificano la destinazione non sono estranei la nobiltà familiare, come si è visto, e la disponibilità di mezzi finanziari, dato che gli studi sono a carico dei singoli, specialmente dopo la preparazione di base. Così alla parrocchia vengono destinati i sacerdoti delle classi meno abbienti, come del resto in ogni altra diocesi. S’intende che qui parliamo per grandi linee: non mancano in un senso volontarie scelte pastorali come in senso inverso casi di benefiche provvidenze.

Non farà meraviglia il vedere come in questa atmosfera la parrocchia sia il luogo dei meno qualificati ed appaia come quello dei meno dotati. Si ricorda ancora il detto del Card. Pompili che ripeteva ai sacerdoti meno docili: “Mi raccomando, altrimenti ti mando in parrocchia”, quanto pastorale sia la mentalità del tempo e quale il giudizio sul clero parrocchiale non potrebbe meglio essere illustrato. Resta il fatto che il clero avviato alla parrocchia è effettivamente la parte meno qualificata (intellettualmente) del clero diocesano.

Noi vogliamo lasciare da parte giudizi che porteremmo dal punto di vista di una nostra ecclesiologia troppo estranea ad un periodo fatto di temporalismo, di scolasticismo, di apologetismo tanto innocuo quanto pretenzioso, di ordinaria amministrazione, di pura ignoranza delle emergenze psicologiche, sociologiche, tecniche, sociali del nuovo mondo. Noi parliamo descrittivamente. E descrittivamente parlando, diremo anzi che il quadro presentava persino un suo equilibrio interno.

La pastorale generale infatti non mostrava (dall’interno) squilibri. Non era tempo in cui si giudicasse la situazione italiana e romana sulla base dell’esperienza di nazioni e città già entrate nel mondo della tecnica, della mobilità, del pluralismo sociale. Né si giudicava la situazione interna al di fuori delle valutazioni ufficiali di “nazione cristiana”, “città eterna”, “immutabili destini”, ecc. Né le teologie europee già da molto in movimento, potevano aspirare ad un ascolto quali che fosse: Roma non aveva da imparare da nessuno. Evitando quindi il confronto con la realtà interna, con il mondo esterno, con la teologia e la cultura europee, l’autarchia spirituale produceva un tranquillo benessere pastorale.

La situazione pastorale della diocesi in questo periodo lungo, che chiudiamo intorno all’anno 1930, è quindi in grandi linee la seguente. Il clero in cura d’anime assicura lo svolgimento delle normali azioni religiose, sacramenti, culto giornaliero, uffici parrocchiali, e una pastorale di quartiere per i meno abbienti che sono assai legati all’abitazione. La scarsa preparazione di questo clero non ha controindicazioni. La presenza degli ordini religiosi garantisce servizi di maggior valore: il Gesù, S. Ignazio, S. Maria del Popolo, S. Antonio , la Gregoriana, l’Angelicum, i confessori delle basiliche, sono i capisaldi della pastorale extraparrocchiale per un pubblico più qualificato e che veramente ad essi si dirige. Per la generazione che cresce la scuola religiosa (De Merode, S. Maria, Pio IX, Nazzareno, Trinità dei Monti, Massimo) è la risposta ad una richiesta di educazione “cristiana” più elaborata e che dà anche una buona garanzia di conservazione della classe sociale (con la componente di un tentativo di agglutinamento della nuova borghesia civile con la vecchia borghesia papale). Anche sacerdoti impiegati nella curia coprono qualche esigenza pastorale con associazioni specialmente giovanili (congregazioni mariane, confraternite, ecc.). nelle stesse parrocchie non manca qualche presenza di religiosi delle università o di studenti esteri o di impiegati di curia, ma il fenomeno è di piccola ampiezza in questo periodo.

La diocesi offre dunque un servizio religioso di normale amministrazione, ma rilevante e articolato. Parrocchie, basiliche, cappelle, scuole private, conventi, università di religiosi, clero di curia provvedono in buon ordine al bisogno. Ciò avviene anche in altre città di complesse tradizioni (Firenze, Napoli, ecc.), ma a Roma con misura ed intreccio senza confronti.

Per quanto concerne il lavoro parrocchiale, il parroco, generalmente solo, opera con tranquillità, in parrocchie spesso formate da secoli, con abitudini sperimentate e forme liturgiche ancora recepite. Non pensa che di dover proseguire e potenziare. Il parroco ha un certo rapporto umano con molte famiglie del quartiere e può coltivarlo: istruisce personalmente i bambini di prima comunione, sbriga da sé la carità, è d’uso che accompagni fino al cimitero la famiglia che ha un funerale. Può anche lasciare la parrocchia per predicare nei paesi. Se serve di qualche cappellano o anche di religiosi senza che ne venga un vero presbiterio collegiale. Neppure la figura del viceparroco 1930-1960 è ancora pensabile. Non ci sono problemi di pastorale missionaria (non se ne avverte il bisogno, cioè), né di rinnovamento liturgico. Quando arriva l’Azione Cattolica (siamo intorno all’anno ’30), imposta da Pio XI, essa è una novità troppo eterogenea al quadro generale e viene respinta dai parroci. Diventa il contenzioso per una grave frattura col clero più giovane, senza che se ne comprendano tutte le implicazioni, non esistendo vere teologie del laicato. Quel conflitto resta ancor oggi, ma i suoi contenuti si sono via via modificati.

Ma il tempo dell’ordinaria amministrazione, il tempo della preistoria pastorale sta per finire. Non per colpa dell’Azione Cattolica, prodotto convenientemente adulterato prima di essere immesso nei consumi di massa; a Roma si comincia a verificare un fatto che assume proporzioni sempre maggiori, e che non si arresta: l’espansione urbanistica. Essa segna l’inizio di un profondo rinnovamento della struttura cittadina ed impone nelle cose una situazione pastorale veramente nuova.

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Ai Vescovi Che Vengono A Roma Per Il Sinodo Episcopale

Fratelli nel Signore,

“abbiamo udito parlare della fede vostra nel Signore Gesù e del vostro amore per tutti i santi e non restiamo mai dal rendere grazie per voi facendo menzione di voi nelle nostre preghiere” (Ef. I, 15-16)

“La fede del Vangelo è giunta sino a Voi e sta portando frutto e crescendo in tutto il mondo” (Col. I,6)

“Desideriamo vivamente vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale affinché siate fortificati, o meglio, perché quando saremo tra voi ci confortiamo a vicenda” (Rom. I, 11-12)

“In Cristo siete stati arricchiti in ogni cosa, in ogni dono di parola e in ogni conoscenza, essendo stata la testimonianza di Cristo confermata tra voi, in guisa che non difettate di alcun dono” (I Cor. I, 6-7)

“E tutto il corpo ben collegato e ben connesso mediante l’aiuto fornito da tutte le giunture trae il proprio sviluppo nella misura del vigore d’ogni singola parte per edificare se stesso nell’amore” (Ef. I,10)

“Affinché essendo radicati e fondati nell’amore siate resi capaci di abbracciare con tutti i Santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l’altezza, la profondità dell’amore di Cristo e di conoscere questo amore che supera ogni conoscenza affinché giungiate ad essere ripieni di tutta la pienezza di Dio” (Ef. 3,18-19)

Fratelli, abbiamo dinanzi il racconto di Atti 15, il fraterno, chiaro, rispettoso, fiducioso, spirituale incontro fra gli apostoli, gli anziani, la moltitudine. E i fedeli sparsi nel mondo che attendevano quella lettera di liberazione, di fiducia e che “si rallegravano della consolazione che recava” (31). E quell’inviasi dei fratelli, Paolo e Barnaba (2), Giuda e Sila (22) per uno scambio di “uomini autorevoli, profeti”, teologi, per un dialogo lungo, esauriente, per una vera compenetrazione di carismi.

Fratelli, così vi vediamo giungere tra noi, da quell’immagine non sappiamo prescindere. Il vostro incontro con la Chiesa di Roma non è un fatto che risuona nel sensazionale, nella alta politica e diplomazia, nel sottile gioco di competenze e di astuzie. Esso è un incontro interiore nel quale voi portate i carismi delle vostre Chiese e venite a porli, non a gettarli, certo, sulla tavola eucaristica perché si comunichino l’un l’altro in un’ultima fusione di amore che diventa, dopo la purificazione dell’ultimo confronto, la lode a Dio pura e immacolata, l’”Eucaristia”, il ringraziamento e l’offerta a Lui; e l’accordo sincero diventa ricchezza comune, comunione e quindi presenza di Cristo, secondo la Sua promessa.

Se vi pensassimo portatori di altro che delle ricchezze dello Spirito della vostra Comunità, raccolte e purificate alla Eucaristia della vostra Chiesa locale, vi penseremmo portatori di peccato. E se vi si volesse imporre altro che “ciò che è necessario” (Atti 15,28) per mantenere comunione con noi, fosse anche un nostro carisma, si estinguerebbe lo Spirito. E comunicando altro che lo Spirito saremmo responsabili di una falsa comunione, di un falso corpo di Cristo.

Preghiamo il Signore, Padre di ogni benevolenza perché in questi giorni renda Voi e chi raccoglie la voce della comunità di Roma capaci di parlare dello Spirito delle Chiese (Apoc. 5,6) in un dialogo vero e liberatore, quale lo desideriamo per vedere le vostre comunità e la nostra “portare frutto in ogni opera buona” (Col. I,10)

E state sani. (Atti 15,29)

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Esperienze Di Consiglio Pastorale Diocesano

L’esperienza di consiglio pastorale diocesano riportata nella lettera n. 2 ha suscitato richieste di pubblicazione di ulteriore documentazione in merito.

Mentre restiamo, perciò, in attesa di interventi e contributi da parte di coloro che si sono occupati del problema nella chiesa locale di Roma, pubblichiamo, stralciandola da “Il Regno” (n. 7 articolo di E. Franchini: ‘Il patrimonio ecclesiastico è del popolo di Dio’), una esperienza di consiglio pastorale realizzata nella chiesa locale di Reggio Emilia.

Pur non rientrando nei nostri propositi una attività di sistematica documentazione sui problemi delle comunità ecclesiali, per altro già ottimamente svolta da alcune riviste e bollettini che segnaliamo a parte, riteniamo tuttavia che l’esperienza appresso riportata si inserisca utilmente nella riflessione che abbiamo avviato la volta scorsa in merito alla partecipazione dei laici alla elaborazione delle linee di una rinnovata pastorale.

Diocesi di Reggio Emilia – A Reggio Emilia il consiglio pastorale si compone di membri eletti da tutti i cresimati della diocesi; analogamente, il consiglio presbiterale è eletto da tutti i sacerdoti.

Nell’ottobre del 1967, il consiglio presbiterale ha avviato il discorso di una radicale riforma dell’amministrazione dei beni ecclesiastici, col fine di rendere l’intera comunità dei fedeli responsabile delle scelte per la loro utilizzazione pastorale. Nel dicembre dello stesso anno tutto il presbiterio diocesano è stato investito del problema. Quindi il consiglio presbiterale 1) ha fatto un’inchiesta presso tutti i sacerdoti per sentirne i pareri; 2) ha reso pubblici i risultati dell’inchiesta perché tutti i fedeli potessero a loro volta pronunciarsi. Su questa base il consiglio pastorale ha proposto le sue conclusioni.

I criteri della riforma sono i seguenti: 1) come Cristo, la Chiesa deve essere povera, cioè non confidare nei mezzi materiali, non compromettersi col mondo; 29 la Chiesa è comunità: quindi i beni di cui dispone sono della comunità; 3) è necessario rapportare i beni temporali ai fini ecclesiastici; 4) realizzare tra le diverse comunità una certa perequazione nella disponibilità dei beni materiali; 5) provvedere alla sicurezza economica e all’assistenza dei Presbiteri; 6) liberare i Presbiteri da impegni amministrativi affidandoli a laici e diaconi.

Oltre il 67% dei Presbiteri ha votato. Dovendo scegliere tra tre tipi di gestione – parrocchiale, vicariale o centralizzata – la maggioranza si è pronunciata per la gestione parrocchiale.

Così pure a maggioranza è stata approvata la proposta di costituire un fondo diocesano per interventi patrimoniali, col compito di salvaguardare il patrimonio, di deciderne eventuali permute, di garantirne l’economicità; una cassa di comunità, col compito precipuo della perequazione tra il clero e tra le parrocchie; una mutua diocesana del clero, per l’amministrazione unitaria delle varie necessità assistenziali.

Questi tre organismi sono tutti di derivazione comunitaria; non sono governati da persone scelte dal Vescovo, ma da persone elette dalle chiese locali.

Il consiglio presbiterale stabilirà una programmazione diocesana di opere socio-religiose cui sarà subordinato ogni atto amministrativo.

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Ci è pervenuto il seguente resoconto di

Un Esame Canonico Per L’Ammissione Alla Professione Perpetua

Esaminatore – Da quanti anni è in convento?

Conversa – Dal febbraio del 1962

E. – Che fece in questi anni?

C. – Negli otto mesi di postulandato e nell’anno di noviziato studiai, attraverso gli scritti dei fondatori e dei Santi dell’Ordine, lo spirito proprio dell’Istituto, le Regole e le Costituzioni. Nel secondo anno di noviziato iniziai il corso nell’Istituto Magistrale e contemporaneamente frequentai un corso quadriennale di filosofia, Sacra Scrittura, Teologia Morale e Teologia Dogmatica indetto dal Vicariato di X.

Dopo gli esami di abilitazione fui trasferita a Roma per seguire i corsi superiori.

E. – Mi dica le tre Persone della SS. Trinità, che sono…

C. – Padre, Figlio e Spirito Santo

E. – … che cosa hanno in comune?

C. – La natura divina per cui ci sono tre Persone reali e distinte, ma un …

E. – E lo Spirito Santo chi è?

C. – La terza persona divina che dall’eternità è generata nell’amore scambievole tra il Padre e il Figlio

E. – Che cosa è lo stato religioso?

C. – E’ un modo stabile di vivere in comune e mediante il quale …

E. – Qual è, secondo lei, la virtù fondamentale per vivere in comune?

C. – Penso, anzi, sono convinta che è la carità

E. – Figliolo, è l’umiltà, è l’umiltà …

C. – Se si cerca la perfezione di una virtù ne segue immediatamente la pratica anche delle altre; tuttavia la carità …

E. – Che ne pensa lei dell’umiltà?

C. – E’ la nostra completa adesione all’azione dello Spirito Santo in noi e lo Spirito Santo si manifesta con le sue ispirazioni nei doveri del nostro stato e specialmente nelle esigenze di giustizia e carità come dice pure l’Istruzione sull’aggiornamento della formazione alla vita religiosa. Personalmente sono certa che sarò tanto più umile quanto più riconoscerò non solo i miei limiti, ma pure le mie capacità, i talenti che mi sono stati affidati e mi impegnerò a farli fruttificare tutti il massimo possibile.

E. – Ma si consideri sempre servo inutile. Vede: Dio poteva benissimo Fare a meno di me, di lei, …

C. – Senz’altro! E ne sono più che convinta! Ma poiché m’ha chiamato ad “essere”, m’ha dato pure un ruolo da svolgere, un fine da raggiungere e, se per amore alla santa umiltà debbo considerarmi l’ultima ruota del carro, mi considererò tale, purchè sia “ruota” ossia assuma in modo dinamico la mia parte, non mi fossilizzi, non diventi pezzo morto da trascinare.

E. – Preghi lo Spirito Santo che le doni molta umiltà.

C. – Sì, lo pregherò il meglio possibile.

E. – Il Signore la benedica figliola!

E’ stato rilasciato un documento ove risulta che la candidata “diligentemente esaminata” non presenta ostacoli e dimostra di conoscere il catechismo, il diritto canonico riguardante le religiose e di voler emettere spontaneamente i S. Voti.

Ciascuno potrà soffermarsi, se lo vorrà, a valutare il tenore delle domande formulate dall’esaminaatore. A noi, in questo momento, interessa particolarmente evidenziare la coscienza teologica che la suora dimostra di possedere, che è segno di tempi nuovi anche per la vita degli ordini religiosi.

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Riportiamo alcuni indirizzi di riviste di informazione e documentazione sui problemi ecclesiali, la cui lettura consigliamo vivamente agli amici, col proposito di citare in avvenire articoli e notizie specifiche di queste ed altrefonti, per un approfondimento dei problemi affrontati sulle pagine de “La Tenda”:

  • “INFORMATIONS CATHOLIQUES INTERNATIONALES” – bimensile di informazione religiosa –163, bd. Malesherbes, Paris (17e) France ;
  • “IL REGNO” – attualità cattolica – via Nosadella, 6 – 40100 Bologna ;
  • “BOLLETTINO DI COLLEGAMENTO FRA COMUNITA’ CRISTIANE IN ITALIA” – c/o Piccolini – via delle Cascine, 22 – 50144 Firenze.