Lettera 2 (Prima Serie)

Presentazione

Vi raggiungiamo, amici, nel mezzo del periodo estivo, quando si fa più ampio il tempo per la riflessione e per la ricerca, sempre che si riesca a stare lontani da una vacanza dispersiva ed alienante. Ci auguriamo perciò che questa lettera faccia compagnia a coloro che partono, provocando occasioni di ripensamento, mentre per quelli che sono già fuori si tratterà solo di rinviare di qualche giorno la ripresa del dialogo. Ci sono giunte varie lettere di consenso con promessa di collaborazione, confermandoci quanto sia necessario offrire alla comunità un veicolo di dialogo per i problemi della chiesa locale e incoraggiandoci nel lavoro. Ringraziamo tutti e attendiamo che altri amici, i quali finora, per motivi vari, non hanno potuto farlo, ci scrivano partecipandoci loro impressioni, punti di vista, esperienze e problemi.

Anche questo numero offre una larga possibilità di intervento su temi che vi sottoponiamo come ipotesi di lavoro.prosegue la presentazione di dati sulla situazione del clero a Roma; diamo una traccia per lo studio del problema delle nuove chiese; sottoponiamo all’attenzione di tutti la prima esperienza di consiglio pastorale diocesano a Roma. In più, l’arrivo nella nostra comunità ecclesiale di un nuovo Vescovo, ci ha dato modo, oltre che di rivolgergli un fraterno saluto, di fare alcune riflessioni sulla partecipazione del popolo di Dio alla designazione del

Vescovo.

Inviandovi il nostro saluto vi auguriamo serene vacanze

Il gruppo “La Tenda”

 

Nuove Chiese A Roma

 

LA Pontificia Opera per la Preservazione della Fede, istituita nel 1930 con lo scopo di rispondere organicamente alla domanda di edifici sacri che una città in grande espansione come Roma poneva, esprime già nel nome l’ispirazione che l’ha costantemente guidata nel compito affidatole.

Occorreva salvaguardare il volto religioso della “Città Eterna”, ponendo i segni visibili del sacro in termini di giurisdizione, di possanza esteriore, di servizio liturgico, e per far ciò era necessario far corrispondere all’incremento continuo di popolazione l’erezione di nuove strutture parrocchiali.

L’impressione di “moderna crociata” che si coglie subito in un tale programma e che ci induce a facili giudizi, deve tuttavia far posto ad una seria indagine, la quale evidenzi i significati ed i valori che debbono essere realizzati nella costruzione di edifici sacri, inserisca tale impegno in una moderna prospettiva pastorale ed esprima un conseguente giudizio motivato sull’impegno sino ad oggi esplicato in questo campo. E’ questo il compito che ci proponiamo di affrontare attraverso uno studio attento ed una ampia riflessione da portare avanti nei prossimi mesi.

In questo momento ci preme fissare alcune linee lungo le quali muoverci, così da offrire subito agli amici un’occasione di partecipazione alla ricerca.

Affronteremo, in primo luogo, il discorso delle nuove chiese in chiave pastorale, chiedendoci quali funzioni debba assolvere il luogo di culto in un’area urbana e cercando di individuare alcuni criteri che possano suggerire un programma di costruzione dei luoghi di incontro del popolo cristiano.

In questa fase esamineremo l’impostazione attualmente vigente a Roma, ricercando le motivazioni di orine teologico e pastorale che hanno ispirato il tipo di impegno sino ad oggi assolto, di modo che un eventuale giudizio difforme si innesti nel profondo di tali motivazioni.

A questa prima fondamentale ricerca, faremo poi seguire l’esame di alcune implicazioni, in primo luogo di ordine architettonico. Sarà opportuno inquadrare il problema nel più ampio discorso dello sviluppo urbanistico della città, nella quale la nostra Chiesa è incarnata, onde evidenziare modelli di costruzione, per i momenti comunitari del popolo di Dio, che restituiscano all’uomo la sua dimensione più autentica. Su questa base l’allacciamento costante alla problematica pastorale servirà a conferire, al discorso architettonico, dei precisi contenuti ed a prevenire impostazioni non consone al tipo di utilizzazione voluto.

Secondo importante problema sarà quello dell’uso dei mezzi economici che, adeguatamente sviluppato nella prospettiva della chiesa dei poveri, esigerà, da tutti noi, precise e inequivocabili scelte, cui avremo il dovere di richiamare fermamente tutti i fratelli.

Questo discorso ci permetterà, inoltre, di evidenziare i termini di un impegno di tutta la comunità dinanzi alla responsabilità di provvedere essa stessa alle strutture essenziali per il momento dell’incontro, e di rivedere certe concezioni di intervento dall’alto, che hanno acquistato una dimensione preoccupante.

Da tutto questo lavoro ci auguriamo possa emergere una coscienza più precisa di quello che deve essere un luogo di incontro e di preghiera e dei modi più idonei per realizzarlo.

E’ dalla collaborazione degli amici tutti che il discorso potrà crescere e scendere in profondità. Facciamo in modo che non siano più soltanto gli architetti e gli esperti finanziari a trattare di queste cose che ci riguardano tutti. Solo così il discorso diventerà finalmente completo, uscendo dall’alveo della specializzazione, dove spesso sono stati mortificati importanti valori religiosi ed umani che abbiamo il dovere di ripristinare.

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Consiglio Pastorale Diocesano A Roma

 

 

Sottoponiamo all’attenzione degli amici l’esperienza vissuta da uno dei componenti la sezione di studio del consiglio pastorale diocesano per la “vita familiare”, così da fornire un’utile occasione di riflessione a tutti coloro che si attendevano, dall’attuazione di tale organismo, l’avvio di una reale partecipazione della base alla costruzione di una rinnovata pastorale diocesana nello spirito del Concilio.

Il 14 dicembre 1967 veniva convocata, presso la sede del Vicariato, la prima riunione della sezione di studio per la “vita familiare”, con il seguente ordine del giorno:

  1. presentazione dei membri da parte del Segretario del Vicariato Mons. Giaquinta ed elezione del Presidente della Sezione
  2. primo contatto per precisare i problemi, il metodo, i tempi di lavoro delle riunioni.

Era allegato l’elenco degli invitati, nominati dal Vicariato di Roma, in rappresentanza di varie organizzazioni, e precisamente: Centro italiano di sessuologia; Consultorio familiare presso l’Istituto M. Rimordi; Centro cattolico di preparazione al matrimonio; Equipes Nôtre Dame; movimento di spiritualità familiare; Unione uomini di A.C.; Unione donne di A.C., G.I.A.C.; G.F.A.C.; A.G.C. (guide);A.S.C.I. (scouts); Rinascita cristiana; Unione cattolica italiana insegnanti medi; Movimento maestri di A.C.; Associazione medici cattolici; C.I.F.; Fronte della famiglia.

Mons. Giaquinta, nell’introdurre la riunione, comunicava la decisione di costruire in Roma il Consiglio Pastorale per affiancare il lavoro del Consiglio Presbiterale, al quale erano stati chiamati sacerdoti con grande esperienza; a tale scopo era stato elaborato un ordinamento provvisorio,diramato dal Vicariato di Roma l’11 febbraio 1967. Tenendo conto delle numerose “opere” esistenti in Roma e dei numeraosi movimenti presenti (circa 200), non potendosi configurare il Consiglio Pastorale come un parlamento, l’ordinamento prevedeva la creazione di sezioni di studio (in numero di 15), le quali avrebbero dovuto affiancare il Consiglio, ma che non dovevano essere considerate come costituenti lo stesso. Soltanto il Presidente delle sezioni diveniva membro effettivo del Consiglio Pastorale. In tutte le sezioni erano inoltre rappresentati i quattro rami dell’Azione Cattolica, i quali però, essendo membri di diritto del Consiglio Pastorale, non avrebbero votato nella elezione dei Presidenti delle singole sezioni.

Mons. Giaquinta chiariva poi che i rapporti del Vicariato con la sezione di studio, al limite, potevano considerarsi conclusi dopo la elezione del Presidente delle singole sezioni, in quanto non potendosi, il Vicariato, interessare delle singole attività, lasciava la più completa libertà operativa, nel quadro del programma che sarebbe stato approvato dal Cardinale Vicario. Chiariva infine il carattere consultivo del Consiglio Pastorale, il quale avrebbe dovuto fornire un contributo di idee e di esperienze.

Da parte di alcuni membri della sezione furono sollevate difficoltà circa un’elezione del Presidente già nella prima riunione, perché mancava una conoscenza reciproca tra i vari membri della sezione stessa, nonché dei fini e dei metodi delle varie organizzazioni presenti. Fu allora convocata una riunione per l’11 gennaio 1968, nella quale, prima che fosse iniziato lo scambio di idee auspicato nella precedente seduta, né essendo stata, nel mese intercorso, presa alcuna iniziativa per favorire un contatto più vivo e profondo fra tutti, fu chiesta l’elezione del Presidente, che avvenne all’unanimità in base a preliminari accordi (!). I rappresentanti che avevano intenzione di pervenire ad una regolare votazione sulla base di esposizioni di programmi, non ebbero altra scelta che rimettersi alla volontà della maggioranza!

A giustificare una così rapida procedura fu addotto il motivo dell’esperimento connesso all’attuazione dell’ordinamento: non esisteva, infatti, un tempo definito per la durata della carica, che doveva essere considerata sempre a disposizione, per qualunque sostituzione.

Si discusse poi, piuttosto accademicamente, sulla problematica familiare, concludendo sulla necessità di predisporre corsi per la preparazione al matrimonio e di istituire consultori familiari. Una esigenza fondamentale sembrò individuata nella educazione, non solo religiosa, degli adulti nei confronti delle realtà familiari.

Fu quindi convocata una terza riunione per individuare i temi e le persone che, in un modo ancora da stabilire, sarebbero state investite dalla trattazione.

Nella terza riunione del primo febbraio, furono ribadite le proposte già fatte nella precedente e sollevati alcuni problemi di metodo per rendere produttivo e correttamente inquadrato il lavoro della sezione di studio (?).

Fu posto il problema circa i limiti che avrebbero dovuto avere l’affiancamento al consiglio presbiterale; se questo lavoro si sarebbe dovuto limitare a fornire “informazioni” circa la situazione romana e proposte operative, oppure se la sezione avrebbe avuto dei compiti anche esecutivi. Se si fosse verificata questa ultima esigenza sarebbe stato bene valutare la opportunità di affidare tali iniziative ai movimenti già qualificati a svolgerle, piuttosto che creare doppioni ed interferenze. Una volta affidato un compito ad un movimento, la commissione avrebbe dovuto solo controllarne i risultati per coordinare il lavoro degli altri movimenti.

A questo punto fu sollevato il problema dei “rapporti” della sezione di studio con il Consiglio Presbiterale e con le altre realtà organizzative (consulta per l’apostolato dei laici, ecc.), e si decise perciò una convocazione per il 7 marzo, dopo la prima riunione del Consiglio Pastorale, con tema: “Pastorale familiare”. In tale incontro si sarebbe potuto orientare meglio il lavoro, dopo essere venuti a conoscenza dell’orientamento del Consiglio stesso.

La seduta fu poi rinviata perché, a tale data, non aveva ancora avuto luogo la prevista riunione del Consiglio Pastorale.

Il 27 maggio fu inviato a tutti i membri della commissione un questionario sui “Problemi socio-religiosi più urgenti della Diocesi”, dopo di che è stata sospesa ogni attività.

Riteniamo opportuno pensare, a questo punto, che, tutto considerato, visto il tipo di struttura che era stato messo in piedi, quest’ultima fu probabilmente la decisione più saggia!

A noi sembra infatti che, per la pesantezza e la farragine della struttura, per la chiamata dall’alto dei membri delle commissioni, per la mancanza di spazio a qualsiasi movimento spontaneo, per l’artificiosità dell’elezione dei Presidenti delle commissioni stesse e la precarietà della loro carica, il Consiglio Pastorale nasceva già condannato a vita breve e sterile.

Il fatto che tale organismo non sia stato più convocato, d’altra parte, riteniamo abbia ulteriormente manifestato come alla base della sua creazione stesse soltanto la volontà di ottemperare, da parte dell’autorità diocesana, alle disposizioni superiori, senza volerne tradurre minimamente lo spirito.

Riportiamo, senza ulteriori commenti, per un utile confronto, quanto è detto nel decreto conciliare: “E’ grandemente desiderabile che in ogni diocesi si costituisca una Commissione pastorale, che sia presieduta dal Vescovo diocesano, e della quale facciano parte sacerdoti, religiosi e laici, scelti con particolare cura. Sarà compito di tale Commissione studiare ed esaminare tutto ciò che si riferisce alle opere di apostolato, per poi proporre pratiche conclusioni.” (Christus dominus, VII-27,e).

++ Non siamo a conoscenza di ciò che è avvenuto nelle altre 14 sezioni e restiamo perciò in attesa di notizie da parte di coloro che vi hanno partecipato.

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Riflessioni Sul Clero Romano (2)

Nella lettera di giugno, abbiamo considerato il clero diocesano sotto il profilo quantitativo; sempre in un primo approccio conoscitivo, concentriamo l’attenzione sul clero parrocchiale (parroci 102, viceparroci 64, vedi Tab. 2, “La Tenda” giugno 1969, a pag. 7) –oppure—versione originale?9?)), al quale dedicheremo il resto delle nostre note.

Il clero parrocchiale (“Le parrocchie di Roma”, 1969, edito a cura del Collegio dei parroci, pagg. 35-63) è distribuito come nella seguente

Tabella 4

SACERDOTI A PIENO TEMPO

(parroci e viceparroci)

NELLE PARROCCHIE DEL CLERO DIOCESANO A ROMA

Parrocchie Sacerdoti
Con 1 sacerdote (parroco) 18 18
Con 2 sacerdoti 67 134
Con 3 sacerdoti 19 57
Con 4 sacerdoti 2 8
Totali 106 [*] 217

[*] La differenza di quattro unità fra la Tab. 2 e la 4 dipende dall’aver in quest’ultima compreso

le 4 parrocchie completamente affidate a sacerdoti di altre diocesi.

Notiamo anzitutto lo scarto di 51 sacerdoti tra la Tab. 4 e la Tab. 2 (linee a, b), che indica i sacerdoti diocesani di Roma in parrocchia. Evidentemente la Tab. 4 comprende anche sacerdoti non della diocesi, ma che esercitano il loro servizio a tempo pieno nelle parrocchie romane.

Già notavamo, in nota alla Tab. 2, la linea a, che solo una finzione giuridica fa dei 106 parroci della città dei preti romani. Possiamo ora aggiungere lo stesso per i 47 dei 111 viceparroci (ciò spiega anche la diversità delle Tab. 2 e 4 circa il numero dei viceparroci).

La Tabella che stiamo considerando indica che per il 60% le parrocchie romane sono affidate a due sacerdoti (parroco e viceparroco). Cerchiamo ora il rapporto numerico esistente fra sacerdoti e battezzati. Ci aiuteremo con la seguente tabella (Annuario della diocesi di Roma, 1969, pag. 748), che si riferisce però a tutte le parrocchie della città, comprese quelle dei religiosi.

Tabella 5

PARROCCHIE DIVISE PER

AMPIEZZA DI POPOLAZIONE

Abitanti Parrocchie
Meno di 5.000 60
Da 5.000 a 10.000 75
Da 10.000 a 15.000 49
Da 15.000 a 20.000 36
Da 20.000 a 25.000 6
Da25.000 a 30.000 6
Oltre i 30.000 9
241

 

Più del 50% delle parrocchie romane ruota intorno ai 10.000 abitanti, come del resto risulta dividendo gli abitanti della diocesi (2.541.000, ivi , pag. 747) per 241 parrocchie.

Collegando assai empiricamente le indicazioni delle Tab. 4 e 5, soprattutto per i termini medi (il 60% delle parrocchie con 2 sacerdoti, il 50% delle parrocchie con 10.000 abitanti), potremo servirci di un rapporto, tra sacerdoti e cristiani (battezzati) della stessa parrocchia, nella misura di circa 2 a 10.000.

Desideriamo non sostituirci agli amici lettori nella riflessione sulle cifre; pensiamo tuttavia che essi, a questo punto, si porranno qualche problema circa il contatto umano che il rapporto statistico di 1/5.000 sottende.

Riteniamo allora opportuno dare il seguente ulteriore elemento da tener presente nella riflessione.

I sacerdoti interessati a cambio di comunità (nomina a parroco, semplice trasferimento, pensionamento, ecc.) sono 40-50 per anno, con aumento di mobilità negli ultimi anni. (Mancano statistiche ufficiali, vedere tuttavia “Annuario della diocesi di Roma” pagg. 783-787, 749, e “I parroci di Roma pagg. 71-73, e 76-77). Ciò, statisticamente parlando, significa che tutti i sacerdoti diocesani delle parrocchie, cambiano comunità ogni 5 anni circa (5 x 45 = 225).

In altri termini una media parrocchia di Roma, individuata grosso modo in due sacerdoti/10.000 battezzati, dei suoi due sacerdoti ne vede cambiare uno ogni due/tre anni.

Si sa che la ripercussione del movimento dei membri sulla vita di una comunità è tanto più profonda quanto maggiore era l’integrazione dei suoi componenti. O, capovolgendo, la possibilità di profonde integrazioni dei membri. Se poi si aggiunge che anche i cristiani sono soggetti a cambio di parrocchia (matrimoni, cambi di domicilio), si avrà ancora un elemento per chi desidera riflettere sul reale rapporto umano tra sacerdote e comunità.

Ci limitiamo a riassumere queste brevi note: nella diocesi di Roma, gruppi di battezzati di 10.000 persone, discretamente mobili, sono collegati con due sacerdoti che non restano in quel rapporto, e nei successivi, più di 5 anni.

Lasciamo a voi, amici, la meditazione sulle implicazioni di queste cifre riguardanti la situazione del clero romano sotto l’aspetto del rapporto clero-fedeli, e solo per quanto riguarda numero e mobilità.

 

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Il Nostro Saluto A Mons. Ugo Poletti, Vicegerente Di Roma

 

Nel primo numero de “La Tenda”, l’intervista del Card. Suenens alle “Informations catholiques internationales” ci aveva offerto l’occasione di inquadrare il problema dell’elezione del Vescovo nella nostra chiesa locale, mettendo in guardia dai facili entusiasmi per una teorizzazione che, superficialmente innovativa, rivelava una sostanziale chiusura all’esigenza insopprimibile della comunità di esprimere il suo Vescovo.

Ora, pur in questi tempi in cui nella chiesa locale di Roma si cerca di avviare un qualche rinnovamento, dobbiamo costatare con amarezza che nessuna inversione di tendenza si profila ancora nella designazione dell’”entourage episcopale” che governa la diocesi. La comunità vede, all’improvviso, apparire sull’orizzonte gerarchico, un altro pastore sconosciuto, proveniente da altri luoghi e da altre esperienze, privo di ogni autentica conoscenza della comunità che è chiamato a guidare.

E’ il caso di Mons. Ugo Poletti, recentemente giunto a Roma per svolgere le sue funzioni episcopali; giunto all’insaputa della comunità e persino, se è vero quanto si dice, del clero e dei vescovi suoi colleghi che hanno appreso la nomina dall’”Osservatore romano”. Il Cardinale Vicario in apposito incontro presentava a ridosso delle sue proprie funzioni, attribuendogli particolarmente i compiti pastorali (cosa altro resta?….) e la coordinazione degli altri Vescovi ausiliari.

E’ vero, per quanto concerne le procedure, che un minimo di reciprocità ce lo meritiamo, noi che da Roma abbiamo riempito il mondo di Vescovi, ma pur con tutto lo spirito di rassegnazione di cui cerchiamo di munirci, non possiamo non avvertire la sofferenza di un metodo che ritarda ancora nella nostra chiesa locale ogni necessaria chiarificazione. Con questo non vogliamo mettere in dubbio le capacità e l’apertura di Mons. Poletti che, come noi, subisce, ma non vi era costretto, una decisione maturata fuori di lui. Noi crediamo alle sue capacità, al suo proficuo lavoro in altre comunità (merito, non argomento da credenziali) e ci domandiamo appunto dove trovi giustificazione un provvedimento che trapianta (sarà l’epoca) il Vescovo da una diocesi all’altra. Noi crediamo che la “provvista di Chiese”, come ancora la chiama l’Osservatore Romano, non sia da condursi sul modello del movimento dei prefetti di nomina governativa e sedi sempre più prestigiose.

Ma noi ci auguriamo che, malgrado la premessa tutt’altro che positiva per l’avvio di un’azione efficace ed incisiva, il nuovo vicegerente riesca a svolgere il suo compito nel miglior modo possibile. Anzi, insieme con il rammarico per l’aver perduto ancora un’occasione per tradurre in un fatto di tutta la comunità la designazione di un nuovo Vescovo, vogliamo esprimere a Mons. Poletti il nostro augurale saluto, nella speranza di trovare in lui una persona aperta ed una pastorale nuova.

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