Lettera 25 (Seconda Serie)

In questo numero come promesso pubblichiamo le relazioni e il dibattito del 1° Incontro de “La Tenda” sul Concilio Vaticano II che si è tenuto nella Parrocchia dei Santi Simone e Giuda Taddeo a Torre Angela a Roma il 10 novembre.

Abbiamo visto prima il filmato che, se pure era già stato presentato dalla RAI, è stato per la maggioranza di noi una scoperta, un “riassunto” vivo e completo della storia del Concilio visto con un occhio critico ed attento. A seguire la relazione di Fr. Massimo Fusarelli ofm. che ha spiegato gli assi (orizzontale e verticale) del rinnovamento del concilio.

Come spesso facciamo nei nostri incontri, il pomeriggio è stato dedicato alla presentazione di esperienze che, nella vita vissuta all’interno della comunità cristiana, dimostrino il significato che ha avuto il rinnovamento conciliare. Hanno quindi presentato la loro esperienza due coppie:

Chiara e Tommaso della provincia di Cosenza ci hanno parlato della evoluzione della teologia della coppia che si è sviluppata attraverso il Concilio e della loro esperienza nell’ “Equipe de Notre Dame”

Mara e Giuseppe ci hanno parlato dell’avvicinamento di Mara alla fede attraverso la lettura delle Scritture e del ruolo che la teologia conciliare sulla centralità delle Scritture ha avuto nella sua scelta di adesione alla vita cristiana.

Il pranzo comunitario nell’intervallo del Convegno sul Concilio

Il dibattito che ha accompagnato le relazioni ha dimostrato che intorno a questi temi c’è un grande interesse e una partecipazione attenta.

Un significato particolare assume nei nostri incontri l’aspetto “conviviale” l’incontrarsi o spesso il rincontrarsi, lo scambio, la generosità del cibo e del servizio (in questo caso messo a disposizione dalla Comunità parrocchiale di Torre Angela), costituiscono parte integrante del fare vita concreta della nostra ispirazione cristiana e della nostra riflessione comunitaria e contemporaneamente dell’elaborazione di queste a partire proprio dalla concretezza dei rapporti comunitari. E’ lo stile della comunione-comunicazione che ci appartiene e che vorremmo condividere con voi.

Ci siamo lasciati andare più del solito in questa breve introduzione a parlare del nostro incontro e quindi di noi, scusateci ma certe volte ci pare che, se pur questa nostra lettera è ricevuta spesso con un interesse che ci lusinga, non riesca sempre a suscitare quel dialogo che cerchiamo.

Il prossimo incontro, che si terrà il 20 aprile, affronterà, di nuovo alla luce del Concilio, il tema della riflessione sul mondo del lavoro e dell’economia con un interesse particolare al ruolo dei giovani: non vogliamo infatti solo raccontare il Concilio ma prendere in mano il metodo di riflessione, di partecipazione e di giudizio sul mondo che ha guidato i Padri Conciliari.

Sommario della 25° lettera:

  1. “La novità del Concilio” Fr. Massimo Fusarelli ofm. ( seguono le domande dei presenti e le risposte di Fr. Massimo)
  2. “In coppia per il mondo testimoni dell’amore” Chiara e Tommaso
  3. “ La lettura comunitaria del Vangelo via verso la fede” Mara e Giuseppe (segue il dibattito sulle esperienze proposte)

La novità del Concilio Ecumenico Vaticano II (Fr. Massimo Fusarelli Frate Minore)

  • COSTITUZIONE DOGMATICA Dei Verbum sulla Divina Rivelazione

Proemio

In religioso ascolto della parola di Dio e proclamandola con ferma fiducia, il santo Concilio fa sue queste parole di san Giovanni: “ Annunziamo a voi la vita eterna, che era presso il Padre e si manifestò a noi: vi annunziamo ciò che abbiamo veduto e udito, affinché anche voi siate in comunione con noi, e la nostra comunione sia col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo ” (1 Gv 1,2-3). Perciò seguendo le orme dei Concili Tridentino e Vaticano I, intende proporre la genuina dottrina sulla divina Rivelazione e la sua trasmissione, affinché per l’annunzio della salvezza il mondo intero ascoltando creda, credendo speri, sperando ami.

Capitolo 1° – La Rivelazione

Natura e oggetto della Rivelazione

Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (cfr. Ef 2,18; 2 Pt 1,4). Con questa Rivelazione infatti Dio invisibile (cfr. Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé. Questa economia della Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto. La profonda verità, poi, che questa Rivelazione manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini, risplende per noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione.

  • COSTITUZIONE PASTORALE Gaudium et spes (7 dicembre 1965)

Proemio

1. Unione della chiesa con l’intera famiglia umana.

Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è composta di uomini, i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre e hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti. Perciò essa si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia.

  • COSTITUZIONE DOGMATICA Lumen gentium sulla Chiesa

Capitolo 1° – Il Mistero della Chiesa

La Chiesa è sacramento in Cristo

Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mc 16,15), illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa. E siccome la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano, continuando il tema dei precedenti Concili, intende con maggiore chiarezza illustrare ai suoi fedeli e al mondo intero la propria natura e la propria missione universale. Le presenti condizioni del mondo rendono più urgente questo dovere della Chiesa, affinché tutti gli uomini, oggi più strettamente congiunti dai vari vincoli sociali, tecnici e culturali, possano anche conseguire la piena unità in Cristo.

– COSTITUZIONE CONCILIARE Sacrosantum Concilium sulla Sacra Liturgia

Proemio

Il sacro concilio, proponendosi di far crescere ogni giorno più la vita cristiana tra i fedeli, di meglio adattare alla esigenze del nostro tempo quelle istituzioni che sono soggette a mutamenti, di favorire ciò che può contribuire all’ unione di tutti i credenti in Cristo, e di rinvigorire ciò che giova a chiamare tutti nel seno della chiesa, ritiene suo dovere interessarsi in modo speciale anche della riforma e dell’ incremento della liturgia.

I proemi delle 4 Costituzioni del Vat. II sono testi capitali per entrare nella novità di questa grande evento ecclesiale, che Giovanni Paolo II ha definito la “bussola” della Chiesa per il terzo millennio.

In questi testi notiamo due assi fondamentali:

  1. Asse teologale o verticale: riferimento al mistero di salvezza operato da Dio, all’ascolto della Parola, alla vita cristiana dei fedeli.

Al crocevia tra questi assi c’è il principio di pastoralità,

che rappresenta il punto focale dell’intero corpo degli scritti conciliari.

  1. Asse «sociale» o orizzontale: riferimento al mondo, alla storia, alla ricerca degli uomini, ai mutamenti storici, alla comunicazione con loro a livello ormai mondiale.

Questi due assi ricordano alla Chiesa la doppia alterità in cui essa vive: dinanzi alla parola di Dio, che essa ascolta, e dinanzi ai destinatari di questa parola, che le rimandano la sua stessa eco, dato che essa è già operante in loro. Si tratta dell’esperienza teologale del cristiano, quella di un doppio ascolto: di Dio e dell’uomo, della Parola e delle parole. E questo non per difendere anzitutto qualcosa, ma per il bene del mondo, perché esso raggiunga la sua piena vocazione.

Questo doppio ascolto sarà ripreso dieci anni dopo la chiusura del Concilio da Paolo VI, nell’Evangelii nuntiandi:

1. L’impegno di annunziare il vangelo agli uomini del nostro tempo animati dalla speranza, ma, parimenti, spesso travagliati dalla paura e dall’angoscia, è senza alcun dubbio un servizio reso non solo alla comunità cristiana, ma anche a tutta l’umanità.

75. L’evangelizzazione non sarà mai possibile senza l’azione dello Spirito santo (…) Colma del conforto dello Spirito santo, la chiesa cresce. Lo Spirito è l’anima di questa chiesa. (…) Noi stiamo vivendo nella chiesa un momento privilegiato dello Spirito. Si cerca da per tutto di conoscerlo meglio, quale è rivelato dalle sacre scritture. Si è felici di porsi sotto la sua mozione. Ci si raccoglie attorno a lui e ci si vuol lasciar guidare da lui. Ebbene, se lo Spirito di Dio ha un posto eminente in tutta la vita della chiesa, egli agisce soprattutto nella missione evangelizzatrice: (…) è lui che spinge ad annunziare il vangelo e che nell’intimo delle coscienze fa accogliere e comprendere la parola della salvezza. Ma si può parimenti dire che egli è il termine dell’evangelizzazione: egli solo suscita la nuova creazione, l’umanità nuova a cui l’evangelizzazione deve mirare, con quella unità nella varietà che l’evangelizzazione tende a provocare nella comunità cristiana. Per mezzo di lui il vangelo penetra nel cuore del mondo, perché egli guida al discernimento dei segni dei tempi – segni di Dio – che l’evangelizzazione discopre e mette in valore nella storia.

Giovanni XXIII lo aveva detto in modo ispirato nel solenne discorso di apertura del Concilio: Gaudet Mater Ecclesia.

2 … Magistero che con questo Concilio si presenta in modo straordinario a tutti gli uomini che sono nel mondo, tenendo conto delle deviazioni, delle esigenze, delle opportunità dell’età contemporanea

4.2 Spesso infatti avviene, come abbiamo sperimentato nell’adempiere il quotidiano ministero apostolico, che, non senza offesa per le Nostre orecchie, ci vengano riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa.

 A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo.

  1. 4 Nello stato presente degli eventi umani, nel quale l’umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose, sono piuttosto da vedere i misteriosi piani della Divina Provvidenza, che si realizzano in tempi successivi attraverso l’opera degli uomini, e spesso al di là delle loro aspettative, e con sapienza dispongono tutto, anche le avverse vicende umane, per il bene della Chiesa.

A questi testi vediamo come la prima novità del Concilio sia stata quella di mettere in dialogo con decisione l’asse teologale della Chiesa con il rapporto col mondo, che non è esterno ad essa, ma le appartiene dal di dentro.

Paolo VI dirà che questa novità è quella che lo Spirito muove nella Chiesa non è il frutto delle strategie umane. Leggiamo in Octogesima adveniens (1971, n. 37):

Lo Spirito del Signore, che anima l’uomo rinnovato nel Cristo, scompiglia senza posa gli orizzonti dove la sua intelligenza ama trovare la propria sicurezza, e sposta i limiti dove si rinserrerebbe volentieri la sua azione; egli è abitato da una forza che lo sollecita a sorpassare ogni sistema e ogni ideologia. Nel cuore del mondo rimane il mistero dell’uomo che si scopre figlio di Dio nel corso di un processo storico e psicologico, nel quale lottano e si alternano costrizioni e libertà, pesantezza del peccato e soffio dello Spirito.

Da queste brevi note vediamo come il Concilio a voluto immaginare e plasmare la Chiesa al servizio del mondo. Il n. 44 della Gaudium et spes lo afferma chiaramente:

44. L’aiuto che la chiesa riceve dal mondo contemporaneo.

Come è importante per il mondo che esso riconosca la chiesa quale realtà sociale della storia e suo fermento così pure la chiesa non ignora quanto essa abbia ricevuto dalla storia e dallo sviluppo del genere umano. (…) viene sollecitata in ogni popolo la capacità di esprimere secondo il modo proprio il messaggio di Cristo e al tempo stesso viene promosso uno scambio vitale tra la chiesa e le diverse culture dei popoli. Allo scopo di accrescere tale scambio, soprattutto ai nostri giorni in cui i cambiamenti sono così rapidi e tanto vari i modi di pensare, la chiesa ha bisogno particolare dell’aiuto di coloro che, vivendo nel mondo, sono esperti nelle varie istituzioni e discipline, e ne capiscono la mentalità, si tratti di credenti o di non credenti. È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l’aiuto dello Spirito Santo, di ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e di saperli giudicare alla luce della parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venire presentata in forma più adatta.

(…) Essa sente con gratitudine di ricevere, nella sua comunità non meno che nei suoi figli singoli, vari aiuti dagli uomini di qualsiasi grado e condizione.

Mi sembra che questa novità sia quella che fa da spina dorsale di tutte le novità che poi sono scaturite dal Concilio Vat. II.

La Chiesa si è come ricollocata rispetto al mondo, con la consapevolezza chiara che l’annuncio del Vangelo che essa ha ricevuto (asse verticale), va proposto al mondo in modo comprensibile per i tempi mutati (asse orizzontale).

Questo fatto tocca la Chiesa stessa, la fa andare al cuore della sua vita e missione in modo nuovo.

Non è una Chiesa autosufficiente che si rivolge al mondo! È una Chiesa che sa di essere pellegrina, in cammino verso il Regno con tutti gli uomini.

Enzo Bianchi ha commentato il recente Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione:

«Sì, l’evento del sinodo, ormai “ordinario” nella vita della chiesa cattolica, ha dato un messaggio di speranza ai fedeli, ma ha anche indicato a quanti non appartengono alla chiesa e se ne proclamano estranei che i cristiani che vivono in mezzo a loro partecipano senza esenzioni alla costruzione di una convivenza più umanizzata e sanno di dover essere portatori di fiducia e di speranza. (…)

La chiesa non vuole promuovere un proselitismo che imponga il vangelo o seduca gli uomini, ma vuole che la buona notizia possa essere ascoltata da tutti, perché ogni essere umano ne ha il diritto. Per questo si impegna a evangelizzare innanzitutto se stessa e quindi a offrire una vita che abbia senso, un messaggio che affermi che l’amore vissuto può vincere la morte. Ma la chiesa nella sua opera evangelizzatrice è consapevole che il mondo non è un deserto, un vuoto senza bene e senza valori, bensì un mondo in attesa di risposte adeguate, un mondo ogni giorno abitato e plasmato dall’uomo che è sempre un figlio di Dio, una creatura fatta a immagine e somiglianza di Dio, dunque capace del bene, anche se a volte il male la ferisce e la rende disumana. Per annunciare il vangelo, i cristiani devono allora ascoltare il mondo, conoscerlo, leggerne le gioie e le sofferenze e, soprattutto, discernere in esso i “poveri”, gli ultimi, le vittime del potere e di quanti dispongono della ricchezza e non si curano degli altri. Se Gesù ha dichiarato di essere venuto a portare la buona notizia del vangelo ai poveri, la chiesa non può fare altrimenti perché, al seguito del suo Signore, è chiamata a essere innanzitutto chiesa povera e di poveri».

In questa luce possiamo leggere le “novità” più visibili del Vat. II:

– la riforma liturgica;

– la sinodalità nell’esercizio del ministero episcopale;

– la riscoperta del Popolo di Dio sulla radice del Battesimo;

– la soggettività battesimale dei fedeli laici;

– l’ecumenismo;

– la libertà di coscienza e del dialogo con le altre religioni;

– l’attenzione nuova per la giustizia e la pace.

Se isoliamo ciascuna di queste “novità” dalla chiave di lettura data sopra, avremo solo dei semplici ritocchi e non un ricollocarsi della Chiesa nel nostro tempo.

Il Vat. II compie 50 anni: sono molti, l’evento è ormai lontano da noi. Non possiamo trovare in esso le risposte alle questioni del nostro tempo. Attenti dunque a “fissare” il Vat. II come intoccabile e tantomeno a svalutarlo. Si tratta di trasmetterne oggi il senso e la lettera, in un processo di recezione, soprattutto alle nuove generazioni che non l’hanno sperimentato e non lo conoscono, che aiuti a intercettare le domande dell’oggi con i grandi orizzonti del Concilio.

Gli studiosi ravvisano la difficoltà più grande per la recezione del Vat. II nella mole straordinaria del corpus dei suoi documenti. Per questo è importante disporre di alcune domande che siano una bussola, perché non è facile orientarvisi. Per esempio:

  • Come portiamo in noi l’eredità del Vat. II?
  • Qual è il nostro orizzonte di attesa di oggi nell’accostare questo evento?
  • Quali domande del nostro tempo ci sembra più urgente mettere in contatto con l’eredità del Vat. II?

Continuiamo da qui il nostro percorso.

Interventi della mattina

Francesco Cagnetti

Assistiamo ad un cliché: Il Concilio “apre” e la Curia “chiude”, per questo dovremmo fare un Concilio ogni tanto. Sarebbe necessario ripetere il Concilio non solo per la necessaria apertura , ma perché ci sono tanti eventi accaduti dopo il Concilio: la condizione della donna; l’esperienza di libertà che è scaturita dal ’68 contro l’autoritarismo… È necessario un ricorso periodico al Concilio, perché dall’incontro dei vescovi di tutto il mondo, può scaturire altra ricchezza.

Lorenzo DAmico

Un’insegnante di fisica di liceo ci raccontava: un giorno un alunno mi fece una domanda a cui non sapevo rispondere, scesi dalla cattedra, mi misi nei banchi e dissi: non lo so, cerchiamo insieme e da quel giorno nei ragazzi/e si sprigionò una tale ricchezza che continua a stupirmi e a colmarmi di gioia. Quell’insegnante non sapeva la risposta, ma sapeva far dialogare, risvegliare il potenziale nei ragazzi/e… così i preti non devono pensarsi sempre li pronti a dare risposte, ma soprattutto devono sviluppare la capacità di far emergere il dono incredibile che lo Spirito ha messo in ciascuno e farlo dialogare con gli altri doni.

Mi pare particolarmente importante tra le cose che diceva Massimo: il doppio binario dell’ascolto della Parola e dell’ascolto dei fratelli, due realtà che devono illuminarsi a vicenda.

Tra i testi che mi hanno aiutato a cogliere la ricchezza del Concilio:

  • Congar, Vera e falsa riforma nella Chiesa.
  • G. Lafont, La Chiesa: il travaglio delle riforme.
  • G. Alberigo, Breve storia del Concilio Vaticano II.
  • G. Ruggeri, Ritrovare il Concilio.

Maurizio Firmani

Nei seminari di oggi, il Concilio come entra? Sembra che il clero giovane non lo conosca.

Paola Aversa

Dal discorso d’introduzione al Concilio: la Chiesa, -diceva il papa-, preferisce far uso della misericordia anziché, della severità; sceglie di venire incontro alle necessità dell’uomo d’oggi mostrando la validità della sua dottrina anziché con la condanna.

Primato del dialogo con l’uomo moderno e con la cultura contemporanea – diceva Martini: – né il clero, né il diritto ecclesiastico, possono sostituirsi all’interiorità dell’uomo; tutte le regole esterne, i dogmi stessi ci sono dati per chiarire la voce interna, per il discernimento dello Spirito.

Mi pare che da parte di molti vescovi ci sia ancora oggi uno sguardo manicheo: una divisione netta tra chi è dentro la chiesa e perciò il bene, e ciò che è fuori e perciò il male. Anche dentro la chiesa stessa: una divisione molto netta tra il clero che ha la verità, ed i laici che sono nell’ignoranza perpetua.

Come può il laico oggi, essere di nuovo coinvolto in un cammino comunitario di Chiesa?

Massimo Fusarelli

Queste domande toccano un aspetto fondamentale: quale ricezione è avvenuta nella Chiesa del Concilio? Non quali direttive ne sono scaturire, ma quali sono le chiavi di lettura per intenderlo oggi, nella nostra situazione? Questo è un problema enorme. Il Concilio di Trento ha richiesto molto tempo per essere accolto e anche oggi la ricezione del Concilio è un problema complesso. C’è chi idolatra il Vaticano II e chi lo disprezza, ma così se ne fa una realtà morta.

Il Vaticano II è un punto di non ritorno, ma non deve essere separato dal cammino della Chiesa. Che cosa ci aspettiamo oggi dal Concilio? Quali orizzonti dischiude? Non dobbiamo cercare nel Concilio le risposte ai molti problemi d’oggi: ad esempio nei confronti delle cellule staminali. Ciò che dobbiamo chiederci: come mettere in armonia i grandi orientamenti del Concilio con i problemi che la vita ci pone oggi? Ci deve essere un continuo circolo di interpretazione: mettere in dialogo la via che è stata aperta dal Concilio con le aspettative reali dell’uomo d’oggi. Quel modo di farsi gli interrogativi da parte dei padri conciliari, può aiutarci oggi a porci le nostre domande.

Questa trasmissione viva del Concilio è una responsabilità per tutti noi. Quanto noi cristiani rispondiamo all’appello della profezia che lo Spirito continua a fare alla Chiesa? La profezia della scelta di piccoli fatti quotidiani. Cosa fare perché le nostre Chiese diventino luogo dove c’è spazio per la profezia, senza auto investirsi come profeti? Per questo urge essere molto attenti a chi cerca una strada, anche al di fuori dei nostri recinti; restare attenti al percorso di tanti ricercatori di verità. Forse sta nascendo un modo totalmente nuovo per essere cristiani in occidente oggi e il Vaticano II è una luce che può accompagnarci in questo travaglio. Chiediamo al Signore che susciti profeti, che ci scomodi, che apra questa blindatura e crediamo nel nostro piccolo di vivere segni profetici.

Chiara Flamini

Un episodio avvenuto in una scuola media: alcuni ragazzini/e hanno messo in mezzo un insegnante, ridicolizzandolo e suscitando un caos generalizzato. Gli stessi autori di tale caos hanno poi cercato un’altra insegnante che potesse aiutarli a ritrovare l’ordine.

Un’algerina mussulmana ha risposto agli auguri che le facevo per la festa del sacrificio di Isacco, portandomi un pezzo di montone con cui avevano ricordato l’avvenimento.

I due episodi mi fanno pensare che la mia fede cristiana non mi chiama a far entrare queste persone nella comunità cristiana, ma a entrare io nella loro vita, rispettandole loro vite, aiutandoli nelle loro fatiche.

Il cammino di fede ha bisogno di un percorso che non si può pensare solo all’interno della comunità cristiana e siamo chiamati ad approfondire questo cammino, chiedendoci quali sono i riferimenti e come lasciare libero il cammino di fede.

Ci diceva un prete che ha una grossa responsabilità nella chiesa di Roma: io sogno che i cristiani che vengono all’eucarestia escano tutti fuori, lontano e siano pane spezzato per tutti coloro che incontrano.

Mara F. –Quando pensiamo all’accoglienza del Concilio Vaticano II, pensiamo spesso alla non ricezione della Curia, ma c’è un problema di Ecclesia, la non ricezione è anche di molta base, di molti laici. Noi laici dobbiamo essere capaci di affrontare la fatica del costruire il cammino, questa fatica ripaga.

Massimo Fusarelli

La ricezione del Concilio può partire dall’approfondimento dei testi, ma soprattutto: quanto è recepito tutto questo, per esempio della doppia ricchezza, Parola di Dio e parola dell’uomo? Come il Vaticano II ci ha aiutato a leggere la Chiesa come pellegrina nella storia con tutti gli uomini e non autoreferenziale? Non possiamo vivere la nostra appartenenza ecclesiale con la paura di un accerchiamento, dobbiamo vivere aperti alla ricchezza del mondo.

In un Ashram, luogo di preghiera indù in cui non ci sono mura, ho conosciuto uomini di Dio di varie religioni che si incontrano, pregano e condividono la mensa, tutte le caste insieme, e da alcuni di loro, non cristiani, ho udito parole di grande ammirazione per Gesù. Questi sono piccoli segni che generano una differenza, piccoli segni di amicizia tra uomini di diversa fede, cultura, nazione.

Paolo Tocci

Più volte nella sua relazione ho sentito il legame tra fede e mondo, quindi il mondo non è qualcosa di negativo.

Alcuni parlavano del mondo: “come fagotto puzzolente del peccato”.

Dio ha fatto tanto per creare il mondo, per santificarlo si è incarnato e il Concilio ci ha aiutati a riscoprire la preziosità di questo mondo e la preziosità della presenza di Dio, un Dio fragile, che cammina in mezzo a noi, per restituirci la nostra grandezza. Il Concilio parla non tanto di separazione, ma di immersione nel mondo.

Dio è una presenza forte nella nostra vita e dobbiamo sentirla così. Stiamo attenti ad una ecclesiologia che ci ha fatto credere che la vera vita cristiana è propria di chi fugge dal mondo, mentre Cristo ha scelto il mondo.

Massimo Fusarelli

Difendo la “fuga dal mondo”, ma da intendere come fuga dalla mondanità, non dal mondo che è buona creazione di Dio; fuga da una chiusura che è propria della mondanità, ma che è anche dentro di noi.

La mondanità vuol dire il potere, il successo… tutte cose che possono essere anche dietro il pensiero della missione; per cui è importante la fuga dalla mondanità, ma non bisogna fuggire dal mondo perché lo si pensa come un deserto di valori e di idee.

Luigi Mochi Sismondi

Noi siamo mondo non siamo solo in comunione col mondo; la Chiesa, la fede cristiana, il singolo cristiano sono parte del mondo. Tutto il nostro pensiero, la stessa religiosità è parte del nostro essere uomo.

Nel filmato che abbiamo visto si comprende chiaramente come il Concilio ha causato l’evoluzione dell’umanità, ma contemporaneamente è l’umanità che ha causato l’evoluzione della Chiesa.

Il Concilio nasce come conseguenza di tutto un mondo che ha riflettuto e sperato: “il mondo ha bisogno di noi”. La Chiesa è stata con il Concilio “motrice della storia”, ma lo è stata perché si è lasciata portare dalla storia. Dobbiamo essere contemporaneamente portati e portatori.

Micaela Soressi

volevo comunicarvi la mia gioia nel sentire tante volte ripetere la parola dialogo, e questo accresce la validità dell’essere cristiana: ascoltare, imparare dall’altro, senza perdere la propria identità che non è granitica, ma reale.

C’è una cosa che mi rende particolarmente felice: “tornare ogni giorno ad ascoltare” e questo ascolto mi toglie dal pericolo di costruire il cammino in base a ragionamenti e convinzioni solitarie, ma è una realtà che si costruisce assieme e questo il Concilio ci dice, anche se dobbiamo impararlo ogni giorno e questo esercizio ci forma.

Il vero dialogo non annulla la propria identità, ma la arricchisce, dilata la vita.

Gianfranco Solinas

Tra i vari saperi è molto importante il saper “stare nel travaglio del parto”, dono che si acquisisce chiacchierando di meno e ascoltando di più. Questo atteggiamento ci induce a gestire la paura e l’ansia, un’ansia che spesso c’impedisce l’ascolto e invece il sapersi fermare favorisce l’ascolto attento di chi abbiamo vicino con tutte le loro difficoltà e potenzialità.

Un altro libro interessante sul Concilio di G. Casale – Guai a me se non annuncio il Vangelo. Riformare la Chiesa… (Meridiana Molfetta) Una Chiesa in cui la collegialità abbia il suo spazio.

Massimo Fusarelli

Noi siamo mondo, noi siamo chiesa, noi siamo storia in una vera unità. Chiesa e mondo sono dentro un mistero che supera entrambi, che supera noi. Noi cristiani siamo nel mondo e nella stessa Chiesa, quella parte che ricorda che non c’è realtà autosufficiente.

Il Mistero è questa porta aperta verso il di più e la Chiesa stessa deve guardare continuamente verso questo oltre. Noi come cristiani e come Chiesa dobbiamo saper aprire varchi al mistero: la malattia, la morte, la gioia… Anche nelle stesse coppie che passano attraverso vari matrimoni, prima di pensarlo uno sbaglio, saperci interrogare sulle ragioni di tante rotture, e spesso ci accorgiamo che c’è il tentativo di costruire autentiche relazioni: non dobbiamo cercare di aprire un varco nel mezzo di tanto travaglio?

Gaudium et spes al n. 17 dice: “L’uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà, quella libertà a cui i nostri contemporanei tanto tengono e che ardentemente cercano e a ragione. La vera libertà, invece, è nell’uomo segno altissimo dell’immagine divina”.

In coppia per il mondo, testimoni dell’amore

Chiara Marra e Tommaso Cariati[1]

Iniziamo dando uno sguardo ad alcuni testi, così ci inseriamo nel solco tracciato questa mattina da padre Fusarelli. Premettiamo però che senz’altro il Concilio ha rappresentato un buon passo avanti rispetto alla dottrina tradizionale sul matrimonio, risalente praticamente al medioevo.

Al n. 48 della Gaudium et Spes si legge:

«L’autentico amore coniugale è assunto nell’amore divino ed è sostenuto ed arricchito dalla forza redentiva del Cristo e dalla azione salvifica della Chiesa, perché i coniugi in maniera efficace siano condotti a Dio e siano aiutati e rafforzati nella sublime missione di padre e madre. Per questo motivo i coniugi cristiani sono fortificati e quasi consacrati (corsivo nostro) da uno speciale sacramento per i doveri e la dignità del loro stato».

In questo passaggio, uno dei più pregnanti di tutti i documenti del Concilio sul matrimonio, leggiamo che “l’amore coniugale è assunto nell’amore divino” e che “i coniugi cristiani sono fortificati da uno speciale sacramento”. Queste parole segnano un progresso nella concezione della coppia e del matrimonio, tuttavia sembra che i padri conciliari da un lato avessero in mente, malgrado tutto, solo la “sublime missione di padre e madre”, e dall’altro temessero di sbilanciarsi troppo riguardo alla dignità del matrimonio e si esprimono scrivendo “quasi consacrati”[2].

A conferma di ciò, negli ultimi due righi del n. 50 leggiamo: «Perciò anche se la prole, molto spesso tanto vivamente desiderata, non c’è, il matrimonio perdura…». Sembra che i padri conciliari si siano accorti appena in tempo che vi sono coppie che, pur desiderando “tanto vivamente” la “prole”, non hanno figli, e, in extremis, hanno sistemato anche costoro, scrivendo che in questi casi “il matrimonio perdura … e conserva il suo valore e la sua indissolubilità”.

In verità, i testi del Concilio sul matrimonio ci appaiono alquanto aridi e incompleti. Abbiamo provato, allora, a cercare nella sacra scrittura, guidati anche dalla ricerca compiuta a suo tempo da Giovanni Paolo II sull’amore umano, e vi proponiamo tre testi, due dal libro della Genesi e uno dal vangelo secondo Marco.

«E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”. Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò». (Gen 1,27)

«Poi il Signore Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”. Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l’uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: “Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta”.

Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne». (Gen 2,18-24)

Qui, rispetto ai documenti del Concilio, la musica cambia: l’uomo esplode in un canto d’amore e riconosce finalmente la donna uguale a sé nella umanità e, nello stesso tempo, diversa e complementare, e adeguata al suo originario desiderio di dono di sé.

Nel vangelo secondo Marco, al cap. 10, leggiamo:

«In quel tempo, avvicinatisi dei farisei, per metterlo alla prova, domandarono a Gesù: “È lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?”. Ma egli rispose loro: “Che cosa vi ha ordinato Mosè?”. Dissero: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla”. Gesù disse loro: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto”». (Mc 10,2-9)

Commenta padre Pino Stancari, nostro consigliere spirituale di équipe:

«I farisei si rivolgono a Gesù per metterlo alla prova, una prova che riguarda la sua predicazione e la sua missione. Prendono ad esempio la relazione tra uomo e donna e chiedono qual è il diritto dell’uomo che vuole ripudiare la moglie. Questo richiamo al diritto, in una relazione in cui emerge la debolezza, quella della donna, dice che i farisei vogliono individuare un motivo di forza che permetta all’uomo di esercitare un dominio. Gesù chiarisce: quando Mosè parla dell’atto di ripudio, egli si confronta con situazioni dolorose e la sua preoccupazione è di difendere l’elemento più debole, la donna. Dunque Mosè non afferma che il diritto serve a garantire il dominio dell’uno sull’altra, Mosè si rende conto della durezza del cuore umano».

Gesù spiega che all’inizio non era così. Dio all’inizio ha creato l’uomo e la donna. Da soli non possiamo fare nulla. La relatività primigenia sta nell’essere maschio e femmina, dunque chiamati ad una relazione senza la quale non si può vivere. Il matrimonio è una vocazione e richiede un discernimento. Nell’unione del sacramento nuziale incontriamo il Signore Gesù vivente e vittorioso sulla morte.

Vogliamo ora offrirvi due testi poetici che, presentandoci visioni diverse dell’amore, ci dicono quanto prepotente sia il bisogno umano di incontrare l’altro. Il primo è di Miretta Pasqui, poetessa contemporanea.

Amore

Io gridavo: / tre miliardi di persone / – l’altra metà del cielo – / possibile nessuno senta / il mio vibrare / e non provi tenerezza / per una cellula buona / che vuol moltiplicarsi / nell’intimo tessuto di una storia? // Io gridavo: / non posso procedere oltre da sola / ho toccato i confini della terra / e la mia conoscenza / resterà opaca senza realtà complice di uomo. // Io gridavo: / voi non sapete la mia pazienza / e la speranza. / A un angolo di strada, dicevo, / un giorno qualunque / quando il desiderio non sarà più nudo / e avrò nuove parole da dire / quel giorno lui / tra miliardi di esseri foglie farfalle / lui ci sarà. // Darà conchiglie ad una donna / toccando le acque del mare / toccando – oltre il suo dolore – / la sabbia caldissima madre. // Sarà compagno di tutte le mie ore / lui misteriosa sintesi / di tutta la mia storia.

Il secondo è un celebre testo di Jacques Prevert.

Pour toi, mon amour

Je suis allé au marché aux oiseaux / Et j’ai acheté des oiseaux / Pour toi / Mon amour / Je suis allé au marché aux fleurs / Et j’ai acheté des fleurs / Pour toi / Mon amour / Je suis allé au marché à la ferraille / Et j’ai acheté des chaînes / De lourdes chaînes / Pour toi / Mon amour / Et je suis allé au marché aux enclave / Et je t’ai cherchée / Mais je ne t’ai pas trouvée / Mon amour.

Per fortuna non l’ha trovato…

Padre Henri Caffarel, fondatore, insieme alle prime quattro coppie, delle Equipes Notre Dame, amava affermare: “L’opera di padre Viollet era sociale, psicologica e morale; la mia è metafisica, teologica e mistica (corsivo nostro).” Metafisica, nel senso che essa sostiene che la differenziazione sessuale, come abbiamo visto nei testi della Genesi, è una struttura fondamentale dell’essere umano e segna l’intera persona. Teologica, poiché essa colloca l’amore umano e il matrimonio nella storia della salvezza, perciò la coppia (e la famiglia) è ben di più “della cellula fondamentale della società”, come amano dire coloro che vogliono apparire illuminati. Mistica, giacché mira a costruire delle coppie vere secondo il disegno di Dio, non tanto preoccupate della morale.

Riprendiamo il testo del n. 48 della Gaudium et Spes. “L’amore tra i coniugi ha bisogno di essere sostenuto e arricchito dall’azione redentiva di Cristo e dall’azione salvifica della Chiesa”. Dove poter trovare questo aiuto? Noi lo abbiamo cercato e trovato nel movimento delle Equipes Notre Dame[3].

Al n. 50 della GS abbiamo letto quanta importanza veniva data, ancora durante il Concilio, alla dimensione procreativa del matrimonio: “Il matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati per loro natura alla procreazione ed educazione della prole. I figli, infatti, sono il dono più eccellente del matrimonio e contribuiscono grandemente al bene dei genitori stessi…”. Questa visione del matrimonio ha avuto il suo peso nella nostra vita di coppia. Per molto tempo ci siamo sentiti non benedetti (un po’ come le mogli sterili dei patriarchi), perché ci mancava il dono dei figli, che pure desideravamo e cercavamo. La nostra fecondità, la fecondità di tutte le coppie, può esprimersi, e di fatto si esprime, in molti modi diversi. Con questa nuova consapevolezza nel cuore avvertiamo anche chiaramente lo sguardo buono del Signore su di noi, che non è mai mancato.

Dice il libro della Genesi:

«”Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta”.

Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne».

Noi gioiamo come Adamo? Certo ci è capitato il giorno in cui abbiamo celebrato il nostro matrimonio: eravamo tutti e due radiosi e felici, sapendo che stavamo facendo esattamente quello che nella nostra vita doveva accadere. Eravamo sicuri di compiere la scelta giusta e di trovarci sotto la benedizione dello sguardo di Dio che si manifestava, concretamente, negli sguardi benedicenti di padre Pino, dei nostri familiari, dei numerosi amici.

Ma ci capita sempre di gioire così quando ci ritroviamo dopo un’assenza più lunga a causa del lavoro o di impegni familiari, quando ci dedichiamo ai lavori dell’orto, quando raccogliamo le olive o trasformiamo i pomodori. Certo la gioia più grande e più simile a quella che pensiamo debba aver provato Adamo ci invade quando ci ritroviamo nell’intimità e ci rendiamo conto che attraverso il corpo dell’altro si manifesta a noi il Signore Gesù, vivente e vincitore della morte. Una gioia calma e avvolgente ci invade anche quando, una o due volte al mese, ci raccogliamo in preghiera di intercessione, in particolare per l’amore umano e per le coppie che si trovano nelle più svariate situazioni. E anche quando ci fermiamo, dandoci appuntamento in coppia, sotto lo sguardo tenero e affettuoso della Madonna per il “dovere di sedersi” mensile: in tutti questi casi, quello che appariva un groviglio inestricabile si scioglie e si ricompone sotto una luce misteriosa quanto efficacissima.

È appena il caso di ricordare che il “dovere di sedersi” è uno strumento del metodo delle Equipes Notre Dame. In équipe, nei casi migliori, in un certo senso, si vive abbastanza bene quanto auspicato dal Concilio Vaticano II in termini di dimestichezza dei laici con la Parola di Dio, di rapporti tra laici e clero, di impegno dei laici sposati nella Chiesa e nel mondo. In fondo, noi siamo qui oggi per testimoniare la bellezza dell’amore di coppia. Così noi celebriamo ogni giorno il nostro matrimonio, vivendo, si spera, un sacramento vivo e vivificante. Anche così viviamo la fecondità coniugale: in coppia per le coppie, perché gratuitamente abbiamo ricevuto e gratuitamente diamo.

Concludiamo con una frase di padre Caffarel: “Quels lendemains ne pourrait-on espérer pour l’Eglise, si le lumineux message du Chirst sur le mariage parvenait aux quatre coins du monde!”

La lettura comunitaria del Vangelo, una via verso la Fede

(Mara e Giuseppe)

Mara

“Io parto da delle note autobiografiche perché altrimenti quello che vi devo dire non avrebbe senso. Vengo da una famiglia in cui i miei genitori hanno fatto la scelta di non darci un’educazione religiosa formale. Questo è dovuto anche al fatto che mio padre non è credente. I miei genitori hanno deciso di battezzare me e mio fratello per un’esigenza soprattutto di tipo pratico: sembra che all’epoca ci fossero problemi per l’iscrizione all’asilo senza il certificato di battesimo. Non è stata quindi una scelta di fede. A parte questo, però, il resto non lo hanno fatto: non abbiamo fatto la prima comunione, non abbiamo fatto il catechismo, non frequentavamo la messa e così via.

Dentro di me, l’argomento “religione” o “assoluto”, però, non è mai stato statico. C’è stata nel mio percorso, da sempre, una ricerca nei confronti di questo argomento; quando ero più piccola, mi sembrava assurdo che ci potessero essere delle persone che su questo argomento fossero così sicure, per un verso o per un altro: compresa la certezza di mio padre che è la certezza di chi non crede che ci sia nulla. Questa mia tensione nei confronti dell’assoluto, della ricerca dell’assoluto, ha creato le condizioni per venire a contatto con molte cose. Ricordo ancora la prima messa che ho frequentato a nove anni. Avevamo una casa in campagna dove noi piccoli potevamo muoverci in modo che in città non era possibile. La domenica andavo in giro per il paese e passavo davanti la chiesa, affacciandomi per cercare di capire cosa stavano facendo lì tutte quelle persone. Più avanti nell’arco degli anni ho incontrato tante persone: per esempio, c’era una mia amica la cui famiglia era abbastanza in vista all’interno dell’organizzazione dell’Opus Dei e sono andata a diversi incontri con lei. Poi, ne avevo un’altra, più avanti, che invece era buddista zen e sono andata a degli incontri anche con lei. Mio fratello è stato per dieci anni fidanzato con una ragazza ebrea osservante che ha insegnato, a noi come famiglia, tantissime cose. Oltre, ovviamente, a tutti i miei insegnanti di religione nell’arco degli anni, e così via. Il primo punto importante è questo: il Concilio parla di fratelli separati, però parla di fratelli e io mi domando se questo modo di cercare sarebbe stato possibile prima del Concilio. Dietro c’è l’idea che la salvezza si cerca e si può trovare anche altrove rispetto alla Chiesa intesa come istituzione, ovviamente, e non di ecclesia ossia comunità dei fedeli.

Il secondo punto importante è stato il fatto che, data l’assenza di una formazione religiosa formale, ai testi mi ci sono avvicinata da sola. A casa mia, nella libreria, c’era uno scaffale in cui si trovavano: la Bibbia, la Torah, il Corano, i detti Zen e io prendevo e leggevo quei libri.”

Giuseppe

“C’è da dire una cosa del padre di Mara: è ateo, però s’è posto il problema. Non è una persona a cui non importa niente. In casa sua, più di qualche volta si è parlato di religione, con delle posizioni abbastanza diverse, però si parla di religione.”

Mara

“Quindi potermi avvicinare ai testi, poterli leggere, poterne fruire. Persone che hanno vissuto prima del Concilio mi raccontano che prima, la bibbia non si poteva leggere da soli. Questo approccio ai testi è stato molto difficile perché l’ho fatto in solitudine, senza nessuno che accompagnasse la mia lettura.

Ci sono state poi, ovviamente delle esperienze personali. Tra le esperienze personali, ce ne sono state alcune che sono state pietre miliari. La prima, la più importante, è l’amore della mia vita. Nel senso che la nostra storia d’amore è stata un sommovimento tettonico nella mia vita e, per quanto concerne l’aspetto della fede, il dono più grande che mi ha fatto è stato insegnarmi a non avere paura. Poi c’è stato un altro incontro fondamentale: quello con la mia amica Chiara perché, per la prima volta nella mia vita, ho incontrato una persona che era capace di ascoltare senza pretendere niente. Tutte le persone con cui avevo parlato precedentemente, a cui avevo fatto presente questo travaglio, avevano sempre una “ricetta” da darmi e questo non ha mai soddisfatto alcuna sete o fame che avevo dentro. Chiara ascoltava e poi parlava anche perché le amicizie vere sono fatte di scambi. Tramite di lei c’è stato un altro evento fondamentale nella mia vita, che è quello di entrare a far parte, da atea, di uno dei gruppi di lettura del Vangelo che c’è qui a Torre Angela. Quella esperienza è stata importante perché è stata l’accoglienza nel senso più puro della parola. Accogliere qualcuno significa portarlo dentro, indipendentemente da che cosa si sta portando dietro e loro mi hanno accolto. Infine l’ultimo evento fondamentale è stato scoprire di aspettare una bambina perché questo mi ha fatto comprendere cosa poteva significare un amore che non avesse condizioni. Sono in questo una persona limitata perché questo amore l’ho capito solo vivendolo e l’ho vissuto quando sono rimasta incinta. Mi sono accorta che qualunque cosa potesse succedere, io potevo anche condannare l’idea, per esempio, che lei diventasse un’assassina un giorno, ma questo non avrebbe influito neanche di una virgola sull’amore con cui l’avrei sempre guardata. Capire questo amore nel darlo, mi ha permesso di riceverlo. E’ questo l’amore di Dio che esiste attraverso l’amore degli uomini.

Tutte queste cose: pregare insieme ad altre persone, vivere la Parola anche senza la mediazione di una figura istituzionale (un prete, un parroco), prima del Concilio non ci sarebbero state. Poi sono convinta che il Signore avrebbe trovato comunque una strada; però questo è quello che io posso testimoniare perché questo è quello che è successo a me, adesso, in questo flusso di storia qui: quello che c’è dopo il Concilio Vaticano II. Quello è stato il momento in cui la Parola e il mio contatto con la Parola ha veramente cominciato a lavorare dentro di me.

C’è un’ultima cosa che non è da meno: ci sono stati anche dei preti, perché questo cammino non è stato fuori dalla Chiesa e ci sono stati anche dei preti che hanno avuto con me un approccio conciliare. Il primo, è stato don Enrico, che ho conosciuto tramite Chiara. Quando il mio percorso personale aveva già preso una certa direzione mi ha portata da lui perché io stavo cominciando a pensare ai sacramenti nella convinzione che lui potesse accompagnarmi in un cammino. Lui, invece, ha ritenuto che la persona che mi potesse accompagnare fosse proprio Chiara: una donna, una laica e una semi-atea ignorante, da sole, che però grazie alla Parola e confrontandosi con la Parola fanno un cammino insieme. Se non è conciliare questo, io non so che cosa possa esserlo. C’è stato don Massimiliano, che è stato vice-parroco qui per tanto tempo ed è stato il prete alla cui messa io ho partecipato davvero: una messa che non ho subito, che non ho preso come se fossi un vaso vuoto sempre da riempire. Una messa con preghiere spontanee, che vengono proprio dall’assemblea, dove non si va all’ambone per fare la preghiera, non si legge quella che sta sul foglietto, le panche disposte in semicerchio rispetto all’altare e all’ambone e così via. Poi c’è stato il mio parroco vecchio, perché adesso è cambiato, don Marco, con cui avevo molta paura di andare a parlare per chiedergli se potevo avere un sacramento. Non avevo ancora bene le idee chiare su quale potessi fare: perché io e Giuseppe eravamo già sposati civilmente e io volevo fare la comunione, la cresima, la confessione e il matrimonio ma non sapevo quale e in che ordine. La prima cosa che don Marco mi ha detto è stata che tutto era possibile, che dovevo pensare a cosa volevo fare e a come volevo farlo per poi ragionarne insieme e semplicemente farlo. Quando ho sentito questo, mi sono resa conto che ero un sasso che rotolava a valle e tutto andava per il verso giusto. Anche se poi abbiamo scoperto che non era proprio tutto possibile, che dovevamo fare le cose in un certo modo, l’importante è che questa persona ha detto una parola che secondo me è Gesù. Poi possono esserci regole che dicono che le cose non andavano fatte in un dato modo ma la prima parola che ha detto, l’ha detta con Gesù. E poi c’è stato l’ultimo, don Herman, che è il parroco che ha sostituito don Marco, che domenica scorsa mi ha dato la mia prima comunione. Lui, dopo la comunione, la sera, mi ha mandato un messaggio in cui mi ha detto che era stato toccato da quello che era successo e che gli sarebbe piaciuto partecipare al gruppo di preghiera a casa nostra una volta. Io penso che un prete che dica una cosa come questa, sia un prete che lascia che il mondo lo tocchi e lo cambi e anche questo è il Concilio Vaticano II.

Dietro a tutto questo percorso, però, che sicuramente è il Concilio Vaticano II, c’è il mio rapporto con la Parola del Signore. Allora, vi voglio proporre due passi dal mio diario spirituale, che tengo dall’inizio di questo cammino di preparazione ai sacramenti con Chiara. In questo percorso di preparazione noi leggevamo il libro di Silvano Fausti, “Una comunità legge il vangelo di Luca” e poi dopo ci incontravamo per pregare insieme sul testo e parlarne. Potete capire che all’inizio era molto più parlare e molto meno pregare e poi è diventato più pregare che parlare. Però per farvi capire come sono cambiate le cose, vi leggo solo due commenti, uno del nostro primo incontro e uno dell’ultimo che abbiamo fatto. La prima volta che ci incontravamo scrivevo:

Perché vivere tra i giusti, quando Dio i giusti non li premia? Anzi! Vedi Giobbe. Spesso sembra, più si è giusti e più si tribola. C’era un detto quando ero ragazzina: Dio non dà croci che non sei in grado di portare. Questa “etica del dolore” mi ha sempre poco convinto, se Dio mi guarda come un Padre, perché manda le sofferenze? Io farei qualsiasi cosa perché mio figlio non soffrisse…

Chiara mi dice che Dio non manda le sofferenze ma che la sofferenza è parte della vita e lui non ce la toglie, perché non siamo burattini nelle sue mani, ma ci regala se stesso e soffre con noi. Gesù si è fatto carne.

L’ultima volta che ci siamo viste ho scritto:

Dio è qualificato proprio dal suo essere misericordioso, nel salmo 136, la misericordia è la chiave di lettura di tutta la creazione e della storia del passato e del presente. E’ nella sua misericordia che noi conosciamo Dio. Tutti siamo nel male e nel peccato e lui ci perdona e ci ama così. Dio non abbatte o elimina il male, ma lo trasforma con la sua misericordia. Non vuole il male e non ci chiede di farne, ma se ne serve, lasciandoci liberi di farlo, per mostrarci il suo amore.

Ecco, io penso che su questo non c’è nient’altro da aggiungere, penso che questo dia un po’ l’idea di quello che è successo.”

Giuseppe

“La mia esperienza, da cristiano, per certi aspetti, è molto più simile a quella di molti altri. Io sono originario di un paese della provincia di Frosinone e riflettendo su questo incontro, mi rendo conto di avere dei ricordi di una religione che non è proprio quella conciliare. Al di là del rito vero e proprio, mi ricordo di un sacerdote in particolare, che era parroco del paese quando io ero bambino, all’inizio degli anni ottanta: di fatto, potrei rivederlo nei film in bianco e nero degli anni sessanta. La vita cristiana di una coppia in quel periodo era: la moglie va in chiesa, il marito sta davanti al bar a parlare con gli amici la domenica, se il marito era comunista, in alternativa, entrava in chiesa, si metteva nelle navate laterali e parlava con gli altri amici suoi, se era democristiano. Qualcuno si metteva ai banchi e pregava, ma erano pochissime persone, veramente poche. Dopo questo parroco, che era già anziano all’epoca, nella parrocchia vennero alcuni frati agostiniani scalzi che invece avevano un atteggiamento molto più “conciliare”, seppure a fronte di una certa rigidità su alcuni temi, come il sesso. Erano molto più aperti, molto più comunitari. Quando poi chiusero il loro monastero, ritornò un prete secolare e sia lui che il suo successore erano molto più rigidi. Addirittura quello che c’era adesso, recentemente, aveva ripristinato delle forme di rito molto arcaiche che io non avevo mai visto. Il punto è che, un po’ perché mi ero iscritto all’università ed ero venuto a Roma con una certa distanza geografica e culturale, nel tempo mi sono allontanato, anche parecchio, dalla religione vissuta. Sono entrato in una routine fatta di altre cose e a un certo punto il Signore scompare: scompare dietro al fatto che il sabato lo passi in un certo modo, la domenica in un altro e si va avanti per anni. Un po’ trovare Mara, per cui abbiamo anche iniziato a parlare di queste cose, e un po’ col gruppo del Vangelo, ho avuto modo di riavvicinarmi al Signore. Poter avere il gruppo del Vangelo, una sera a settimana o una sera ogni due settimane, comunque è una cosa positiva in un mondo in cui non c’è il Signore da nessuna parte; ma non perché il Signore manca negli esseri umani bensì perché manca nelle cose degli esseri umani. Io per un periodo ho fatto il dottorato di ricerca all’università a chimica e normalmente si parla di calcio, di grande fratello e di altro. Trovare un momento in cui pensare come cristiani è stata una salvezza. Poi, vabbé che dire, penso di aver detto tutto.”

Interventi del pomeriggio

Micaela Soressi.

Vi voglio leggere una poesia di Chiara Patrizia, monaca Clarissa di Urbino:

“Signore Gesù!

Che dico con queste parole,

Gesù, mio Signore?

Non so… non so cosa dico,

ma so che racchiudono il Mistero,

la Vita.

Gesù,

parola di luce

che acceca e custodisce

la sconosciuta grandezza dell’uomo.

Gesù, mio Signore!

Non so cosa dico.

Il Tuo Volto

è il Volto di un uomo

ma chi sei veramente?

A quale abisso sconfinato

di bellezza

vuoi condurmi

mentre dico e ridico

il Tuo Nome, Gesù?

Lo dico, senza sapere che dico,

ma pur senza capire,

questa parola -Gesù,

poco a poco apre una porta

e io posso scorgere

“i Tesori della sapienza e della scienza”

presenti in ogni cosa che vive.”

Franco Battista

Fino all’età di 15 anni ho sempre frequentato la messa. Ho il ricordo nitidissimo di una mattina invernale assolata in cui vado a messa con i miei genitori. Sono cresciuto con qualcosa che mi interrogava dentro. A 15 anni ho deciso che i preti non capivano nulla e ho lasciato la Chiesa, ma ho conservato qualcosa dentro. Quando io e Rita abbiamo deciso di sposarci, siamo andati dai Monfortani, sulla Prenestina. Ci ha ricevuto un prete che ci ha chiesto quali addobbi volessimo, ci ha proposto addirittura una macchina con autista… Quando siamo usciti, Rita mi ha guardato e si è accorta che ero arrabbiato: “Questo prete ci ha parlato dell’organizzazione e di tutti i servizi che poteva venderci e non ci ha chiesto neanche perché volevamo sposarci”.

Poi sono nati i figli. A 10 anni Daniele doveva fare la prima comunione e, qui a Torre Angela, i papà facevano un ritiro di tre giorni a Cartore, in montagna, dove c’era una casa senza corrente né riscaldamento. Daniele mi ha chiesto di andare e gli ho risposto che non mi interessava partecipare… ma mi sono accorto che stavo deludendo mio figlio, come era successo altre volte. Così sono andato… La cosa bella è stata che in quei tre giorni il prete non si è quasi fatto vedere: le catechesi erano fatte da laici, da coppie. Dentro di me si è acceso qualcosa di grosso. A quel punto ho pensato che non avrei potuto più fare a meno di questo tipo di esperienza. Il fatto che dei laici mi abbiano fatto capire il senso di essere cristiani ha a che vedere con il Concilio.

In seguito si è aggiunto il gruppo del Vangelo, gruppo di laici, senza la presenza di un prete. Insieme alle persone del gruppo sono cresciuto molto. Prima del Concilio i laici non potevano leggere autonomamente la Bibbia. Quando sono tornato da Cartore ho comprato la Bibbia per cercare in essa le falle. Ho scavato e ora continuo a scavare, ma con un altro spirito. Se non avessi avuto la possibilità di avere in mano la Bibbia, oggi probabilmente non la cercherei.

Solange Perruccio

Sono nata in una famiglia completamente atea. . In Francia non fa nessuna differenza se sei o non sei cattolico. Non sono entrata in una chiesa fino a 16-17 anni. Mia madre aveva paura dei preti. Arrivava a casa mia il giornale della parrocchia: ho iniziato a leggerlo e a scoprire un mondo a me sconosciuto.

Poi ho conosciuto mio marito, che mi ha solo facilitato il cammino, essendo io timida e poco intraprendente. Con lui ci trovavamo in un piccolo paese di campagna dove c’era un prete molto semplice con cui leggevamo il Vangelo. Dopo questo percorso ho deciso di farmi battezzare: avevo 20 anni. I miei genitori hanno accolto con molto rispetto la mia decisione. Mia suocera, donna molto pia, parlava di diavolo e questo mi spaventava perché avevo una visione molto luminosa della fede. Il Signore ha messo sulla nostra strada un amico che ci ha proposto l’Equipe Notre Dame, della quale abbiamo fatto parte avendo come consigliere spirituale don Nicola Barra (per nostra grande fortuna). Mi si è aperto un altro mondo. Mi era rimasta una preoccupazione: i miei erano atei… che sarà di loro? Poi è arrivato il Concilio e mio marito mi raccontava cosa succedeva nell’aula conciliare. Ed è arrivata una grande pace: non ho più temuto per i miei. Ho capito che il Signore non li avrebbe condannati, ma li avrebbe accolti. Mi è rimasta la certezza che il Signore non accoglie solo chi va in Chiesa, ma tutti gli uomini di buona volontà.

Lorenzo D’Amico

Credo che come cristiani dobbiamo aiutarci a vedere le cose belle e importanti che accadono intorno a noi, nel mondo e raccontarle. Il negativo emerge da solo e non ha bisogno di essere raccontato. Nell’ultimo numero de La Tenda c’è una lettera dell’Arcivescovo di Tunisi che dice: “Lo Spirito del Signore ci sta parlando e dischiudendo orizzonti attraverso i nostri fratelli musulmani”. E poi c’è una lettera di Chiara Patrizia, che è entrata nel monastero il giorno di apertura del Concilio. Questa donna, che è stata malata di tumore, ha sempre mostrato una grande serenità. Si dice spesso: “Quello che conta è la salute”. Più persone hanno dimostrato che più importante è la forza con cui si affronta la vita, la speranza con cui si guarda al presente e al futuro.

Maurizio Firmani

Vorrei proporvi il confronto tra due discorsi tenuti dalla stessa finestra a cinquant’anni di distanza: il discorso dell’undici ottobre 1962 lo sentii alla radio, il discorso dell’undici ottobre 2012 l’ho sentito di persona perché ero a piazza S. Pietro. Papa Giovanni non voleva affacciarsi, perchè era stanco, poi decise di farlo, vedendo la piazza gremita. Iniziò a parlare e arrivò in breve a ciò che gli stava più a cuore: “La mia persona conta niente: è un fratello che parla a voi […] Continuiamo dunque a volerci bene, a volerci bene così; guardandoci così nell’incontro: cogliere quello che ci unisce, lasciar da parte, se c’è, qualche cosa che ci può tenere un po’ in difficoltà” e poi la seconda parte del programma: “Tornando a casa, troverete i bambini. Date loro una carezza e dite: “Questa è la carezza del Papa”. Troverete forse qualche lacrima da asciugare. Abbiate per chi soffre una parola di conforto”. Ecco il programma della Chiesa, che non è per i dotti, per i saggi, per i potenti, ma per i bambini, per i malati, per gli indifesi, per coloro che hanno bisogno. E’ riuscito a tracciare un programma profetico per la Chiesa.

Facciamo un salto di 50 anni. Mi aspettavo che il papa dicesse: “Il Concilio è un grande patrimonio che la Chiesa custodisce…”. Invece sono rimasto gelato. Ecco le sue parole: “In questi cinquant’anni abbiamo imparato ed esperito che il peccato originale esiste e si traduce, sempre di nuovo, in peccati personali, che possono anche divenire strutture del peccato. Abbiamo visto che nel campo del Signore c’è sempre anche la zizzania. Abbiamo visto che nella rete di Pietro si trovano anche pesci cattivi. Abbiamo visto che la fragilità umana è presente anche nella Chiesa, che la nave della Chiesa sta navigando anche con vento contrario, con tempeste che minacciano la nave e qualche volta abbiamo pensato: «il Signore dorme e ci ha dimenticato”.

Continuo a pensare che il Concilio sia un valore inestimabile, non ancora del tutto scoperto.

Luigi Mochi Sismondi

Non ci sono situazioni della vita che sono lontane da Dio. Quando sono sul raccordo anulare, mi viene da pensare che siamo un grande fiume della vita che cammina e scorre indipendentemente da noi. Ti senti nel fiume della vita portato da Dio.

Gianfranco Solinas

In certi momenti della vita vorrei vedere realizzato il Concilio in una maniera molto più dinamica, coraggiosa. E sembra che questo non succederà. Penso che siamo accomunati un po’ tutti da un impallidimento della speranza, ma la speranza la possiamo ritrovare insieme. Gli uomini di Chiesa, che hanno responsabilità istituzionali, soffrono un po’ troppo di solitudine e molte volte hanno intorno persone che non contribuiscono a ritrovare la speranza, persone che in qualche modo gliela fanno perdere, mostrando più pericoli nel mondo che cose positive. L’attuale papa probabilmente non è stato e non viene aiutato a ricoprire questo ruolo.

Gli uomini di Chiesa devono essere aiutati ad uscire dalla loro prigione. Nello stesso tempo penso che il ruolo del vescovo di Roma debba cambiare radicalmente. E’ mancata una coraggiosa riforma della Curia, che significa una sua drastica riduzione: nella misura in cui cresce la collegialità, deve ridursi un potere così concentrato, gestito all’ombra di Pietro, spesso anche prevaricando la gestione petrina.

Credo che la preghiera possa aiutare questo cambiamento che desideriamo. Lo spirito critico serve, ma a volte è eccessivo. Bisogna parlare con più coraggio con i nostri vescovi, aiutandoli a riscoprire il proprio ruolo, perchè spesso sono intimiditi e riducono il loro compito che è quello di presiedere le chiese locali.

Occorre anche recuperare una dimensione contemplativa per aiutare coloro che esercitano dei ministeri. Ci giova guardare i frutti positivi, che sono molti di più di quelli che potremmo immaginare. Tali frutti non sono pubblicizzati, ma richiedono di essere scoperti.

Chiara Flamini

Volevo puntare l’attenzione su qualcosa che il Concilio non ha trattato: il ruolo della donna nella Chiesa. E’ una questione importante. Si tratta, da una parte, di far emergere tutti i doni di una comunità cristiana: tra questi doni c’è ciò che può apportare la donna, anche in certi ruoli che le sono preclusi. Dall’altra parte, per quanto mi riguarda, c’è una questione teologica: non posso credere ad un Dio che discrimina la donna, come avviene nella Chiesa, relativamente al ruolo ministeriale di presiedere una comunità cristiana o alla partecipazione alle decisioni.

Vorrei anche mettere in evidenza la presenza nella Chiesa di posizioni diverse: il Concilio, insieme alla modernità, hanno portato ad un pluralismo. Da tale pluralismo, che è una ricchezza, non si può più tornare ad un pensiero unico.

Credo, infine, sia importante riflettere sull’identità della Chiesa nel mondo post moderno, molto diverso da quello in cui si è svolto il Concilio.

Francesco Cagnetti

Tra gli argomenti, che dovrebbero essere messi al centro della nostra riflessione, c’è quello del lavoro. Il sistema capitalistico è forse l’unico sistema in cui si ha il fenomeno della disoccupazione. Essa non è un aspetto marginale, un momento patologico che può essere sanato. La disoccupazione è un fenomeno ricorrente in tale sistema. Non si tratta solo dell’aspetto economico (la possibilità di sostentarsi), ma anche del senso della propria vita, della partecipazione allo sviluppo della società umana. Di questo argomento non si parla molto nella Chiesa.

Un altro argomento su cui riflettere è quello dell’ecologia.

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Maurizio Firmani, Monteverde Roma

Chiara Flamini, Torre Angela Roma

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Maria Dominica Giuliani, Aurelio-Boccea Roma

Caterina Monticone Aurelio-Boccea Roma

Luigi Mochi Sismondi, Torre Angela Roma

Liliana Ninchi, Ostia Nuova Roma

Marco Noli, Ostia Nuova Roma

Solange Perruccio, Monteverde Roma

Umberto Sansovini, Ostia Nuova Roma

Gianfranco Solinas, Martina Franca Taranto

Antonella Sorressi, Ostia Nuova Roma

Micaela Sorressi, Ostia Nuova Roma

Nunzia Dell’Ova Ostia Nuova Roma

Daniele Trecca Ostia Nuova Roma

  1. Chiara Marra e Tommaso Cariati sono sposati dal 2001 e vivono a Castiglione Cosentino, in Calabria. Sono entrambi insegnanti e appartengono al movimento delle Equipes Notre Dame.
  2. In verità, quel “quasi consacrati” rende il latino “veluti consecrati”, che non dovrebbe mai essere inteso come diminutio, ma significherebbe: “in qualche modo consacrati”, forse nel senso di “misteriosamente consacrati”. Rimane il fatto che chi legge in italiano si trova di fronte al “quasi consacrati” e alla “sublime missione di padre e di madre”.
  3. Il metodo Equipe Notre Dame è costituito da un insieme di strumenti che aiutano il singolo, la coppia, l’équipe nel suo cammino di conversione. Non si tratta di imposizioni, ma di “regole del gioco” che caratterizzano chi aderisce al Movimento, che affondano profondamente il loro significato nel messaggio dell’Evangelo. Gli strumenti sono: preghiera ed ascolto della Parola; ritiro spirituale da vivere in coppia almeno una volta all’anno; il dovere di sedersi, come occasione privilegiata per vedere lo sposo o la sposa con l’occhio di Dio, per ascoltarlo, per lasciarsi convertire da ciò che il Signore ci chiede attraverso di lui; la regola di vita, un impegno assai preciso e concreto che aiuta nel cammino di conversione permanente.Tutte le coppie di ogni équipe insieme con il loro consigliere spirituale si riuniscono una volta al mese per la “riunione mensile”. È questo il momento fondamentale di vita di un’équipe, un’occasione privilegiata di carica umana e spirituale, di verifica e di crescita. Per sottolineare la dimensione feriale della vita laicale, la riunione si svolge a rotazione nelle case delle diverse coppie. Ogni équipe costruisce la riunione secondo le proprie esigenze, con grande duttilità e libertà, ma vi sono fasi di questa che rappresentano un patrimonio specifico delle END: sono la messa in comune, la preghiera comunitaria, la compartecipazione e il tema di studio.I gruppi dell’équipe sperimentano uno scambio alla pari tra coppie da una parte e preti dall’altra. Inoltre i compiti di responsabilità all’interno delle END, a tutti i livelli, sono affidati a coppie, coadiuvate da altre coppie e da un consigliere spirituale e sono strettamente a termine.