Lettera 14 (Prima Serie)

 

Agli amici

Cari amici,

secondo la promessa fatta a settembre, abbiamo definito i particolari dell’incontro cui siete caldamente invitati a prendere parte.

Esso si terrà presso il convento dei Padri Camaldolesi di S.Gregorio al Celio, che hanno gentilmente accettato di ospitarci, nel pomeriggio di domenica 15 novembre, con inizio alle ore 16.

TOMMASO FEDERICI presenterà il tema biblico della tenda.

Avremo poi la possibilità di aprire una conversazione sul tema.

Infine, per chi lo vorrà, potremo restare ancora un po’ assieme per scambiarci delle idee sul lavoro che stiamo portando avanti .

In attesa di incontrarci, vi salutiamo fraternamente

Gli amici de “La Tenda”

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I PP. Camaldolesi di S.Gregorio al Celio si trovano alla salita di S.Gregorio al Celio n.2.

Autobus ATAC che passano nelle vicinanze sono: 15 – 18 – 20 – 21 – 27 – 30 – 85 –87 – 88 – 89 – 90 – 118 – 218 –

Tram: 5 – 11 – 13

Il Sacramento Del Matrimonio A Roma (5)

d) stato delle concezioni teologiche, giuridiche, morali, pastorali e liturgiche che condizionano la celebrazione del matrimonio. Cenni.

Primo – Teologia e diritto.

Anticamente la celebrazione dei Sacramenti non si realizzava in un unico momento. Già la serie dei Sacramenti è dislocata lungo l’arco intero della vita, mostrando così una sua connaturalità con i momenti nodali dell’esistenza, e quindi una sua predisposizione alla complessità delle situazioni corrispondenti (p. es. rito del matrimonio e fatto della maturazione definitiva dell’individuo) e la predisposizione dei singoli sacramenti ad essere diluiti secondo l’ampiezza temporale richiesta. Esempio classico è il battesimo, sacramento della conversione, cioè di un atto umano progressivo; esso conteneva nel suo ambito rituale i vari momenti interiori della conversione stessa. Prevedeva una, diremmo oggi, iscrizione all’albo dei catecumeni, poi catechesi liturgiche progressive nell’ambito della comunità tutta riunita (le cosiddette catechesi mistagogiche o celebrazioni con parole e segni che in quei tempi si ritenevano espressivi dei misteri cristiani, luce, olio, sale, veste bianca, imposizione delle mani e del segno di croce ecc.), infine celebrazione conclusiva (acqua ed eucaristia di ringraziamento). Sicché il sacramento non veniva “dopo” la conversione, ma questa precedeva nell’ambito stesso della celebrazione e con la partecipazione di tutta la comunità che sosteneva la conversione stessa e la accettava, Così, alla fine, veramente la chiesa poteva dire di aver “rigenerato” un uomo.

La penitenza (con iscrizione all’albo dei penitenti, riammissione differita, penitenza, eucaristia di riammissione), l’eucaristia stessa, la confermazione collegata al battesimo, l’ordine con i suoi gradi intermedi sono altrettanti esempi dell’ampiezza che assumeva la celebrazione sacramentale soprattutto nei sacramenti che davano una collocazione nella comunità (battesimo – cresima – ordine, tralasciando le questioni relative al rapporto tra i due primi).

C’era una volta. Soprattutto per merito della teologia post-tridentina, ma anche della precedente scolastica, si è “precisato” sempre più ciò che nel sacramento è sacramento e ciò che…non lo è, dandosi così origine ad una progressiva riduzione di tutto il rito intorno al cosiddetto nucleo essenziale. Tutti i sacramenti si sono così ridotti a celebrazioni che si esauriscono in un solo atto.

Il sacramento più esposto a questa riduzione era il matrimonio. Vediamo perché.

Il matrimonio viene oggi assimilato ad un contratto. Questo era vero già nel diritto romano. Tuttavia non si trattava, e proprio nel diritto romano, di un rapporto rigido e definitivo: se dopo un certo tempo di convivenza veniva a mancare l’accordo tra gli sposi il matrimonio cadeva ! Ciò no avveniva in altri tipi di contratto dove ad es. la casa venduta era alienata per sempre. Un rapporto, quindi, il matrimonio, del tutto speciale.

Ci si permetta una citazione, a gloria degli antenati della nostra chiesa locale: “non è dunque (il matrimonio romano)…com’è il matrimonio moderno, un negozio giuridico che si compie una volta tanto, per produrre nel tempo successivo i suoi effetti; ma è una relazione continuativa, che mentre ha effetti durevoli da certi punti di vista (ad es. per quanto riguarda la legittimità dei figli), produce in altri campi i suoi effetti per quanto tempo dura, mentre ciascuna delle parti può farla cessare quando voglia…Qui è l’elemento morale che sovrasta, sicché in massima, per quanto riguarda la continuazione dello stato coniugale già iniziato, l’elemento materiale si riduce in pratica ad un “contegno” onde univocamente risulti l’”affectio maritalis” (Arangio-Ruis, Istituzioni di Diritto Romano, pagg. 436-437).

Il concetto cristiano di matrimonio come atto di amore irrevocabile tocca esattamente quell’elemento di precarietà del vincolo nuziale romano. Ovviamente si desiderò trasferire nella legislazione il principio cristiano della indissolubilità. Il risultato fu che il rapporto matrimoniale si ridusse ad un negozio giuridico irrevocabile. Il diritto romana rispettava l’essenza interpersonale del rapporto matrimoniale e sacrificava una comoda applicazione di figure di altri rapporti giuridici, ritenendo prevalente lo stato di rapporti interiori: per salvare lo spirito i romani piegavano il diritto. Il diritto della chiesa per codificare lo spirito produce una regressione di tutto l’istituto giuridico matrimoniale al livello di contratto puro e semplice. Il diritto canonico riporta il matrimonio al livello di contratto, e così lo trasmette alla legislazione successiva. Diremmo che “il meglio è nemico del bene”, se non temessimo che questa valutazione potesse sembrare un ingresso nei pro- blemi giuridici del matrimonio, p.e. il divorzio, cosa che è totalmente al di fuori della presente esposizione. A noi interessa qui solo indicare le componenti oggettive profonde della attuale concezione del matrimonio e in specie come esso sia stato ridotto ad un atto giuridico concentrato per di più nel solo atto iniziale di celebrazione.

Procediamo. Il cristianesimo occidentale non farà gran conto delle forme p.e. ebraiche del matrimonio (dove la differenza tra fidanzamento e matrimonio è meno rilevante). Anche per questa lontananza da concezioni meno giuridiche niente fermerà il cristianesimo occidentale (che nel diritto farà testo) quando imporrà alle legislazioni canoniche prima e a quelle civili poi, un matrimonio romano a forma di contratto depurato dalla dissolubilità, lasciando i rapporti spirituali tra i coniugi alla sfera di una eventuale interiorità cristiana senza riflessi (nel caso mancassero) sull’ormai intangibile proseguimento del rapporto coniugale definitivamente fissato al tempo della celebrazione.

Persino sul piano del diritto laico si avvierà un lento ma progressivo processo di obsolescenza delle realtà di contorno del contratto matrimoniale (patti di fidanzamento, relative donazioni ecc.).

Se quindi tutti i sacramenti a causa della tarda teologia che li riesprime subiscono un processo lento di concentrazione rituale in un unico atto “valido”, chi si meraviglierà nel vedere il matrimonio superconcentrato in un monosillabico “sì” ?

Noi pensiamo che chi vuol porsi a costruire una teologia, o un diritto, o una pastorale, o una liturgia del matrimonio. Cose che non rientrano nelle presenti note, dovrà tornare a riconsiderarlo come atto umano nella sua complessità e gradualità, rifiutando in partenza la concentrazione che teologia e diritto hanno provocato in esso (i romani stessi non erano così remissivi davanti alle pretese del diritto !). E rifiuterà anzitutto la distinzione eccessiva tra sostanza e contorno operata da teologia classica o diritto canonico. Parlare del matrimonio in maniera costruttiva imporrà di porsi prima dell’intervento della teologia (sistematica) e del diritto.

Ma nella fase analitica in cui ci troviamo con le presenti note è sufficiente aver insinuato come teologia e diritto condizionino con i loro postulati la concezione stessa del matrimonio. Vedremo di seguito come ne condizionino la valutazione morale, la pastorale e la liturgia.

Secondo: il punto di vista morale. La teologia morale matrimoniale e prematrimoniale ha visto anch’essa una progressiva riduzione alla considerazione dell’incontro sessuale trascurandosi gli altri aspetti dell’incontro interpersonale. Sul fatto, sul perché il per come, si scrive altrove con ben altra competenza. All’interno di questa riduzione all’aspetto sessuale si osserverà ancora che tutto, quanto a liceità o illiceità, si fa dipendere dall’esistere o meno del contratto matrimoniale. In terzo luogo si potrebbe osservare che, così ridotta all’ “essenziale”, la “morale” matrimoniale sta scomparendo del tutto dalla predicazione e dalla confessione. Ci sono casi di non piccolo ritardo, ma la tendenza generale è quella anzidetta. Facendosi eccezione per movimenti o gruppi di laici che proseguono con ricerca e metodi propri non sempre trasferiti nel patrimonio comunitario, il risultato della riduzione della morale coniugale all’aspetto del rapporto sessuale autorizzato dal contratto (e del progrediente silenzio) è che ormai non esiste più una morale familiare proposta dai genitori ai figli o dai sacerdoti ai fedeli come insegnamento della comunità cristiana, se non si vuol dare quel titolo ad una inosservata serie di proibizioni sui rapporti prematrimoniali e sulla limitazione delle nascite. Con sorpresa le coppie di fidanzati “cristiani” si sentirebbero ricordare dai genitori o dal parroco che esistono possibilità di preghiera familiare, di ospitalità, di catechesi pertinente al capofamiglia, di educazione sessuale impartita nel quadro di rapporti interpersonali di carità, di rapporto coniugale nobile perché espressione di donazione e servizio, di fecondità cristiana prima spirituale e talvolta biologica ecc. Qualcosa nel Concilio, nei libri di prima o di dopo, ma quanto (e in quale sede) a livello della predicazione, della catechesi prematrimoniale, della penitenza o confessione ? Praticamente nulla e lo stesso martellamento di norme “morali” sulle forme del rapporto sessuale sta rapidamente scomparendo senza essere sostituito da una predicazione positiva, sicché c’è ormai sull’argomento un silenzio ufficiale tanto distruttivo quanto la precedente sovrapproduzione unidirezionale di leggi. Il muoversi dei documenti ufficiali è lento e risente delle posizioni assunte con estrema durezza nel passato. In fondo si preferisce che nel silenzio si operi una graduale trasformazione indolore.

Sullo stato della teologia morale del matrimonio altre notizie verranno più in basso. Qui la solita precisazione: non ci interessavano i problemi della teologia morale matrimoniale e prematrimoniale, ma solo il presentare come anch’essa abbia ricevuto indebite riduzioni e in senso fin troppo consonante con le teorie giuridiche prima nominate.

Terzo. Il rito e la liturgia del matrimonio sono nell’occidente i più poveri che si conoscano. La riforma liturgica ha trovato comodo lavorare sulla “messa di matrimonio”, ma il rito nuziale propriamente detto è in fondo il solito “sì” con appendice di anelli. La riforma liturgica non poteva fare di più perché il problema era altrove: non il rito era ridotto in poco spazio, ma la realtà profonda della maturazione progressiva di due persone, della maturazione dell’uno in presenza dell’altro, dipendentemente dall’altro, in funzione dell’altro, tutto il movimento della realtà psicologica e persino somatica che costituiscono il fatto matrimoniale in un arco di tempo lungo che va dal primo incontro di due giovani fino a molto dopo lo stabilirsi della vita a due, tutta questa realtà non ha avuto per troppo tempo cittadinanza nella riflessione cristiana. Qualcosa oggi si comincia a riconoscere p.e. nella realtà del fidanzamento, ma chi ha partecipato l’anno scorso al “corso di formazione di guide per la preparazione dei fidanzati nella diocesi di Roma” sa come alle serie e prudenti aperture di persone competenti e ormai neppure sulla sinistra dello schieramento cattolico si opposero precisazioni episcopali nel solito tono bonario e paterno, ma irritanti chi, mettendo da parte le facezie, cercava inutilmente argomenti di merito.

Lungi da noi il negare un nesso basilare tra donazione completa della persona nell’incontro sessuale e costituzione ufficiale e pubblica della società coniugale. Al problema dei rapporti prematrimoniali non vogliamo dare in questa sede alcun contributo. Ciò che lamentiamo è solo che la realtà complessa e progressiva dell’incontro coniugale non abbia riscontri liturgici in una celebrazione graduale, e ciò ancora una volta in dipendenza di teologia e diritto ben definiti.

Diciamo cioè che il rito ridotto ad un misero “sì” è l’esatta espressione di una concettualizzazione del matrimonio in termini puramente giuridici. Si domanda: Quando il matrimonio “è” nelle sue conseguenze giuridiche ? Si risponde: quando si pone un determinato atto formale dinanzi all’autorità competente ! e prima ? Prima (cioè prima del rito), nulla. Perché se si procede con mentalità giuridica il “prima” non avrà alcuna rilevanza, fosse pure composto da realtà profondamente umane. Non “è” e non va considerato, né potrà esserci una celebrazione progressiva per il semplice fatto che non si celebra ciò che non è. Anzi si darà compito al moralista e al pastore di evitare che qualcosa sia ! e dopo ? Dopo il matrimonio (cioè dopo il rito), dato che esso “è” già tutto dall’inizio, non c’è più nulla da fare se non staccare le cedole del diritto acquisito (e non si chiamerà forse “il debito” l’incontro coniugale ?); quindi nulla da approfondire e perciò nulla da imparare. Cioè nessuna pastorale.

Moralista e parroco ricorderanno di stare ai patti (fedeltà, indissolubilità, prole), dopo 25-50 anni la finzione del rinnovamento del contratto.

Ironia delle cose, l’aspetto giuridico che tutto racchiude nella formula contrattuale si procura, lui sì, una prassi prematrimoniale ed una legislazione familiare. Il sacramento non ha riti progressivi da celebrare, la pastorale non ha approfondimenti successivi da proporre, psicologia e vita non possono insinuare che il matrimonio è un fatto che si attua nel tempo, la morale non può seguire psicologia e vita, ma il diritto fa valere i suoi diritti.

Il diritto si fa il suo rito: visita al parroco per sapere sui documenti, loro raccolta e presentazione, giuramento in chiesa, giuramento al comune, nullaosta del comune, della parrocchia, del vescovo, celebrazione, notifica al comune, contronotifica alla chiesa. La “famiglia cristiana” è nata ! E si leggono in chiesa norme sulla residenza, sulla convivenza, sul patrimonio. C’è persino una legislazione sugli scioglimenti, di pertinenza della Chiesa. Sì, della Chiesa, perché lo Stato ottocentesco è come un padre austero, non transige; permette però alla Madre di trovare una via d’uscita per i “ragazzi”; in fondo la madre c’è per questo, per non essere una cosa troppo seria.

Tessuto connettivo di tutti gli aspetti anzidetti, perfetto contenitore è la poderosa invenzione concordataria. Teologia come diritto, pastorale come prassi d’ufficio, cittadino italiano come cristiano, rito come contratto, accordi di vertice come espressioni della volontà dello Spirito.

Al centro della diocesi un manipolo di praticissimi burocrati dirige lo svolgersi ordinato della prassi “sacramentale”. Alla periferia il clero ha acquistato, anche lui, dignità (e stipendio) di impiegato di stato civile. Celebra il suo rito giuridico-religioso riempiendo moduli e leggendo codici, l’attenzione è tutta ai pezzi di carta, agli interrogatori, alle scadenze. Si procura che la pratica proceda e si giunge a matrimoni con tanto di eucaristia senza che si affrontino problemi di fede o di appartenenza ecclesiale. Sì, che si presentino persone non disposte nella fede è previsto, quanto basta per indicare quali altri stampati riempire nel caso. Se un parroco obietta che qualcosa non torna alla sua coscienza, penseranno gli sposi a presentarsi al vicariato che manderà al pignolo un qualche “si proceda” con timbro e firma. Va da sé che il parroco prudente si guarderà bene dal fare una seconda volta simile figura. Si comprende allora perché i parroci tengano le cose sulle generali preferendo un generico fervorino ad una “carte in tavola” nel quale avrebbe certo la peggio. Ma si comprende anche bene perché cominci a scarseggiare il numero di coloro che si sentono disposti a vivere in tali contesti il sacerdozio. In fondo, visto dalla parte del prete, il nocciolo del problema è qui: il presbitero è l’uomo della comunione. Se non è in grado di verificare che un sacramento è posto nella comunione, se gli si chiede di chiudere un occhio circa la comunione degli sposi con la fede ecclesiale, il presbitero, la sua coscienza, non ha più funzione, ragione di esistere. È un impiegato qualunque. Ne riparleremo, come già abbiamo considerato più volte nei mesi passati lo stato d’animo del clero romano.

E visto dalla parte del sacramento il problema è lo stesso: o si pone in un vero contesto di appartenenza comunitaria o è nulla. Non si tratta di rinnovare riti; si tratta di rinnovare cristiani. Se non si cerca in quel senso le comunioni a due specie, le strette di mano, le formule lunghe sono macabri abbellimenti di cristiani morti. E il permesso a celebrare messa anche in matrimoni non cristiani, abitualmente “concesso” dal vicariato di Roma, è la riprova che negli uffici si è perduta persino la coscienza della essenza della Messa come comunione di fede.

Intanto fuori la situazione evolve. La famiglia cambia le sue funzioni sociali. La psiche e il fisico dei giovani ricevono maturazioni che prima avvenivano in secoli, i contesti sociali culturali e politici nei quali si compie la maturazione intellettuale si capovolgono. La celebrazione “cristiana” resta la stessa congratulandosi con le sue basi teologiche, giuridiche, biologiche, morali che lentamente affondano con essa. Ogni giovane è ormai in grado di porle in discussione da sé.

E perciò, mentre il “popolo cristiano” accetta ancora con cescente disinteresse la esteriorità del rito e della prassi matrimoniale cristiana, si fa a poco a poco più numerosa la schiera di quelli che cercano di vedere le cose più a fondo e di fare un matrimonio a misura di una nuova coscienza.

Parliamo di Roma. In giro non si dice, ma tra i pochissimi che tentano di dare un contenuto al loro matrimonio la necessità di un dialogo previo con le consuetudini consolidate si fa sempre più pressante. In molti casi i fidanzati chiedono forme di celebrazione non corrispondenti alla prassi vigente. C’è varietà di tentativi, persino antitetici, anche perché gli aspetti affrontati e contestati sono diversi. C’è chi fa il matrimonio civile e lo ripete in chiesa, c’è chi domanda che si evitino in chiesa letture di codici. C’è chi sposa al comune e comunica al parroco l’avvenuto matrimonio, c’è chi chiede un matrimonio solo religioso contestando la legislazione civile. C’è chi vuole una celebrazione senza bottega, c’è qualche prete che rifiuta di sposare sconosciuti. E c’è una chiesa, o meglio un ufficio, che ripropone a tutti la stessa risposta di sempre: questo è il rito autorizzato, prendere o lasciare.

Ancora una volta, fino alla noia, ripetiamo che è fuori delle nostre intenzioni attuali inoltrarci nel merito di questo enorme cumulo di problemi. Quel che pensiamo di aver chiarito è che a questi problemi bisogna finalmente porre attenzione per dare al matrimonio cristiano nella nostra diocesi un reale volto evangelico. La città è matura perché già respinge con la sua coscienza le forme attuali o le tollera con disprezzo, e perché comincia a proporre dal suo senso ipotesi che la struttura rigetta con azioni che in buona ecclesiologia si chiamano scomuniche. Ma senza dialogo di base. Noi come ne verremo a conoscenza in termini precisi ne faremo oggetto di comunicazione. La comunità cristiana deve sapere, le assemblee parrocchiali di base e il consiglio presbiterale devono essere chiamati a decidere su fatti avvenuti.

Sulla coscienza della gerarchia, ma anche della comunità che non reagisce, pesano le decisioni prese a riguardo di coppie di sposi romani allontanati dalla comunione sulla base di una prassi giuridica che si continua a ritenere intangibile come il vangelo. Non è tollerabile che gli unici ai quali giunge proibizione di celebrare un sacramento siano coloro che tentano di portarlo a livello di una coscienza più attuale.

Chiudiamo con queste note le riflessioni che furono provocate dalle norme emanate nel dicembre ’68 – gennaio ’69 dal Cardinale Vicario Dell’Acqua sulla celebrazione del matrimonio a Roma. Le abbiamo sviluppate nei numeri 6,7,10,13 de “La Tenda” e speriamo che tramite esse si sviluppi la riflessione e la discussione delle coscienze cristiane. A noi resta l’impegno di registrare i fatti che intervengono nella vita della diocesi a questo riguardo. Il sacramento del matrimonio è l’unico sacramento per l’età adulta e su di esso si giocherà l’avvenire delle comunità cristiane. Non possiamo permettere, mentre si combatte per recuperarne altri, che questo atto ecclesiale venga sottratto alla sfera della coscienza illuminata dallo Spirito.

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Veniamo a sapere che il Cardinale Vicario ha convocato in assemblea generale e permanente tutto il clero romano sui problemi del sacramento del matrimonio a Roma. Vi terremo informati anche di questo. Siamo felici di aver messo con il nostro modestissimo lavoro a disposizione della chiesa locale romana un materiale e un contributo di pensiero che solo ci rimproveriamo troppo povero.

Vi domandiamo di pregare, pensare e discutere con i presbiteri delle vostre comunità in vista della maggior maturazione possibile dell’argomento.

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Nuovi Contributi Del Movimento Laureati Cattolici Di Roma Alla Crescita Della Chiesa Locale

Abbiamo informato i nostri lettori (n. 8 de “La Tenda”) sul processo di ripensamento che il Movimento laureati cattolici di Roma sta compiendo da qualche tempo. Ricordiamo qui brevemente l’itinerario che ha già percorso: è stato posto in primo piano il tema della libertà cristiana e la riflessione su di esso ha contribuito ad una prima presa di coscienza della realtà della chiesa locale, come luogo in cui la crescita della fede si attua e si verifica, ove i molteplici carismi si esercitano e si integrano. Da questa riflessione è derivato l’esperimento di un nuovo modo di lavorare al servizio della chiesa, attraverso la formazione di gruppi che affrontassero i vari problemi della nostra città per contribuire all’elaborazione di una pastorale rispondente alle esigenze dell’uomo d’oggi.

Nel suo secondo “Quaderno di lavoro” (aprile 1970), il Movimento laureati di Roma ci dà notizia degli sviluppi dell’esperimento. In questa nota ci limiteremo a stralciarne alcuni passi particolarmente interessanti.

Ricordiamo innanzi tutto che i gruppi di lavoro non vogliono essere professionali né chiusi né istituzionalizzati. Essi sono composti da “tutti coloro che avvertono con particolare sensibilità, preparazione, competenza, una serie di problemi e di attese intorno ad una determinata realtà in cui vivono: gruppi aperti anche se omogenei nei dati di partenza”. Il lavoro che essi svolgono è destinato ai “responsabili degli istituti volta a volta interessati dalla realtà che viene esaminata”.

Essi rispondono a un modo nuovo di concepire la presenza del cristiano nel mondo: “…la realizzazione del proprio dovere, oggi più di ieri, non si esaurisce solo nel fare bene, con competenza, applicando correttamente le norme della scienza in cui si è specialisti, ma anche nel prendere criticamente posizione di fronte ai fini più generali in cui è innestato l’apporto professionale di ciascuno; è uno sforzo di intelligenza socio-politica che ci deve muovere anche in questo senso extra-professionale contro tutti “i condizionamenti del sistema”.

Vediamo ora quali nuovi passi siano stati compiuti dai singoli gruppi. Il gruppo su “Libertà cristiana e realtà diocesana” constata la dissoluzione delle comunità di quartiere e di vicinato, che costituivano la base sociologica su cui poggiava “bene o male” la concreta vita religiosa del cristiano, e d’altra parte rileva che l’insufficienza di una pastorale tradizionale è ormai giunta a Roma a limiti impressionanti, “facilmente constatabili nello scarso senso religioso che permea larghi strati della nostra città, nella predicazione e nella catechesi spesso incapaci di inserirsi al centro dei problemi che agitano l’uomo di oggi nelle celebrazioni liturgiche effettuate ancora con spirito giuridico (assolvere al precetto festivo !) più che con intenzione di comunione”. Donde l’esigenza di un rinnovamento della teologia che soggiace alla pastorale finora applicata nella nostra diocesi e nelle nostre parrocchie, e soprattutto di una riaffermazione vigorosa della centralità della Parola di Dio e della Eucarestia. È anche menzionata l’insufficienza numerica del clero a Roma, e sarebbe veramente importante che tale fenomeno venisse attentamente considerato nei futuri lavori del gruppo.

Il gruppo su “Strutture sanitarie e libertà religiosa nella diocesi di Roma” ha compiuto una prima raccolta e selezione di “momenti attuati o auspicabili della strutturazione sanitaria e assistenziale in Roma”. In particolare sono stati raccolti contributi sull’inadeguatezza del sistema assistenziale; sul problema degli anziani, che strutture esistenti considerano quasi unicamente, e per di più in modo insufficiente, sul piano dei bisogni materiali; sulla assistenza domiciliare (all’infanzia, agli invalidi e ai minorati cronici, agli anziani, ai subnormali ecc.), problema che a Roma è di dimensioni macroscopiche per l’elevata incidenza dei nuovi e inadatti insediamenti; sull’assistenza ai minori, con analisi critica dell’eccesso di strutturazione, contraria al principio psico-pedagogico di aiutare la famiglia al migliore esercizio del suo ruolo educativo primario, e dell’insufficiente qualificazione del personale operante in molte istituzioni laiche e religiose del settore “con scapito anche delle nuove vocazioni”. Oggetto di esame sono state altresì le strutture e prassi ospedaliere, i cui difetti sono ben noti: carenza di ricettività, inadeguatezza di attrezzature, disarmonia nella distribuzione territoriale e per livello di prestazioni, politicizzazione, necessità di una revisione degli organici e della prassi dei servizi di assistenza religiosa ospedaliera. A questo proposito il gruppo sottolinea la situazione di “numerose case di cura private (specie di lusso) di proprietà (o gestite) da istituti religiosi, e dove operano religiose, nelle quali sarebbe illusorio identificare le caratteristiche del servizi ospedaliero al sofferente secondo la tradizione luminosa della Ecclesia pauperum”. Il gruppo ha inoltre affrontato il problema dell’assistenza educativa nell’ambito di strutture convittuali o semiconvittuali per minori normali e subnormali; e quello dello stato attuale e del possibile sviluppo delle iniziative di volontariato cristiano in materia assistenziale.

Il gruppo su “Strutture urbanistiche in Roma in rapporto alla vita cristiana” richiama innanzi tutto l’attenzione sull’esistenza di numerosi vuoti di informazione reciproca “tra pastori e fedeli, e fra vari tipi di fedeli”, sui modi di organizzazione della vita di città, sui modi di inserimento vivificante della comunità cristiana nella vita organizzativa della città, e circa lo stesso inserimento delle strutture ecclesiastiche nelle strutture della vita cittadina. In particolare, il gruppo ritiene “doveroso” riflettere sulla convinzione diffusa che esita a Roma “ una connivenza di fatto tra vicariato e sistema in essere della speculazione delle aree che determina le forme e le condizioni dello sviluppo della città”, convinzione alimentata dal modo attuale di programmare e realizzare le chiese e i complessi parrocchiali. Nella persuasione che “un modo nuovo, partecipato, di programmare, di costruire e di utilizzare le parrocchie […] sarebbe certamente un contributo essenziale della comunità cristiana romana ad un modo nuovo di fare la città di Roma”, il gruppo propone che vengano costituiti nella diocesi “centri e luoghi di consultazione per la costruzione delle chiese e dei centri parrocchiali”, e che siano adottati “metodi di indagine capaci di cointeressare ai centri parrocchiali, intesi anche quali riferimenti “civili”, le comunità cittadine e di quartiere nella loro totalità”.

Il gruppo su “Autorità e libertà nell’azienda industriale” è tuttora in fase di rodaggio.

Un nuovo gruppo su “Scuola e educazione alla libertà in rapporto ai valori religiosi” inizia il suo lavoro purtroppo senza prendere in considerazione le critiche al privilegio di cui la Chiesa gode nella scuola statale in virtù del Concordato; il gruppo dichiara che l’insegnamento religioso deve essere impartito nel pieno rispetto della libertà dell’alunno, ma non si chiede che valore, che incidenza possa avere un’educazione alla fede che non si realizzi per opera e all’interno di una comunità ecclesiale. Nonostante questi limiti d’impostazione, che ci auguriamo vengano superati, sono da segnalare gli incontri che il gruppo organizza, con il contributo di esperti varii, sul problema della scuola a Roma.

Per concludere, diremo che questi lavori del Movimento laureati rappresentano qualcosa di nuovo e di significativo nella vita della chiesa locale di Roma. Essi contribuiscono a delineare un quadro articolato della condizione umana nella nostra città, e in tal modo promuovono la formazione di un’opinione pubblica tra i cristiani di Roma, che a lungo andare non mancherà di esercitare un’influenza positiva. Il lavoro dei gruppi costituisce inoltre un tentativo di partecipazione efficace alla pastorale della Diocesi.

È proprio nella misura in cui ogni cristiano prenderà coscienza della reale condizione della sua chiesa e della sua città, e maturerà così il senso di una propria responsabilità e l’esigenza di dare un suo contributo di esperienze e di idee, che i pesanti condizionamenti negativi che rendono poco credibile l’annuncio della Parola potranno essere rimossi. Noi della tenda siamo lieti di constatare che l’analisi della stagnante situazione della nostra chiesa locale, la ricerca e l’individuazione delle sue cause comincino a trovare conferma per opera di altri gruppi di cristiani. Con la viva speranza che un forte movimento d’opinione e di partecipazione operativa determini una radicale conversione della comunità cristiana di Roma, concludiamo questa nota riportando le parole pronunziate dal cardinale vicario all’Azione cattolica di Roma: “È dovere di tutti i cristiani consapevoli, che si pongono al servizio del Regno, denunciare ed impegnarsi a fondo contro ogni forma di menzogna, ovunque essa si nasconda, a cominciare da se stessi e dalla comunità cui si appartiene. Così operando, ciascuno offre il suo apporto alla pastorale della Chiesa di Roma, contribuendo a suscitare il popolo di Dio, partendo dal popolo che vive in questa città”.

Chi intende partecipare al lavoro dei gruppi del Movimento laureati può rivolgersi ai responsabili:

1) Libertà cristiana e realtà diocesana: Fidelia Bacci (tel. 6225621)

Francesco Dore (tel. 3564044)

Luigi Fiorani (tel. 854581)

Ass. d.Clemente Riva (tel. 681414)

2) Strutture assistenziali sanitarie e libertà religiosa nella diocesi:

Francesco Di Raimondo (tel.470824)

3) Strutture urbanistiche in Roma in rapporto alla vita cristiana:

Mario D’Erme (tel. 6090926)

4) Autorità e libertà nell’azienda industriale: Franco Morabito (5406542)

5) Scuola ed educazione alla libertà in rapporto ai valori religiosi:

Gabriella Di Raimondo (470824)

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