Lettera 30 (Prima Serie)

 

Caso Lutte Un Invito Alla Chiarezza. (1).

Introduzione

Quando ormai sembrerà materiale da archivio pubblichiamo alcuni rilievi sul caso di don Gerardo Lutte. Non in inutilmente, se esiste un secondo momento di riflessione per ogni avvenimento posto o conosciuto. Come sempre il nostro proposito è di favorire valutazioni di fondo. A tanta distanza dai fatti tendiamo non a sistemarli con magari salomoniche sentenze ma piuttosto a favorire più estesi sviluppi. Perché insomma il seme germogliato nella chiesa locale venga posto in condizione di fiorire ulteriormente negli atteggiamenti, i più veri, che resistono allo scadere dell’interesse del momento. Il lavoro di ripensamento su un avvenimento al quale molte comunità romane di base hanno preso parte non è volto quindi a mettere i punti sulle i, con il senno del poi, a quel che don Lutte o le comunità di base o il Vescovo hanno fatto. Anzi nel caso in questione crediamo di intravedere non poche intuizioni di fondo ben valide ma che non furono espresse estesamente. Certe intuizioni appunto non riescono ad emergere quando le cose si sviluppano ed esprimono nel linguaggio e nei tempi imposti dal ritmo dei giornali quotidiani che nel caso in questione hanno avuto non poco conto. Spesso finiscono per avere la velocità delle rotative anche processi che nella loro interna maturazione hanno ben poca possibilità di adeguarvisi. Ne risulta che se don Lutte, le comunità di base e il Vescovo assumono, per amore o per forza, giustamente o ingiustamente, la tecnica del dialogo per documenti, dichiarazioni, assemblee pubbliche, lettere aperte, serie di articoli ecc. ne viene ancor più giustificato e necessario il momento successivo del ripensamento critico. Esso è, ripetiamo, non il rivedere le bucce stando a tavolino; piuttosto l’applicarsi ad estrarre i significati e le implicazioni meno percettibili a prima vista oppure accantonato, per mantenere il dialogo in un alveo largo non tanto da provocare dispersione.

Il senso di questa introduzione ci porterebbe a porre il problema dei tempi e dei luoghi (umani) nei quali i processi di maturazione dello spirito hanno il diritto di essere coltivati. Problema davvero non assente dall’avvenimento che ha preso il nome di “Caso Lutte”, “affare Lutte”, dove alle volte le parole giudicano le cose che indicano. Anche noi siano però costretti a non allargare a macchia l’olio l’oggetto delle considerazioni che svolgiamo. Rimandiamo perciò ad altro momento o ad altra occasione l’esame dell’aspetto formale dei confronti intra-ecclesiali, sul quale argomento abbiamo detto qualcosa nell’articolo “Chi è prete romano” (La Tenda, n. 24: luogo dei confronti è la assemblea eucaristica e in secondo momento la concelebrazione dei presbiteri col Vescovo). Veniamo quindi alla sostanza del fatto in questione.

Siamo particolarmente favoriti dalla pubblicazione di “Dalle baracche alle case”, Pratorotondo, Documenti, Centro Dehoniano, 1971. Ci si dispensa dal riportare i documenti ormai tutti di pubblico dominio! Li citeremo nel corso dell’articolo con la sigla DOC. Il nostro lavoro ha come centro d’interesse la persona di don Lutte particolarmente nel suo rapporto con la comunità ecclesiale e trascura tutti gli altri personaggi degli avvenimenti (azione dei comitati di borgata, dei gruppi studenteschi, delle autorità civili ecc., situazione e personalità dei baraccati ecc.), sui quali o sui rapporti dei quali con Lutte il libro appena citato offre abbondante materiale.

Cronologia ragionata e documentazione

Primo tempo: inizio e primo scontro.

1966: Don Gerardo Lutte, salesiano, insegnante nel Pontificio, Ateneo (PAS) si inserisce nella borgata di Pratorotondo a via dei Prati Fiscali: celebra l’Eucarestia domenicale nella cappella della borgata, si applica ad una più precisa conoscenza esperienziale della vita della borgata.
1967: nasce il “Comitato di Borgata” del quale fa parte Lutte.
Luglio 1969: Sospeso dall’insegnamento, Lutte viene richiamato temporaneamente in Belgio. Appartiene infatti alla “Ispettoria” salesiana belga. Alla base del provvedimento il progressivo impegno di Lutte a evidenziare le matrici della situazione di emarginazione sociale dei baraccati, tra le quali la speculazione edilizia della stessa congregazione salesiana.
Ottobre 1969: Lutte è a Roma dove ha ancora un impegno di studio presso l’Università di Stato. Torna a presiedere l’Eucarestia della Cappella di borgata e si pone come elemento sempre più attivo nella vita della borgata stessa che matura non senza di lui obiettivi e metodi di cambiamenti sociali. La congregazione salesiana insiste per il suo definitivo ritorno in Belgio.
ottobre 1969: “La Tenda” espone il caso e chiede alla diocesi di Roma di sentirvisi coinvolta “La Tenda”4, pag. 7 “Due preti lasciano Roma”.
20 ottobre 1969: lettere da Pratorotondo chiedono a Lutte di restare. Egli gira la domanda al Vicario di Roma.. “Ho comunicato anche che da quel momento non avrei preso decisioni senza consultare la popolazione di Pratorotondo e senza il loro assenso… Rischiando di essere escluso dalla congregazione salesiana e anche dal poter esercitare il ministero sacerdotale.” Il Superiore salesiano risponde che è difficile che gli venga permesso di restare a Roma. La posizione rigida di Lutte e il timore che nasca un “caso Lutte” simile a quello dell’Isolotto convince il Vicario di Roma a prendere il toro per le corna. Il Card. Dell’Acqua dei primi tempi fa onore alla sua funzione episcopale con interventi abbastanza rapidi. Pubblicate in “Testimonianze” 119 e 121.
13 novembre 1969: il vicegerente Poletti incontra Lutte e gli abitanti di Pratorotondo. L’assemblea è movimentata (DOC. 49 sgg.). Il Vescovo tenta di preparare il peggio ma in fondo assume una posizione possibilista. Il testo degli interventi è in “Il Regno”, 1/12/1969 e in DOC 49.
23 novembre 1969: il vicegerente Poletti torna a Pratorotondo, concelebra con Lutte e annuncia che questi potrà restare. Cf. cit. “Lettere 70” 5 pag. 5 DOC 85
13 dicembre 1969: il superiore salesiano Chiandotto conferma la condizione di “non abitare in borgata”. Lutte accetta. Tutto torna nella calma per un intero anno. Lutte prosegue nella sua azione. La base della chiesa locale segue con una certa simpatia. Il Vicariato trova che la cosa migliore è di non muovere le acque. La congregazione salesiana prepara invece una strategia articolata.

Secondo tempo: tentativo di liquidazione.

Settembre – novembre 1970: incontri e ordini verbali. Cfr. la cronistoria riportata dal ciclostilato ufficiale dei Salesiani in “Il Regno” 1/3/71, pag. 138 DOC. 121
17 dicembre 1970: ordine scritto ultimativo di don Shúrre superiore salesiano belga, a rientrare in Belgio entro il 7 gennaio 1971. Pubbl. in “Il Regno” 1/3/71, pag. 136 DOC. 124
28 dicembre 1970: risposta di Lutte, che comunica la decisione di restare a Pratorotondo, qualunque sia la conseguenza. “Il Regno” 1/3/71, pag. 136 DOC. 125
15 gennaio 1971: don Ricceri, superiore maggiore dei salesiani risponde per “prendere atto che… (Lutte) ha scavato una evidente frattura tra se e la congregazione Salesiana”. “Il Regno” 1/3/71, pag. 137 DOC. 127
15 febbraio1971: giunge la conferma da parte della congregazione dei religiosi alla espulsione di Lutte da parte dei salesiani. Si aggiunge che “a norma del canone 671/1” Lutte è conseguentemente sospeso dall’esercizio del Sacerdozio (che evidentemente era ad uso interno della congregazione). E qui si esaurisce l’iter predisposto nelle curie, salesiana e vaticana. Il Vicariato che la sa più lunga di tutti si è tenuto fuori da questo troppo facile correre di carta bollata. Variamente sollecitato non ha tolto le castagne dal fuoco per nessuno. Precauzione non inutile che lo renderà l’unico in grado di intervenire con le mani pulite al tempo del necessario salvataggio. Pubbl. in foto da “Il Regno” 1/3/71, pag. 125 DOC. 129
Infatti:

Terzo tempo: imprevisti e ripensamenti.

29 gennaio 1971: lettera dei baraccati al Papa perché Lutte resti. “Il Regno” 1/3/71, pag. 129 DOC. 128
lo stesso giorno primo articolo di Raniero La Valle su “La Stampa” che rilancia il caso Lutte come fatto di chiesa e soprattutto chiama in causa la chiesa locale romana. Altri articoli di La Valle ivi, 26/2/71 – 5/3/71 – 19/3/71, Tutti, eccetto lo ultimo in DOC 147 sg.
febbraio 1971: in diverse comunità parrocchiali di Roma si prepara una lettera. Verrà, consegnata con tremila firme personalmente al Cardinale Vicario il 18 marzo 1971. Si aggiunga una lettera al consiglio presbiterale romano su questo ed altri argomenti. v. appendice 1.

v. appendice 2.

marzo 1971: durante una riunione di Vescovi del Lazio alcuni chiedono al Vicario di Roma di “ripescare Lutte”. Da “Il Messaggero” citato per esteso più oltre.
1 marzo 1971: riunione normale del Consiglio presbiterale chiede con procedura d’urgenza di trattare il caso Lutte. Dura replica verbale del vescovo Poletti che dichiara il consiglio presbiterale incompetente In un secondo momento si accetta di parlare del caso ma precisando che non ne resterà traccia ne verbale della riunione. Ci si rende conto in Vicariato che non si può “tenere” contro la stampa, il clero e la chiesa tutta. Neppure tuttavia si può svergognare pubblicamente l’ordine salesiano. L’Osservatore Romano avverte: “La congregano salesiana soffre”. “L’osservatore Romano” 1-2/3/71.
Il Vicariato è l’unico in grado di dire una parola non avendo ancora preso pubblica posizione dopo gli ultimi atti della congregazione salesiana. Ma è in situazione critica: rischiare avallando l’opera dei salesiani? Coprire Lutte scontentando i salesiani?
Si tentano mosse indirette. Qualche intermediario più o meno autorizzato prova e desiste (P. Pin, gesuita della Gregoriana). La polizia italiana comunica a Lutte che il permesso di soggiorno in Italia è scaduto; ma un contratto di lavoro con le ACLI lo salva e il gioco non riesce. Non resta che trovare un compromesso, qualche formula che dia e non dia. Anche la Segreteria di Stato non vuole guai, le basta l’Isolotto. Ci si accerta che la congregazione dei religiosi non reagirà alle proteste dei salesiani e quando ormai anche loro sono in cerca di un salvatore,
primi giorni di marzo 1971: Lutte viene bonariamente invitato dal Vicariato a riprendere la celebrazione della Messa. Dai giornali; p.e. “L’avvenire” 11/3/71.

Quarto tempo: Lutte prete romano. Inizio.

6.marzo 1971: Lutte rinunzia la decisione del Vicariato e celebra l’Eucarestia a Pratorotondo. Esce anche un comunicato del “Comitato di borgata Prato Rotondo” peraltro in tono di “si rallegra”, “riconoscenza” ecc. DOC 145.
Dunque Lutte è espulso (“dimesso”) dalla congregazione salesiana e il suo sacerdozio è sospeso; rivive però nella chiesa locale di Roma.
. Potrebbero nascere ripercussioni nei rapporti (ecclesiali) tra la diocesi di Roma e i salesiani, potrebbero rinascere processi di scomunica e ricomunione degni dei tempi post-apostolici partendo dalla marginalizzazione dei salesiani dalla chiesa locale di Roma contenuta a chiare lettere nel fatto che un elemento da essi espulso viene assunto a capo di comunità eucaristica nella chiesa locale di cui anch’essi fanno parte. Ma il Vicariato cerca di diluire la portata del provvedimento.
8 marzo 1971: il Vicariato emette un comunicato (che riporteremo per intero nella 3a parte di questo lavoro) nel quale dichiara che il suo agire è stato motivato da benevolenza verso don Lutte e deve interpretarsi né come sconfessione dei salesiani né come approvazione di Lutte. Dopodiché il Vescovo pensa di aver salvato capra e cavoli e rapidamente invita a smobilitare : “L’osservatore Romano” 8-9/3/71

“Il Messaggero”

“Il caso è chiuso” dichiara il Vescovo Poletti.
Lutte ne ha abbastanza. Dichiara anche lui “il caso è chiuso”.

Quinto tempo: una storia tutta da fare.

dal luglio 1971: don Lutte presiede stabilmente l’Eucarestia di una comunità di base (non parrocchiale) della chiesa locale di Roma.
agosto 1971: la borgata di Pratorotondo viene demolita, gli abitanti trasferiti in blocco nella zona della Magliana (EUR). Lutte parte con loro. Con cristiani in una situazione sociologica per loro nuova ma ben più sostanziale alla città, che le pittoresche baracche: quartieri interi di quarta categoria non più eliminabili chirurgicamente. Il modesto lavoro che segue pur rivolto al passato è stato pensato in funzione del futuro. Perché il seguito di una proposta di comunità di base e di un “tipo” nuovo di presbitero sia accompagnato dalla fraterna attenzione della chiesa locale.

Ipotizziamo che Lutte sia stato protagonista di tre avvenimenti ben identificabili anche se interdipendenti. Secondo noi Lutte ha realizzato tre diverse opzioni che pur diverse una dall’altra potevano anche non susseguirsi. E’ ovvio che nella realtà le cose sono ben unite e formano appunto la complessa situazione intorno alla quale Lutte, Vescovo e comunità hanno dialogato in forme un po’ intricate.

Primo: Lutte è un religioso ché non condivide le scelte della congregazione cui appartiene e alle quali è anche chiamato a collaborare.

Secondo: Lutte si inserisce in una situazione della chiesa locale di Roma, il mondo del sottosviluppo urbano, ponendosi, così all’interno di una complessa realtà che la diocesi con diversa sensibilità vive e non vive.

Terzo: in questo impegno don Lutte sceglie la sua personale forma di presenza e la fa confluire con l’esercizio della sua funzione di presbitero quale è . Crea un tipo di azione sacerdotale che per il solo fatto di esistere fa domanda formale di essere recepito con pieno di cittadinanza nel presbitero romano.

Le tre opzioni sono in don Lutte conseguenti l’una all’altra; più volte le ha illustrate nel loro emergere spontaneo e progressivo alla chiarezza della sua coscienza come tra loro collegate naturalmente (vedi il citato “Lettere 70” 5). In teoria però non sono inscindibilmente unite. Nella linea delle cose possibili don Lutte poteva contestare la sua congregazione, e contestarla proprio nella sua politica edilizia; e persino in quanto contraria alla finalità specifica salesiana nella educazione della gioventù, attestandosi però su posizioni critiche dall’interno o qualificando il suo insegnamento accademico, come difatti fece in primo tempo. Ha voluto portare più oltre la sua azione, con piena legittimità, ma si è realizzato ben al di fuori di un ambito univoco. Nella realtà le cose non avvengono una alla volta, si tira la fune e viene su il bue. Ma, e qui siamo al punto, se il fronte sul quale si combatte e molto lungo è naturale che per ogni tratto di trincea occorra disporre dei mezzi adatti al terreno sul quale si agisce. Perciò ci applicheremo ad una analisi distinta per i tre aspetti suddetti.

Lutte E I Salesiani

Don Lutte aderisce ad una congregazione (associazione) che ha tra i suoi scopi l’educazione della gioventù con particolare attenzione alla gioventù povera. Solo il Signore non sbaglia. Sicché congregazioni e membri si danno una reciproca garanzia: la “Regola”. Un Vescovo (in greco la parola suona “sorvegliante”) “approva la regola”, cioè si fa garante della sua concordanza con la tradizione cristiana (= il vangelo che vive nella chiesa) come anche del rispetto delle parti. Parlando terra terra: se nostro figlio sceglie un giorno di realizzare la sua vita in compagnia di altri uomini, da dove potremo trarre elementi per aiutarlo a giudicare se l’avvenire che lo attendo è secondo le qualità del carattere e le predisposizioni della sua natura? Dall’esame della regola in cui si impegna e che farà da traccia alla sua vita. E chi garantisce che lo scopo e i mezzi indicati dalla regola sono all’interno della tradizione cristiana, magari come sviluppo di ulteriori intuizioni evangeliche? L’approvazione del Vescovo che ha la funzione di “discernere lo Spirito”. In conflitto di interpretazione, in caso di infedeltà o abuso della regola a chi ci si rivolge prima di rescindere il rapporto di convivenza e collaborazione? Al Vescovo. E chi stabilirà allora se congregazione o individuo devono modificarsi perché l’altro dei due ha più corretta interpretazione della regola? Perché possono capitare due cose:

che la congregazione si accorga che un suo membro non condivida fini e metodi indicati nella “costituzione”. E può capitare che sia il singolo ad accorgersi che la congregazione non sta ai patti e lo costringe invece ad agire per scopi o con mezzi non riducibili alla regola. Deciderà ancora il Vescovo, o il Papa se la garanzia e l’impegno di sorveglianza sono stati accettati dal primo dei Vescovi ed estesi a tutta la chiesa (“congregazioni di diritto pontificio” distinte dalle precedenti di “diritto diocesano” secondo la denominazione del diritto canonico).

Torniamo a don Lutte. E’ stato esercizio del suo diritto e persino suo dovere contestare le scelte della sua congregazione salesiana quando ha ritenuto di averne motivo. Per quel tanto che si sa, a Roma i motivi c’erano, né alle voci ricorrenti di speculazioni edilizie di grandi dimensioni è venuta da parte interessata una minima voci atta a dissiparle. Come ora sappiamo, don Lutte ha agito prima per vie interne, poi ponendosi in una situazione di compartecipazione di vita con le vittime. Si badi bene che questo atteggiamento, dal punto di vista del porsi all’apposizione nella congregazione, è quanto di meno bellicoso si possa immaginare. Don Lutte, andando a vivere nella borgata, non chiede neppure che i salesiani sconfessino immediatamente tutto ciò che nell’ordine non si accorda con la sua scelta personale, ma solo chiede di esistete nella borgata come salesiano per rendere credibile il suo messaggio salesiano e di esistere nella famiglia salesiana come baraccato, evidentemente perché la particolare forma di umanità che egli assume lentamente fruttifichi nella congregazione.

E’ l’irrigidimento della controparte che chiama in causa l’autorità del Vescovo. Trattandosi di congregazione riconosciuta a livello di chiesa universale è competente il Vescovo di Roma che agisce tramite la “congregazione dei religiosi” (il dicastero centrale addetto in Vaticano agli affari degli ordini e delle congregazioni religiose di “diritto pontificio” cioè, come si diceva, riconosciute in tutta la chiesa). Si noti che il ricorrere alla congregazione dei religiosi indica che, da parte della congregazione salesiana, si ritiene chiusa la parte del dialogo diretto tra individuo e comunità, che si pone il problema in termini di “o lui o noi” e che il giudizio sulla fedeltà alla regola salesiana é rimesso al Vescovo. Le due parti, salesiani e don Lutte, sì appellano al Vescovo: “Si può essere don Lutte e salesiano nello stesso tempo?”.

Giunte le cose a questo punto, va detto che un intervento della congregazione dei religiosi è formalmente ineccepibile. E’ perché c’erano in gioco gli altri due aspetti, che esamineremo, che a molti essa è apparsa (ed è stata in realtà) una procedura da accerchiamento sui fianchi. Non c’è da lamentare l’intervento della congregazione dei religiosi nelle questioni tra gli ordini e i loro membri.

Che se riconosciamo la validità formale di quell’intervento, siamo pure ben decisi nell’affermare che esso è stato condotto, pur sotto il solo profilo che consideriamo, con principi e metodi ingiusti. Ci addentriamo in questo giudizio di merito perché esso ha un insospettato ma grave risvolto nella chiesa locale romana. Con don Lutte c’è stata la ennesima manifestazione della prassi inderogabile del dicastero centrale che, senza scampo, decide in favore delle congregazioni e contro i singoli. Una ragion di stato sulla quale varrebbe la pena di indagare lascia ormai i singoli aderenti alle famiglie religiose di fronte a tragici dilemmi: prendere o lasciare, magari in condizioni di età, di salute, di titoli di studio, di capacità professionali assolutamente inadatte al reinserimento nel mondo, unica alternativa offerta. Qui sta il grave degli ormai innumerevoli interventi centrali tutti nello stesso senso: se non sono nostro figlio e nostra figlia sono sempre nostri fratelli e sorelle più giovani che a migliaia (leggete bene: a migliaia) escono dalle congregazioni religiose, contestandone la fedeltà alla regole. La congregazione romana si limita a registrare statistiche catastrofiche ed è solo oberata dal “lavoro” che la pratica burocratica comporta per ogni singolo caso. Nei tempi andati ordini religiosi interi si spaccarono per questioni di fedeltà alla regola (quanti ordini benedettini, del resto già costituzionalmente assai decentrati, tre ordini francescani, due carmelitani ecc.) e vennero riconosciuti. Le strutture centrali attuali dimostrano di non saper neppure battere le vie più tradizionali del favorire sdoppiamenti non solo legittimi ma ormai persino raccomandabili. Si potrebbe tentare di favorire il sorgere di nuove congregazioni in famiglie religiose ormai profondamente divise: ma al massimo Roma indica vie di lentissima trasformazione e aiuta di fatto il perpetuarsi di poteri costituiti e di oppressioni della personalità. Si scende al piccolo dove è più facile costringere i singoli ad uscire alla spicciolata, magari parlando di disadattamento e nevrosi. Sarà anche vero, ma ci sarebbe da chiedere cosa ha provocato le nevrosi e i disadattamenti, che del resto non vengono mai chiamati in causa per chi resta.

Perciò: sotto l’aspetto del rapporto tra Lutte e congregazione salesiana noi non lamentiamo l’intervento del Vescovo o di chi per lui, ma che esso sia stato posto in termini di un puro e semplice richiamo all’obbedienza alla famiglia religiosa, senza tante questioni. Quanto a procedura, don Lutte non è stato neppure ascoltato. Quanto ai criteri che Roma usa nel giudizio, appaiono da ciò stesso: l’ordine (religioso o altro) è ordine, e Roma sta per l’ordine.

Ma dicevamo che queste cose hanno un riscontro grave nella chiesa locale romana, dove esse avvengono. Nel fondo della coscienza dei cristiani di Roma, nelle coscienze dei giovani questi si incidono. Bisogna ricordarsene quando ai scopre che a Roma le vocazioni religione sono a livello zero. Non “poche”, ma proprio “zero”. Che i nostri figli si facciano crescere la barba e vadano sporchi perché non trovano un San Francesco da seguire ci rammarichiamo. Che vadano a far ripetizione nelle baracche, e senza alcuna didattica perché non ci sono in giro i continuatori di San Giovanni bosco o di San Giovanni de le Salle ai quali unirsi, ci dispiace. Ma se entrassero nei conventi di oggi ci dispiacerebbe ancor più.

Non è necessariamente diabolico egoismo quello che spinge l’opinione generale a sfavorire o svalutare l’impegno nella vita religiosa ufficiale. Roma è l’ultima città del mondo anche come vocazioni religiose. E’ quindi la prima nella contestazione a strutture che evidentemente ritiene irrecuperabili. Il Vescovo della chiesa locale di Roma avvalla nel mondo un “tipo” ben preciso di vita religiosa; la sua chiesa locale lo rifiuta: la cosa non significa nulla?

Dobbiamo ancora nominare per il presente aspetto due linee di riflessione che non potremo in alcun modo approfondire. Senza discuterle abbiamo attribuito al Vescovo due funzioni circa gli ordini religiosi: garantire che le regole siano secondo lo Spirito e, secondo, giudicare circa la corrispondenza dei singoli come degli ordini alle regole. Quanto al primo compito, sorvegliare le regole, ce ne sono di vecchie di più secoli alle quali solo ora si comincia metter mano per i restauri, e per certe si può domandare fino a che punto siano evangeliche. Per la seconda funzione episcopale, giudizio nel merito della fedeltà alla regola, si procede come si è detto. Naturale quindi che si assista oggi all’emergere di domande di fondo. I gruppi si chiedono: “dobbiamo proprio darci una regola che finirà per essere il nostro guinzaglio?”. Si ricorderà che San Francesco pensava così.

Viviamo tempi nei quali tali domande sarebbero nate anche in presenza del miglior funzionamento possibile degli organi episcopali. Tanto più il cattivo esercizio delle funzioni porta molti a chiederne le prove di legittimità. Non proseguiamo su queste linee di pensiero. Solo notiamo che quando ci si riduce alla “routine” trascurando anche un minimo di elasticità si finisce per minare la propria credibilità.

(continua nel prossimo numero)