Lettera 29 (Prima Serie)

 

Cari amici,

la Pasqua, che ci accingiamo a celebrare, ci sollecita a ritrovare il senso della nostra esistenza nel mistero della morte e resurrezione di Cristo. Vivendo in tempi che vedono l’uomo più che mai umiliato, spossessato della sua dignità, manovrato in mille modi, lacerato nel profondo, ci appare presto chiaro il senso della Pasqua, anche se poi esso si deve fare ancor più chiaro in ciascuno di noi, in relazione al ruolo che siamo chiamati a svolgere. A noi che, oltre al lavoro normale di ciascuno, portiamo avanti questa modesta attività di documentazione, ci viene dall’evento pasquale la spinta a proseguire nella strada intrapresa, con impegno, attenzione, apertura più profondi che non per il passato. Sentiamo, infatti, che l’evento della resurrezione si innesta nella vita di ogni giorno, attraverso la lotta per una chiesa ed una città a misura dell’uomo. Sentiamo altresì che uno dei modi di condurre tale lotta sta nel favorire nei fratelli una coscienza più viva della realtà in cui sono immersi, degli ostacoli e delle condizioni necessarie per modificarla. In particolare ci sembra che si debba restituire una prospettiva storica ed un filo conduttore ad avvenimenti che, diversamente, vengono percepiti senza nesso logico e senza la necessaria possibilità di una analisi globale. E, quel che più conta, vogliamo continuare a portare avanti questo compito senza far ricorso alle certezze che possono venire da posizioni di potere o da scelte astute, fidando solo nel Cristo e nel suo insegnamento.

In questo proposito, che ci accomuna a tutti coloro che hanno accettato di proseguire i dialogo su queste pagine, sta il migliore augurio pasquale. Insieme a questo augurio, vogliamo rivolgervi l’invito alla preghiera sulla mensa, nel giorno di Pasqua, secondo l’antica tradizione, assai ricca di significato, cui abbiamo voluto ricollegarci. Fraterni saluti.

Gli amici de “La Tenda”

 

Per La Storia Della Chiesa Locale Di Roma.

 

Nella “miscellanea Historiae Pontificiae” è stata recentemente pubblicata, col titolo “La vita religiosa a Roma intorno al 1870”, una raccolta di ricerche compiute da un gruppo di studenti della Gregoriana, sotto la guida dei professori P. Droulers, G. Martina e P. Tufari.

Osserva P. Droulers nell’introduzione, che mentre sono assai numerose le indagini sul movimento cattolico italiano dell’800 e del ‘900, e non mancano indagini critiche sulla spiritualità di alcune regioni italiane nell’800, “poco o nulla si è fatto per conoscere scientificamente la religiosità concreta del popolo romano, clero e laicato” (p. 2). Secondo la ricostruzione tradizionale, la vita della Roma papale sotto il profilo religioso “è descritta sostanzialmente come una giusta opposizione di strutture ufficialmente cristiane e di conformismo, ipocrisia, anticlericalismo, sensualità tanto più violenta quanto più repressa esteriormente” (p. 3).

Una revisione sostanziale di tale quadro richiederebbe un gran numero di ricerche particolari, ma già sulla base dei saggi esplorativi raccolti in questo libro, P. Droulers ritiene possibile trarre alcune conclusioni nuove: “Innanzi tutto, il quadro religioso di Roma papale intorno al 1870 è molto più vario, complesso, sfumato, e se vogliamo contraddittorio, di quanto sia stato tramandato dalla vecchia tradizione. In secondo luogo, la breccia di Porta Pia non ha provocato una frana improvvisa e fatale nella religiosità dell’Urbe: l’evoluzione è stata più lenta di quanto non si creda…” (p. 8).

Noi non intendiamo fare in questa sede un esame critico dei saggi di questa raccolta, ma soltanto partecipare alcune riflessioni alle quali il libro ci ha dato materia e occasione.

Veramente queste indagini sulla vita cristiana a Roma intorno al ’70 rivelano aspetti di una realtà complessa e contraddittoria. Una realtà, aggiungiamo da parte nostra, che ci aiuta a comprendere meglio noi stessi, ponendoci sotto gli occhi i presupposti storici di antinomie che tuttora viviamo nella nostra Chiesa locale. Questo passato di cento anni e più, che ad un primo approccio appare alquanto remoto alla nostra generazione “conciliare”, è in realtà ancora presente in noi stessi, nella educazione cristiana che abbiamo ricevuto, negli ostacoli che le nostre comunità incontrano nel loro cammino di fede, nel loro stesso costituirsi e moltiplicarsi, e proprio con quella ambiguità di caratteri di cui gli storici ci rendono più avvertiti.

Noi percepiamo, ad esempio, una continuità spirituale tra la nostra esigenza di una più autentica eucaristia, e l’intento pastorale con cui un secolo fa la Chiesa locale di Roma limitava l’estensione delle circoscrizioni parrocchiali. I seguenti dati ci fanno riflettere: “Nel 1870 su 54 parrocchie 19 non raggiungevano i 3.000 ab.; 15 non raggiungevano 1 5.000ab.; 12 superavano di poco 5.000 ab.; 5 (S. Dorotea, S. Agostino, S. Maria Maggiore, S. Maria ai Monti, S. Maria in Trastevere) superavano i 6.000 ab.; 2 (S. Lucia in Gonfalone e S. Andrea delle Fratte) superavano 1 7.000 ab.; 1 sola (SS.Vincenzo e Anastasio) superava i 9.000 ab.” (p. 23, nota 19). Senza contare la collaborazione delle cappelle, case di ritiri, istituti religiosi. Il parroco era così in grado di conoscere i fedeli affidati alla sua cura pastorale, favorito in ciò anche dalla maggiore facilità di rapporti umani consentita dal carattere ancora medievale della città. Sottolineiamo che queste soluzioni erano frutto di una lunga esperienza compiuta sulla base di un assetto sociale sostanzialmente statico.

Le stesse segnalazioni sull’idoneità alla comunione dei fedeli, trasmesse annualmente dai parroci al Vicariato, testimoniano una sollecitudine, oggi tutta da riscoprire, nel garantire un’autentica vita sacramentale. (Non atti alla comunione, a parte i minori di 14-15 anni, sono più spesso singoli, ma a volte anche intere famiglie; per lo più sono non romani, ma a S. Crisogono, tra il 1864 e il 1874, sono per metà romani. In genere appartengono al popolo minuto, ma negli anni dopo il ’70 sono anche liberi professionisti, nobili ecc. cfr. p. 22).

Altri aspetti, di segno diverso, destano in noi un interesse non soltanto storico. Ad esempio la “nota di quelli che non hanno adempiuto il precetto”, punto di partenza annuale di una procedura che con l’interdetto e infine la scomunica, determinava anche l’isolamento sociale dell’impenitente. “Intanto li RR. Parroci non li facciano fede alcuna di povertà, e procurino di farli sospendere le limosine” (p. 98), raccomandava l’Istruzione del Vescovo di Roma. Erano tempi in cui si discuteva se in ogni caso dovesse applicarsi la bolla di Pio V che ordinava ai medici di abbandonare dopo il terzo giorno l’infermo che avesse ricusato di confessarsi (p. 209, nota 43): alcuni teologi opinavano che qualora l’infermo fosse così esposto a pericolo di morte, “il precetto naturale della carità” dovesse “prevalere alla legge ecclesiastica”; ma non mancavano “a codesta opinione contraddittori”.

Il potere temporale della Chiesa, giustificato come base della sua libertà spirituale, sviluppava la sua propria logica; è ben vero che no si può essere servi di due padroni. Così, la verifica dell’appartenenza alla comunità cristiana si snaturava diventando strumento di pressione materiale morale, a salvaguardia di un conformismo religioso che conferisse al dominio temporale una parvenza di legittimità (il che non significa, certo, che la religiosità dei romani non fosse altro che conformismo).

Le osservazioni generali che i parroci aggiungevano talora alle loro relazioni sull’adempimento del precetto, sono una viva testimonianza di questa ambigua temperie: “Parrocchia di S. Sebastiano fuori le Mura, 1866: Nessuno per misericordia di Dio è rimasto senza adempiere il precetto Pasquale”; Parrocchia di S. Marcello, 1861: “Malgrado le accurate indagini da me adoperate all’uopo non posso asserire con certezza che qualcheduno di mia parrocchia non abbia adempito al precetto Pasquale nel corrente anno” (pp. 103-104, nota 18).

Particolarmente laboriosa la raccolta degli attestati di comunione (si vedano le riproduzioni di alcuni di essi tra le pp. 96 e 97) fatta dal parroco di casa in casa; “Parrocchia di S. Dorotea 1862: “N.B. Molti descritti forse avranno soddisfatto al precetto, ma non si poterono avere i biglietti perché mai trovati in casa dopo il quarto giro fatto per la Parrocchia”. Parrocchia di S. Bernardo alle Terme, 1866: “Li scritti qui appresso non hanno voluto consegnare il biglietto quantunque l’abbia chiesto più volte. …Avendo chiamato più volte il Giulietti per conoscere quali uomini erano nella sua locanda di quelli segnati nello stato delle anime e per ritirare i biglietti, nulla ho potuto conoscere sinora” (p. 104, nota 18).

Leggiamo in queste righe la solerzia del subalterno propria di un tipo di rapporto che di ecclesiale ha ben poco. Ma ci sembra lecito anche supporre che le dichiarazioni zelanti non fossero talvolta che la copertura di una scelta veramente cristiana e pastorale.

Nonostante tutto, la fede ci è stata trasmessa, e con essa il compito di viverla nella sua purezza, liberandola da ogni contaminazione temporalistica. Non ignoriamo infatti che “per noi romani il potere temporale ha solo cambiato volto” (cfr. “La Tenda”, sett. 1970), concretandosi in forme nuove, rispondenti alle nuove circostanze.

Raccomandiamo agli amici della “Tenda” la lettura di questo libro. Chi lo desidera può rivolgersi a noi per l’acquisto.

Ricordiamo anche in questa occasione che “La Tenda” accoglierebbe molto volentieri contributi alla storia della Chiesa locale di Roma, ed è disposta a costituire qualche piccola borsa di studio per studenti che intendessero compiere ricerche in questo settore.

Indice del libro: Vincenzo Monachino, S.I., – Prefazione. Paolo Droulers, S.I., – Introduzione. Giacomo Martina, S.I., – Osservazioni sugli “Stati delle anime” della città di Roma. Federico Gallon, – La stampa romana e la vita religiosa. Raimondo Turtas, S.I., – L’Osservanza del precetto pasquale a Roma negli anni 1861-1867. Francesco Gullo, O.F.M. Cap. – Fatti, idee e sentimenti negli scritti di alcuni predicatori dell’epoca. Claudio Mancini, – La Pia Casa di Esercizi di Ponterotto. Vittorio Davoli, – Il Comune di Roma e la vita religiosa di Roma dalla breccia di Porta Pia al 1880. Gabriele De Giovanni, S.I., – Associazioni di medici in Roma nei primi anni dopo il 1870. Riccardo Bartolucci, – L’evoluzione delle associazioni dei barbieri di Roma prima e dopo il 1870. Paolo Tufari, S.I., – La vita religiosa a Roma prima e dopo il 20 settembre 1870: il significato di una data.

A Che Punto Siamo Con La Benedizione Delle Case.

Pubblicammo un anno fa (cfr. “La Tenda”, n.18, marzo ’71) un breve lavoro espositivo circa la benedizione delle case a Roma: storia, situazione, prospettive. Con questa nota intendiamo aggiornare l’argomento ai più recenti sviluppi. All’articolo suddetto rimandiamo perché si abbia lo sfondo sul quale vengono ad inserirsi le considerazioni che seguono, che da sé sole potrebbero apparire senza sufficiente approfondimento. Chi avrà modo di rivedere il citato articolo comprenderà anche perché riteniamo meritevole di insistenza un argomento a prima vista marginale. Basti por mente al fatto che la benedizione generalizzata delle case nutre nei parroci la perniciosa illusione che in fondo, magari per un momento, una volta all’anno, essi sono in grado di raggiungere “tutti”, e quindi contribuisce a tenerli ancorati ad uno stadio pre-missionario di pastorale a tutti-cristiani. E questo è ben lungi dall’essere l’aspetto principale di un argomento che chiama in causa liturgia, fede pasquale, tradizioni popolari ecc.

Veniamo quindi agli sviluppi della questione nell’anno trascorso partendo dalla situazione della Pasqua ’71.

Alle esperienze interessanti che presentavamo nel citato lavoro precedente la Pasqua ’71, non sene aggiunsero altre in quella occasione. Del resto il nostro lavoro veniva pubblicato troppo a ridosso della festa perché potesse provocare immediate ripercussioni, alle quali del resto non mirava. Purtroppo l’unica e prevista novità dello scorso anno fu il cedimento improvviso del clero di alcune parrocchie che disarmò al momento della scadenza rivelatasi troppo gravosa.

Dire “cedimento improvviso” e “disarmo” può far credere che in quei casi no si sia fatta la benedizione delle case, magari non avendo neppure a portata di mano una spiegazione utile per i cristiani o un’alternativa. Ciò è avvenuto qua e là a Roma, e ci dispiace proprio perché il non aver maturato in anticipo le alternative e le motivazioni ha portato a quel che temevamo, il nulla. Ma c’é stato un cedimento meno visibile e più diffuso: pur nella consapevolezza della inutilità e impossibilità della prassi attuale, alcune parrocchie hanno accettato di mantenerla in vita, con l’unico accorgimento di non perderci tempo né per eventuali aggiornamenti, né solo per condurla in modi appena dignitosi. Ma di questa forma singolare di “cedimento” parleremo più oltre.

Anzitutto registriamo una nostra impressione generale: ci sembra ormai diffusa a quasi tutta la diocesi l’idea di fondo che sia necessario un riesame della prassi antica, anche se il riesame è richiesto più o meno in profondità per la sensibilità diversa da parrocchia a parrocchia, da persona a persona. Specifichiamo:

  1. I laici.

La constatazione di generale maturazione vale anzitutto a livello dei laici.

Nell’ambito della comunità cristiana aumenta il numero di coloro che chiedono al rito di esser qualcosa nella liturgia della Pasqua. Si legga in proposito la seguente lettera di due coniugi al proprio parroco:

“Anche quest’anno abbiamo ricevuto il Sacerdote che ci ha potato la benedizione pasquale in casa: la solita apparizione fugace, una breve preghiera, un frettoloso saluto, la nostra offerta, e via. Solo alcuni di noi hanno avuto la gioia di accogliere uno dei sacerdoti della nostra parrocchia; molte famiglie infatti hanno ricevuto dei preti stranieri, gentilissimi, sorridenti e pieni di buona volontà, ma che purtroppo hanno fatto sentire soltanto ciò che avrebbe potuto essere – e non era – quel sia pur rapido rito: un legame tra le nostre famiglie e la famiglia parrocchiale, tra le nostre case e la chiesa nella quale ci ritroviamo, intorno all’altare di Dio, per la celebrazione domenicale dell’Eucaristia. Ma la nostra parrocchia, non dimentichiamolo, è composta di circa 8.000 famiglie e pertanto non era possibile che i nostri sacerdoti già occupatissimi per i loro mille impegni pastorali, potessero compiere da soli, direttamente, la benedizione. E del resto, anche coloro che hanno accolto il parroco o uno dei viceparroci hanno avuto solo una breve visita, tanto era lungo e stancante ognuno dei turni.

“Credo che il pensiero dei più anziani sarà corso – non senza nostalgia – alla benedizione delle case così come avveniva nelle piccole parrocchie di una volta; essa aveva allora un carattere familiare: il parroco o il viceparroco conoscevano tutti e sostavano con calma in ciascuna casa interessandosi a persone e a fatti già noti. Forse nell’animo di chi era stato abituato da bambino a gustare il senso di certe esperienze può essere nato un senso di delusione, quasi di amarezza, come se la fretta e la superficialità della vita moderna avessero irrimediabilmente contagiato anche il campo del sacro.

“Allora, è mai possibile che non sappiamo ritrovare il senso caldo, umano, familiare della benedizione pasquale della casa?

…Negli ultimi anni, in alcune parrocchie di Roma, si è affrontato il problema di un rinnovamento della benedizione delle case: alcuni parroci hanno abbandonato la prassi consueta per esortare i propri parrocchiani a riscoprire la figura del padre di famiglia come maestro di fede ed hanno invitato questo ultimo a benedire la mensa preparata ed i familiari, servendosi di un rametto d’ulivo e dell’acqua raccolta al fonte battesimale durante la veglia o il mattino di Pasqua.

…Questa soluzione sembra rispondere in modo adeguato alle perplessità che presenta oggi la benedizione delle case così come viene compiuta, ma è bene chiarire che tale proposta non mira ad escludere il contatto del sacerdote con le famiglie nelle case private, perché esso potrà effettuarsi sia in occasione dell’amministrazione dei sacramenti, sia (e questo sarebbe ancora più auspicabile) per approfondire ciò che significa – oggi per noi, l’appartenenza della nostra famiglia alla Chiesa e, in particolare, a quella Chiesa locale che è la parrocchia.” (pubblicata nel mensile della parrocchia della Trasfigurazione – “Comunità Nuova” – maggio 1971 – P. della Trasfigurazione 1 – 00151 Roma).

Ci sono quindi famiglie che attendono qualcosa dai loro sacerdoti e si avviano ad accettare l’idea della benedizione del padre di famiglia (cfr. Esodo, 12, spec. 25 sg.), e che sembrano del tutto disposti a mutamenti anche radicali.

Si allarga intanto nella città la fascia degli ostili, dei lontani, di quelli che non hanno tradizioni-ricordo, delle famiglie che si assentano per evitare l’incontro. Si aggiungano le famiglie assenti per le vacanze, le case che si vuotano al mattino e si riempiono alla sera dopo il lavoro di tutti, donne comprese. Insomma per più cause aumenta progressivamente l’estraneità del rito alla mentalità corrente nella società ecclesiale e fuori di essa.

Questa per quanto riguarda i laici, con un seguito in fine di articolo.

  1. La prassi delle parrocchie; tre linee.
    1. Anzitutto molti parroci hanno lavorato con aggiustamenti all’interno della prassi attuale. Sull’ambito nel quale si muove questo tipo di lavoro può dar conto la lettera che abbiamo ricevuta da un parroco:

“I Prefetti del Settore, riuniti il giorno 8 febbraio 1971, hanno parlato della benedizione pasquale delle case, e si sono trovati d’accordo su questi punti:

      1. è un’attività da fare;
      2. dovrebbero svolgerla i sacerdoti della parrocchia;
      3. si dovrebbe andare senza chierichetto;
      4. portare l’acqua benedetta in appositi aspersori, fatti costruire eventualmente allo scopo;
      5. improntare l’incontro come una visita dei sacerdoti della parrocchia alle famiglie;
      6. non prendere offerte durante la benedizione. Per questo mandare in antecedenza una busta a tutte le famiglie, con la spiegazione delle novità, gli orari della benedizione, invitando a riportare la busta con un’offerta per un dato scopo, o prima o dopo la benedizione;
      7. estendere, se necessario, il tempo della benedizione da l’inizio della quaresima alla fine del tempo pasquale;
      8. andare solo di pomeriggio, preferibilmente dalle ore 17 alle 20;
      9. non andare per le strade con la cotta e la stola, ma indossarle solo nella scale o nelle abitazioni;
      10. oltre la formula per la benedizione, far recitare il Padre Nostro e l’Eterno Riposo per i defunti.

“Questi punti sono stati sottoposti all’approvazione di S.E. Mons. Poletti, e poi proposti come indicazione orientativa ai parroci, lasciando a questi ogni responsabilità di decisione.

“Nella nostra parrocchia si è potuto attuare tutto il programma previsto, e si può dire che ciò ha incontrato la soddisfazione dei fedeli e si sono ottenuti i migliori frutti pastorali.

“La presenza dei sacerdoti della parrocchia, con la esclusione degli estranei, è servita a rinsaldare i vincoli di conoscenza e di simpatia dei fedeli con la parrocchia stessa.

“L’assenza del chierichetto ha reso più facile il dialogo dei sacerdoti con i fedeli, specie quando si trattava di cose riservate o di coscienza.

“Gli aspersori tascabili più grandi hanno dato la possibilità di benedire fino a 70 appartamenti, senza dover aggiungere altra acqua santa.

“Dicendo alle famiglie di non dare l’offerta al sacerdote, ma di mandarla in parrocchia, mentre si sono affermati i bisogni finanziari della parrocchia stessa, si è dimostrato un nobile distacco dei sacerdoti dal denaro, togliendo alla benedizione l’umiliante aspetto della questua, ed ai fedeli l’imbarazzo di andare a cercare i soldi invece di attendere alla preghiera.

“Non è da sottovalutare la preoccupazione per i chierichetti che dovevano portare questi soldi, che costituivano per essi una continua tentazione…

“Nella nostra parrocchia, nel 1970, mandando a casa le buste in precedenza e facendole consegnare al sacerdote, si sono avute circa £ 700.000 di offerte; nel 1971 le buste tornate in parrocchia contenevano £ 450.000.

“Mentre quindi il nuovo sistema ha aumentato certamente il prestigio della parrocchia, non si può dire che sia stato proprio un fallimento dal punto di vista finanziario.

“Andando solo di pomeriggio, si può dire che si sono trovate più del 90% delle famiglie; con la lettere avuta e con i cartelli messi in evidenza nei portoni, le famiglie che non si trovavano in casa, o non davano importanza alla cosa e avevano vera necessità di fare altre cose.

“Un bigliettino lasciato per invitare a telefonare in parrocchia per richiedere un nuovo appuntamento, ha avuto un successo molto relativo; forse il 5% hanno telefonato.

“Su 1700 famiglie che compongono la parrocchia, non sono più di dieci quelle che hanno rifiutato la benedizione.

“Ha dato i migliori risultati anche l’invito ai fedeli di recitare il Padre Nostro e l’Eterno Riposo; la grande maggioranza, anche degli uomini, hanno pregato e senza difficoltà.

“Anche se costa notevoli sacrifici, si pensa che questa occasione unica di contatto pastorale con tutti i fedeli, debba essere mantenuta”.

Pubblichiamo questa lettera che riteniamo di gran valore come testimonianza diretta di un primo modo di affrontare la situazione che esaminiamo. La pubblichiamo con spirito di sincera riconoscenza verso l’autore che ha voluto gentilmente dialogare con noi in piena sincerità pur non condividendo le impostazioni di fondo che emergono dal nostro lavoro e che malgrado tutto non riusciamo a dissimulare. Il giudizio nel merito della posizione che questa lettera esprime sarà diverso da lettore a lettore. Essa del resto non esaurisce le motivazioni di coloro che si trovano sulla stessa linea di cauto aggiustamento.

2) Cresce però il numero delle parrocchie che tendono alla soluzione radicale sostituendo la benedizione del padre di famiglia a quella del prete itinerante. Pubblicammo l’anno scorso il rito di una parrocchia. Trovate allegato a questo numero il rito di un’altra parrocchia. Almeno altre tre parrocchie (S. Chiara, S. Silvia, S. Gelasio) distribuiranno quest’anno l’acqua pasquale con l’invito al padre di famiglia perché faccia egli stesso la benedizione. E i parroci non hanno nascosto la speranza che si giunga a sostituire con questo il vecchio rito. (1)

  1. Oltre a S. Chiara, abbiamo appreso all’ultimo momento che anche nelle parrocchie di S. Gabriele, Gran Madre di Dio, e Preziosissimo Sangue verrà distribuita l’acqua pasquale. Le quattro parrocchie hanno formulato in comune una lettera ai fedeli in proposito.
    1. E’ assai aumentato lo scorso anno il gruppo dei parroci che ha tentato di dare alla benedizione pasquale un valore di incontro umano e religioso, in genere con una serie di incontri che teneva occupato il clero per più settimane o mesi. Impiego assai rilevante di tempo e forze. Dopodiché i preti hanno dovuto riprendere il normale lavoro della vita parrocchiale senza poter più seguire le poche o molte occasioni di incontro che avevano creato. Per quel che siamo in grado di registrare, in gran parte questi parroci non ripeteranno lo sforzo dello scorso anno che, nella migliore delle ipotesi, è servito a mettere le premesse per dialoghi che non si faranno. Alcuni di questi parroci ripiegano allora sulla visita alle sole famiglie che ne fanno richiesta, e questa via sembra avviare un progressivo annientamento della tradizione.

Altri non hanno il coraggio di rinunciare alla visita “erga omnes” e tornano fatalmente alla meccanica ripetizione delle visite domiciliari, qualcuno invitando alla benedizione del padre di famiglia come alternativa contemporanea. Costoro, che hanno tentato qualcosa e che non rinunciano però alla visita a tutti formano un gruppo considerevole di parroci che, ecco il fatto nuovo dell’anno ’72, faranno la benedizione delle case pur avendo tentato il suo superamento, dopo che avevano compreso l’inutilità e costatato l’irrecuperabilità di essa.

A questi si aggiungono più numerosi ancora coloro che partecipano alla presa di coscienza generale, ma neppure hanno avviato tentativi faticosi con i laici e, almeno per il passato, pericolosi con i vescovi.

Molti parroci si trovano quindi a concordare nell’analisi della situazione, e anche in un ulteriore passo che vogliamo mettere in rilievo accuratamente perché assai singolare: “andare avanti si, ma senza sciupare energie per una cosa in fondo inutile”. E per evitare l’usura del clero parrocchiale, per non perder tempo nella benedizione delle case, che pur si seguita a fare, si ricorrerà a qualche seminario o convento, a qualche serbatoio di preti che permetta di liquidare l’operazione in pochi giorni.

E’ questo il dato caratteristico che individuiamo nel momento attuale, la mentalità con la quale molte parrocchie affrontano la benedizione delle case 1972: “si fa, ma non serve; perdiamoci poco tempo”.

Puntualmente, in questa strana primavera ’72 che sta segnando momenti cruciali per la maturazione della chiesa locale romana (e ne riparleremo come sempre a mente fredda), puntualmente è giunta l’azione di alcuni laici ad opporsi al classico “tira a campare”, a smascherare l’operazione di disimpegno, isolando soprattutto, l’aspetto del solito facile ricorso al clero non romano residente in città e cercando di sabotarlo. Riportiamo il testo di una lettera distribuita a metà marzo ’72 nelle università e collegi di Roma in cui studiano e vivono preti di altre diocesi:

“Alcuni cristiani della chiesa locale di Roma ai preti delle chiese sparse nel mondo ora presenti in questa città.

Fratelli,

noi cristiani della chiesa locale di Roma consideriamo di grande valore la vostra presenza in questa città.

Voi siete infatti una possibilità concreta e viva perché nella chiesa locale di Roma si compia realmente la comunione-comunicazione di tutte le chiese.

Siamo spiacenti perché antiche abitudini di separazione vi tengono lontani dalla vita quotidiana delle comunità romane. Specialmente ci dispiace l’isolamento dei giovani che sono nei collegi per motivi di studio.

Solo in rari momenti appare la vostra presenza.

Tra pochi giorni, nel tempo pasquale, vi verrà chiesta collaborazione per la benedizione delle case. E molti di voi risponderanno pensando di fare cosa utile alla chiesa locale di Roma.

Vogliamo pertanto chiarire alcuni punti a questo riguardo.

Il rito della benedizione pasquale delle case viene ormai ripetuto nelle peggiori condizioni. La gran parte di coloro che ricevono la visita del sacerdote danno all’incontro un valore magico o non ne danno alcuno. La confusione è aumentata dalla raccolta o dalla richiesta di danaro.

I parroci quasi neppure vanno più personalmente. Però non aggiornano questo rito e si riducono a chiamare sacerdoti da ogni dove per le loro immense parrocchie.

Noi vi preghiamo di domandarvi se non è la vostra collaborazione che rende possibile la benedizione delle case nelle tristi forme attuali. In questo caso la vostra collaborazione è un vero intralcio al rinnovamento della chiesa locale di Roma. Se voi non andaste a benedire le case, la diocesi di Roma dovrebbe immediatamente affrontare un problema di aggiornamento.

Perciò vi domandiamo di considerare attentamente se non sia opportuno declinare l’invito dei parroci, ponendoli dinanzi ai loro problemi con le loro forse, come in ogni altra diocesi del mondo.

Sappiamo di chiedere ad alcuni di voi in grave sacrificio, perché c’é chi conta sulla ospitalità dei cristiani di Roma per poter vivere temporaneamente in questa città, col denaro che riceve durante la visita della benedizione pasquale. Non possiamo fare altro che dirci consapevoli di questo sacrificio.

Fraternamente uniti nel sacerdozio comune, con stima e rispetto del vostro servizio presbiterale

nel Signore

Seguono 22 firme di lavoratori ed universitari di S. Clemente Papa ai Prati Fiscali.”

Affidando alla vostra riflessione quel che abbiamo raccolto, chiudiamo questo piccolo lavoro di collage, dal quale si potrà dedurre almeno che qualcosa nel corso dell’anno ha camminato in questo limitato, ma non insignificante settore della “prassi pastorale” romana.

Pubblichiamo, come curiosità due brevi articoli apparsi in questi giorni su quotidiani romani a proposito della benedizione delle case.

Ve li riportiamo integralmente, senza bisogno di commenti!

    1. da Il Tempo 9/2/1972
    2. da Paese Sera 10/2/1972

A) Con un’apposita cartolina BENEDIZIONE PASQUALE SOLTANTO A RICHIESTA.

In molte parrocchie romane è incominciata la preparazione alla Pasqua; talune hanno preso l’iniziativa, già sperimentata l’anno scorso, di inviare a tutti i parrocchiani, una lettera nella quale li si informa del “nuovo modo di procedere per la benedizione delle famiglie”. “Avendo notato negli anni scorsi – è detto nella lettera- che un rilevante aumento di famiglie o non desidera la visita del sacerdote o la accoglie per semplice tradizione o la sopporta appena, quest’anno ci recheremo solo presso quelle famiglie che ne faranno richiesta mediante la cartolina qui allegata”.

Questo “nuovo modo di procedere” è giustificato, secondo i parroci scriventi, dal desiderio di “evitare malintesi”. Probabilmente tanta cautela è dettata davvero dalla preoccupazione di non offendere la sensibilità degli atei o di chi non vuole avere contatti col prete e con l’acqua santa; probabilmente qualche sacerdote vuole che non si dica di lui che viola l’intimità delle famiglie con la sua presenza e il suo aspersorio e la sua preghiera. Noi non disponiamo di statistiche attendibili per accertare se sia vero che a Roma, centro della Cristianità, un “irrilevante numero di famiglie”rifiuta la benedizione pasquale. Neghiamo, tuttavia, che gli anticlericali romani siano più rozzi e pericolosi dei cannibali del Mato Grosso verso i quali si rivolge l’apostolica premura di tanti missionari di Cristo. Non sappiamo, d’altra parte se questo “modo nuovo” nasce dal pio desiderio di “responsabilizzare i cristiani”per ogni gesto e per ogni evento o se è dettato soltanto dalla penuria di preti disponibili per la peregrinazione di casa in casa. E certo, però, che molti cristiani intravedono in questa novità una sorta di rinuncia del sacerdote alla sua missione primaria. Che è quella di andare fra la gente a predicare e testimoniare il Vangelo. Ovunque e in ogni circostanza, tra gli amici, gli indifferenti, e i nemici, con la possibilità – anzi con la promessa evangelica – di incontrare incomprensioni, minacce e persecuzioni”.

B) Benelux – LA BENEDIZIONE.

“Avendo notato negli anni scorsi che un rilevante numero di famiglie o non desidera la visita del sacerdote o la accoglie per semplice tradizione o la sopporta appena, quest’anno ci recheremo solo presso quelle famiglie che ne faranno richiesta mediante la cartolina qui allegata”. Tanto si legge in una lettera inviata da alcune parrocchie romane, in vista della benedizione pasquale delle case, ai loro parrocchiani. Al “Tempo” la iniziativa non va giù. Gli sembra “una rinuncia del sacerdote alla sua missione primaria, che è quella di andare tra la gente a predicare e testimoniare il Vangelo. Ovunque e in ogni circostanza, tra gli amici, gli indifferenti e i nemici, con la possibilità – anzi con la promessa evangelica – di incontrare incomprensioni, minacce e persecuzioni”.

“Angiolillo, cattolico del tipo eroico, con una vena di frate volante, non ha dunque perso l’occasione per accusare di fiacchezza i preti che si discostano dallo stile sanamente aggressivo da lui predicato nella famosa enciclica “Benedizione a tutti i costi”. Ciò che a noi sembra un accenno di rispetto per il prossimo e la sua privatezza, sembra a lui una pericolosa abdicazione dallo spirito missionario. Forse preferirebbe che chi non desidera la visita del prete fosse obbligato dalla legge a far domanda alla parrocchia per essere esentato dalla benedizione.

“Si dice del resto che Angiolillo farebbe seguire i fatti alle parole, per dare ai parroci, e più generalmente parlando ai cattolici conciliari, un sonoro schiaffo morale. Accompagnato dai suoi redattori in veste di chierichetti si presenterebbe lui stesso, casa per casa, campanello per campanello a sfidare “incomprensioni, minacce e persecuzioni”. Già, sapete, quelle terribili persecuzioni contro i cattolici che infuriano a Roma da qualche tempo, con lo stato, il governo e il sottogoverno in mano agli infedeli”.

 

Lettera Di 13 Preti Ai Cristiani Di Roma.

 

Il 24 febbraio u.s. il Bollettino di Collegamento fra comunità e gruppi ecclesiali di Roma ha pubblicato una lettera ai cristiani di Roma firmata da 13 sacerdoti della diocesi, nella quale si mette a fuoco il dramma dei baraccati, che invano hanno “atteso, con fiducia e speranza, il mantenimento di una promessa ufficiale: l’assegnazione della casa entro Natale” da parte dell’Amministrazione Comunale.

Anche noi ci siamo occupati del problema nei numeri 27 e 28 de “La Tenda”, adoperandoci inoltre affinché, tramite il Bollettino, giungesse a tutti voi copia della lettera. Pensiamo infatti che essa costituisca un’occasione di discussione nelle comunità, su fatti che non possono passare inosservati e che i cristiani sono chiamati a valutare, anche in relazione a comportamenti conseguenti da assumere.

I sacerdoti firmatari invitano i fratelli a comunicare al vescovo le riflessioni che potranno emergere dall’esame della lettera e ad esserne messi a parte essi stessi.