Lettera 65 (Seconda Serie)

INTRODUZIONE

Cari amici e care amiche,

proseguiamo la presentazione degli interventi dell’incontro, tenutosi il 30 ottobre, su “Vita quotidiana e liturgia domenicale” .

ringraziamo don Mario per essere venuto e per come è venuto. Innanzitutto una precisazione: alcune persone ci hanno rimproverato per averlo presentato come don Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei Vescovi, ma è stato proprio lui a chiederci questo, seguendo le indicazioni di papa Francesco che, nel giorno in cui ha nominato dei cardinali, suggeriva: “Ora non cominciate a farvi chiamare Eminenza”. Don Mario è venuto senza alcun segno distintivo, solo l’anello mostrava il suo servizio. Si è seduto in fondo, ascoltando, e ci aveva avvisato: “Non aspettatevi da me risposte: questo è ancora un modo clericale, dobbiamo cercare tutti assieme”. Grazie per questo esempio sinodale.

Una breve nota sul dibattito da parte del gruppo La Tenda.

Gesù, quando incontra le persone, non interagisce con loro? Non pone domande vere? Non coglie la loro testimonianza, la loro fede, non è toccato dalle loro risposte? E non sono risposte “rituali”, ma parole di vita che vengono da uomini e donne… Dov’è tutto questo nelle nostre liturgie eucaristiche? Non è proprio questo ripetere un formulario, per quanto prezioso e fondante, la causa della distanza di tanti?

Non si tratta di abbandonare una tradizione, ma di saperla arricchire del presente di questo popolo che celebra. Nel separare la celebrazione eucaristica (in cui viene vissuto il mistero della fede) dalla vita nella polis (in cui avviene la testimonianza della fede) … non stiamo esaminando due organi sul tavolo anatomico, separati dal funzionamento nel loro organismo? Se nella celebrazione eucaristica, nella quale ripresentiamo il mistero della nostra fede, c’è anche un breve ritorno di ciò che viviamo nella vita, allora si possono superare quelle barriere, che ancora oggi rendono il rito impermeabile al nostro quotidiano, finendo per escludere un numero sempre più ampio di persone. Il nostro incontrarci domenicale ci può aiutare a rivivere più profondamente il mistero della fede se si pone anche in dialogo con le speranze e le fatiche delle donne e degli uomini presenti e di quelli assenti e con ciò che lo Spirito suscita nelle nostre vite quotidiane. È vero che nella liturgia eucaristica si riaccende il Fuoco che anima la vita quotidiana, ma è anche vero che l’irrompere della vita quotidiana può contribuire a riaccendere il Fuoco delle nostre liturgie.

 

INTERVENTI DEL CONVEGNO: “VITA QUOTIDIANA E LITURGIA DOMENICALE”

Don Mario Grech -vescovo, segretario generale del Sinodo dei Vescovi (da Malta)

Dopo quello che abbiamo sentito, condiviso, permettetemi di raccontare un’esperienza che si trova negli Acta Martyrum, la narrazione di un interrogatorio di cristiani nella colonia di Abitina in Africa, durante la persecuzione di Diocleziano nel 304. Erano stati arrestati perché celebravano il “dominicum”, cioè l’Eucaristia domenicale, sotto la guida del presbitero Saturnino. A Saturnino nell’interrogatorio: «“Hai agito contro le prescrizioni degli imperatori e dei Cesari radunando tutti costoro”. E il presbitero Saturnino, ispirato dallo Spirito del Signore rispose: “Abbiamo celebrato l’Eucaristia domenicale (dominicum) senza preoccuparci di esse”. Il proconsole domandò: “Perché?”. Rispose: “Perché l’Eucaristia domenicale non può essere tralasciata ‘Sine Dominico non possumus’”».

La domanda che faccio è: perché noi oggi – e quando dico “noi” intendo tutti, anche noi presbiteri, noi vescovi – non siamo convinti che non possiamo vivere la nostra chiamata senza l’incontro, la celebrazione dell’Eucaristia domenicale? Dico “noi” perché, se ci viene data la possibilità, ci va bene anche saltare la Messa domenicale… ci sono perfino sacerdoti che magari vogliono il giorno libero anche la domenica… allora è importante capire che senza domenica non c’è Chiesa.

Per vari motivi: c’è un motivo “orizzontale”, quello che è stato sottolineato da voi, nei vostri interventi, che è molto importante; ma c’è un motivo anche “verticale”, cioè l’Eucaristia ha questa dimensione caritativa, comunitaria, ma prima di tutto è un incontro col Signore.

Io non farò ora un discorso teologico, ma l’Eucaristia è il sacrificio del Signore e partecipando all’Eucaristia noi diventiamo più convinti e facciamo esperienza dell’amore che il Signore ha per noi. Del fatto che si è dato per noi, si è offerto per noi e si è offerto anche per redimerci! La questione della redenzione a volte è messa un po’ in ombra. Ma noi possiamo radunarci, abbiamo la libertà di esprimerci e di agire perché abbiamo questa garanzia: che il Signore ci ha salvato, che nonostante io sono un peccatore, c’è la sua Grazia. Non dimentichiamoci questo. Forse questo è anche un tratto specifico del nostro credo.

Poi ricordiamoci anche di quest’altra cosa: che noi, come Chiesa Cattolica, crediamo nella presenza del Signore nell’Eucaristia. L’Eucaristia non è soltanto la celebrazione, la liturgia della Messa, ma c’è anche questa dimensione che noi conserviamo nel Tabernacolo il corpo e il sangue del Signore e non possiamo far discorsi, neppure progetti caritativi se noi non cerchiamo di mantenerci alla presenza di Dio, di Gesù. Ultimamente l’ha sottolineato il Santo Padre quando ci ha invitato anche a riscoprire il bello dell’adorazione eucaristica. Perché altrimenti, fratelli e sorelle, c’è il rischio che noi possiamo fare un discorso sociale e politico ma non evangelico. Detto questo, ho paura che anche oggi facciamo una lettura troppo intimistica dell’Eucaristia e perciò troviamo difficoltà a fare il passaggio dall’aula liturgica alla strada, alla polis, alla città. Ricordiamoci che nell’Eucaristia ci sono due movimenti: c’è il movimento di Dio che si fa presente per noi, che si dà per noi, ma anche noi portiamo quello che è nostro, le nostre esperienze, il nostro vissuto al Signore.

Mi fa sempre impressione quella preghiera: “Benedetto sei tu Signore Dio dell’universo, dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo…” continuate! …  “questo pane, frutto della terra e del lavoro dell’uomo”! Noi portiamo il nostro lavoro. Ma quando lo facciamo? Mi ricordo sempre un passaggio di Agostino: quando voi fate l’offertorio – diceva –, sulla patena e nel calice mettete le vostre lacrime, la vostra vita. Perciò sono due movimenti: il movimento che viene da “su”, ma anche il movimento che parte dal basso. E, ripeto, a volte ho la sensazione che noi ci fermiamo soltanto a ciò che riceviamo dall’alto e non portiamo il nostro. E su questo vorrei anche prendere pochi minuti.

L’unica Eucaristia è l’Eucaristia narrata, mostrata, vissuta. L’uomo eucaristico è proprio colui che si lascia guidare dal movimento cristico e immette nella luce eucaristica tutta la sua vita, tutto il suo essere, il suo lavoro, il suo sentire, il suo volere, le cose e le persone che sono in relazione con lui. Non so se in questo quartiere fate ancora la processione del Corpus Domini… questa processione con l’ostensorio che attraversava la città è stata a lungo l’immagine di un tipo di presenza del Signore, della Chiesa, nella polis, nella società. Ora che al contrario alcuni vorrebbero anche forzare la laicità dello Stato fino ad escludere qualsiasi manifestazione pubblica del culto, relegando la dimensione della fede alla sfera strettamente privata, è necessario riscoprire le modalità in cui la fede può essere testimoniata comunitariamente anche nello spazio pubblico della città. Se la celebrazione eucaristica avviene come mistero della fede nella comunità, nell’aula liturgica, l’offerta eucaristica della vita avviene nella polis, nella città, in compagnia degli uomini, cristiani e non cristiani. E così, dalla liturgia nella “sala superiore” facciamo il passaggio all’esistenza della polis. Si potrebbe dire che la celebrazione dell’Eucaristia avviene nello spazio santo della chiesa, in unità con lo spazio santo della Comunione dei Santi del cielo, degli angeli nel cenacolo, ma in funzione di una vita nella polis in cui l’Eucaristia dà il suo frutto. Quando il Signore è morto dando la vita, la città ha visto un uomo in croce, la cui esecuzione era profana: anatema fuori dalla città, eppure Luca ha detto che la folla accorsa a vedere quello spettacolo, ritorna in città battendosi il petto.

Ora, se degli uomini eucaristici muoiono dando la vita per i fratelli (ieri ho avuto la grazia di incontrare un comando dei carabinieri ed ho ricordato quanta gente in quel comando ha dato la vita), se muoiono uccisi violentemente dalla città,  se morendo così perdonano, invocano da Dio il perdono per i nemici… se donne e uomini eucaristici servono umilmente, di nascosto i fratelli spendendo ogni giorno la vita per loro… se ci sono cristiani che scelgono i poveri (come la testimonianza che abbiamo avuto oggi) e li accompagnano fino a condividerne la sofferenza, la vergogna, allora costoro preparano e provocano un cambiamento in chi abita la città. Perché? Perché narrano l’amore esattamente come l’Eucaristia narra l’Amore. Al termine della lavanda dei piedi, Gesù dice: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). È la testimonianza eucaristica per i molti, fatta vita, tradotta in relazioni interpersonali e sociali.

Oggi che le nostre società, le nostre città, non sono più cristiane, possono sembrare due realtà lontane senza possibilità di interazione, ma noi dobbiamo discernere atteggiamenti eucaristici, parole che rendono la comunicazione non solo possibile, ma operante in profondità, senza appariscenza né ostensioni.

Preparandomi un po’ per questo incontro mi è venuta in mente una preghiera che ha fatto Teilhard de Chardin, quando nel 1923 si trovava nel deserto cinese di Ordos vicino alla Mongolia. Essendo impossibilitato a celebrare la Messa, compie una meditazione sull’irradiazione della Presenza eucaristica nell’universo, e dice così: “Poiché ancora una volta, o Signore, nelle steppe dell’Asia, sono senza pane, senza vino, senza altare, mi eleverò al di sopra dei simboli sino alla pura maestà del Reale; e Ti offrirò, io, Tuo sacerdote, sull’altare della Terra totale, il lavoro e la pena del mondo”. La “Messa sul mondo”! Il pane e il vino che in quel momento non aveva, divengono tutto il lavoro umano, tutta la pena del mondo. “Il mio calice – dice Teilhard – e la mia patena sono le profondità di un’anima ampiamente aperta (…) salirò stamane, in pensiero, sulle più alte vette, carico delle speranze e delle miserie della mia terra madre, e lassù – in forza di un sacerdozio che solo Tu, credo, mi hai conferito –, su tutto ciò che, nella Carne dell’Uomo, si prepara a nascere od a perire sotto il Sole che spunta, io invocherò il Fuoco”. Ognuno di noi se, si lascia toccare dalla realtà che sta vivendo come luogo dove c’è il fuoco di Dio, può raggiungere e trasformare ogni cosa.

Impossibilitati a vivere la celebrazione eucaristica, siamo chiamati a vivere l’Eucaristia nella vita: se noi celebriamo l’Eucaristia, siamo chiamati a vivere l’Eucaristia nella vita: ogni giorno nelle nostre case tutto il lavoro, il dolore umano attendono di essere offerti con Gesù al Padre, perché scenda su di essi il Fuoco che brucia dello Spirito Santo.

Quanto Pane Eucaristico nell’impegno di una moltitudine di persone dedite a rendere vivibile e più umano questo difficile tempo! E questa è la chiesa in uscita! quanto Vino Eucaristico nel sangue di sofferenza e morte che uomini e donne hanno versato nella tribolazione di questi giorni!

Stiamo facendo questa esperienza di Chiesa sinodale: non possiamo celebrare l’Eucaristia se non faremo una Chiesa sinodale e non c’è una Chiesa sinodale se non c’è una Eucaristia. L’una ha bisogno dell’altra. Allora, l’Eucaristia ce l’abbiamo, la Chiesa sinodale ancora è un sogno… ma il fatto che noi stiamo celebrando l’Eucaristia non può non impegnarci a costruire una Chiesa sinodale. E in una Chiesa sinodale non c’è possibilità di “delegare il pensiero”, ma dobbiamo veramente ascoltarci l’un l’altro, convinti che stiamo ascoltando anche lo Spirito.

 

Marco (Torre Angela) – Riguardo il rapporto tra vita quotidiana e messa domenicale, non è sempre vissuto nello stesso modo, a volte c’è dentro un grande fervore, a volte uno scoramento. Oltre il piano personale, c’è un altro fattore che permette la partecipazione dei laici: il prete con l’omelia e la capacità che ha di coinvolgere.

La messa è ricca di tante parti e di tanti simboli, ricchi ma spesso incomprensibili soprattutto ai giovani. Interrogo i miei figli, i loro amici, tanti giovani, lontani dalla Chiesa, alcuni di loro hanno una grande spiritualità, una volontà di approfondire, ma della messa parlano come cosa davvero pesante, la liturgia è per loro incomprensibile.

La riforma ultima della liturgia ha preso atto che partecipino anche le donne, che oggi troviamo in ogni ambito, anche nei cantieri dove lavoro. Fino a quando la Chiesa potrà rinunciare a questa grande ricchezza?

 

Maurizio (Monteverde – Roma) – Ci sono davanti a noi tre schemi: 1° l’assemblea, dove tutti possono parlare;  2° dove alcuni sono chiamati ed è il convegno; 3° il vecchio rito latino in cui il prete parlava con Dio. Nessuno di questi schemi da solo può chiarirci cos’è la messa: è il luogo in cui ognuno porta la propria vita.

La messa è una comunità celebrante, prima nasce la comunità e poi la liturgia; nessuna forma liturgica darà vita alla comunità. I gruppi del Vangelo sono segni di una comunità viva, a volte insieme a catechesi e centralità dei poveri. Per anni alla Trasfigurazione abbiamo riscritto a turno il Canone, legandolo alle letture del giorno, ciò rendeva la messa veramente partecipata. In Norvegia abbiamo incontrato un pastore protestante e ci diceva che loro non si riuniscono più la domenica, le persone frequentano solo quando si celebra un battesimo, matrimonio o funerale; questo fatto mi spaventa.

 

Vincenzo (da Verona) – Per 37 anni sono stato in Brasile, per 10 anni a Torre Angela, ora ho 80 anni. Una comunità cristiana è fatta di relazioni, tra le quali i poveri sono realmente presenti, sono presenti i popoli di tutta la terra, qui in Borgata ci sono decine e decine di popoli, qui vedo solo italiani, spero che un po’ alla volta diventiamo mondiali, la polis è l’insieme di persone ognuna con la sua cultura.

In Brasile io accompagnavo oltre 80 comunità ecclesiali di base, un’unica parrocchia con comunità distanti 100 km, ogni comunità si poteva raggiungere dopo ore e ore di macchina o di piroga; ogni liturgia era preparata dalla comunità con anticipo ed all’offertorio veniva portato all’altare il pranzo e tutti erano attorno all’altare e alla fine mangiavamo tutti assieme, c’era la mensa della parola, la mensa dell’eucaristia e la mensa della pace, della vita; a Pasqua le celebrazioni erano solo nella chiesa parrocchiale, le altre 80 comunità non avevano le celebrazioni con il sacerdote, perché in Amazzonia non è pensabile un sacerdozio celibatario; ora è necessario istituire ministeri che permettano a uomini e donne, non formati nei seminari, ma scelti dalla comunità, formati nella comunità, formati sulla Parola e l’Eucaristia, capaci di garantire la comunione di servire nelle varie comunità; occorre istituire i viri probati, i diaconi e le diaconesse, non vedo ragioni perché non siano chiamate anche le donne, il “Verbo si è fatto carne”, non si è fatto uomo, si è fatto sarxs. io non mi ribello, ma, chiedo e prego perché avvenga questo cambiamento.

 

Tommaso (da Pietralata – Roma) – Già Giovanni Paolo II parlava di sclerotizzazione della chiesa, Benedetto XVI dava la responsabilità al relativismo, oggi troppi parroci sono gestori e non pastori; noi cristiani dimentichiamo di essere tutti sacerdoti, re e profeti, ci limitiamo a criticare, invece dobbiamo sentirci corresponsabili.

Papa Francesco ci ha proposto il Sinodo, un camminare insieme, ma smettendo di lamentarci, camminare assieme come i discepoli di Emmaus, sentendo il fuoco che ci arde dentro.

 

Giacinto (da Rovito – Cosenza) – Sono qui per testimoniare affetto a tutti voi de La Tenda, sono molto contento di ciò che leggo nelle vostre lettere e di questa giornata. Ci sono sacerdoti che citano ed hanno come punto di riferimento, vescovi che mostrano una grande chiusura. Da parte nostra è importante vivere la fede sentendoci in cammino, testimoniandola nella vita e non limitandoci ad essere ascoltatori, ascoltatori in chiesa e in TV.

Un aiuto che possiamo dare ai nostri parroci, vivere attivamente la centralità dell’eucaristia.

 

Marco (da Ostia Lido – Roma) – Non credo che nella società ci manchi l’aspetto esteriore della Chiesa: continuamente assistiamo a messe, a convegni ecclesiali, il papa ha un posto molto importante nelle varie TV… quello che ci manca sono parroci che invitano i laici a partecipare attivamente all’Eucarestia, alla condivisione della Parola, ai problemi ed alle decisioni della comunità, un coinvolgimento a lasciar perdere gli aspetti esteriori per andare all’essenziale. Quando papa Francesco all’inaugurazione del Sinodo ha ricordato che lo Spirito ha parlato attraverso la mula, allora è davvero necessario ascoltare la voce di tutti. Vorrei ricordare che se siamo qui è perché il “rapporto verticale” lo sentiamo profondamente e mi pare che se siamo qui è anche perché chiediamo che venga finalmente riconosciuto anche il “rapporto orizzontale”.

 

Maria Francesca (da Tivoli – Roma) – Ero come adolescente negli scout e con Giulio Salimei preparavamo la messa tutti assieme e questo mi è rimasto profondamente dentro.

Anche da noi non c’è nessun coinvolgimento con il popolo di Dio, anche lì dove ci sarebbe maggiore possibilità di partecipazione: ad un battesimo, un anniversario, un funerale l’unica partecipazione sono le preghiere dei fedeli possibili solo se hanno avuto il placet del parroco. Partecipazione attiva nessuna, però si sono riattivate novene su novene, il Concilio è stato. cancellato. I nostri figli hanno smesso di partecipare da anni, siamo rimasti 4 o 5 anziani e così le chiese chiuderanno. Il nostro voler partecipare alla comunità è molto, molto difficile.

 

Beatrice (da Casal de’ Pazzi – Roma) – Con Alberto vivo una condizione speciale perché ho un parroco eccezionale e questo mi condiziona nella lettura complessiva, e mi ripeto che un giorno il parroco verrà spostato. Cerco di prendere tutto il bene che c’è. Vorrei chiederti don Mario un’attenzione particolare ai seminaristi, lì c’è un problema fondamentale. Io con mio marito e i tre figli abbiamo vissuto sei mesi in Perù e da allora mi accorgo che da noi la liturgia è stata inzeppata di tante parole, frasi che vorrebbero dare il tono alto, ma risultano vuote perché non vengono capite da nessuno.

Vivo la messa cercando di rifornirmi ed il resto del tempo lo vivo tra la gente. Quando ci ritroviamo a messa, i preti avendo vissuto la loro settimana tra le persone del quartiere, la messa risente della settimana e questo cambia le nostre liturgie. Mio marito ha una fede molto profonda, ma vive la messa come una cosa molto pesante e cerca di ricaricarsi nella sua relazione con Dio andando in montagna.

La celebrazione attuale, escluse alcune eccezioni, crea non accoglienza, ma muri. Sta a noi tutti armarci di tanta pazienza, ma muoverci.

 

Paolo (da Salerno) – Non ho capito bene se ciò che è stato detto era a favore o no delle processioni del Corpus Domini. 7 anni fa durante la processione di San Matteo i portantini, contro il parere del vescovo, arrivati in municipio hanno fatto fare l’inchino della statua in onore del sindaco, il vescovo sospese immediatamente la processione denunciò i portantini e proprio ieri, dopo 7 anni è terminata la causa con la condanna di tre portantini. Noi dobbiamo chiederci come portare l’Eucarestia in mezzo alla gente. Dobbiamo ripetere all’infinito cose che non hanno più senso, oppure interrogarci – anche grazie al sinodo – interrogarci su cos’è necessario fare e dire con la gente d’oggi.

Nelle nostre chiese non sono solo assenti gli stranieri, sono assenti anche i giovani che non riescono più a capire il nostro linguaggio.

In un percorso di fede sono ugualmente centrali la forma e il linguaggio. Noi come cristiani partendo dalla riflessione comune, dall’esperienza… dobbiamo inventare forme e linguaggi capaci di essere capiti. Il rito se non ha alle spalle una comunità che vive la carità, la fratellanza diventa uno show vuoto.

 

Maria (da Casal de’ Pazzi) – Devo Innanzitutto ringraziare per le tante cose positive; poi mi sembra necessario che ci facciamo tutti: protagonisti di cambiamenti. A confine della nostra parrocchia abbiamo l’Aniene con un nutrito numero di baraccati e quando straripa son dolori; noi durante le nostre liturgie non abbiamo stranieri, ma si riempie di stranieri l’ufficio Caritas che durante il lockdown ha vissuto una grossa emergenza, questi incontri con i migranti sono una grossa opportunità, non vengono alle liturgie in cui sono presenti 20-30 persone, ma con loro si stabiliscono forti legami per affrontare le priorità della vita. Si può essere Chiesa anche nel deserto romano.

 

Gigi (Torre Angela) – Io mi trovo un po’ a disagio, perché dopo aver frequentato la chiesa per metà della mia vita, nell’altra metà non la frequento più; il disagio nel frequentarla era maggiore del disagio per il mancato confronto con i fratelli; forse dovremmo avere il coraggio di abbandonare il passato per trovare il futuro, conosco tanta gente che si riconosce cristiana, ma che si sente estranea alla liturgia della domenica. Se questa liturgia ha nutrito cristiani per secoli, oggi va cambiata, perché non dice più nulla, è una liturgia incapace di creare comunità.

 

Alberto (Santa Maria Maddalena – Roma) – La riflessione tra fede e vita quotidiana, tra liturgia e vita, non può non essere una riflessione lunga, perché è realmente un aspetto molto importante del nostro vivere. Diceva Turoldo: Signore liberami dalla religione e donami la fede, ecco: cos’è che ci muove insieme nella chiesa e nella vita sociale? La disgregazione che c’è nella Chiesa, c’è anche nella Società civile. Una seconda cosa a cui vorrei far riferimento: è la dimensione verticale, che non è il tornare alla vecchia liturgia, ma riscoprire il significato profondo della liturgia.

Sine Dominico non possumus“, è vero senza la celebrazione domenicale non possiamo. Anche per il Sinodo è fondamentale il contributo di tutti.

Un’esperienza importante che stiamo vivendo: è la lettura continua del Vangelo della domenica, con un’introduzione fatta a turno dai laici, che coinvolge profondamente; un’altra esperienza è la lettura del vangelo in piccoli gruppi e queste due esperienze danno unità ai vari gruppi della parrocchia e permettono una liturgia domenicale veramente comunitaria. Mi pare molto importante quello che diceva Giorgio a proposito della Caritas, non come attività di un gruppo, ma come realtà che deve sottostare alla comunità tutta e dare vita ad un nuovo modo di rapportarci con i poveri, sapendoli  rendere protagonisti della Chiesa e della società intera. Dobbiamo trasformarci da ascoltatori a protagonisti tutti assieme.

 

Angela (di Torre Angela) – La domenica per me è sacra, dovunque vado, in mare o in montagna, la domenica vivo la messa ed è proprio la grande responsabilità di noi che veniamo a messa di saper portare nella vita ciò che abbiamo udito.

 

Gianfranco (di Martina Franca) – Viviamo un difetto di incarnazione, noi siamo tutti (laici e preti) fratelli di Gesù, ed abbiamo la responsabilità di testimoniare Gesù nella vita, qui si incrociano verticale e orizzontale: incarnare nella vita la nostra fede. Gesù non è un gigante di fronte al quale noi siamo tutti e sempre solo in difetto, peccatori… Gesù ci coinvolge nel suo cammino, ci rende con lui corresponsabili: con la vostra vita ed anche le vostre fragilità non rinunciate a testimoniare Gesù. Sul presbiterato attuale, che a causa della sua formazione distacca, distanzia, c’è la grossa questione: dobbiamo riscoprire il presbiterato universale, tutti siamo chiamati a testimoniare Gesù del nostro luogo e tempo.

 

Giampiero (da Bravetta – Roma) – Tra le cose emerse ci sono le due posizioni: di chi vive una realtà positiva perché ha un parroco capace di coinvolgere tutti e di chi invece si sente sempre più estraneo ad un rito nel quale non trova più vita.

Quando sento papa Francesco, c’è un continuo richiamo alla creatività, ad innovare: “v’invito a rendere nuova questa vostra fede, ad essere coraggiosi”; è chiaro che c’è una tradizione da mantenere, che ha fatto cose straordinarie, ma come renderla viva oggi? Occorrono nuovi mezzi e una volontà da parte di tutti di rendere nuova questa nostra fede.

 

Antonio (da Pietralata – Roma) – Da una parte ci sono difficoltà con i nostri preti, che richiedono risposte infantili; a volte si mette al centro di tutto l’omelia con schemi scolastici degli anni 50-60; la messa domenicale si svolge con temi puerili ed un ragazzo del liceo, non tornerà mai a fare le elementari.

 

Marco (da Torre Angela) – La chiesa nei momenti di difficoltà ha sempre dato il meglio e questo è probabilmente un tempo difficile. Noi stiamo qui discutendo, evidenziando problemi… e questa è una grande ricchezza che non è possibile in altri ambiti.

 

Franco (da Torre Angela) – Ci sono in ciascuno di noi che ha parlato dei limiti, ma in tutti noi c’è un grande amore per la Chiesa che si riconosce in Cristo. Da una parte c’è il nostro amore, dall’altra un appello a don Mario perché anche “l’istituzione” accolga e valorizzi tutto questo potenziale. Chiediamo ai vescovi e ai preti, di cogliere la grande sofferenza che c’è nel popolo di Dio. lo spirito di ciascuno di noi non è la critica sterile, ma la volontà di portare un contributo per un rinnovamento forte. Di nuovo sottolineo la grande importanza della lettura della Parola in piccoli gruppi. Quando c’era l’incontro finale di verifica, eravamo 300 persone oltre gli animatori, ed era cambiato il clima di Torre Angela, era cresciuto un grande senso di fraternità. Un’altra realtà che ha segnato profondamente la nostra comunità di Torre Angela è il servizio di tante persone come volontari in ospedale, persone che partecipavano ai gruppi del Vangelo.

 

Don Mario Grech – Io sinceramente ringrazio il Signore per questo gruppo e per questa mattina. Ciò che ho ascoltato è stato un battito di cuore della Chiesa. Noi siamo “popolo di Dio”, non ci sono laici e presbiteri, c’è il popolo di Dio con i suoi ministeri e carismi. Voglio incoraggiarvi a proseguire in questa discussione, ma non con me, che sono venuto per ascoltare, proseguite con i vostri pastori, dialogate tra voi nelle Chiese locali con il vostro pastore. Non può esserci circolarità sinodale senza presenza dello Spirito, possiamo ascoltare nello Spirito il fratello solo se prima ognuno di noi si è messo di fronte allo Spirito. È fondamentale prima di ogni incontro ascoltare in silenzio il Signore.

Il dialogo deve poi allargarsi oltre la nostra religione, dialogo anche ecumenico.

Vi esorto a leggere il documento del Sinodo, a rifletterci, e se il vostro parroco, il vostro vescovo non è attivo su questi temi, prendeteli in mano voi, riflettete fra voi e poi mandateli al vostro vescovo. Il vescovo non è solo nel Sinodo, ma avrà un’équipe che lo affiancherà. Aiutiamoci reciprocamente in questo cammino.

 

Costanza (da Nettuno) – Come dice papa Francesco, il parroco non è il padrone della baracca, è in una parrocchia per alcuni anni, poi va via e resta la comunità. Da dove può cominciare il cambiamento?

 

Chiara (da Torre Angela, Roma) – Una bambina di 11 anni, che conosco, uscendo dalla messa chiede alla mamma: “Perché il prete, durante l’omelia, ci tratta da deficienti, facendoci domande stupide?”. A messa trattiamo i bambini come persone che pensano e che devono essere aiutate a crescere o come bambini che devono rispondere a dei quiz? Se proponiamo loro solo cose infantili, quando li facciamo crescere? Anche i canti della messa, quando sono presenti i bambini, somigliano alle canzoni dello Zecchino d’Oro.

 

Ornella (da Torre Angela, Roma) – Il cammino del dopo cresima di mia figlia Irene permette di sviluppare la relazione tra coetanei: li fa uscire da un uso massiccio del cellulare e permette loro di incontrare gli altri. Molte persone alla messa domenicale preferiscono una passeggiata in montagna o cose simili, perché dalla messa escono vuoti. Dobbiamo stare attenti perché rischiamo fra 20 anni di essere individui isolati, mentre la messa continua a favorire la relazione tra le persone.

 

Gianfranco (da Torre Angela, Roma) -Ho riletto una lettera che nel 1983 i preti veronesi, in missione a Torre Angela, scrissero alla comunità. Adesso non c’è più questa visione, questo scambio, questa accoglienza… Occorre impegnarsi a dialogare con i preti che cambiano in continuazione, impegnarsi a costruire insieme, per poter accogliere tutti. Bisogna puntare sulle famiglie e sui giovani.

 

Tommaso (da Pietralata, Roma) – Anche noi negli anni ’80 abbiamo avuto una grande primavera, ma, andati via quei parroci, oggi ci ritroviamo a terra.  Occorre saper ripartire, non fermandosi alle critiche, ma portando idee e costruendo tutti insieme. Ciò che è necessario è la stabilità dei preti che arrivano: negli ultimi 15 anni abbiamo cambiato preti e parroci in continuazione: così non si costruisce nulla. È importante valorizzare i carismi di ciascuno.

 

Tonino (da San Basilio, Roma) – Nella scuola, se al termine di una lezione trovo i ragazzi distratti, svogliati… devo chiedermi se avevo preparato bene la lezione, se è stata mia responsabilità… Così nelle messe domenicali i preti dovrebbero interrogarsi sul perché le loro parole scivolano sulle vite dei partecipanti.

 

Lorenzo (da Torre Angela, Roma) – Quando Giovanni XXIII indisse il Concilio, ebbe tutti contro… Ma non si è perso d’animo e perseverando, nell’incontro tra vescovi di tutto il mondo, in quell’ascolto reciproco, vi è stata un’esplosione di vita nello Spirito: tutti rimasero sorpresi, i vescovi per primi, insieme all’umanità tutta. Nella proposta di papa Francesco di iniziare un sinodo permanente, la posta in gioco è ancora più alta, perché non ha convocato solo i vescovi di tutto il mondo, ma gli uomini e le donne di ogni parte ad ascoltarsi reciprocamente e insieme contribuire ad un cambiamento radicale: l’ascolto deve essere rivolto soprattutto al 97-99% delle persone che sono fuori. Se diciamo, credendoci, che i poveri sono la luce del mondo, non dobbiamo temere la povertà nella quale ci troviamo, come Chiesa: in questa povertà il Signore ci mostra ciò che è realmente essenziale.

 

Chiara (da Torre Angela, Roma) – In tanti ambiti (la scuola, i corsi di formazione…) i conduttori di un gruppo cercano di far emergere le potenzialità di ciascuno per poterle mettere a disposizione degli altri. Anche nelle comunità cristiane, i responsabili della comunione dovrebbero essere formati in modo da essere capaci di far emergere e far dialogare i diversi carismi.

 

Gianfranco (da Martina Franca) – Occorre risvegliare un parlare fatto di un ascolto comune dello Spirito: la comunione si costruisce, lo Spirito la genera, ma noi dobbiamo contribuire, sapendo superare i conflitti, imparando ad ascoltarci reciprocamente. La mia vita è stata segnata da preti molto in gamba, ma occorre anche il nostro contributo personale che è altrettanto fondamentale. Nelle prime comunità cristiane era la comunità che sceglieva chi aveva la capacità di accompagnare, servire e presiedere la comunità. Non erano i singoli a pensare: “Io ho la vocazione a presiedere”. È la comunità che chiama, come ricordava Martini. Se i preti non crescono, spesso è per colpa di chi gli sta a fianco, che invece di dire le cose vere, finisce per incensarli. Non c’è nessun ostacolo al fatto che anche le donne possano essere presbiteri. L’eucaristia è fatta da una comunità che concelebra e vive nel mondo.

 

Maria (da Martina Franca) – Come ce ne torniamo a casa? Quali priorità? Quali impegni? Come fare e cosa dire ai nostri presbiteri? Abbiamo riscoperto di essere “sacerdoti, re e profeti” e su questo dobbiamo riflettere ogni giorno, ogni mattina alzandoci dobbiamo chiederci: “Quale responsabilità ho davanti come cristiano?” Abbiamo riscoperto che i presbiteri sono al servizio della comunità, non i padroni: dobbiamo ricordarglielo nella carità, non facendo da padroni al posto loro. Occorre ricordarsi che siamo tutti fratelli ed abbiamo un Padre comune che è in cielo. È necessaria una presa di posizione chiara e decisa, nello stesso tempo fraterna, che vuole realizzare una chiesa in uscita, che esca dalla parrocchia e cammini lungo le strade.

 

Micaela (da Ostia, Roma) – È importante che ognuno di voi che ha partecipato a questo incontro dica la sua e ci mandi una pagina su ciò che ritiene veramente importante: noi de La Tenda manderemo questi contributi al Sinodo.

 

Giorgio (da Cosenza) – Grazie per questa giornata. Quanta ricchezza è venuta fuori dai vari contributi! Quanta ricchezza viene fuori quando le persone si incontrano e si confrontano! Sulla base di ciò che abbiamo vissuto oggi, possiamo trarre la conclusione che vale proprio la pena di promuovere occasioni di questo tipo. Ho bisogno di tempo per rielaborare le tante cose emerse e perciò mi rimane difficile fare una sintesi. Condivido un pensiero laterale: uno dei problemi che i padri conciliari si sono posti era quello di stabilire i confini della Chiesa. Il pensiero era: la Chiesa è lì dove agisce lo Spirito ma, poiché lo Spirito agisce dappertutto, i confini della Chiesa non sono definibili. Questo pensiero è stato sotteso a tutta questa giornata: la Chiesa è lì dove lo Spirito soffia, dunque in ogni luogo in cui la gente soffre, sperimenta, quindi l’evangelizzazione è bel oltre i confini delle parrocchie. Sta a noi riconoscere il nuovo lì dove le persone vivono, si incontrano. Ascoltarsi reciprocamente, ascoltare senza etichettare le gioie e i disastri che la gente vive forse è l’esercizio a cui tutti siamo chiamati.

 

Antonella (da Ostia, Roma) – Se la Chiesa, come è stato chiesto dal Concilio, tornasse a vivere con semplicità, umiltà, povertà, molte cose si risolverebbero da sole, sarebbe superata ogni divisione tra l’alto e il basso, tra dentro e fuori.

 

Chiara (da Torre Angela, Roma) – Grazie a tutti coloro che hanno contribuito a questa giornata, non solo con gli interventi, ma avendo fatto le pulizie, la spesa, la cucina che è stata OTTIMA. Davvero grazie!

 

Nota di servizio: anche questa lettera è stata spedita al nostro indirizzario. Chi si trovi inserito senza desiderarlo ci scusi, basta una comunicazione e provvederemo a cancellare l’indirizzo. Chi invece viene a conoscenza di questa lettera e vuole riceverla ce lo faccia sapere. Come sempre sono gradite segnalazioni di indirizzi di persone interessate. Come sapete non prevediamo un abbonamento per ricevere questa nostra lettera in modo da non limitarne la diffusione, le spese di stampa e di spedizione infatti sono contenute. Ogni partecipazione a queste spese sarà comunque gradita.

 

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