Lettera 96 (Prima Serie)

 

Bilancio:

Carissimi amici,

come ogni anno, vi diamo conto delle spese sostenute e del denaro che ci avete inviato a sostegno del ciclostilato, mentre rinviamo alla fine del 1979 per un bilancio complessivo del lavoro del biennio.

Qui vogliamo solo far notare che, rispetto alla partecipazione dei lettori al dialogo, in questi mesi c’è stato un notevole flusso di lettere, cui abbiamo dedicato un intero numero e che abbiamo preso a pubblicare un po’ alla volta su tutti i numeri. Da questo promettente avvio ci sentiamo incoraggiati a rafforzare l’invito a scriverci. Per parte nostra, stiamo cercando di coinvolgere nelle nostre riflessioni un più ampio tessuto di esperienze, come si può notare in queste pagine, a proposito della costruzione delle nuove chiese.

Con l’aiuto del Signore, cercheremo di andare avanti col nostro programma di lavoro.

Ed eccoci al bilancio finanziario,

Spese:

differenza passiva 1977 12.218 (*)

carta, matrici, altro materiale offset 287.150

spedizione in abbonamento postale 104.900

francobolli per l’estero, arretrati ecc. 53.500

cancelleria, varie 8.800

totale spese £. 466.568

Entrate: invio spontaneo di quote di sostegno da

parte dei lettori £. 477.000

Differenza attiva £. 10.432.

(*) Nel n.88 risultava una differenza attiva di £.21.012, che alla chiusura definitiva del bilancio si è tramutata in un passivo di £.12.218.

Contando sempre nel vostro aiuto e ringraziando quanti ci hanno inviato il loro sostegno, Vi salutiamo fraternamente, IL GRUPPO “LA TENDA”

La costruzione delle nuove chiese in Roma

Una riflessione sulla presenza delle strutture parrocchiali nel tessuto urbano deve innanzitutto prendere in considerazione alcuni fenomeni che pensiamo si siano verificati dal Concilio Vaticano II ad oggi ed ai quali, in questo momento, accenniamo soltanto:

  • l’attuazione del rinnovamento liturgico;
  • la riduzione del numero delle presenze alle celebrazioni domenicali;
  • il tramonto dell’associazionismo cattolico (fenomeno che tuttavia in questo periodo appare in ripresa);
  • la maturazione e l’approfondimento della fede cristiana da parte di alcuni gruppi che si sono assunti, a volte, il ruolo di Comunità guida nell’ambito della Chiesa;
  • la diminuzione del numero delle vocazioni (vedi “la tenda” n. 81).

Se da una parte, dunque, il Concilio aveva posto le premesse per un rinnovamento ed un approfondimento dei contenuti della fede cristiana – approfondimento di cui la riforma liturgica diventava una conseguenza, ma allo stesso tempo e forse principalmente un veicolo – contemporaneamente l’atteggiamento critico che si andava sviluppando nei confronti della Chiesa sul versante istituzionale aveva come conseguenza il progressivo allontanamento dalla pratica religiosa, il tramonto dell’Azione cattolica, la diminuzione delle vocazioni.

Fino a qualche anno fa la parrocchia si presentava come una struttura che aveva, fra l’altro, il compito di sopperire alle deficienze dei servizi sociali a disposizione dei giovani e riusciva pertanto a radunare attorno a sé numerosi ragazzi ai quali, fra una partita di pallavolo, biliardino, ping-pong, offriva qualche conferenza di istruzione cristiana ed il catechismo domenicale, con l’aiuto della presenza continua di giovani, spesso studenti universitari, che assicuravano una notevole collaborazione al prete preposto alla cura dei ragazzi, mentre la pastorale rivolta agli adulti consisteva nelle adunanze previste dalle istituzioni ufficiali e nella frequentazione delle celebrazioni domenicali e devozionali. Da dieci anni a questa parte è maturata una corrente di idee che ha indotto numerosi gruppi a riflettere sul significato di ciò che le consuetudini portano a fare. Le parrocchie di conseguenza hanno subito un notevole scossone, per essere venuto a mancare il concorso di giovani e di adulti disposti a tenere in piedi le strutture tradizionali, cominciando a perdere, in primo luogo, il valore di centro sociale che, peraltro, a nostro avviso non le compete in ogni caso.

In alcune parrocchie la reazione fu quella di entrare in qualche modo nel giro delle nuove idee, ma solo superficialmente, ed i parroci più illuminati cominciarono a chiamare le loro parrocchie “comunità parrocchiali” ed a istituire i consigli pastorali, che avrebbero tra l’altro avuto il compito di inventare nuove opportunità di aggregazione in seno alla “comunità”, coadiuvando i parroci nella loro opera. Queste nuove istituzioni intermedie ebbero però l’unica funzione di arricchire di nuovi termini il vocabolario dei frequentatori, perché solo in pochi casi si sono andate formando delle comunità capaci di vivere autenticamente la fede cristiana, per lo più attorno a persone dotate di particolari carismi. In genere, non è risultato sufficiente immettere nuove terminologie perché, chi in realtà si andava a mettere a confronto con una fede rinnovata, si trovava spesso a fare i conti con una struttura sostanzialmente immutata e con idee consolidate da secoli di uso corrente.

Da questi brevi accenni agli anni recenti, che richiedono comunque un approfondimento, portiamo l’attenzione al tempo presente. E qui notiamo fugacemente che siamo entrati in una fase di crisi accentuata del modello di struttura parrocchiale centralizzata e quindi in una fase di ricerca di modalità parrocchiali nuove, di esperienze nuove di essere chiesa nel territorio.

I segni di questo fenomeno che si va accentuando sono molteplici e qui ne indichiamo solo alcuni che ci paiono più rilevanti:

  • il fatto che un numero crescente di Parrocchie non assolve più a servizi centralizzati di quartiere, il che le pone in condizione di ripensare con decisione al loro ruolo;
  • la sensazione che con le vocazioni al sacerdozio dovremmo essere agli sgoccioli, cosicché diventa inevitabile riaprire il discorso dell’organizzazione degli adulti e, conseguentemente, prendere in considerazione nuove forme di comunità eucaristica;
  • la progressiva diffusione di modelli culturali che privilegiano, rispetto ai luoghi di culto centralizzati, altri bisogni e domande diverse di servizi (si veda il caso della Parrocchia dei Martiri dell’Uganda, ove il Comitato di quartiere si è opposto alla costruzione di una nuova chiesa, preferendo la destinazione dell’area disponibile a parco pubblico);
  • la stessa crescente difficoltà delle strutture civili a reperire terreni per le chiese;
  • la tendenza in atto in diverse parrocchie a sottoarticolarsi in parrocchie più piccole.

Crediamo anche qui che la realtà debba essere vista con attenzione e documentata con esperienze e se riusciremo a camminare in questa direzione, scopriremo sicuramente segni più consistenti di una realtà in mutamento. Ci vengono in mente, in questo contesto, interrogativi del tipo: da chi viene oggi la richiesta di edificare nuove chiese nella nostra città? Come si organizzano le parrocchie e quali obiettivi si pongono? Con quali mezzi finanziari si sostengono? Le risposte a questi quesiti sono complesse e ci limitiamo, per ora, a pubblicare una serie di testimonianze raccolte sporadicamente e nei modi più vari. Lasciamo i commenti a quando la ricerca sarà completata, a quando cioè appariranno evidenti i meccanismi che fanno decidere come, dove e quando edificare nuove chiese.

In questo numero iniziamo col presentare il resoconto di alcune visite compiute da un gruppo di ragazzi della Parrocchia di S. Fulgenzio (1); farà seguito una statistica sulla presenza delle chiese nelle varie Circoscrizioni del Comune di Roma (2), una serie di documenti relativi ai programmi della “Pontificia opera per la preservazione della Fede e la provvista di nuove chiese in Roma” ed alla istituzione di nuove parrocchie (3), infine alcuni articoli e lettere relativi alla costruzione di nuove chiese (4 – 5 – 6 – 7).

  1. RESOCONTO DEL LAVORO DI UN GRUPPO DI GIOVANI DI S. FULGENZIO.

Motivo della visita

Nell’ambito di un piccolo lavoro parrocchiale che svolgiamo da circa un anno, abbiamo visitato tre Comunità Parrocchiali appartenenti al quartiere Valmelaina/ Tufello.

Avevamo intenzione di verificare come, in ciascuna delle situazioni che avremmo incontrato, erano stati affrontati e risolti i problemi relativi: 1) alla fede e alla sua trasmissione; 2) ai rapporti con le forze sociali presenti nel quartiere; 3) ai rapporti con il mondo civile.

Abbiamo ritenuto importante interpellare coloro che sono direttamente impegnati nell’attività giovanile. Il punto di partenza del mondo giovanile ci è sembrato il cardine su cui far convergere le altre due problematiche.

Ci siamo trovati di fronte a tre Parrocchie diverse tra loro per storia, collocazione, genere di realtà in cui agiscono.

Perché il Tufello

Il nostro lavoro in Balduina, ci ha spinto ad interessarci di una realtà del tutto differente da quella a cui apparteniamo.

Questo perché sentiamo il bisogno di avere un termine di confronto diverso, interrogarci come altri cristiani dinanzi agli stessi problemi si sono atteggiati e le soluzioni che hanno ricercato per essere testimoni del Cristo nella storia.

Alle Parrocchie che abbiamo visitato corrispondono tre quartieri che per età, estensione e vivacità presentano tra loro caratteristiche molto diverse. Esse sono situate rispettivamente nella parte inferiore, nella parte centrale e al margine superiore, quasi in periferia della Zona.

Il Nuovo Salario è un quartiere di costruzione recente. La popolazione è formata da famiglie giovani che normalmente svolgono altrove la loro attività lavorativa.

I servizi sociali sono limitati ad un cinema e a pochi asili nido. Non esistono centri di ritrovo per giovani anche perché l’età media di questi ultimi è piuttosto bassa. La Parrocchia, come il quartiere, è di formazione recente. Tra i problemi che deve risolvere i più importanti sono quelli relativi al “farsi conoscere” e “che cosa offrire”.

Una delle maniere scelte per venire in contatto con la popolazione è stata di offrire momenti di approfondimento della fede. Gli incontri erano divisi in: un corso sistematico di catechesi per adulti e in una serie di conferenze intorno a temi.

Per questo lavoro si sono valsi della collaborazione di un centro culturale di religiosi.

In relazione alla catechesi dei ragazzi si è cercato di coinvolgere il più possibile le famiglie aiutandole ad intendere la parrocchia non più come un luogo dove si richiedono dei servizi (religiosi e sociali), ma come il centro di una comunità di fede.

La parrocchia sente come limitazione quella di non possedere un vasto locale per le celebrazioni e di spazi per intrattenere i ragazzi.

La seconda Parrocchia visitata presenta caratteristiche completamente diverse dalla precedente, innanzitutto per la sua collocazione nella parte centrale di un quartiere più vario e articolato, inoltre per la presenza di forze sociali attive, di partiti e di organizzazioni giovanili e centri culturali.

Il quartiere, sia per età che per occasioni di aggregazione che la necessità offre, è senz’altro più vitale e movimentato.

La parrocchia è riuscita a cogliere lo spirito con cui occorreva muoversi in questa complessa realtà: da una parte comprendendo che la popolazione avrebbe accettato solo quei servizi che avrebbero soddisfatto bisogni di prima necessità, dall’altra allargando la gestione di tali servizi alla popolazione, superando così una diffidenza e impermeabilità che avrebbe vanificato ogni loro iniziativa.

Abbiamo notato che la Parrocchia si divide in due settori di attività: quello liturgico e quello giovanile.

Nel settore liturgico la Parrocchia mette a disposizione i servizi tradizionali senza grandi innovazioni e senza creare traumi.

L’impegno più significativo ci è parso concentrato sul settore giovanile. Parlandone con il responsabile ci siamo resi conto di quali sono i motivi su cui si basano le loro attività:

  1. la consapevolezza di vivere in una situazione da “quarto mondo” in cui si sentono direttamente impegnati in un’opera di promozione umana;
  2. la gratuità dei servizi per evitare ulteriori discriminazioni;
  3. la non utilizzazione a fini specifici di proselitismo dei servizi offerti; la partecipazione ad attività sportive, cioè, non è subordinata alla partecipazione alle attività liturgiche.

Il centro dispone di attrezzature sportive, di sale di riunione e di proiezione e giardini riservati a bambini e anziani. Le attrezzature sportive vengono utilizzate a pieno tempo con leve calcistiche, tornei e partite domenicali. Le sale di proiezione servono al cineforum, alle letture commentate della Sacra Scrittura e per corsi di doposcuola tenuti da insegnanti che lavorano gratuitamente.

Il centro si sostiene tramite autofinanziamento e grazie agli incassi di un piccolo bar.

L’apertura al quartiere è praticamente totale, la parrocchia svolge un ruolo di controllo affinché non si creino attriti di qualsiasi genere all’interno (per motivi politici o per motivi economici – hanno rinunciato a costruire la piscina perché sarebbero stati costretti a far pagare una quota-) e di offerta di occasioni di approfondimento della fede attraverso letture comunitarie della Scrittura.

Occorre notare che questo impegno non è dovuto ad un bisogno di occupazione e di supplenza, bensì è una risposta a necessità oggettive di cui si è fatta carico, magari solo temporaneamente, la Comunità parrocchiale. Con la Circoscrizione i rapporti sono buoni e l’allestimento di alcuni impianti del centro si deve alla reciproca collaborazione.

La terza Parrocchia visitata è inserita nello stesso contesto socio-culturale della precedente, però ne è ai margini. La chiesa doveva essere la cappella di un vecchio convento abbandonato e la prima impressione che ha suscitato in noi è stato un senso di desolazione e trascuratezza. Persino un campo da pallone adiacente era pieno di erbacce.

La Parrocchia – pur esistendo da parecchi anni – non è riuscita ad avviare attività stabili e durature. Questo perché , a giudizio del Parroco, i giovani, a cui era affidata la quasi totalità delle iniziative, non si impegnavano con costanza e spesso, finito l’entusiasmo dei primi giorni, interrompevano quello che avevano cominciato.

Attualmente solo pochi gruppetti di ragazzi più piccoli si occupano dei canti durante la Messa.

Annesso alla Chiesa c’è un circolo bocciofilo patrocinato dalla Parrocchia e di cui il parroco, per statuto, è presidente onorario; ci è sembrato quello l’unico contatto, a parte quelli consueti, tra la Parrocchia e gli adulti del quartiere.

********

2) DATI STATISTICI DELLE PARROCCHIE

(desunti dalla pubblicazione “Roma e le sue Circoscrizioni” edita dal Comune di Roma nel 1977)

I^ Circoscrizione

abitanti 165.377

parrocchie 41

abitanti per parrocchia 4.033

II^ Circoscrizione

abitanti 173.804

parrocchie 11

abitanti per parrocchia 15.800

III^ Circoscrizione

abitanti 86.473

parrocchie 8

abitanti per parrocchia 10.809

IV^ Circoscrizione

abitanti 181.405

parrocchie 9

abitanti per parrocchia 20.156

V^ Circoscrizione

abitanti 140.088

parrocchie 13

abitanti per parrocchia 10.776

VI^ Circoscrizione

abitanti 184.548

parrocchie 6

abitanti per parrocchia 30.758

VII^ Circoscrizione

abitanti 152.446

parrocchie 8

abitanti per parrocchia 19.055

VIII^ Circoscrizione

abitanti 103.049

parrocchie 6

abitanti per parrocchia 17.174

IX^ Circoscrizione

abitanti 200.293

parrocchie 10

abitanti per parrocchia 20.029

X^ Circoscrizione

abitanti 164.922

parrocchie 7

abitanti per parrocchia 23.560

XI^ Circoscrizione

abitanti 154.751

parrocchie 10

abitanti per parrocchia 15.475

XII^ Circoscrizione

abitanti 62.960

parrocchie 4

abitanti per parrocchia 15.740

XIII^ Circoscrizione

abitanti 99.917

parrocchie 6

abitanti per parrocchia 16.652

XIV^ Circoscrizione

abitanti 29.793

parrocchie 4

abitanti per parrocchia 7.448

XV^ Circoscrizione

abitanti 157.464

parrocchie 6

abitanti per parrocchia 26.244

XVI^ Circoscrizione

abitanti 175.454

parrocchie 14

abitanti per parrocchia 12.532

XVII^ Circoscrizione

abitanti 114.768

parrocchie 11

abitanti per parrocchia 10.433

XVIII^ Circoscrizione

abitanti 133.575

parrocchie 9

abitanti per parrocchia 14.841

XIX^ Circoscrizione

abitanti 187.542

parrocchie 9

abitanti per parrocchia 20.838

XX^ Circoscrizione

abitanti 113.364

parrocchie 6

abitanti per parrocchia 18.894

3) da: PIERINO RATTI – SOLIDARIETA’ FRATERNA E PARTECIPAZIONE DEI BENI NELLA DIOCESI DI ROMA – 1975

La Chiesa: “casa di preghiera”

A questo punto vien fatto forse di chiedersi -come qualcuno realmente fa – se la chiesa, come casa della comunità orante, abbia ancora un senso e, di conseguenza, se la esistenza stessa della Pontificia Opera per la Preservazione della Fede debba considerarsi tuttora necessaria.

Pensiamo che sia sufficiente, al riguardo, citare le parole del Papa, rivolte ai sacerdoti della Diocesi di Roma il 10 febbraio 1975, nel corso dell’Udienza già menzionata.

Egli ha detto infatti: “Quante parrocchie dovremmo ricostruire e costruire? Dilatentur spatia charitatis. Abbiamo bisogno di preti, e sono quelli più necessari, abbiamo bisogno di case di preghiera: le chiese, le parrocchie nuove”.

E’ pur sempre vero, dunque, che la chiesa è l’edificio per l’anima umana e, poiché la nostra sensibilità e tutto ciò che di corporeo ci circonda esigono una ambientazione e una struttura, è logico che l’involucro chiesa stia al culto del divino come il corpo sta all’anima.

La chiesa è il luogo dove i componenti il popolo di Dio si possono incontrare e riconoscere come fratelli [1](1)(1).

Sul come costruirle, queste chiese, il discorso è aperto la Pontificia Opera per la Preservazione della Fede ha esaurientemente espresso il proprio orientamento al riguardo in un articolo apparso su l’Osservatore Romano di lunedì-martedì 27-28 gennaio 1975, e pubblicato anche nel fascicolo di gennaio-febbraio 1975 della Rivista Diocesana di Roma.

Attualità del Tempio di Cristo

Uno stato di inquietudine, una vera e propria psicosi contestativa, diffusa a livello internazionale, che ha preso le mosse proprio dai centri culturali della comunità più “affluente” del mondo, gli Stati Uniti, travaglia oggi come è noto, i Paesi liberi dell’Occidente.

Si auspica l’avvento di un “nuovo modo” di intendere la “socialità nella libertà” in termini che trovino limite soltanto nella integrale attuazione o soddisfazione delle due componenti; ma la riaffermazione del diritto alla libertà nella socialità, spesso in pratica sfocia nella violenza, propria della irrazionalità incolta.

Da una posizione di soggezione e talvolta di vero asservimento, alcuni Paesi dianzi considerati sottosviluppati (o più eufemisticamente, definiti “in via di sviluppo”) muovono oggi, addirittura, alla conquista dell’Occidente, con l’intento, più o meno dichiarato, di “europeizzarsi” (si verifica cioè, a un dipresso, il fenomeno che, prima dell’insorgenza del “black power”, vedeva il negro d’America teso alla disperante conquista dello “status” di uomo bianco).

La conseguenza è, comunque, ben più drammatica, sol che si pensi a quale crisi si sia scatenata e come siano da rivedere gli stessi concetti di Paese ricco e Paese povero.

Come agisce la Chiesa in questo delicato frangente in cui l’umanità sembra essere ad una svolta determinante del proprio cammino?

Una prima risposta può essere fornita dal recente Sinodo dei Vescovi (1974) che, riaffermando la funzione depositaria della verità da parte della Chiesa, ha decisamente condannato il suo “medioevo”. La Chiesa ritrova se stessa, non già perché utile ma perché vera. E’ questo il senso dell’apostolato nel nome di Cristo. Vangelo e Libertà si scoprono, così, ravvicinati; ed è quindi il Vangelo che dà un senso alla raggiunta coscienza di libertà interiore, senza di che la protesta resta sospesa come dinanzi ad un baratro in cui sono precipitati gli pseudo-valori che la società ha bandito da sé.

E’ questa – come è stato giustamente rilevato – una situazione particolarmente fortunata per noi e per la Chiesa. Sì perché mai, forse, come ora è offerta al sacerdote e alla parrocchia la possibilità di fornire un punto di appoggio, un porto sicuro, agli uomini, ai giovani in particolare, per aiutarli ad uscire dallo stato di disperante nichilismo che ha fatto seguito al ripudio di ideologie tramontate per sempre. E mai come oggi il sacerdote ha bisogno del Tempio per riaffermare la verità e dispensare il sacro [2](1)

Ritorna ogni anno, la II Domenica dopo Pasqua, (oggi in questo clima, domani chissà), quella che, con felice ed essenziale definizione di persona ad analogo e sofferto compito altrove votata, è stata chiamata “un momento d’obbligo”: la Giornata delle Nuove Chiese per la Diocesi di Roma.

Costruire chiese e centri parrocchiali per coloro che non ne dispongono, costituisce una necessità grave per la nostra Diocesi, perché più di cento sono i punti topografici dove mancano questi strumenti.

Ecco il compito, da affrontare con rinnovata lena per alcuni, da scoprire per altri.

Portare la presenza di una chiesa, con il proprio centro parrocchiale, in un quartiere dove stà nascendo la comunità, esige il superamento di tante e tali difficoltà e costa ancora tanta fatica, che a volte ci si para innanzi lo spettro dello scoramento e della resa! Ogni nuova presenza pastorale è un fatto civico e politico che passa attraverso la comunità di quartiere e di circoscrizione, il Comune, la Regione, lo Stato. Ci si trova impegnati nella pastorale diocesana, nella pianificazione e nell’uso del terreno, nella progettazione, nell’applicazione dei regolamenti comunali, nelle formalità giuridico-contrattuali, nei piani finanziari, nelle nuove applicazioni di tecniche costruttive, e in molte altre complicazioni talvolta rese più gravi dall’incomprensione o addirittura dalla malevolenza.

Ma c’è ancora tanta potenzialità di vita cristiana in quella parte della Diocesi che sta nascendo, che riprendiamo coraggio, e guardiamo con ammirazione a quei sacerdoti, animati da spirito missionario e perciò generosi, fedelissimi, sacrificati, coraggiosi, anche se, a volte, “difficili”, che mancano di strumenti aggiornati.

Il bisogno di chiese non diminuisce quindi, mentre invece aumenta il ritardo nel realizzarle. Ecco perché dobbiamo tutta la nostra autentica fraternità a questi confratelli, affinché il loro faticoso lavoro non sia vanificato.

Incontrare una chiesa

Quello delle nuove chiese è, dunque, un problema che coinvolge tutti, pastori e fedeli, fino alla partecipazione concreta: primi tra tutti quei sacerdoti che hanno i mezzi per compiere la loro opera di evangelizzatori e che (anche se nessuno gliene vuol fare una colpa) stanno diventando (e devono pur rendersene conto) dei privilegiati. Poi, è un problema di tutti coloro che riconoscono di essere stati coinvolti nella più bella avventura della loro vita, quando, un giorno, ormai lontano, in una chiesa, hanno incontrato per la prima volta Gesù.

Facciamo in modo che i loro figli, nella aberrante giungla di cemento armato che ci accingiamo ad attraversare, possano anche essi incontrare una chiesa!

La colletta della Giornata delle Nuove Chiese è una delle otto collette annuali, che la Chiesa Diocesana di Roma sollecita con uguale premura ai fedeli.

Ecco quel che pensa al riguardo il Cardinale Vicario: “Le cosiddette <collette diocesane> siano proposte ai fedeli non come un dovere di elemosina e tanto meno come un fatto puramente amministrativo, ma come autentiche esigenze di servizio ai fratelli e come forme concrete per esprimere quella intima solidarietà soprannaturale che unisce i fedeli all’unica carità di Cristo, senza la quale difficilmente un vero cristiano può sentirsi e vivere in comunione coi fratelli, nella Chiesa” (Istruzione del Cardinale Vicario Ugo Poletti, del 12 dicembre 1973, n.7).

L’espressione “siano proposte” sta a significare che le collette non possono essere qualcosa di improvvisato.

La Giornata delle Nuove Chiese andrebbe impostata con un ciclo di predicazione che la preceda, e con una ininterrotta a appropriata catechesi.

I temi ricorrenti dell’una e dell’altra, adattati alle diverse situazioni, dovrebbero essere identificati nei seguenti argomenti:

  • tutti devono sentirsi responsabili della costruzione della propria chiesa;
  • non si può continuare ad essere convinti che è il Papa che deve costruirle;
  • maggiormente si deve avvertire questa responsabilità, pensando alla possibilità di doversi forse presto disabituare alla situazione concordataria e al modo semplicistico del “c’è chi ci pensa”;
  • se la chiesa si è trovata già fatta, bisogna convincersi di avere un debito nei confronti della diocesi e dare a questa la possibilità di continuare la propria opera di costruzione là dove ce n’è bisogno; qualunque bene ci viene, infatti, dato in uso e nessuno, quindi, può considerarsene proprietario e disporne a proprio piacimento;
  • come c’è una catechesi per il Battesimo, perla prima Comunione, per la Cresima, per il Matrimonio, così bisogna cominciare a concepire una vera e propria catechesi per sensibilizzare l’uomo, dall’infanzia all’età matura, al problema delle nuove chiese;
  • il bambino che sta preparandosi alla Prima Comunione in una bella chiesa, deve cominciare a pensare che un giorno, da grande, quando si sposerà e cambierà quartiere, forse – bella o brutta – la chiesa dovrà costruirla lui stesso;
  • se il bambino che riceve i primi insegnamenti della formazione religiosa frequenta una parrocchia sistemata in locali provvisori ed insufficienti, egli non avrà difficoltà a rendersi conto di quanto sia necessaria una “vera” chiesa.

Questi alcuni spunti di una predicazione e di una catechesi che possono essere adattati e sviluppati in mille modi e che non pretendono di essere esaurienti.

Scopo precipuo è comunque quello di adoperarsi alla acquisizione, da parte di tutti, di una nuova profonda, diffusa, convinta coscienza dei problemi collegati alla assoluta esigenza che il Tempio di Cristo sia presente in ogni insediamento urbano o periferico.

Possiamo, in questa prospettiva – che rischierebbe di apparire conservatrice se non fosse illuminata dalle istanze di una autentica solidarietà fraterna e partecipazione dei beni – dirci impegnati in una attività da precursori?

E chi può definirsi precursore?

Precursore è forse il marinaio di vedetta che per primo vede sorgere il sole, per primo avvista la terra e lo grida all’equipaggio che dorme. Può darsi che l’equipaggio, disturbato nel sonno di ciò non gli sia neanche riconoscente, e lui dovrà accontentarsi solo della gioia di aver visto per primo.

Ma la scolta deve continuare a gridare; anche se la sua voce a volte assomiglia a quella di colui che grida nel deserto, essa riuscirà pur sempre ad imprimersi nella mente e nel cuore degli uomini; essa penetrerà nel loro inconscio e finirà prima o poi, fatalmente, per affiorare alla coscienza, allo stesso modo dell’acqua che si perde nella terra e ne esce più tardi e più lontano, fresca e pura sorgente.

Noi non pretendiamo certo di essere considerati precursori nel senso del possesso di una magica antiveggenza per innata virtù . Saremmo, in tal caso, poco più o poco meno, che modesti epigoni di un paganesimo superato anche se non spento del tutto.

Noi possiamo però considerarci precursori, (e rivendichiamo questo diritto) nella misura in cui seguiamo le buone ispirazioni dello Spirito Santo. E, come sacerdoti, non possiamo non considerarci, ad ogni momento, in servizio di scolta, sul più alto pinnacolo della nave di Cristo.

CONCLUSIONE

Giunti al termine dell’esposizione di queste “tesi”; enunciate allo scopo di avviare un dialogo, ci siamo chiesti, non senza un certo sgomento, se non fosse stato troppo esplicito, per non dire indiscreto o perfino prevaricatore, il modo di presentare un argomento nei cui confronti ci si è mossi finora con estrema circospezione se non addirittura con una sorta di scrupoloso timore.

Ma poiché noi sacerdoti – gelosi della dogmaticità delle verità di Fede – dobbiamo essere in ogni altro campo tutt’altro che dogmatici, è bene che a mo’ di conclusione di questo modesto studio si dica che esso non si è proposto altro fine che quello di disincantare una eventuale nostra “buona coscienza” un po’ troppo statica e di provocare la discussione, tra di noi, su un tema di indubbio interesse ed attualità.

Forse siamo stati indiscreti, ma non anacronistici.

A noi è sembrato infatti opportuno adombrare qualche ipotesi di soluzione che fosse in sintonia con i tempi.

Se qualcuno vorrà dimostrarci che siamo in torto, ci dichiariamo fin d’ora pronti ad ascoltare ed a farci eventualmente convincere.

Ma per ora le cose sono andate così; che l’umile servizio che ci vede oggi impegnati ci ha ispirato delle idee che abbiamo ritenuto opportuno e doveroso rassegnare all’attenzione dei nostri fratelli parroci, viceparroci e di quanti operano e collaborano per il bene della diocesi di Roma, dentro e fuori delle parrocchie.

E per il bene della diocesi il problema in questione vada affrontato e risolto, nessuno può, in buona fede dubitare.

*****

4) LA NUOVA CHIESA DI S. GREGORIO MAGNO ALLA MAGLIANA.

La voce della comunità parrocchiale.

Comunità Parrocchiale di

S. Gregorio Magno

**

via Pescaglia 11

00146 ROMA

TEL 5261617

**

COMUNITA’

NOSTRA

LA NUOVA CHIESA

Luogo di Preghiera

L’inaugurazione della nostra nuova Chiesa parrocchiale, il 18 dicembre prossimo, ci offre lo spunto per alcune riflessioni, legate al particolare avvenimento ed ai temi di carattere più generale.

La festa non può non suscitare in tutti noi, anche in chi non ha vissuto direttamente le travagliate vicende, sentimenti di soddisfazione e di gioia.

La Chiesa l’abbiamo voluta – e lo testimonia la raccolta di migliaia di firme a suo tempo effettuata – perché siamo convinti che, nel contesto di una comunità civile, sia tuttora valida ed insostituibile la funzione svolta dalla parrocchia nel campo religioso come in quello sociale.

L’insufficienza della vecchia cappella di via Pescaglia è stata più volte sperimentata; avremo ora un locale più ampio; ma semplice e decoroso come le nostre abitazioni, dove potremo ritrovarci familiarmente in gran numero per pregare e, perché no, per aprire un dialogo fraterno fra noi, vero e costruttivo.

Chiesa luogo di preghiera

L’esigenza di una pratica religiosa è ancora profondamente sentita, nonostante il diffondersi, nella società attuale, di una certa mentalità disgregatrice ed in presenza di difficoltà non indifferenti.

In questi ultimi tempi poi la religiosità dei cristiani sta vivendo nuove esperienze e riscoprendo forme e contenuti propri delle prime comunità.

Le case si aprono sempre più spesso agli incontri di preghiera comunitaria, rivalutando il significato della casa come chiesa domestica.

La Chiesa parrocchiale viene pertanto a rappresentare la casa più grande dove le varie piccole comunità domestiche, si ritrovano per celebrare insieme l’Eucarestia, segno di amore e comunione dei fratelli con il Padre e dei fratelli tra loro.

Questa è la vera immagine che dobbiamo avere della nostra Chiesa: una casa comune, amata e rispettata.

Chiesa luogo di incontro e di dialogo

Ma la Chiesa è, nello stesso tempo, nel quartiere, luogo di incontro e di dialogo, in vista di una promozione e di una autentica liberazione dell’uomo.

Non c’è dubbio infatti come nell’ambito parrocchiale permangono e si sviluppino valori essenziali per l’uomo, quali la solidarietà verso i poveri e gli oppressi, il servizio ai fratelli più bisognosi, l’amicizia, la partecipazione ai problemi della collettività.

E non è forse per questo che le famiglie continuano ad avere piena fiducia nella parrocchia, che i giovani e i bambini si avvicinano sempre più numerosi, trovando un ambiente amichevole e fraterno, con la possibilità di scambiarsi esperienze ed opinioni, nel rispetto della libertà dei singoli e di principi autenticamente e profondamente validi.

In tale quadro non va dimenticato il contributo che la comunità parrocchiale deve continuare a dare, coerentemente al proprio impegno di fede, alla soluzione di problemi del quartiere.

La partecipazione al dibattito che si svolge nell’ambito del quartiere deve registrare la nostra presenza attiva e responsabile perché siano affermati principi di giustizia, libertà democrazia e di amore.

La nostra Chiesa deve essere aperta al dialogo e consentire a persone di diversa estrazione sociale, culturale, politica e religiosa di poter ritrovare speranza nell’Amore per la costruzione di una società nuova, nella quale non abbiano posto odii, violenze e ingiustizie.

La comunità si farà così momento di unione e superamento di contrasti, di partecipazione a confronto, portatrice di istanze, ancora oggi rivoluzionarie, con fedeli impegnati, senza timori e vergogne, al perseguimento di un tale obiettivo.

E’ con questi sentimenti che vogliamo prepararci a celebrare la festa dell’inaugurazione della nostra Chiesa: la massiccia partecipazione dei fedeli darà concreta testimonianza dell’inizio e dell’impegno per una nuova vita comunitaria.

Pietro Silvestrini

Storia della Chiesa

La mattina del 13 dicembre 1963 don Alberto ed io arrivammo alla Magliana con una la celata sofferenza ed inquietudine: avevamo dovuto lasciare altre parrocchie nelle quali il lavoro avviato cominciava a dare i suoi frutti.

L’inizio fu duro: celebrammo il primo Natale con non più di cinquanta persone a Messa e quando rientrammo a casa, una profonda nostalgia del luogo lasciato con le molteplici attività, si faceva sentire.

La cappella era spoglia e disadorna, né, si diceva, valeva la pena fare spese particolari, perché si trattava di rimanervi, come ebbe a scriverci mons. Spallanzani, segretario della Pontificia Opera per la Costruzione delle Nuove Chiese in Roma, solo per pochi mesi.

Quei “pochi mesi” sono diventati 14 lungi anni di speranze, di attese, di amare delusioni, ma ancor più di profonde gioie. A guardare indietro ora, confesso sinceramente di non rammaricarmi che la costruzione della Chiesa si sia fatta tanto sospirare. Quel ritrovarci così pigiati uni accanto agli altri, quelle messe partecipate mezzo dentro e mezzo fuori della porta al sole cocente o all’acqua, le ricorderemo: credo ci abbiano aiutato a crescere in uno spirito familiare e comunitario che sono caratteristica delle nostre assemblee festive. La nuova chiesa ci offrirà uno spazio più ampio: ci auguriamo che anche coloro che andavano fuori quartiere a Messa, per la limitatezza dello spazio, ora decideranno di unirsi ai fratelli della Magliana, per vivere in comunione fraterna la propria fede.

Ricordare le vicende attraverso le quali è passata la costruzione della Chiesa è quasi impossibile, perché appena se ne superava una, un’altra ne sorgeva più o meno grave. Basti solo pensare che la Commissione edilizia del Comune per ben tre volte ha sospeso l’approvazione del progetto della Chiesa, adducendo come motivo che “doveva assumere una migliore veste architettonica”. Dopo lo scempio dei casermoni fatti costruire fuori legge, era semplicemente ridicolo chiedere una veste architettonica . . . “migliore”

Noterete come la Chiesa sia rialzata da terra: anche in questo caso hanno imposto che fosse osservato il livello del Piano particolareggiato del Piano Regolatore: questo prevede il rialzo della zona fino a quota 16,50 sul livello del mare! A nulla valsero le osservazioni che il reinterro non è tecnicamente né materialmente possibile. Finalmente nel febbraio 1972 iniziarono i lavori ma dal Comune non furono ritenuti sufficienti per costituire l’inizio del cantiere e, perciò, furono sospesi, adducendo come motivo che si stava lavorando con licenza scaduta.

Passarono due anni di estenuanti andirivieni tra gli uffici tecnici del Comune: sembrava che tutto dovesse naufragare anche per la paura che tutti aveva preso in conseguenza del processo popolare che ancora attende la sua conclusione.

A queste difficoltà esterne si aggiungeva una domanda che alcune forze del quartiere andavano ripetendo: ma la Chiesa, la gente della Magliana la vuole veramente? La risposta fu data dalle firme di 7.500 famiglie che chiedevano al Sindaco di riesaminare la situazione: nella storica riunione della Commissione consigliare del 25 luglio 1975 tutti i partiti, all’unanimità, decisero di rilasciare una nuova licenza. Va detto chiaramente: tutte le forze politiche hanno dato il loro valido contributo: ad ognuna di esse va il grazie della comunità cristiana che vede finalmente riconosciuto uno dei suoi diritti. Forse perché è stata tanto lottata e sofferta, ora è motivo di profonda gioia.

Vorrei esprimere un augurio: la stessa compattezza ed unità è indispensabile ritrovarla attorno ai gravi problemi che il quartiere ha davanti a se: problema del verde negli spazi liberi e non utilizzati; conoscenza del lavoro che la Commissione comunale sta svolgendo sulla Magliana . . . . Sono convinto che per una amministrazione veramente democratica sia importante non solo dare soluzione ai problemi, ma ricercarla con il concorso di tutto il popolo.

don Pietro

 

5) Lettera di un gruppo di credenti della Magliana

Lettera aperta sulla costruzione della Chiesa della Magliana

Siamo un gruppo di credenti impegnati nelle attività di quartiere a livello culturale, sindacale e politico. Vogliamo, in occasione della prossima festa di inaugurazione della chiesa, proporre a tutti i cittadini della Magliana, credenti o no, alcune riflessioni che ci sono ispirate dalla nostra fede in Cristo.

UN GESTO DI DIALOGO FRATERNO

La nostra iniziativa non è un atto di polemica verso la comunità parrocchiale che rispettiamo e stimiamo. Molti di noi, anzi, sono legati di amicizia con alcuni membri della comunità. Sappiamo che i preti della parrocchia vivono poveramente in servizio ai fratelli. Partecipano alle lotte del quartiere, aiutano con generosità molte persone in difficoltà.

Ci rallegriamo, d’altronde, che la Comunità parrocchiale abbia finalmente un luogo abbastanza vasto per radunarsi, pregare, celebrare l’Eucarestia.

Tuttavia il modo in cui è stata costruita la chiesa nel nostro e in altri quartieri di Roma ci pone dei problemi che vogliamo con sincerità sottoporre alla riflessione di tutti nel tentativo di iniziare con tutti un dialogo fraterno.

L’UOMO E’ SACRO NON IL TEMPIO

Per i pagani e per gli ebrei il tempio era sacro. Cristo invece ci fa capire che l’uomo è più importante del tempio. Alla samaritana annuncia la distruzione del tempio, in spirito e verità. Cristo non ha costruito né ha chiesto di costruirne. Ha annunciato il Vangelo sulle piazze, non solo con la parola, ma soprattutto con la vita schierata dalla parte dei poveri contro i ricchi.

La costruzione di chiese separate dalla vita quotidiana del popolo dove ci si raduna solo per riti, rischia, invece, di far pensare che i luoghi, i riti, i sacramenti sono più importanti delle esigenza concrete e quotidiane della gente.

NON SI POTEVA COSTRUIRE UNA SALA PER TUTTO IL QUARTIERE?

In alcuni paesi, e da noi presso le comunità di base, i cristiani si radunano per celebrare l’Eucarestia e i sacramenti in una sala che serve anche per le assemblee, dibattiti, teatro, cinema, ginnastica, scuola, ecc.

In un quartiere come il nostro dove non c’è una sala abbastanza grande per le assemblee o il cinema, dove non c’è il posto per costruire tutti i servizi necessari non si poteva costruire una sala che potesse servire alle necessità del quartiere oltre che per la messa della domenica?

E’ poi giusto, secondo il Vangelo, costruire chiese a Roma mentre mancano scuole, asili, ospedali ecc.?

Non si è persa forse l’occasione di annunciare il Vangelo ai non credenti mettendo a disposizione di tutti terreno e soldi? Non si è forse persa l’occasione di far capire a troppi cristiani che danno molta importanza alle pratiche religiose, che essere cristiano vuol dire soprattutto condividere con gli altri?

E’ vero molte persone, anche nel nostro quartiere, vogliono una chiesa bella, grandiosa per celebrare con fasto le prime comunioni e i matrimoni. Ma queste cerimonie quando non corrispondono allo sforzo di vivere da fratelli con gli altri, sono soltanto delle cerimonie pagane.

IL POTERE DELL’ISTITUZIONE ECCLESIASTICA E’ UN OSTACOLO ALL’ANNUNCIO DEL VANGELO

Dopo anni di dure lotte i cittadini del quartiere non sono ancora riusciti ad avere le scuole e gli altri servizi necessari. Molti non hanno nemmeno la sicurezza della casa. Il Vicariato di Roma invece riesce a costruire chiese nuove in tutta la città. In alcuni casi sono persino gli speculatori che hanno regalato terreno e soldi per costruire le chiese. Ma questi legami con i padroni, la ricchezza e il potere della Chiesa a Roma hanno allontanato molte persone dal Vangelo. I membri di altre chiese ci danno l’esempio quando rifiutano l’aiuto dello Stato per rimanere liberi nell’annunciare il Vangelo.

CI FACCIAMO L’AUTOCRITICA

Questo discorso avremmo dovuto farlo da anni. Purtroppo ci siamo lasciati prendere da altri impegni e non abbiamo annunciato con abbastanza chiarezza il Cristo nel quale crediamo, il Cristo che sta dalla parte degli oppressi contro ogni forma di oppressione. Non abbiamo formato, come in altri quartieri di Roma ed in altre città d’Italia, una comunità cristiana di base dove si tenta di vivere il Vangelo partecipando alle lotte della classe operaia e di tutti gli oppressi, denunciando, quando è necessario, il potere e i compromessi dell’istituzione ecclesiastica.

P. Baghi, M. Canavesi, E. Comand, G. P. Forcesi, P. Guido, G. Lutte, P. Marziale, R. Pellegrini, U. Simeoni, St. Vallone ed altri

da “Bollettino di Collegamento tra comunità e gruppi ecclesiali di Roma”, novembre – dicembre 1977.

*****

6) Sta sorgendo una nuova parrocchia ai Colli Portuensi

PROGETTO SOBRIO, SPESA ABBASTANZA MODESTA – MA CE N’ERA

PROPRIO BISOGNO?

Nel nostro quartiere più o meno tra un anno ci sarà una nuova Chiesa.

Sorgerà nell’area fra via R. Battistini e V.le dei Colli Portuensi ed avrà la sua entrata principale proprio su quest’ultima via, all’altezza dello slargo di via Gandiglio.

Verrà dedicata a Nostra Signora di Coromoto e S. Giovanni di Dio.

Sarà una parrocchia e prenderà il posto di quella ora situata nei locali – garage – di via Battistini.

Il perimetro della Chiesa, a forma romboidale, coprirà un’area di 600 mq. i locali e gli uffici dei sacerdoti ne occuperanno altrettanti. intorno all’edificio rimarrà un’area di quattromila metri quadrati che potrebbe servire all’allestimento di impianti sportivi e ricreativi.

La ditta costruttrice “Branchini e Mancinelli” per ora ha progettato solo la struttura della chiesa: sobria ma dotata anche di una certa originalità, specie se inquadrata nel noioso contesto architettonico di viale dei Colli Portuensi e nel monotono susseguirsi di palazzi che caratterizzano quella via. I lavori sono allo stato iniziale ma procedono con notevole rapidità.

La ditta prima di iniziarli ha presentato un preventivo totale di mezzo miliardo alla Preservazione della Fede, l’ufficio curiale che si occupa della costruzione della nuove chiese.

La nuova chiesa sorgerà con l’aiuto dei fedeli (prossimamente verranno caldeggiate delle offerte per il pavimento), degli emigrati venezuelani, del Consiglio episcopale e dello Stato venezuelano (al cui culto mariano di Coromoto sarà non a caso dedicata la parrocchia) e con il contributo del Vaticano. Naturalmente in base ad una vecchia legge fascista anche lo Stato italiano deve accollarsi quasi il 50 % della spesa.

Nasce allora spontanea una domanda: – servirà una nuova chiesa? –

Mancano case, scuole, ospedali e in uno dei pochi spazzi verdi rimasti nella zona viene costruita una nuova chiesa: era indispensabile?

E’ questo un discorso vecchio e complesso per il cattolicesimo italiano che si muove tra rinnovamento e conservazione.

Anche qui le due linee sono presenti: la prima in una certa sobrietà del progetto e nella spesa abbastanza contenuta (non si è ripetuto , insomma, il caso delle Salette); la seconda nell’incapacità di trovare soluzioni diverse e nell’orientamento a creare, ancora una volta, intorno alla parrocchia attività ricreative e dopolavoristiche.

La Parrocchia di S. Giovanni di Dio copre un numero di circa quarantamila battezzati.

La Parrocchia di S. Giovanni di Dio copre un numero di circa quarantamila battezzati ma a frequentare le funzioni domenicali sono circa un migliaio di persone; i fedeli che frequentano con assiduità gli scomodi locali di via Battistini sono duecentocinquanta e tra questi quasi un centinaio di scout; gli altri centocinquanta sono frazionati in vari piccoli gruppi di lettura del Vangelo, di neucatecumenato per adulti, di catechismo per ragazzi.

“Ci sono molti istituti religiosi qui intorno – spiega don Giuseppe Galizia – parroco di S. Giovanni di Dio – le suore e i frati suppliscono la Domenica all’operato della Parrocchia”.

Padre Galizia è solo e la Domenica sette-otto sacerdoti provenienti dai collegi religiosi della zona come quello dei Messicani debbono venire ad aiutarlo.

La mancanza costante di religiosi è forse uno dei motivi della scarsa partecipazione dei fedeli alla vita parrocchiale.

Ma se la situazione è questa può una nuova chiesa farla cambiare?

Valentino Spinaci

(da “QUARTIERE Monteverde” n. 8 – 9, giugno 1977.

*****

7) LA VOCE DELLA PARROCCHIA

di S. Giuseppe Cottolengo

Via degli Embrici 32 – Viale Valle Aurelia 93 ROMA – tel 63.722.62

UDIENZA PONTIFICIA

del 23 novembre 1977

Cari parrocchiani

Il gesto benevolo del Papa Paolo VI, con cui ci ha accolto mercoledì 23 novembre, ha per noi un altissimo significato.

Il Papa ha accolto e benedetto la rappresentanza della Parrocchia, che si è recata nell’Aula delle Benedizioni, per assistere alla Benedizione d’una pietra muraria destinata alla nostra nuova Chiesa.

Il Santo Padre si è soffermato con piacere davanti al plastico del nuovo complesso parrocchiale in corso di costruzione; ha osservato, ha pregato intensamente, ha benedetto ripetutamente l’opera, compiacendosi che la zona si arricchisca di una Casa di Dio.

E’ un segno di gradimento e di incoraggiamento a proseguire con fede in questo cammino intrapreso. La costruzione avanza. Di pari passo dovrebbe avanzare in noi l’entusiasmo e l’amore per questa nostra creatura, la Casa di Dio, interessandocene vivamente e collaborando in tutti i modi alla sua completa realizzazione. Naturalmente, mentre deve crescere l’interesse per la Chiesa come casa di Dio, ci vuole altrettanto impegno da parte di tutti per far crescere la Comunità parrocchiale come Chiesa, cioè Famiglia di Fede, di Preghiera, di carità. Una crescita graduale, ma continua, sentita, vissuta. Ne derivano due conseguenze e due mete da raggiungere in questo anno pastorale:

  1. il completamento dei fabbricati, che naturalmente attraverso gli operai verrà realizzato, ma che implica la nostra presenza di sostegno economico, che è ancora pesante a carico di noi come parrocchia.. Non ci libereremo dall’impegno economico, se non dopo molti anni di raccolta di offerte. E’ rivolto pertanto un appello a tutti a dare, a dare tutto quello che possono, ad aiutare, a collaborare, a raccogliere offerte, a partecipare alle varie iniziative lanciate pro Nuova Chiesa.
  2. Il nostro cammino come Comunità di Fede, di Preghiera, di carità. Siamo ancora ben lontani dal conoscerci, dallo scambiarci aiuti spirituali, dal comprenderci, dallo stringerci – animati da uno stesso ideale di far amare Dio e il prossimo – attorno a questo simbolo di famiglia Cristiana che è la Chiesa parrocchiale, faro di luce nella Parola di Dio, sostegno alle nostre debolezze nella comune preghiera, pilastro fondamentale su cui poggiano le buone opere congregative, associazionali, fraternamente umane e cristiane. Per questo occorre che tutti facciano qualche passo, vincendo e superando situazioni e difficoltà, che naturalmente non mancano. Quanto più bene, quanto più entusiasmo, quanto più conforto, se tutti i parrocchiani convergessero di più verso la propria parrocchia! Amiamola di più. Diamo una mano tutti e qualche passo si farà insieme. Ce lo dice la comune fede in Cristo, ce lo indica tanto più oggi l’approvazione incoraggiante del Papa.

Con la pubblicazione di questi documenti il discorso vuole essere appena iniziato: saranno pertanto molto gradite testimonianze e documentazioni che siano utili per un ampliamento del discorso sulla costruzione delle nuove chiese in Roma, prima che ci si accinga a sviluppare alcune note di riflessione sul tema.

***************

lettere

29. Primi giudizi sul nuovo papa.

Cari amici,

una analisi delle forme che l’inizio del pontificato di Giovanni Paolo II ha assunto si farà, e forse con difficoltà, tra chissà quanti anni, e da punti di osservazione ben più elevati che quelli di cui si disponga oggi.

E tuttavia penso che si debba già dire qualche impressione su quel che sta accadendo giorno per giorno e che i giornali non possono passare sotto silenzio, data la richiesta di notizie che sale dall’opinione pubblica.

Giorno dopo giorno vengono comunicati episodi, interventi, nomine, eccetera che si sta cercando di adoperare come elementi che permettano di decifrare un volto, un indirizzo, una linea continua.

Quando riceverete e forse pubblicherete questa lettera, altre parole, altri fatti, altri elementi saranno intervenuti ad arricchire o modificare il giudizio di ciascuno. La provvisorietà di ogni giudizio mi spinge ancor più a far uso dello stile epistolare, che la tenda permette. Mi sento più in grado di esporre il qui e l’ora.

Non faccio cronaca che è nella mente di tutti. Collego invece liberamente fatti e parole.

Vi dico subito che mi ha sfavorevolmente colpito la nomina di mons. Cè a patriarca di Venezia. Intendiamoci. Io non lo conosco sotto alcun aspetto. Immagino anzi che sia una persona degnissima e che di meglio non si poteva trovare. Ma purtroppo la sua nomina ha ricalcato l’abituale cliché, Una designazione d’ufficio, un trasferimento. Un trapianto. Qualcuno mi ha raccontato di una lunga udienza, quindi di una personale valutazione del Papa, quindi di un Mons. Cè già conosciuto e stimato in precedenza. Ma tutto ciò non riesce a commuovermi. Perdonatemi una domanda: ma Giovanni Paolo II ha parlato altrettanto a lungo con la diocesi di Venezia? Quale ruolo ha avuto la diocesi di Venezia nella scelta del suo vescovo? E purtroppo nessuno rileva queste cose! Non ci serve un papa più a sinistra, o più svelto di mano perché più giovane. Lasciamo queste valutazioni ai politici e ai cultori del divismo. Al momento in cui vi scrivo devo registrare che la chiesa locale, anche per Giovanni Paolo II, è solo un argomento per sacre conversazioni. Non possiamo dunque congratularci per simili scelte. Possono anche essere concretamente felici. Ma il papa è limitato come ogni altro mortale. Esaurite le nomine episcopali di tutti i geni che conosce, cosa resterà? Una procedura ancora e sempre verticistica e senza il coinvolgimento delle chiese locali.

E andiamo oltre. Sono passati alcuni mesi dalla sua elezione, e l’interesse diciamo pure malsano, il culto della persona del papa non accenna a scemare. Il papa sembra avvolto in una spirale di successo che tende a ispessirsi. Lui regge, è giovanile, affronta non più una ma due udienze ogni mercoledì, e la pubblicizzazione che ne fanno radio e televisione crea le premesse del successo della settimana successiva. Siamo ormai alle gite scolastiche prenotate. Come ai nostri tempi al giardino zoologico, con tema in classe il giorno dopo: “ieri siamo andati dal Papa”. La macchina organizzativa non perde un colpo. In vaticano non mancano davvero di capacità in fatto di ricezione turistica. Ora tutto questo mi preoccupa molto. Prima di tutto mi preoccupa il sapere che un uomo di carne ed ossa come noi è sottoposto ad un impatto continuo con fenomeni di esaltazione di massa, con emozionalità elevata al diapason, in un culto della personalità senza uguali sulla faccia della terra. Io temo, anzi sono sicuro, che un trattamento di questo genere finirà per squilibrare la mente del Papa,per dargli un’idea falsa della realtà, per renderlo inadatto a percepire le proporzioni delle cose. E’ una vera ubriacatura permanente. Secondo me, se c’è qualcuno che gioca per immobilizzare e isolare il papa, sta già lavorando alla perfezione gettandolo nel baratro di un rapporto di massa praticamente senza soluzione di continuità. E il papa sembra gradirlo.

E qui la preoccupazione cresce. Il papa finora non ha reagito, ed ogni giorno che passa lo rende meno abile a reagire. Ma cosa aspetta? Ma il suo senso cristiano gli permette ancora di lasciar fare quello che gli fanno intorno? Ma per molto meno Paolo e Barnaba si stracciarono le vesti e dissero: “fratelli, che fate? Siamo uomini come voi!” (Atti 14, 14). Non è ancora giunto, e quando verrà dunque, il momento di dire: “fratelli, ma non avete una chiesa dove andare la domenica? E un Signore a cui cantare Alleluia?” Invece ha imboccato la via dei bambini sollevati sulle spalle e del dialogo-balcone, cose che mi ricordano altri Uomini, con altri bambini, da un altro balcone.

Io non so se vedremo mai la fine del culto della personalità che si sta ingigantendo (tanto peggio se spontaneamente) intorno al Papa. Ma nessuno si illuda che cose possano riequilibrarsi da sole. Solo un deciso strappo potrà provocare una sterzata. E ci vorrà altro che accondiscendenza alla popolarità. Il richiamo ai giovani è un altro punto che mi lascia alquanto freddo. Vorrei sapere cosa mai hanno i giovani di oggi che non avevamo anche noi alcuni ani fa, e cosa faccia pensare al Papa che essi non avranno il corso normale, e fisiologicamente discendente, di tutte le generazioni precedenti, fino alla nostra. La fuga nel futuro che c’è nei discorsi del Papa, una fuga tanto poco corredata da motivazioni concrete, è oggettivamente una evasione dal presente. Invece quel che c’è da fare si deve fare ora, con giovani e non giovani. Il resto è retorica (anche essa già ben nota a tutti i condottieri di masse).

E vado avanti. Non ho molto chiaro il senso che hanno nella mente di Giovanni Paolo II le forme associative cattoliche e quelle agglomerazioni cosiddette comunitarie che non realizzano il modulo parrocchiale Ma tutti vediamo che gli appartenenti alle denominazioni non parrocchiali vivono momenti di grande euforia. Ripeto: non so cosa pensi il Papa, ma è certo che molti hanno fiutato un tempo di grazia per l’associazionismo di ogni tipo. E questo è un fatto. Per quanto riguarda la chiesa locale romana, dopo un incontro generale col clero, incontro condotto ancora e sempre in termini di “udienza” e con partecipazione indiscriminata di preti di ogni provenienza, e dopo una visita pastorale parrocchiale condotta nello stesso stile, si è privilegiato un incontro di tutt’altro livello con i responsabili delle organizzazioni associative, presentate dal Cardinale vicario come “una massa compatta” (siamo pari pari a “un esercito ha l’altar” di quarantottesca memoria, e alla “pupilla dei nostri occhi”, cioè all’Azione Cattolica di Pio XI). Ci voleva proprio un’ecclesiologia conciliare per arrivare di nuovo a parlare di cristiani come “una massa compatta”. E magari loro si saranno sentiti valorizzati. Contenti loro . . . . .

Ora ripeto ancora una volta. Non so dove voglia arrivare il Papa. Riconosco che ha anche detto frasi cristalline come, cito quasi alla lettera, “il diritto dei cristiani alla parola e all’associazione si iscrive nel diritto comune a tutti i cittadini”. Riconosco che l’Osservatore Romano (nel caso della polemica sulle dichiarazioni papali in merito all’aborto) se ne è uscito con un richiamo alla diversità degli ambiti di pensiero, accusando di arretratezza culturale quelli che non sanno distinguere un piano di giudizi morali da quello delle opzioni politiche (che evidentemente non sono liquidate dal previo giudizio morale). Un tale exploit del giornale vaticano (ma ci vuole una bella faccia tosta: rinfacciare agli altri una “arretratezza culturale” che mischia trono e altare, dopo averci sguazzato da sempre!) ripaga per un secolo di oscurantismo. Certo sono fatti notevoli, ma intanto se il papa è lo sciatore che si dice saprà bene che, se si dà l’abbrivio a certe valanghe storiche (nel caso, gli associazionismi cattolici), non li si fermerà poi con due righe dell’Osservatore Romano.

Mi domando anche che senso abbia un incontro con il personale dell’Università Cattolica del sacro Cuore – medicina. Che forse il prototipo del medico cristiano è quello che si esprime nelle lodatissime strutture confessionali? E’ così che si fa onore al tanto decantato rapporto chiesa – mondo? I medici o paramedici i quali vivono la loro fede nelle strutture pubbliche avranno un giorno una parola che li purifichi (e non diciamo che li privilegi, come dovrebbe essere) nei confronti dei colleghi istituzionalizzati?

Se il buon giorno si vede dal mattino, non condivido gli entusiasmi di tanti. Pur condividendone allora e ancora le speranze. Tanto avevo in animo di dirvi. Fatevi coraggio! Ho l’impressione che i tempi cupi non siano finiti.

N.B.: Continuiamo la pubblicazione delle lettere che ci pervengono, dando ad esse una numerazione progressiva. Metteremo volentieri in comunicazione che ce lo chiederà con coloro che hanno scritto le lettere qui pubblicate.

*****************

  1. (1) ) Con la convinzione che le chiese vanno costruite sta la necessità di potenziare al massimo Giornata delle Nuove Chiese, la colletta annuale che ha luogo, ogni anno, la seconda Domenica dopo Pasqua.
  2. (1) Da quanto si è letto nei giornali sembrerebbe che a Baden, in Austria, nel gennaio 1975, durante un convegno di sociologi ed antropologi in maggioranza atei, siano state fatte affermazioni di grande importanza; fine della teologia della morte di Dio, indici della domanda di sacro in innegabile aumento; riconosciuta per falsa la premessa che la scienza possa risolvere tutti i problemi dell’uomo: medicina, politica, sociologia, e psicanalisi incapaci di rendere accettabile la morte e di impedire l’autodistruzione dell’umanità; e molte altre, tutte idonee a ridimensionare quello che era stato considerato come il declino definitivo dei valori spirituali.