Lettera 54 (Seconda Serie)

Lettera introduttiva

- TUTTO TORNERÀ COME PRIMA?

- TUTTO CAMBIERÀ PER INCANTO?

- A CHI TOCCA IL COMPITO DI UN CAMBIAMENTO NECESSARIO? E NOI COSA POSSIAMO FARE?

Cari amici, in questa lettera vi riproponiamo alcuni degli avvenimenti che dal 7 marzo al 16 maggio si sono susseguiti e che forse possono cominciare a dare una risposta a queste domande (sul nostro sito web il testo completo degli interventi qui sintetizzati),  segue un breve resoconto dell’incontro che su questi temi abbiamo avuto online il 15 maggio e due contributi che ci sono sembrati particolarmente importanti, come al solito aspettiamo vostri commenti e riflessioni.

Avvenimenti e spunti di riflessione.

1) Papa Francesco solo a Piazza San Pietro (27 marzo 2020)

“È il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è” (…)

“L’inizio della fede è saperci bisognosi di salvezza. Non siamo autosufficienti, da soli; da soli affondiamo”; abbiamo bisogno del Signore” (…)

“Il Signore ci interpella e in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza capaci di dare solidità, sostegno e significato a queste ore in cui tutto sembra naufragare”(…)

“Abbracciare la sua croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un tempo il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare” (…)  “Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza”.

2) Ghislain Lafont* , “La chiesa che verrà” (Munera – Febbraio 2020)

“La pandemia tocca tutti gli esseri umani, provoca nella coscienza dell’intera umanità un sussulto di fraternità. (…) L’esperienza della fraternità presenta quindi una doppia faccia: quella del dono di sé e quella del sostegno nelle difficoltà.

In definitiva, ci preoccupiamo di essere umani di fronte agli esseri umani. (…)

Che cosa si dovrà fare allora dopo la pandemia? Lavorare per stabilire, per ristabilire, la fraternità. Mantenerla come obiettivo nella ricostruzione della società: non come essa è stata prima perché, appunto, non era fraterna, ma come potrà diventare se i popoli capiranno la lezione. (…)

In questo senso, c’è qualcosa di provvidenziale (visto dal lato di Dio) e di profetico (dal lato dell’uomo) nelle due recenti iniziative in cui le religioni si sono incontrate.

– Assisi, 1986. Le religioni, nella persona dei loro responsabili, si sono incontrate per pregare per chiedere la pace. (…)

– Abu Dhabi, 2019. Il grande imam Ahmad-al-Tayyeb e papa Francesco hanno lanciato un appello congiunto sulla «Fratellanza umana». (…) Poiché credono in Dio, possono prendersi cura insieme degli uomini e invocare una fratellanza universale  (…)

Oggi si pone come principio l’universalità effettiva della salvezza.

Essa è già data, poiché il peccato è perdonato. Questo perdono, totale e definitivo, è tutto intero nella Passione e Resurrezione di Gesù, e nel dono dello Spirito inviato sul mondo dal Risorto. Tale Mistero è compiuto una volta per tutte; è espressione della pura grazia di Dio.

L’accesso a Dio e di conseguenza la reciprocità tra gli uomini sono già là. Non c’è più spazio per la coscienza infelice. (…)

Chissà se il trauma della pandemia non vincerà queste resistenze?

* Teologo e monaco dell’Abbazia benedettina de La Pierre-qui-vire, è membro del comitato scientifico di Munera.

3) Luca Casarini: “Una nuova umanità” (9 aprile 2020)

(…) È vero “nessuno si salva da solo”. (…) “Finalmente ho compreso ancora più profondamente perché, salvando in mare i nostri fratelli e sorelle in fuga dalla Libia e dall’orrore, ho sempre avuto la sensazione che stessimo salvando noi stessi, che erano in realtà quegli uomini, donne e bambini indifesi che stavano salvando noi”(…).

4) Via Crucis del Venerdì Santo a San Pietro (10 aprile 2020)

Il mondo carcerario, gli ultimi posti al centro: “scopriamo che quelli che non stanno in cattedra e che a nessuno verrebbe in mente di metterceli hanno tante cose da insegnarci. – Questa è la meraviglia: sembrano insignificanti e invece sono pieni di senso, sembra che non contino nulla e invece sono una grande risorsa, sembra che siano solo da aiutare e invece sono quelli di cui abbiamo maggior bisogno e più possono aiutarci” (v. P. Parisi, La cattedra dei piccoli e dei poveri)

5) Yunus, “Non torniamo al mondo di prima” (18 aprile 2020)

“L’intero pianeta è diventato inabitabile per la catastrofe climatica (…) la minaccia della disoccupazione di massa provocata dall’intelligenza artificiale (…) la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi (…)”

“Nel NRP (New Recovery Programme, Programma della nuova ripresa) che vi propongo, assegno un ruolo fondamentale a una nuova forma di impresa detta impresa sociale. Si tratta di un’impresa creata esclusivamente per risolvere i problemi delle persone, un’impresa che non crea un utile personale per gli investitori, se si eccettua il solo recupero dell’investimento iniziale”.

Occorre “assegnare le priorità”(…) “Finché l’economia resterà una scienza per massimizzare i profitti, non potremmo farci affidamento per mettere a punto un programma di rilancio e ripresa basato sulla consapevolezza sociale e ambientale” (…)

“Chi vorrà investine nelle imprese sociali (…) potrà scegliere di trasformare i disoccupati in imprenditori a loro volta e dimostrare, così facendo, che gli esseri umani nascono imprenditori” (…) .

6) Daniele Libanori ai confratelli e amici del settore Centro Roma (19 aprile 2020)

“Il Signore sta celebrando la Pasqua nella grande liturgia della storia” (…)

“Ognuno se vuole vivere sereno, deve decidere di mettere da parte se stesso e di farsi prossimo, fratello, compagno nella medesima sorte e, finalmente, amico, perché sono le fatiche vissute insieme che fanno nascere e alimentano le amicizie (…) “Affrontando la prova diventeremo adulti (…)

“Non spetta alla Chiesa, ma allo Stato legiferare in ordine alla salute pubblica” (…) “La Chiesa vera, quella fatta di uomini, ringraziando Dio, può vivere anche senza chiese, come è accaduto per i primi secoli e come ancora accade in molte parti del mondo. Qui è necessario porci onestamente e con molto rispetto una questione di non poca importanza per noi pastori: se cioè la protesta, anche vibrata, contro la chiusura delle chiese sia animata dalla fede o non piuttosto da una religiosità da purificare” (…)

“Intanto però occorre ricordare a tutti che il Signore è realmente presente con il suo Spirito tra coloro che sono riuniti nel suo nome; è presente nella Parola e continua realmente a “nutrire” chi la legge e la medita; il Signore vivo si fa prossimo nel povero e nei bisognosi. Il Signore è nel desiderio stesso dei sacramenti. Ma soprattutto ha la sua dimora in colui che osserva i suoi comandamenti e condivide i suoi sentimenti, senza i quali neppure la comunione frequente può portare frutti di vita eterna” (…)

“Ogni volta che la storia ci fa sentire più acuto il mistero del nostro limite, dovremmo essere aiutati a capire che, quale che ne sia la ragione, siamo portati più vicini al cuore del mistero di Dio”.

7) Pino Stancari, Pasqua 2020

“Ritengo urgentissimo scegliere la strada della povertà, ora e qui. La povertà si cura diventando poveri” (…) “Altrettanto urgente e determinante è la scelta di appartenere a un’unica storia, che è universale, che coinvolga tutto l’impianto del nostro vissuto, alla scoperta dell’altrui e del diverso”.

8) Suor Lucia vive tra i bassi di Napoli

Camminando a piedi

Non riesco a portare il peso di tanta gente che chiede da mangiare, da pagare l’affitto.

Mi pesano sul cuore le parole di lamento. Immagini mai viste prima, qui, pur conoscendo la povertà.

Dopo qualche giorno dall’inizio della quarantena, scelgo di muovermi per strade e entrare nelle abitazioni. Ho decine di numeri telefonici e indirizzi, inviati da tantissimi messaggi supplichevoli di bambini, mamme, papà. Resta fissa nel mio cuore la voce dei bambini: “suora, non c’è nulla da mangiare in casa”. Mi sollecita a camminare e a entrare in contatto con famiglie e case conosciute o totalmente impreviste. Penso che sia bene avviare un percorso più familiare, di amicizia. Mi faccio accompagnare da un’amica col desiderio di condividere quanto sta accadendo.

In fondo a una viuzza che interseca una stradina che abbiamo percorso 1000 volte, c’è una porticina mai vista: in una stanza senza finestre e quasi senza mobili, vive una deliziosa giovane coppia, che aspetta il primo bimbo. R. è scultore, con le sue mani plasma la creta in opere d’arte, lei è piena di emozione e si accarezza il gonfiore della pancia. Al momento nessuno dei due lavora, ma esprimono fiducia.

Un altro vicolo. Sulla seconda rampa dei gradini, in fondo, a rasentare il muro, c’è una piccola porta. Non l’avevo mai vista, eppure questo è uno spazio da me frequentato. Qui vive una famiglia con due bambini. Il papà stende i panni sullo stendino fuori la porta, dentro la mamma ha già lavato e pettinato i piccoli, che si muovono curiosi alla nostra vista. Disegnano, un fustino di detersivo è stato trasformato in porta pastelli. Il papà lavorava sul mare, è un pescatore, ma adesso tutto è fermo. Abbiamo un giocattolo, un rompicapo, la bambina lo riceve contenta il bambino no. Gli chiediamo “Cosa ti piace?”. Risponde la madre: “Le macchinine”.

“Me le fai vedere?”. Il bambino alza il dito. Una, ne ho una sola.

Su per una salita cerco il n 18, busso e qualcuna mi dice di attendere un attimo, perché la scaletta angusta e ripida può essere pericolosa per me, ora anziana. Ma io salgo in fretta e mi trovo su un pianerottolo di mezzo metro con una porticina della mia altezza, circa un metro e mezzo. Resto sulla soglia, una bimba serena gioca su un cassettone mentre la nonna lava e riordina. Io vedo solo una striscia di camera, l’altra parte è nascosta dietro una tenda e un armadio. La bimba con una bambola in mano si mette a cantare. Mi coglie di sorpresa e sento che i mondi dei bambini sono immensi e forse ciò che per me è soffocante per loro è una reggia.

Vado su un’altra strada, frequentata da me più volte al giorno. Cerco l’abitazione n. 42, ma quando arrivo, mi dico “non è questa”, torno indietro e ricomincio a guardare attentamente, mi sento spaesata. E’ come se quel labirinto di strade e vicoletti, da me conosciuto perfettamente, mostrasse adesso un altro volto.

Telefono e la giovane donna indiana, di cui avevo sentito parlare per le estreme necessità, mi aspetta sulla strada vicino alla porta. A passo rapido la raggiungo e rimango stupita. Le chiedo: “ma qui non abita una signora malata?” .“ Sì, abita lei e suo marito, io con mio marito e la bimba, e un altro signore”. Mi manca il fiato, perché sempre dalla soglia avevo intravisto questo basso scuro, senza finestrella, perché più volte avevo raggiunto la signora malata, per quel legame creatosi di fronte alla malattia. Non sapevo che vivessero in sei, in uno spazio così angusto e angosciante.

Incredibile riuscire a pensare diversamente ciò che ormai si dà per scontato per le esperienze già acquisite. (…)

Ancora sulla stessa strada, di mattina, entro in un ampio cortile, che di sera ammiro molto per le ampie arcate e le luci che illuminano il palazzo. In un basso abita una famiglia amica, la signora mi aspetta alla porta, silenziosamente mi fa entrare. Vicino all’entrata ci sono tre posti letto ancora da riordinare. Una persona si alza e scompare, l’altro posto letto è ancora occupato dal figlio che è rimasto avvolto dal lenzuolo. Abbiamo un legame di antica amicizia, l’ho visto crescere. Penso e ripenso: nessuno potrebbe immaginare un giovane dal portamento tenero ma orgoglioso, sempre in perfetta armonia nell’abbigliamento e nello stile, possa dormire sul cassettone ricavato da un vecchio divano, scomodo e troppo corto per lui. Chiudo la bocca di fronte a queste situazioni diffuse e tocco con mano quale prezzo sono costretti a pagare gli immigrati. (…)

Arrivo al terzo piano, un’arcata illumina lo sguardo, M apre la porta e m’invita ad entrare. Sono le 11,00, un giovane è su una brandina, con il viso contro la parete. A pochi dm di distanza, su un lettone, c’è S, che ben conosco. E’ avvolto da un lenzuolo, in quel letto dormono lui, il fratello di 20 anni, malato, e la mamma. Un cumulo di pensieri si affolla nella mia mente. S viene al doposcuola, è un bel ragazzo, vestito con abiti semplici e puliti. Lo ricordo, lo rivedo mentre veniva al doposcuola con altri due amici, facevano in fretta in fretta i compiti e poi andavano via. Mi dispiaceva la sua svogliatezza, lo scarso interesse a conoscere gli altri ragazzi, la superficialità nello studio. Adesso inserisco i suoi atteggiamenti in un contesto di frustrazione e povertà. Penso alla sua adolescenza senza spazio, senza intimità, forse anche con il carico della cura del fratello. Penso alla paura di non poter pagare l’affitto e a una quotidianità affollata, in quell’unica stanza dove sta per arrivare un altro bambino e saranno in 8. (…)

Gradini c. Ritorniamo da una mamma incinta, partorirà tra 10 giorni. Ha un’altra bambina di 2-3 anni, allegrissima. Chiede vestiti, una culla… e poi dice con sguardo fermo: “per adesso… poi cambierà, lavoreremo”. (…)

Una delle mie passeggiate termina con immagini di sollievo. Alla fine di una salita, entriamo in un bel cortile di un palazzo antico, sembra di campagna. Il palazzo di tre piani è abitato interamente da persone che vengono dallo stesso paese. Si scambiano aiuto e amicizia. Una di loro ha un giardino con i nespoli carichi di frutti, alberi di arance e limoni. La ragazzina che siamo andate a trovare dice che spesso anche lei e la sua famiglia possono andare in giardino, al sole e all’aria. E la madre, con un bel sorriso rassicurante, ci racconta che la signora da cui fa i servizi non l’ha licenziata, come hanno fatto tanti altri appena iniziata la quarantena, ma le ha detto di restare a casa e continua a pagarla.

E’ mia delizia camminare e interrogare le strade, le abitazioni che sfuggono allo sguardo più attento e non accontentarmi mai del centro dei luoghi. Nel cammino di questi giorni ho incontrato quattro bambini autistici, accarezzo con lo sguardo i loro volti, chiudo la bocca e penso alla durezza del tempo. Mi sento grata alla vita che mai chiude i suoi ampi orizzonti e ci invita a convenire là dove stiamo portando i problemi e le inquietudini della vita di tanti e a disegnare storie di amicizia. Per questo sentire mi piace sostenere l’affido in vicinanza e in lontananza, che è il prendersi a cuore la situazione di una famiglia e accompagnarla, lasciarsi accompagnare con immaginazione e bellezza.

“Mi accarezzava

dalla soglia

Il profumo della casa”.

9) Papa Francesco, Omelia del 14 maggio 2020 a Santa Marta

(…) Noi, l’anno scorso, anzi a novembre dell’anno scorso, non sapevamo cosa fosse una pandemia: è venuta come un diluvio, è venuta di colpo. Adesso ci stiamo svegliando un po’. Ma ci sono tante altre pandemie che fanno morire la gente e noi non ce ne accorgiamo, guardiamo da un’altra parte. Siamo un po’ incoscienti davanti alle tragedie che in questo momento accadono nel mondo. Soltanto vorrei dirvi una statistica ufficiale dei primi quattro mesi di quest’anno, che non parla della pandemia del coronavirus, parla di un’altra. Nei primi quattro mesi di quest’anno sono morte 3 milioni e 700 mila persone di fame. C’è la pandemia della fame. In quattro mesi, quasi 4 milioni di persone. Questa preghiera di oggi, per chiedere che il Signore fermi questa pandemia, ci deve far pensare alle altre pandemie del mondo. Ce ne sono tante! La pandemia delle guerre, della fame e tante altre. Ma l’importante è che oggi – insieme e grazie al coraggio che ha avuto questo Alto Comitato per la Fratellanza Umana – insieme, siamo stati invitati a pregare ognuno secondo la propria tradizione e a fare una giornata di penitenza, di digiuno e anche di carità, di aiuto agli altri. Questo è l’importante. Nel libro di Giona abbiamo sentito che il Signore, quando vide come aveva reagito il popolo – che si era convertito –, il Signore si fermò, fermò quello che Lui voleva fare.

Che Dio fermi questa tragedia, che fermi questa pandemia. Che Dio abbia pietà di noi e che fermi anche le altre pandemie tanto brutte: quella della fame, quella della guerra, quella dei bambini senza educazione. E questo lo chiediamo come fratelli, tutti insieme. Che Dio benedica tutti noi e abbia pietà di noi.

LA TENDA – INTERVENTI DEL GRUPPO – 15 maggio 2020

Antonella: Penso che una lezione così dura debba almeno insegnare qualche cosa. Sul piano pratico, ad esempio, la necessità di ricevere la spesa a domicilio mi ha costretto ad accettare la sostituzione di prodotti non disponibili con altri non di mia scelta, con la riflessione di quanto siamo privilegiati in confronto a chi non può mai scegliere e il pensiero di aiutare chi ha bisogno.

Sul piano spirituale l’isolamento va preso come un’occasione di preghiera e riflessione, da condizione subita a scelta, come diceva la mia amica Rosa De Felice di s. Vincenzo: la solitudine si trasformi in contemplazione, e preghiera per i malati e i morenti in solitudine.

Possiamo riflettere sulla brevità e precarietà della vita, a volte poco considerata anche da noi vecchi, con la necessità di concentrarci su ciò che è essenziale.

Un’opportunità determinata dalla mancanza delle messe domenicali mi ha fatto incontrare settimanalmente con mia figlia per commentare insieme le letture. Ho riflettuto che la modalità normale di approccio alla parola di Dio dovrebbe essere di dialogo, non solo di ascolto, come ad esempio nella parrocchia di s. Vincenzo con incontri settimanali tra famiglie vicine di casa e la riflessione in comune sulle letture della domenica, con eventuali spunti dalla vita quotidiana per le omelie.

Micaela: Per quanto mi riguarda, guarderò anche in futuro a questo periodo “di limite” come una lezione da accogliere e un’occasione da continuare a cogliere.

Una lezione da accogliere, perché devo accettare il fatto che non sia la mancanza di tempo ad impedirmi di essere migliore. Ho sperimentato con amarezza che la quotidiana frenesia di cui tanto mi lamento, spesso era invece uno sprone affinché fossi presente, se non a me stessa almeno alle mie responsabilità. Rallentare i ritmi, dopo un iniziale senso di pace di cui sarò eternamente grata (!), mi ha comunque visto dedicarmi alle stesse cose, soprattutto doveri quotidiani, magari con maggiore qualità ma senza riuscire a creare nuovi ritmi, una nuova abitudine orientata su cose che ritengo più importanti, anche se di necessità meno “immediata”. Ma alla fine sono rimasti sporadici i tanto agognati momenti di meditazione o di gioco in famiglia. Ho imparato quindi ad essere più umile ed obiettiva: non ho scuse. Devo imparare che sono io a far “girare” il mio tempo. O almeno dovrei esserlo, riuscendo a valorizzarlo, considerarlo e impiegarlo con intelligenza, anzi con vera “sapienza”. Magari non riuscirò a fermare il sole come Giosuè, ma con l’aiuto di Dio spero di imparare a “contare i miei giorni” e giungere così “alla sapienza del cuore”.

Ed ecco perché questi mesi trascorsi diventano per me anche una occasione che voglio continuare a cogliere, per non tradire l’impegno con me stessa a crescere esistenzialmente in “tre dimensioni”: altezza, larghezza e profondità. Una cura più attenta del rapporto con Dio, una maggiore capacità di farmi realmente “prossimo” all’altro, una più autentica coscienza di ciò che sono e che vorrei diventare.

Gigi In questo tempo abbiamo visto un’enorme diseguaglianza tra chi è protetto e chi non lo è; è qualcosa che conosciamo da decenni, ma questi due o tre mesi hanno evidenziato questa ingiustizia anche agli occhi di chi non voleva vedere; ho compagni che realmente non hanno da mangiare, mentre ad esempio nella mia famiglia lo stipendio d’insegnante di mia moglie più la mia pensione, fanno sì che non abbiamo avuto problemi economici, e sto parlando non di ricchi, ma di una classe media.

Occorre valorizzare chi è più povero, altrimenti non avremo mai una società migliore. Questi fatti non cambieranno la realtà generale, ma sono un’opportunità per guardare il mondo dal basso, volendo rimanere in basso, se non cambiamo “ l’angolo di osservazione” non andremo avanti.

La stessa diatriba sulla regolarizzazione dei braccianti, ancora una volta non è fatta partendo dalla loro dignità, ma dalle nostre convenienze; occorre una politica capace di impegnarsi partendo dalle reali necessità degli ultimi. È in base a come ci comportiamo nei confronti di questi “esclusi” che si giudica la nostra realtà.

Chiara Durante questo tempo il  MIUR si è occupato di inviare fondi alle scuole perché acquistassero computer o tablet per gli alunni che non ne avevano, ma senza pensare alle reali difficoltà delle singole famiglie, che nei casi più semplici non avevano l’ADSL o un’incapacità a utilizzare questi strumenti; molti dei ragazzi, soprattutto i più fragili, non sono stati affatto raggiunti dalla scuola. C’è stata fra gli insegnanti una riflessione comune su come raggiungere TUTTI, sulle reali difficoltà dei ragazzi e delle famiglie? Questa riflessione comune manca anche nei tempi normali: non sono molti gli insegnanti che si interrogano sulle cause del disagio dei loro alunni. L’emergenza mette in evidenza le criticità che sono presenti nei tempi normali: se un insegnante ha trascurato durante l’anno i ragazzi  che manifestano un disagio, ora nelle lezioni on-line l’abbandono dei ragazzi è totale.

Tra i vari interventi ascoltati quello che mi è sembrato più significativo è quello di Pino Stancari: “per curare la povertà occorre diventare poveri”. Le tante voci che si sono levate per il “dopo” sono state quasi unanimi nel dire: “riavviamo la macchina dei consumi”, mentre per poter affrontare il grave problema della povertà mondiale, occorre un cambiamento radicale delle nostre vite e dei nostri consumi.

La seconda urgenza che sottolineava Stancari: pensare la nostra vita collegata non solo ai nostri parenti e amici, ma legata profondamente alla realtà mondiale.

La nostra vita e le nostre decisioni vanno ripensate tenendo conto delle realtà del mondo.

Micaela Mi pare che ci sia un segnale positivo che ci viene dal mondo dei migranti: la regolarizzazione dei braccianti e  delle colf.

Chiara Non è una regolarizzazione, ma un permesso di sei mesi per permettere la raccolta ed avere sulle nostre tavole frutta e verdura, senza nessuna attenzione ai bisogni primari dei migranti.

Gigi È necessario accorgersi ci che se noi acquirenti non cambiamo il nostro stile di vita e di acquisti, non può cambiare la condizione dei braccianti che il 21-5 faranno uno sciopero generale e ci hanno chiesto di sospendere anche noi ogni acquisto in segno di solidarietà.

Marco Tra le relazioni quella che mi è sembrata più significativa è quella di Ghislain Lafont, che mette al primo posto la FRATERNITÀ, non può esserci libertà, né uguaglianza se non c’è fraternità.

Come assistente sociale non ho mai smesso di lavorare, nel nostro municipio abbiamo avuto 12.000 domande per i buoni-spesa e ci sono stati 40 assistenti sociali e 30 amministrativi solo per vagliare le domande.

Ho rischiato una lettera di richiamo perché da sempre mi impegno più che per elargire, per rimuovere le cause della povertà e sento primaria la necessità di interrogarci su cosa fare concretamente per una reale eguaglianza.

C’è chi tra gli amministratori si occupa dei soldi a pioggia, più che delle reali necessità dei più deboli.

Le decisioni vengono prese non in base ai reali bisogni, ma in base alle immagini che vogliono far apparire.

I vari documenti che abbiamo ascoltato sono come fiumi carsici che preparano in profondità la ricostruzione; se un vescovo di settore, Libanori, dice certe cose, abbiamo speranza.

Anche la lettera di Casarini ci permette di cogliere uno dei tanti volti che si spende accanto agli ultimi.

Maurizio – (…) Arriviamo ai nostri tempi, con il trionfo finale della scienza: fiumi di petrolio ci inondano e ci arricchiscono, la vita media sfiora i 100 anni, la popolazione mondiale cresce da 2,5 a 7,5 miliardi, viaggiare è facile, comunicare è ancora più semplice, i lavori manuali arretrano sempre di più, persone vengono retribuite per non lavorare (o meglio non produrre), un’età aurea sta per aprirsi di fronte a noi, uniche preoccupazioni sono la crescita del PIL, il rating finanziario e lo spread.

Ma improvvisamente giunge, nei nostri paesi ricchi, un mostro invisibile e letale, un nemico che ci spaventa, ci attacca, ci travolge, ci terrorizza e di fronte al quale non abbiamo armi da opporre. Una situazione nuova ed inaspettata; la pandemia, la perdita della libertà, la fine delle certezze. Davanti a noi si para uno schermo nero, il muro della impotenza della ragione, il velo che non può essere lacerato dalla razionalità. Siamo impotenti e ci affidiamo all’unica risorsa che ancora può creare una fessura nella parete nera che ci sovrasta: la speranza, la tenue fiammella che può illuminare il buio, che può ancora farci intravedere un futuro.

Gianfranco –  Questo è un tempo che ci costringe a rallentare il passo, a stare in ascolto in silenzio, è un tempo che ci offre una grande opportunità; chi si ferma dietro al chiacchiericcio dei social perde una grande occasione.

Anche i nostri presbiteri e vescovi avevano un’opportunità di silenzio e di ascolto, in parte sprecata, per l’ansia eccessiva di protagonismo.

Rispetto all’intervento della CEI che ha rivendicato la “libertà di culto”, prescindendo da necessarie cautele, la presa di posizione di mons. Libanori è risultata lucida e saggia.

Lo sguardo di suor Lucia, piccola, anziana suora che vive nel rione Sanità di Napoli, mi è parso quello di una donna che si fa povera con i poveri.

Ci ricorda che questo è un tempo di ascolto della Parola e dei poveri.

Molto importante mi è parsa la consonanza tra Pio Parisi (v. 4° intervento) e Casarini: sono i piccoli e i poveri che ci salvano, ci rieducano.

Se non c’è cooperazione tra le varie forze politiche e istituzionali chi ne paga le conseguenze sono i ceti poveri, perché i ceti ricchi s’impongono da soli.

È necessario non solo potenziare tempi di silenzio e di ascolto, ma anche favorire occasioni di incontro e di confronto in piccoli gruppi nei quartieri, nei paesi, nella comunità cristiana, sui luoghi di lavoro… Occorre ritessere cammini di fraternità, come dice Ghislain, abbattendo i muri tra Chiese, culture… ritrovandosi assieme a tutti coloro che si impegnano a praticare cammini di fraternità.

Annamaria Una grandissima fragilità ci ha forse accomunati, le letture preziose mi hanno molto aiutato e in particolare le omelie di Francesco da Santa Marta, il suo affanno era il mio affanno, ci ha distolto dal chiacchiericcio e ci ha riportati all’essenziale.

L’umanità intera entrata nel profondo della mia esistenza; sono uscita dalla mia terra, dalle mie sicurezze, dalla chiusura sul proprio dolore; condizione che ci dischiude alla Fraternità, alla Povertà. È come se l’umanità si fosse improvvisamente ristretta nel tempo e nello spazio; preservando nella feconda obbedienza alla vita ci salveremo e salveremo tutti.

Franco Da quando c’è il Covid, con Rita viviamo a casa di Lara nostra figlia per aiutarli con i loro figli.

Si sono evidenziate la grandezza e la piccolezza dell’uomo: uomini e donne che hanno dato la vita, la disponibilità totale, ed altre persone che approfittano per fare soldi.

Io sono uscito pochissimo, con la mascherina ed in un quartiere dove non ho conoscenze, né amicizie e questo mi crea grande difficoltà. Per fortuna la cena è l’occasione in cui il lavoro di Lara e di Alessandro ci spinge a considerazioni che ci riaprono all’umanità intera.

Siamo chiamati ad essere testimoni di una fede e di un modo di vivere, testimoni per tutti.

In Papa Francesco abbiamo l’esempio di una Sapienza, mossa dallo Spirito, che non esercita nessun potere, ma aiuta a pensare, a riflettere all’essenziale.

La povertà di cui parla Stancari deve essere una povertà scelta, che sia vera sobrietà. Sobrietà, povertà, condivisione, fraternità sono spazi di vera gioia.

Maria Dominica Le notizie sentite in questo periodo sui ricoveri per Covid, sono simili a quanto ho vissuto anni fa, quando sono stata ricoverata in codice rosso per una insufficienza cardiorespiratoria. In ospedale mi hanno attaccato il respiratore… ed io mi sono lasciata andare, perché mi sono sentita in mani sicure. Poi, non appena ho cominciato a riprendermi, ho subito pensato: “così non posso più andare avanti, devo cambiare la mia vita. Ma come?”.

Anche in questa situazione di pandemia mi rendo conto che non basta trovare il un vaccino per risolvere i problemi. Occorre cambiare modo di vivere.

Durante queste settimane ho fatto fatica a rimanere chiusa in casa. Per fortuna con l’Associazione “Lavoro Vagabondo” sono stata impegnata a compilare autocertificazioni e molte altre piccole pratiche burocratiche e a redigere progetti per provare ad ottenere contributi per le attività di sostegno per i senza fissa dimora e per i poveri.

Nella Comunità di San Leone dalla Domenica delle Palme siamo riusciti a realizzare la messa in streaming con la partecipazione delle persone (circa 85-86 punti d’ascolto), da casa leggevamo in diretta sia le letture che le preghiere dei fedeli.

A me, comunque, mancherà la messa di Francesco la mattina, per il suo modo diretto di parlare a partire dalla Parola di Dio. Ha aiutato ognuno di noi a sentirci comunità e, insieme, parte dell’umanità tutta e ha contribuito all’unità tra le varie fedi nell’unico Dio.

Vincenzo Il discorso centrale mi pare la Povertà, che si combatte diventando poveri. Io ho insegnato economia e l’economia mira al profitto, se il profitto rimane nelle mani degli imprenditori è evidente che non risolveremo il problema della povertà.

Un altro tema che considero centrale è il diverso sguardo sulle Pandemie: quelle vicine le vediamo gigantesche, quelle lontane della Fame o della Guerra non le vediamo o ci paiono poca cosa.

Direi che il Covid ha allargato la forbice dell’ingiustizia: c’è chi lavorando da casa continua con lo stipendio di prima e potendo spendere di meno si trova ad avere più risorse, chi invece non può lavorare e si trova di fronte al bivio o Covid o Fame.

Chi ci governa pensa che la priorità ora sia quella di riaccendere i motori a pieno regime, per riaccendere i consumi; ma, da parte di chi ci governa, non ci si pone di fronte alla necessità di cambiare stile di vita.

Sento da parte di politici ed economisti un terrorismo psicologico sul crollo del PIL, sul crollo dell’economia, ci si dimentica ciò che diceva Bob Kennedy sulla falsità del PIL usato come monitoraggio dell’economia.

Pretendiamo solidarietà dagli olandesi e dai tedeschi ma verso i reali, gravissimi problemi dei migranti, li pensiamo come rompiscatole. Questo doppio atteggiamento mi pare frutto di una malattia mentale, una grave dissociazione. Ciò che si nega agli altri, non lo si può chiedere per noi.

Io sono lontano dalla Fede per due ragioni: la prima è perché non mi sento di abbracciare la povertà, la seconda perché non ho quella speranza capace di vedere la luce di un cambiamento serio dopo questa pandemia.

C’è un piccolo fatto che mi è accaduto e che mi sembra sintomatico: ho ucciso una zanzara che cercava il cibo, voleva un po’ del mio sangue e io l’ho eliminata.

Massimo Credo per fede che il Regno va progredendo, ma non ho molta speranza che le cose cambieranno automaticamente. Io ho vissuto da eremita, la cardiologa con la complicità di mio figlio, mi ha tolto anche la passeggiata attorno al palazzo. Ho letto, ho pensato, ho attinto alla messa di Papa Francesco e non mi è mancata minimamente la messa in parrocchia e tantomeno le omelie.

Da una parte ho sentito i toni sbagliati della CEI, che invocavano: “Fateci tornare a messa” e dall’altra le parole di Francesco che dischiudevano realmente la fede, la speranza, la carità.

La Via Crucis è stata una realtà totalmente nuova e straordinaria le omelie del papa la mattina non erano scritte, ma uscivano da un cuore veramente grande che si apre a te che ascolti. Finalmente mi sono sentito parte di una comunità senza limiti, anche se di fronte ad una mia coscienza che viene interrogata, vedo tutta la resistenza personale ed è questa resistenza personale che ostacola lo sguardo di un Regno che viene.

Chiara Riguardo alla povertà ricordo i miei sensi di colpa a Cuba: in fondo io, italiana, avevo le spalle coperte, anche se vivevo come i miei vicini. Una piccola sorella mi disse: “Ciò che possiamo fare è condividere ciò che abbiamo”. Ecco, per me la strada sulla quale camminare è una vita sobria e aperta alla condivisione di ciò che ho.

Lorenzoda alcuni mesi vivo con Adam, un uomo del Niger, e ho la possibilità di partecipare quotidianamente al Ramadan ed ai tanti piccoli filmati che gli mandano gli amici dall’Africa; è tutto un altro sguardo sulla fede islamica, sui pozzi d’acqua, sui mercati, sulle abitudini quotidiane… e sui comportamenti dei paesi europei in terra d’Africa. Tante distanze si superano spesso per una familiarità, una vicinanza a cui non avevamo pensato.

Io ho vissuto questo tempo del Covid guidato da una frase di Falcone: “se vivi nella paura, muori ogni giorno”, imparando a distinguere tra la prudenza e la paura, con la coscienza che “la paura della morte avvelena la vita” (vedi Libanori), sapendo di aver pagato il biglietto di sola andata, manca la data.

Siamo passati dalle troppe cose da fare, alle troppe cose dette.

Certo se tutto ricominciasse come prima, sarebbe davvero un calpestare le nuove opportunità che in questo tempo di “dolore” lo Spirito ci sta offrendo.

Una nuova era è già iniziata:

  • Sono cresciuto con ”fuori la chiesa non c’è salvezza”, Oggi abbiamo coscienza che ogni cultura, Fede, persona porta in sé germi di salvezza; l’incontro di Abu Dhabi un nuovo respiro alla storia universale.(Vedi Ghislain Lafont)
  • Sta crescendo una nuova generazione di teologi, liturgisti laici uomini e donne, capaci di guardare alla Fede e alle comunità cristiane con un nuovo sguardo in basso ed anche dal mondo femminile di grande forza.
  • Per il mondo ebraico la distruzione di Gerusalemme e in particolare del tempio e dell’Arca, ha spinto a cogliere la presenza di Dio nel popolo… questo tempo di chiusure delle chiese, è una nuova opportunità di cogliere Dio nel quotidiano.

Con un gruppo di persone abbiamo continuato la lettura del Vangelo di Luca attraverso il telefono o Skype ed erano presenti 3 bambini che ci hanno mostrato come il Vangelo rimane il tramite fondamentale per la formazione cristiana.

È stato un tempo in cui è cresciuta la percezione generale del valore dello Stato, però troppe volte ho incontrato persone che pensano allo Stato come una mucca da mungere, ma mi chiedo: lì dove non c’è una reale urgenza questo chiedere sussidi non è un furto ai poveri?”

Mi è sembrata importante una risposta di Recalcati: “tutti stanno sottolineando la mancanza, le colpe… mi pare importante sottolineare le cose positive…”

Uno dei passaggi fondamentali di questo tempo è stata l’omelia di Papa Francesco del 14-5 in cui accanto alla pandemia del Covid di cui tutti parliamo, ha ricordato la pandemia della fame: nei primi quattro mesi del 2020 sono morte per fame circa 30.000 persone ogni giorno, quasi 4 milioni in 4 mesi, poi la pandemia delle guerre… Quali sono le reali priorità?

 

A PROPOSITO DEL CONVEGNO AUTUNNALE

Lorenzo Avevamo pensato di organizzare il nostro convegno annuale ad ottobre e non sappiamo se sarà possibile: quale tema? Come organizzarlo? Dove? Forse questa volta invece di invitare dei relatori, sarebbe necessario impegnarci a coinvolgere i partecipanti non solo come uditori, ma anche propositori. Ora più che mai, è necessario far emergere e dialogare ciò che è dentro le tante ricerche personali.

Micaela Rispetto a dove fare il Convegno annuale, proporrei di farlo in un luogo fisso, forse a Torre Angela.

Gianfranco Questa volta, per un Convegno, più che relatori esterni potremmo approfondire alcuni testi ad esempio tra quelli proposti stamattina, testi che abbiamo letto, meditato… e che possiamo riproporre per un coinvolgimento di tutti i partecipanti.

Forse è bene decidere già adesso una possibile data: in autunno?

Chiara Proporrei come tema POVERTÀ e FRATERNITÀ, con brevi presentazioni da parte nostra, ma che aiutino a rimanere in un ambito concreto, come fanno ad esempio l’omelia di Papa Francesco del 14 maggio e la lettera di Stancari.

Gigi Sono un credente che non partecipa alla messa domenicale, e mi ha colpito sentire da voi che frequentate le messe domenicali: come mai la messa di Santa Marta vi è sembrata più vicina delle messe domenicali che frequentate? Ve lo dico da chi sta in apnea e non si regge tutta la vita in apnea, ma è una domanda che ci dobbiamo fare.

Chiara L’omelia di Santa Marta che ho ascoltato alcune volte, non sostituisce le messe domenicali, non sostituisce la comunità a cui appartengo, con tutti i suoi limiti: di questa sento la mancanza.

Micaela A me manca soprattutto la comunione.

L’importanza delle omelie di Santa Marta dipende da una maggiore vicinanza al Vangelo.

Antonella Per quanto riguarda il Convegno proporrei di dividerci subito in piccoli gruppi che approfondiscono i vari temi e nel pomeriggio relazionare in assemblea e dibattito.

Lorenzo Ho ascoltato le omelie di Francesco a Santa Marta due volte e quando vedo il suo zoppicare, il suo respiro affannato, un parlare senza ombra di protagonismo, che con tre passaggi arriva subito in rete, non c’è chiacchiera, non c’è un menare il cane per l’aia con interminabili preamboli sul significato di una parola, Francesco dice una parola che arriva subito al cuore e alla testa di chi ascolta.

La domenica mattina incontro nella messa tante persone povere che formano la comunità e sento che sono per me una grande risorsa, con queste persone l’ascolto della Parola acquista una forza maggiore, una luce nuova che mi aiuta a cogliere l’azione dello Spirito nel quotidiano.

Marco La Messa domenicale mi aiuta a incontrare persone che, come me, sono in ricerca e questo mi aiuta a continuare a camminare.

Rispetto alle messe a Santa Marta non le seguo, perché non mi piace assistere alla messa, ma partecipare.

Noi, ancora una volta, ci troviamo in mezzo a forti spinte di cambiamento e grandi movimenti che si oppongono ferocemente ad ogni cambiamento,

Maurizio Il Concilio ha rimesso il popolo di Dio al centro dell’eucaristia domenicale e ne ha previsto un coinvolgimento attivo sempre maggiore… con il Covid, siamo tornati al pre Concilio, una liturgia celebrata dal prete e non partecipata dal popolo. È stata la strada migliore?

Gianfranco Dietro tante celebrazioni di questo tempo, c’è il modo di pensare dei preti: la messa è qualcosa che ci somministrano. Il modo di celebrare che in tanti hanno scelto, mostra che non hanno capito la grande riforma liturgica del Concilio sulla messa.

Diceva Ghislain Lafont: la messa la celebra il popolo, il prete svolge il servizio della presidenza, ma non è lui il protagonista della celebrazione.

FrancoCiò di cui sento la mancanza in questo tempo, è la condivisione delle letture che facevamo con un gruppo di persone il giovedì e la domenica mi manca la presenza fisica della comunità, di persone con cui condividiamo la vita nello stesso quartiere, con cui ci aiutiamo leggere la presenza misericordiosa del Signore.

 

ALLEGATI

 Perché tutto non sia come prima 18 aprile 2020

Antonio Torresin (prete milanese)

(…) L’evidenza della liturgia

(…) D’altra parte, ho fortemente evitato la trasmissione della messa in streaming. Cosa lecita, certo, e i preti che lo hanno fatto hanno le loro buone ragioni. Ma due cose mi hanno trattenuto: la prima è che mi sembrava sbagliato incrementare la pratica che alla messa si possa “assistere” (termine caro al rito tridentino) come ad uno spettacolo. Dove per altro il prete sembra cercare ancora un ruolo di protagonista che alimenta un certo clericalismo. Alla messa non si assiste, si celebra, si partecipa attivamente.

E poi: esiste solo la messa? Per questo – è la seconda ragione – ho pensato di investire le mie energie nell’aiutare i credenti a “celebrare” nelle case, preparando sussidi, fornendo anche qualche audio che facesse presente la voce della comunità in ogni casa, suggerendo magari di celebrare insieme con le piattaforme che oggi permettono di connettersi con più famiglie. È stato un vero e proprio lavoro, che ha chiesto a me una cura per la celebrazione – e non solo per l’omelia – che normalmente non mettevo in opera; e che ha chiesto ai credenti di attivarsi per celebrare: preparando il luogo, i segni, i tempi… Chi lo ha fatto credo sia cresciuto nel suo vissuto di fede.

Aggiungo un’osservazione circa la predicazione. Pensarla per chi celebra nelle case (con uno scritto e con un audio) mi ha aiutato a contestualizzare molto il commento alla Parola. Accorgendomi come questo tempo di prova è anche un tempo particolarmente intenso, e di come il vissuto della mia gente i loro racconti, le loro vicissitudini, fornissero quel materiale umano condiviso che permetteva di ascoltare in modo nuovo la Parola. Un solo esempio: difficile dire qualcosa su una pagina come la morte di Lazzaro, l’iniziale distanza di Gesù, senza pensare a tutti coloro che stavano vivendo la morte di persone care “a distanza”.

La vita, se la si ascolta e se ci si lascia ferire da essa, amplifica la Parola, dona carne viva alla sua presenza. Sono stato in questi giorni molto debitore alle parole che i racconti mi hanno affidato nelle prove della vita. Non dovrebbe essere sempre così? Non dovremmo preparare insieme la celebrazione di ogni domenica, celebrare insieme il mistero di Cristo dentro le nostre vite?

L’urgenza della carità

Subito si è contemporaneamente imposta una urgenza: che fare per i poveri? All’inizio, quando la sospensione sembrava temporanea, si è fermata la rete di aiuti per le famiglie in difficoltà. Ma non è stato possibile farlo a lungo. I poveri non aspettano, bussano, e sono spesso le persone che per prime pagano il prezzo di una crisi. Così, grazie all’iniziativa di un prete della parrocchia, la rete si è riattivata con nuove modalità: la disponibilità a fare la spesa per chi non poteva uscire di casa; un numero sempre attivo per il Centro di ascolto; l’arrivo di nuovi volontari; l’utilizzo dei social media per contattare e tenere in rete i bisogni; il legame con gli altri Centri di ascolto coordinandosi meglio…

Abbiamo scoperto nuovi modi di stare vicino alle persone in difficoltà e nuove risorse e disponibilità inaspettate di tante persone di buona volontà. La parrocchia si è nuovamente scoperta come un presidio sul territorio molto attento, anche più vicino delle istituzioni civili, al punto che queste, nel tempo di emergenza, fanno riferimento alla parrocchia per avere il polso della situazione reale. Un patrimonio che servirà tantissimo per il futuro. Tutto non sarà come prima.

La catechesi sospesa?

Un capitolo a parte riguarda la catechesi e tutti gli appuntamenti di formazione. (…) Anche in questo caso – come nella liturgia – la formazione non è stata più a senso unico (il prete parla e gli altri ascoltano) ma si è ingenerato un circolo dove i parrocchiani erano soggetti attivi (…) .

A partire da questi spunti nasce anche il desiderio di confrontarsi, di incontrarsi – per ora via internet – per scambiare le impressioni e le riflessioni, insieme o a piccoli gruppi. Non è forse questa una forma di catechesi? Non potrebbe ispirare nuove modalità di formare un pensiero alla luce della fede? Tutto non potrà essere come prima.

Le relazioni come rete

(…) Da questa mancanza è nato anche il desiderio di farsi vicini pur nella distanza. Non sono mai stato così tanto al telefono, e con conversazioni così intense, lontane dalla banalità, piene di vita. Sono stati giorni nei quali cercarsi: tra preti, con amici lontani e vicini, con i parrocchiani, sia con i collaboratori più stretti che con le persone anziane più bisognose di una parola, che con le persone che vivevano circostanze difficili (il contagio, la perdita di persone care). E questo è diventato uno stile condiviso.

Perché tutto non sia come prima

Ho chiesto che tutti facessero di questo un compito: farsi vicini, creare una rete di fraternità, far sentire a più persone che ci mancano e che le attendiamo. Anche in questo caso la fraternità non è più una preoccupazione dei soli preti, ma diventa una responsabilità di molti nella comunità. Diventa evidente ciò che è sempre vero: il senso di appartenenza, il legame fraterno in una parrocchia passa non solo dai preti, ma dalla qualità delle relazioni che ogni credente impara a costruire come responsabilità verso tutta la comunità.

Non so come riprenderemo il cammino al termine di questa pandemia. So che il dopo comincia adesso, che quello che stiamo imparando segna una traccia che ci insegnerà quali percorsi reinventare, che cosa potremo cambiare, che cosa non sarà necessario rifare, e che cosa dovremo riscrivere in modo nuovo. Il domani comincia oggi.

 

Rete Italiana delle Donne in Nero:  Quale priorità per l’Italia: un’economia di guerra o un’economia per la vita?

“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” (art. 11 della Costituzione)

“Ripudia” è un’espressione decisa, che non ammette sofismi e compromessi.

L’Italia invece continua a dotarsi di sofisticati e costosissimi sistemi darmi da attacco.

Alcuni esempi:

  • Il Documento Programmatico per la Difesa 2015 17 prevede l’acquisto di 90 F35, cacciabombardieri con capacità nucleare dal costo medio unitario di 110 milioni di euro.
  • La portaerei Cavour, appena ristrutturata con una commessa di 90 milioni per Fincantieri, Leonardo e due consorzi pugliesi, Sican e Cut, partirà da Taranto per gli USA dove effettuerà il test con gli F 35 B a bordo.
  • Il 14 novembre 2019 è stato consegnato alla Guardia di Finanza il primo di 22 elicotteri AW169M, Leonardo.
    La spesa complessiva sarà di 280 milioni di euro, ai quali se ne possono aggiungere altri 100 per servizi aggiuntivi. È un elicottero militare, dotato tra l’altro di transponder per l’individuazione amico-nemico.
  • Il documento programmatico per la difesa 2018-2020 stabilisce l’accordo tra i Ministeri della Difesa, del Tesoro e dello Sviluppo Economico per l’acquisto di 4 nuovi sottomarini d’attacco U212NFS per una spesa di due miliardi, reperiti dal Fondo per il finanziamento degli investimenti e dello sviluppo infrastrutturale del paese.
  • I cantieri Marionette del Wisconsin, acquisiti nel 2008 per “soli” 120 miliardi da Fincantieri (che ricordiamo è controllata da Cassa Depositi e Prestiti), produrranno per una super commessa usa di 5,5 miliardi di euro una fregata FREMM, fregata missilistica d’attacco . In questo modo Finmeccanica compenserà la produzione di navi da crociera, in crisi a causa del coronavirus.

Inoltre la nato e gli USA chiedono all’Italia di portare il bilancio della Difesa, attualmente di 25 miliardi, dal 1,4% del PIL al 2%, Con l’aumento di 10 miliardi di spesa.

In generale non si tratta ormai solo di finanziamento della Difesa, ma di un chiaro e organico progetto di sviluppo economico, come auspicato da Alessandro Profumo, amministratore delegato di Leonardo, nella audizione informale in commissione difesa del Senato il 9 maggio dello scorso anno.

In questo contesto ci inquieta la recente “Proposta di Legge Speciale a supporto del rinnovamento dello strumento militare terrestre”, la cosiddetta “Legge terrestre”, secondo la quale nei prossimi 5/6 anni si dovrebbero garantire all’esercito italiano 5 miliardi di euro di fondi aggiuntivi destinati all’acquisto di carri armati, mezzi blindati, elicotteri multiruolo. Ci auguriamo che in sede parlamentare questo progetto venga bloccato.

Chiediamo anche di fermare tutti gli ulteriori investimenti per gli F-35, dentro una cornice di spesa che, come richiesto dal movimento “Sbilanciamoci”, non superi il 1% del PIL.

Nella gravissima crisi attuale causata dalla pandemia di Covid 19,  l’economia di guerra può apparire a molti l’economia del futuro.

Noi donne in nero, da sempre contro la guerra e contro ogni forma di violenza, comunque si presenti e venga propagandata, non accettiamo che il nostro governo pratichi una politica economica che tragga profitto da strumenti di morte.

L’industria militare può essere riconvertita ad uso civile, per la prevenzione e la cura della salute di tutti gli esseri viventi e dell’ambiente, per il sostegno economico a chi è colpito dalla crisi, per la difesa e la promozione della cultura, dell’istruzione pubblica, dell’arte e del bello.

Sui temi al centro di questa lettera si sono espressi, in occasione della pandemia da Covid-19, altri soggetti, laici e religiosi, movimenti, reti di associazioni della società civile del nostro paese che hanno elaborato precise analisi e riflessioni. Condividendo le pienamente, ci permettiamo di sottoporle, in allegato, alla vostra considerazione.

Vi ringraziamo per l’attenzione prestata

Cordiali saluti