Lettera 50 (Prima Serie)

L’Elezione Del Vescovo Di Roma E La Chiesa Locale.

E’ noto che il 5 marzo dello scorso anno, durante un Concistoro segreto per l’investitura di trenta nuovi cardinali, Paolo VI annunciò la sua intenzione di associare ai cardinali, nella funzione di eleggere il vescovo di Roma, i membri del Consiglio della Segreteria del Sinodo dei vescovi nonché i patriarchi orientali in piena comunione con Roma.

Si tratta di un progetto di notevole portata, come da più parti è stato rilevato: esso comporta infatti il riconoscimento, almeno parziale, che la elezione del vescovo di Roma, pastore della Chiesa universale, concerne tutti i vescovi e con loro tutte le chiese locali.

Tuttavia, vi è chi considera con scetticismo presta innovazione. Se si riflette infatti che tra i cardinali ed i nuovi elettori del vescovo di Roma vi sarà un rapporto di 120 a 21, viene il sospetto che la riforma non sia nulla di più che una mossa tattica per conservare l’attuale stato di cose.

E’ giustificato questo pessimismo? A nostro avviso la risposta non va cercata in astratto, ma considerando la concreta vita della Chiesa, le sue attuali tendenze profonde. Ora ci sembra indubbio che queste, nonostante forti remore, vadano nel senso di una sempre più diffusa esigenza di partecipazione. E’ quindi verosimile che il principio della corresponsabilità del popolo di Dio nella scelta dei suoi pastori sia destinato ad affermarsi sempre più pienamente.

D’altra parte, la compresenza di fatto, nei futuri Conclavi, di due classi distinte di elettori, potrà provocare un confronto dei rispettivi titoli di partecipazione. Si ripeterà allora che i cardinali sono “preti romani”, e che per questo motivo spetta loro un ruolo preponderante nella scelta del vescovo di Roma. Lo stesso Paolo VI , nell’allocuzione del 5 marzo, ha voluto ribadire questa giustificazione in termini molto espliciti: “… cotesto Sacro Collegio può dirsi in certo modo “pars corporis nostri”… e può assumere, nel mezzo e nel confronto del Collegio Episcopale, di cui il recente Concilio ecumenico ha illustrato l’amplissima potestà in gerarchica comunione con la nostra di Pastore universale, una già nota e ora anche più precisa figura di qualificato “Presbiterio” della Chiesa romana. E se questo organo ecclesiastico, il Presbiterio, ha avuto nello stesso Concilio un’aperta menzione nella complessa funzione pastorale del Vescovo, sembra a noi che ciò conferisca al nostro e vostro sacro Collegio un’indiscutibile ed organica conferma della sua ragion d’essere, della sua varia ed insieme omogenea composizione, risultante dalla libera ed esclusiva elezione da parte del Papa; conferma perciò parimenti della dignità che orna cotesto sacro Collegio e delle sue proprie prerogative, prima delle quali quella di eleggere, vacante la Sede Apostolica, il successore del Vescovo di Roma, e perciò stesso del Romano Pontefice…”.

Certo, formalmente considerata, l’argomentazione è ineccepibile: il Collegio cardinalizio ha la prerogativa di eleggere il vescovo di Roma in quanto esso è il Presbiterio della Chiesa romana. Lo stesso Concilio Vaticano II, osserva Paolo VI, conferma e sviluppa questa dottrina.

Ma in verità ci chiediamo che senso possa avere richiamarsi alla dottrina conciliare sul presbiterio, ignorando che essa è frutto e momento di una riscoperta della chiesa locale.

Per il Concilio, il Presbiterio non è certo una finzione giuridica, né un ceto separato della comunità dei credenti. Perciò l’identificazione tra Presbiterio e Collegio cardinalizio è un segno molto vistoso di quanto poco ancora sia maturata in Italia, a distanza di dieci anni, la coscienza che la Chiesa ha di se stessa.

Non occorre essere teologi per vedere che non esiste altro Presbiterio di Roma al di fuori di quello costituito dal clero che realmente presiede in Roma all’eucaristia. E’ questo il Presbiterio che deve recuperare le sue “prerogative”, cioè le responsabilità che gli sono proprie e che esso deve esercitare nella comunità locale. Tra queste responsabilità vi è anche quella di discernere la volontà di Dio sulla scelta del Pastore.

Sin dal primo numero di “La Tenda” (cfr ivi l’articolo su “l’elezione del vescovo”) abbiamo sost4enuto che la Chiesa di Roma, come ogni chiesa locale, ha il diritto e il dovere di scegliere il proprio vescovo, mostrando come la proposta apparentemente innovatrice di riservare all’episcopato universale l’elezione del Papa muovesse in sostanza da una visione ecclesiologica preconciliare e aristocratica. Ma una volta ribadita l’esigenza primaria di restituire alla Chiesa locale di Roma la pienezza della sua personalità, va affrontato anche il problema del ruolo che spetta alle altre chiese nella scelta del Vescovo di Roma. Su questo punto tutto è ancora da scoprire.

E’ indiscutibile che le altre chiese locali abbiano una responsabilità da esercitare nell’elezione del vescovo che presiede alla Chiesa universale. Forse aspetta loro soltanto di approvare o rifiutare la scelta fatta dalla chiesa di Roma. Ciò sembrerebbe più conforme all’idea che la scelta del vescovo sia un atto della chiesa locale.

Oppure la chiesa di Roma potrebbe proporre alcuni candidati e, insieme con l’episcopato mondiale, procedere all’elezione.

Una terza ipotesi può essere la soluzione inversa: l’episcopato mondiale proporrebbe alla scelta della chiesa di Roma alcuni nomi.

Naturalmente l’adozione di questo o quel sistema dovrebbe scaturire non da mere considerazioni di praticità, ma essenzialmente da un approfondimento ecclesiologico.

Allo stesso modo andrebbe affrontato il problema del ruolo nella Chiesa di quel Senato del Papa che viene tuttora designato come Collegio cardinalizio. La chiamata a far parte di questo consesso è spesso un segno d’onore che accompagna l’esercizio in atto di una funzione nell’ambito della Chiesa universale. Si tratta quindi in sostanza di un collegio di esperti in questioni amministrative, diplomatiche ecc. Ora dobbiamo chiederci: questo Senato serve alla comunione universale in un modo suo particolare? E, in caso affermativo, questo suo ruolo nella chiesa gli conferisce uno speciale titolo per partecipare all’elezione del vescovo di Roma?

Vorremmo davvero che qualche teologo facesse proprie tutte queste domande, e desse il contributo della sua competenza alla soluzione di un problema di cui la Chiesa non può continuare ad eludere i reali termini senza venir meno all’impegno preso nel Concilio: quello di riscoprire se stessa, la sua vera natura e la sua fedeltà al vangelo.

Oltre Il Convegno – Riflessioni E Proposte Di Un Gruppo Di Cristiani.

Passato i momento delle forti emozioni suscitate dal Convegno sulle attese di carità e giustizia nella diocesi di Roma, allorché si disporrà di sufficienti elementi di valutazione sugli sbocchi avuti dall’iniziativa, sarà possibile procedere ad una verifica dei giudizi da noi espressi sul n. 49 di “la Tenda”, alla vigilia del Convegno.

Per il momento vogliamo soltanto riportare il testo di un documento che, rispetto a tutti quelli presentati prima e durante il Convegno da singoli gruppi o persone, ha il merito di essere stato condiviso e firmato da cristiani appartenenti a svariate parrocchie, comunità e gruppi, in tutti e cinque i settori nei quali era articolato l’incontro. Per essere emerso dai lavori stessi del Convegno, con Un’ampia convergenza di esperienze fra loro diverse, potrebbe esserne considerato un po’ la “mozione finale”. Per questo motivo ci sembra interessante sottoporlo alla vostra attenzione.

Un gruppo di cristiani che hanno partecipato al Convegno della Chiesa romana, come prima riflessione sul suo significato per la comunità ecclesiale e guardando già oltre il Convegno, sottolineano alcuni punti che ritengono di valore primario.

  1. L’incontro, malgrado i limiti di impostazione e di svolgimento, è stato un evento di libertà e di partecipazione, che non può esaurirsi in se stesso, ma implica un nuovo stile di vita, di rapporti ecclesiali e di conduzione pastorale nella comunità romana.
  2. L’incontro, ha sancito la fine della esclusione e della emarginazione di tanti gruppi, comunità e persone, di cui è stata riconosciuta la piena e perfetta cittadinanza nella Chiesa romana. Questo valore non può più essere perduto, e mentre rende più sereno il lavoro in cui già sono intenti, impegna loro e tutti a una continua purificazione delle loro intenzioni e del loro operare approfondendo la comunione ecclesiale.
  3. All’incontro hanno partecipato a pieno titolo, tra gli altri, militanti di vari partiti e sindacati, tra cui anche i comunisti. Dal punto di vista ecclesiale questo significa che non l’appartenenza a questo o al quel gruppo in cui si articola il cosiddetto mondo cattolico sociologicamente inteso, ma il battesimo è il titolo originario e irrevocabile dell’appartenenza alla Chiesa e del diritto e dovere di partecipare alla sua vita e quindi di avervi la parola.
  4. La partecipazione anche personale del Cardinale vicario Poletti al Convegno e alle discussioni svoltesi nei vari settori è stata apprezzata come segno della comunione ecclesiale. Che questo segno non sia potuto giungere fino alla presenza anche personale del Vescovo di Roma, di cui egli è Vicario, è stato sofferto da molti partecipanti all’incontro come una privazione e un impoverimento.
  5. La responsabilità della Chiesa, come istituzione e come comunità dei credenti, verso i poveri, gli indifesi, gli emarginati, i perseguitati, gli esclusi, le vedove, gli orfani, gli handicappati, i malati, in una parola verso tutti i membri più deboli del corpo sociale, e che perciò Dio predilige, è un’acquisizione irreversibile di questo Convegno. Ciò da un lato deve essere capace di suscitare nuove e creative forme di diaconia nei loro confronti da parte della comunità cristiana e dei suoi membri, dall’altra deve fare la Chiesa fermissima rivendicatrice di giustizia a loro favore nei confronti di tutti i poteri.
  6. L’accertamento dei problemi politici e sociali che impediscono l’attuazione della giustizia e della carità nella città di Roma, non vuole significare l’attribuzione alla Chiesa istituzionale di nuove forme di supplenza politica o sociale a cui essa deve rinunciare non per opportunità, ma per la coscienza della sua povertà, e per la rinuncia ad ogni forma di privilegio ideologico e ad ogni pretesa di avere soluzioni per ogni problema. Tuttavia la Chiesa è impegnata a rimuovere gli ostacoli che essa stessa, di fatto, ha finito per frapporre alla soluzione dei problemi temporali e storici con cui si misurano gli uomini di questa città. Il principale di tali ostacoli, come rilevava anche la relazione di Don Riva, è la congiunzione, in un unico sistema, del potere ecclesiastico con gli altri poteri. E’ qui, come condizione di tutto, che la Chiesa deve prendere una strada del tutto nuova, che ovviamente non si può percorrere in un giorno ma che richiede in ogni caso che si comincino a porre dei fatti significativi in questa direzione; su questo piano si pongono i problemi più urgenti come quello dell’uscita dal regime concordatario, del rapporto privilegiato che la Chiesa intrattiene con uno dei partiti dell’arco costituzionale, e del prossimo referendum, riguardo al quale la Chiesa è impegnata a non compiere alcun gesto che in alcun modo possa ferire la comunione ecclesiale, quale che sia il voto che ogni cristiano esprimerà.
  7. I sottoscritti partecipanti all’incontro rilevano di essere stati chiamati a discutere di molte cose, in questa occasione, ma non di ciò che è ancora più prossimo ai contenuti della fede, né dei modi in cui tali contenuti vengono testimoniati e trasmessi nella Chiesa romana. Anche questa è forse la conseguenza del fatto che la Chiesa si è riconosciuta fin qui più nel suo fare che nel suo essere, più in rapporto al suo ruolo temporale che in rapporto al suo mistero. Perciò si ritiene che in futuro una riflessione si debba aprire su questo, e che i cristiani debbano portare il loro contributo per tutto ciò che riguarda il modo in cui la parola di Dio viene annunciata, il modo in cui vengono amministrati i sacramenti, i contenuti ed i metodi della pastorale, e così via.
  8. Un’altra delle lacune rilevabili del Convegno è il fatto che esso è sembrato non aver coscienza del ruolo che la Chiesa romana come centro di comunione tra tutte le Chiese, e quindi come investita dei problemi degli uomini di tutta la terra, come se questo ruolo fosse tutto delegato a quanto il Papa fa personalmente o attraverso la sua Curia. Senza volere qui indicare i contenuti di una riflessione che non è nemmeno iniziata, si può citare solo a titolo di esempio almeno un problema che ricade immediatamente nella responsabilità della comunità romana, ecclesiale e civile: quella di farsi luogo di accoglienza e di ospitalità per gli esuli, i perseguitati, i minacciati, cristiani e non cristiani, che vengono a cercarsi rifugio per sfuggire a poteri oppressivi o omicidi. Anche questo servirà ad esprimere la scelta della Chiesa a favore dei poveri e dei deboli, nello scontro politico e sociale oggi in atto a tutti i livelli.
  9. Al di là di tutto quanto, l’incontro che abbiamo celebrato impegna irrevocabilmente la Chiesa che è in Roma a porsi, dentro e fuori di sé, segno di libertà, di povertà, di riconciliazione, di giustizia e di pace. Questo vuol dire che la Chiesa non riconosce su di sé altra sovranità che quella del suo Signore, e farsi testimone di Lui, e in Lui annunziare e operare la verità e la salvezza.

Roma, 14 febbraio 1974.