Lettera 43 (Prima Serie)

 

Cari amici,

come vi avevamo preannunciato, vi inviamo in anticipo il testo della conferenza del prof. Tommaso Federici, sui fondamenti biblici dell’anno santo. Ora ci auguriamo che questo numero di “La Tenda” vi giunga in tempo utile per la preparazione dell’incontro. Quest’ultimo è confermato per domenica 10 giugno p.v., con inizio alle ore 16,30, presso il Convento dei PP. Camaldolesi di S. Gregorio al Celio (salita di S. Gregorio, 2 – Roma). In attesa di incontrarci, vi salutiamo fraternamente.

 

Gli amici di “La Tenda”

Il Giubileo Biblico

L’anno di “abbuono” generale.

L’esposizione che segue è schematica, e richiede necessariamente la lettura immediata, nonché la consuetudine continua con i testi biblici; nei quali, se se ne vorrà percepire la portata straordinaria, non vanno introdotte forzatamente categorie moderne, né dogmatiche, né sociali, né politiche.

  1. I testi

Il “giubileo”, o anno giubilare è richiamato diverse volte nell’Antico Testamento. Il testo base è Lev. 25, 8-22, e 27, 16-25.

Anzitutto il contesto generale. Il Levitino è il 3° libro del Pentateuco. Il Pentateuco, o Torah, l’”insegnamento”, è la descrizione programmatica della grande assise costitutiva della comunità del popolo di Dio. Assise perché dà il resoconto della esperienza storica d’Israele, valevole anche per il seguito della storia d’Israele; dunque costitutiva: il formarsi antico del popolo come comunità autentica vincola la formazione che dovrà ancora ed ancora avvenire.

Il Levitico occupa un posto singolare. E’ un documento assai complesso, frutto del lavorio pluridecennale, esilico e postesilico (dunque: sec. 6° e 5° a.C.) della scuola teologica detta “sacerdotale” sigla P); questa raccoglie e codifica sia memorie storiche, sia teologiche e giuridiche, spesso di un’antichità impressionante, come sarà per il testo del Giubileo. La scuola P concepisce tutto questo come un’enorme descrizione della storia della salvezza, dentro la quale il momento costitutivo, motivo, nodale e caratterizzante è il culto liturgico. Sicché proprio la vita “sociale” riceve la sua sanzione e la sua omologazione dal culto: dal culto derivano strettissimi ed inevitabili obblighi sociali, che sono di giustizia-carità, non l’una senza l’altro. La motivazione unica è sempre: “Tu fai questo e questo, perché Io sono il Signore Dio tuo……perché Io sono il Santo” (motivo ricorrente, ad es. in Lev. 19). Ma “Signore Dio tuo” è nome con cui il Signore, JHVH, si è rivelato a Mosè sul Sinai, ed ha liberato Israele dall’Egitto, gli ha fatto vivere il “fatto pasquale”. Poiché Israele vive tale fatto storico attraverso le generazioni, l’obbligo ultimo della giustizia-carità è sempre quello: avere vissuta la Pasqua in comunità davanti al Signore.

Il testo sul Giubileo si trova a far parte del c.d. “Codice di Santità”, cioè Lev. 16-26. E’ la parte più antica del Levitino, e comprende varia legislazione-insegnamento, ch’è il contenuto vitale dell’alleanza, il comportamento verso il Signore ed il prossimo. Solo obbedendo a tali precetti un popolo di “purificati”, santificati, potrà vivere una storia reale e salvifica davanti al suo Signore, “il Santo” per definizione. La parte sociale delle prescrizioni formano come il midollo del complesso.

Il contesto immediato del Giubileo precisamente è liturgico e sociale: i cap. 23-24 del Levitino infatti statuiscono sulle feste del popolo; i cap. 25-27, in una visuale grandiosa, statuiscono sulla vera socialità di questa comunità storica.

In particolare: Lev. 25, 1-7, l’anno sabbatico; 8-22, il Giubileo; 23-34, il riscatto delle terre; 35-55, schiavitù e liberazione; 26, 1-2, contro l’idolatria; 3-13, benedizioni a chi obbedisce alle prescrizioni; 14-45, maledizioni contro i trasgressori; 27, 1-8, i voti da commutare perché troppo onerosi; 9-13, voti per animali; 14-15, voti sulla propria casa; 16-25, voti sui campi; 26-27, riscatto dei primogeniti degli animali; 28-29, consacrazione di beni al Signore; 30-33, le decime sacre al Signore – perché debbono essere distribuite a che ne ha necessità.

2. Il dettato

Lev. 25, 8-22 prescrive una misura sociale e religiosa che deve essere applicata ogni 49 anni, cioè ogni 7 anni sabbatici (v. 8): i campi torneranno ai proprietari antichi, gli schiavi torneranno liberi in famiglia (v. 10). Durante tale straordinaria epoca annuale non si semina e non si lavora: il Signore stesso provvederà, tutti sicuramente mangeranno (avv. 11-13 e 20-22). Ogni compravendita di campi e schiavi dovrà tenere conto dell’anno giubilare, cosicché il prezzo sia tanto più alto quanto più ancora dista l’anno della remissione (vv. 14-16).

Sopra ogni altra prescrizione sta alta quella del v. 17: “Nessuno defraudi il suo prossimo: tu temi il Dio, perché Io sono il Signore Dio vostro”. L’osservanza dei precetti darà alla comunità la sicurezza, l’abbondanza e la pace (vv. 18-19).

3. Il significato

Il nome stesso di Giubileo, ebraico jobel, significa montone, e per traslato il corno di montone che era suonato per annunciare la celebrazione del “giubileo” (cfr Lev. 25, 13.28.40.50.52.54.). Ora, il corno era suonato per annunciare le festività principali dell’anno liturgico e sociale ebraico; in questo caso, si suonava al 10 di Tishri, il 7° mese (circa il nostro settembre-ottobre), che era il giorno di Kippur o dell’Espiazione (cfr Lev. 16). Un suono liturgico e festale, un grande rito di penitenza e di purificazione dell’intera comunità dava dunque non solo inizio, ma motivo e caratterizzazione a tutto l’impegno sociale del Giubileo: l’universale ritorno alla primitiva libertà delle persone e dei patrimoni. Che cosa significa?

Nell’Antico Testamento in genere, nella Torah in specie, l’universalità di quanto esiste, dal cosmo alla vita umana, appartiene solo al divino Creatore, che precisamente lascia a quanto esiste l’immensa, illimitata libertà divina. L’uomo è di Dio, ma Dio fa sì che l’uomo appartenga a se stesso e al suo prossimo – una morale “individuale” nella Bibbia, Antico e Nuovo Testamento, è inconcepibile: il fratello vive per sé e per il fratello; l’individualismo, bestiale sempre, è battuto per sempre, l’uomo deve riconoscere l’”altro”, il fratello -.

Anche la terra è del Signore; il suo stesso popolo nella Terra della Promessa deve considerarsi semplicemente come un ospite, in dipendenza della sua fedeltà al Signore della promessa, che come ha donato la Terra, può riprendersela (e lo ha fatto: realtà dell’esilio).

Ora, nessuno, neppure in Israele può acquistare la proprietà in perpetuo. La prescrizione giubilare detta seccamente: si acquista per soli 49 anni, o almeno, in vista del prossimo Giubileo. Si acquista, dunque, l’uso della terra, limitatamente alle scadenze giubilari.

Non solo: lo “schiavo” non si poteva comprare in perpetuo. A parte altre norme, assai larghe e nette, per il riscatto da parte sottoposto, e per l’affrancazione da parte del padrone (cfr. testi preziosi come Deut. 15, 12-18, da rileggere attentamente con Filemone, la legge prescriveva che il debitore insolvente poteva vendere non la sua persona, ma i suoi servigi, sempre in vista delle annualità che mancavano al Giubileo; il creditore insoddisfatto poteva dunque comprare i servigi con la medesima limitazione.

Perché tali limitazioni severe? Per la sovranità illimitata di Dio, come s’e visto, da una parte; per un criterio di umanità profonda che anima tutta la vita ebraica rispetto alle legislazioni dell’antico Oriente, dall’altra: tale tratto deriva dalla “vita con Dio”. Ma esisteva un altro aspetto, spesso sottovalutato: le limitazioni provengono anche dal fatto storico che gli ebrei, fin dall’inizio, sono stati chiamati e costituiti come popolo libero, in 12 raggruppamenti o tribù; queste si riunivano periodicamente intorno al santuario; ogni tribù ha un suo patrimonio comunitario, i beni sono sentiti come strumenti per la vita del gruppo, ciascuno certo dispone del suo, ma nè troppo rispetto agli “altri”, né troppo poco rispetto agli “altri”, insomma, in modo giusto ed equo, cioè caritatevole.

Ora la comunità stessa attribuisce in sorte i beni alla singola famiglia, sempre nell’ambito sociale generale e specifico (cfr Lev. 27,24) Tali beni possono subire, anzi è persino bene che subiscano, mutamenti secondo le normali oscillazioni economiche (ed il mondo antico era il perenne crisi economica); ma periodicamente l’eguaglianza originaria doveva essere ricostituita e non poteva esservi nessuna opposizione. Maledetto chi vi si oppone!

Analogamente, lo “schiavo” deve tornare libero, anzi con il suo guadagno, alla sua famiglia originaria. Maledetto chi vi si oppone!

Il Giubileo è un unicum nel mondo antico, e nella stessa Bibbia. La sua originalità, il suo valore permanente.

Anche la sua venerabile antichità va riconosciuta: la suola P infatti raccoglie memorie antichissime, ed il Giubileo può risalire ai tempi arcaici, quando le 12 tribù rivendicavano gelosamente la loro libera associazione ed insieme l’autonomia, dunque prima della monarchia (sec. 11° a.C.). Risale, non vuol dire che era osservato.

4. Fatto storico?

Un istituto così straordinario non è descritto mai nella sua applicazione. Motivo principale, la sua onerosità veramente sconvolgente, che stroncava possibili e purtroppo reali speculazioni su persone e beni; essa avrebbe impedito per sempre la piaga-peste-lebbra del latifondo, il commercio degli schiavi, l’accumulo di capitali morti.

In specie i profeti sono gli araldi invitti della giustizia sociale. Essi hanno visto molto bene l’associazione connaturale che da sempre regna tra l’idolatria e l’ingiustizia sociale. Lo sfruttatore è un idolatra – l’idolatria è uno sfruttatore. Ancora S. Paolo chiama la pleonexia, la brama immonda di arricchirsi a spese del prossimo, “culto degli idoli” (cfr Efes 4, 19; 5,3; Colos 3,5; Rom 1,29). Anzi i profeti e Paolo assoceranno per sempre tre forme di immoralità che si trovano in un circolo genetico reciproco: sfruttamento, idolatria e lussuria. In genere le classi dominanti della società possono permettersi queste tre forme di vita malsana e malefica a spese degli “altri”, i poveri ed i poverissimi.

Si comprende come il Giubileo possa essere stato combattuto ed impedito non solo nella sua applicazione, ma anche nella sua spiegazione profonda, teologica e sociale.

5. L’ “anno sabatico”

Esisteva, ed applicato, anche se anch’esso impedito dall’egoismo un altro istituto: l’ “anno sabbatico” (cfr Esodo 21, 2-6; 23, 10-11, ambedue della tradizione E= Elogista, del sec. 9° a.C.; Nehemia 10,32; 1° Maccabei 6,49). Esso a tutti gli effetti fa parte del “Codice dell’alleanza” (Esodo 20,22 – 23,33 di E), ed è ripreso da Lev 25, 1-7, precisamente come introduzione al Giubileo.

E’ l’anno del deror, la liberazione della terra e degli schiavi e di tutti gli uomini. Per un anno non si lavora, anche gli animali riposeranno. Dio provvederà al cibo degli uomini durante il 6° anno, che sarà di abbondanza, ed anche in seguito, al 7°, specialmente all’8°, quello più difficile, della ripresa (cfr Lev 25, 18-22).

Al 7° anno gli schiavi dovevano essere liberati (Esodo 21, 2-6, con oneri reciproci). I campi, non coltivati ma che per certi prodotti davano egualmente un raccolto, erano lasciati al godimento libero dei poveri (Esodo 23, 10-11). Era una “remissione”, shemittah, generale (cfr Deut 15, 1-18; 31, 10-11).

Anche l’anno sabbatico, con la sua dichiarata intenzione sociale, libertaria e giustiziale, era anno religioso: esso segnava infatti l’inizio del ciclo settennale della lettura della Parola divina (Deut 31, 10-11), il grande strumento che radunava un popolo sparso per farne una comunità di vita e di culto interno al Signore.

Anche qui la portata liturgica e sociale non è scindibile.

In gran parte l’anno sabbatico rendeva l’effetto che il Giubileo non poteva dare. Ma anche contro l’anno sabbatico gli egoismi bestiali si dovevano scatenare, se il profetismo così di frequente deve combattere in suo favore. Inoltre, l’”ordine sociale” poteva essere l’altro grande pretesto: nulla turbi l’ordine costituito – anche se per caso, allora come può essere oggi, l’ordine potrebbe non essere altro che il dis-ordine morale e sociale statuiti da norme prive di umanità.

6. La realtà del Giubileo

Vediamo adesso schematicamente le realtà che formano del Giubileo una realtà sempre valida.

a) E’ liturgia. Per noi cristiani è difficile associare liturgia e giustizia, anzi la stessa liturgia e la carità. Nella Bibbia esiste liturgia che non sia anche giustizia agli altri, né esiste giustizia resa agli altri che non sia liturgia.

Infatti solo una liturgia comunitaria può conferire vero valore permanente alla giustizia ed alla carità che i fedeli debbono rendere agli “altri” e dunque in fin dei conti “a se stessi”. Dalla comunità in atto, ch’è comunità di preghiera ed in preghiera, scaturiscono obblighi costitutivi: la comunità che fino all’ultimo suo membro non ha già reso giustizia, non è comunità non può vivere davanti al Signore la sua storia di salvezza, non può presentarsi davanti al mondo come la comunità del Signore – sì, vi si presenterà, ma nel modo grottesco che la storia descrive, e di cui i cristiani debbono prendere coscienza.

L’obbligo della giustizia che deriva dalla liturgia può essere osservato per l’A.t: nella grandiosa pericope di Deut 26; per il N.T. e ripetutamente in S. Paolo, ad es. in 1 Cor 11, 23-34, a proposito dell’assemblea eucaristica, dove sono condannati già in partenza quanti, i sazi di sempre, si presentano senza avere reso giustizia al fratello affamato. Tale discorso meriterebbe una lunghissima trattazione, specialmente oggi, tempo privilegiato di riforma liturgica e di riforme sociali.

Ma rendere giustizia al fratello per la Bibbia è dare culto al Signore, se i profeti (ad es. Os 6,6) ed il Signore Gesù stesso (Matteo 9, 13; 12,7) hanno chiesto prima la giustizia-carità per il fratello, e poi il culto del Signore. Non l’una senza l’altro.

Il Giubileo, l’anno della remissione generale, è questa immensa liturgia di giustizia e d’amore, è come tale una solennità del Signore, il quale chiede che i suoi fedeli santifichino l’anno 50° con la remissione, il perdono, l’amore comunitario (Lev 25,10). Il suono del corno, strumento liturgico, è il “segno” del grande scambio comunitario.

b) E’ giustizia-carità. Il Giubileo anzitutto impegna tutto il popolo, richiamandolo, eventualmente inchiodandolo al senso della comunità.

Nessuno potrà concepire disegni malvagi di sfruttamento, poiché il limite temporale lo richiamerà realisticamente alle sue possibilità.

Può iniziare così una ricomunicazione tra tutti gli appartenenti all’alleanza, che si sentiranno inseriti in una vera vita comune: comunione, comunità, comunanza, comunicazione di vita e di beni. Si riconosce se stesso in rapporto agli altri, e non come centro della realtà e di interessi immondi.

Ma questa giustizia-carità non supererebbe i limiti irrimediabilmente ristretti d’una comunità sparuta, dispersa e dispersiva, quale potrebbe essere ed apparire il popolo di Dio, se non rifluisse abbondantemente, illimitatamente, anche verso gli 2stranieri”. L’A.T. ha un singolare atteggiamento umanitario, d’apertura eccezionale verso i gerim toshavim, gli “stranieri residenziali”, quanti cioè per contingenze storiche sono stati strappati alla loro patria ed alla loro famiglia e si trovano a vivere con Israele.Essi sono dei privilegiati: ai leviti ed a loro spettano prima di ogni altra categoria sia le primizie della terra (Deut 26,11); sia le decime triennali (Deut 26,12). Essi possono godere della giustizia distributiva equanime e benefica, possono dunque prendere parte anche all’assemblea liturgica del popolo di Dio, a pieno titolo e con parità di diritti-doveri. Ogni forma di particolarismo e di eventuale supremazia razzistica è scomparsa.

7. Il Giubileo divino

Il Giubileo è un dono divino attraverso un precetto cogente e benefico per tutto il popolo.

Ma se l’egoismo lo rende lettera morta, il Signore riprende l’iniziativa e lo rilancia instancabilmente. Il “Terzo-Isaia” ha uno splendido testo che vale la pena di leggere in una traduzione letterale:

“Lo Spirito del Signore sta su di me,

perché il Signore ha unto me,

ad evangelizzare i poveri mi ha inviato,

a guarire chi ha il cuore spezzato,

a proclamare ai prigionieri la libertà

ed agli incatenati la scarcerazione,

a proclamare l’anno di benevolenza del Signore

ed il giorno di retribuzione del Dio nostro,

a consolare quanti hanno lutto,

a porre su quanti fanno lutto per Sion,

a dare loro ornamento invece di cenere,

olio d’esultanza invece di lutto,

un manto di lode invece di spirito abbattuto,

così che si dirà di loro: querce di giustizia,

piantagione del Signore, di cui Egli si adorna”

(Is 61, 1-3)

Il Messia, il protagonista, è deputato “a proclamare l’anno della benevolenza del Signore” a questi gruppi umani: i poveri, i sofferenti, i prigionieri delle guerre “giuste” ed ingiuste, i detenuti per altre cause. Solo egli può portare consolazione, la pace, la giustizia: per questo egli ha ricevuto sulla sua persona il dono permanente dello Spirito di Dio, e lo Spirito ne prende possesso e lo guida alla sua missione.

Il segno supremo della missione divina del Messia è certo – e va ogni volta riaffermato con forza – “evangelizzare i poveri”. “Evangelizzare” significa che nell’anno del Giubileo perenne il Signore sta con i poveri, proclama loro il suo amore indefettibile e consegna nelle loro mani il Regno, cosicché chi vuole appartenere al Regno divino già sulla terra deve convertirsi ai poveri,

sottoporsi al loro servizio, rendere loro l’omaggio che spetta in quanto sta presente Dio stesso (si rilegga Matteo 25, 31-46: nei poveri il Signore proclama ai malvagi egoisti: “Io avevo fame e voi non mi avete sfamato). E’ troppo difficile? Ecco allora l’azione dello Spirito, necessaria come mai.

Nel N.T. Gesù, nella sinagoga di Nazaret, il suo paese, proclama ed applica a sé il grande testo messianico di Is 61, 1-3: il segno della sua venuta è proprio l’”evangelizzazione dei poveri”, ed egli è un povero autentico. Si rilegga Luca 4, 14-21, specialmente 18-19. Gesù aggiunge nella citazione anche l’altro testo messianico, affine a quello giubilare di Is 61:

Grida con la gola senza ritegno come un ahofar (corno sacro),

e si spiega al popolo mio la loro colpa

ed alla casa di Giacobbe il loro peccato.

E Me giorno per giorno cercano,

e conoscere le mie vie desiderano:

come nazione che giustizia-carità ha operato

ed il diritto del suo Dio non ha abbandonato.

Chiedono a Me giudizi di giusto,

la vicinanza di Dio desiderano.

“Perché noi digiunammo e Tu non vedesti

noi umiliammo la nostra vita e Tu non lo sai?”

Ecco, nel giorno del vostro digiuno voi trovate i vostri affari

E sfruttate tutti i vostri operai!

Ecco, per la lite e la contesa, voi digiunate,

e per colpire un pugno malefico!

Non digiunate come oggi,

perché Io ascolti dall’alto la vostra voce!

Chè, come questo è il digiuno che Io ho scelto

Giorno da affliggere l’uomo la sua vita?

Chè, per piegare come canna il suo capo

e per mettersi sopra sacco e cenere?

Chè, questo chiamate digiuno

E “giorno di beneplacito del Signore”?

Non è forse questo il digiuno che Io scelgo:

sciogliere i nodi della malvagità,

sciogliere le corde del giogo

e lasciare liberi gli oppressi

e spezzare ogni giogo?

Non è spezzare il tuo pane all’affamato

ed ospitare in casa i miserabili errabondi,

e quando vedi un nudo lo rivesti

e dal tuo simile non ti nascondi?

Allora s’aprirà come alba la tua luce

E la tua cicatrice subito spunterà

E procederà davanti a te la tua giustizia,

la Gloria del Signore ti radunerà.

Allora tu chiamerai ed il Signore ti risponderà

Griderai ed Egli ti parlerà:

“Eccomi!” (Is 58, 1-9).

Il Signore a Nazaret cita in specie il v. 6 sui nodi, i vincoli ed il giogo degli oppressi.

Se la vera religione per l’A.T. è la giustizia-carità che procede dal culto (cfr Ezech 18,5-9; Giobbe 22, 6-7; 31, 17-20; Tobia 1, 16-17; 4, 15-16 ecc), nel N.T. in Gesù Signore e negli Apostoli la prospettiva aumenta d’intensità, fino al grido indignato dell’apostolo Giacomo: Giac 5, 1-6; 2, 1-13.

La prospettiva giubilare permanente è questa: Cristo ha inaugurato il vero Giubileo, quello della remissione universale, della bontà, della giustizia. Non una bontà debole, utopica e romantica, ma forte e maschia. Non una giustizia a parole, esangue, ma vera ed autentica perché profonda e totale.

Se di fronte a questo Giubileo i cristiani sono ancora prigionieri degli schemi dell’egoismo, del perbenismo, del produzionismo che risparmia e nasconde, non significa che il messaggio biblico sia privo di forza né fallimentare: significa che per viltà i cristiani, individui e comunità, avranno operato nella storia il più mostruoso tradimento: quello dell’Evangelo, tradimento cioè coestensivo contro gli uomini e contro Dio.

Tommaso Federici

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Cari amici,

 

per motivi indipendenti dalla nostra volontà, vi giungeranno a distanza ravvicinata più numeri di “La Tenda”, senza che vi sia, in tal modo, il tempo necessario per una lettura meditata. Vi consigliamo di mettere da parte tali numeri e di leggerveli con calma durante le vacanze estive.

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