Lettera 40 (Seconda Serie)

Dopo un silenzio che si è prolungato per qualche mese torniamo a inviare la nostra lettera.

Rifacendoci ad una “tradizione” della prima serie delle Lettere de La Tenda affidiamo ai nostri lettori, in questo numero prenatalizio, un testo un po’ più impegnativo. Vogliamo infatti iniziare ad affrontare il tema: “Fede (cristiana) e senso del sacro”, tema che ci impegnerà in questo anno fino ad arrivare, probabilmente a primavera, a un incontro cui ha già promesso di portare il suo contributo Ghislain Lafont.

Quale premessa a questa serie di interventi, riproponiamo il testo delle due lettere in cui “La Tenda” tra l’aprile e il giugno del 1980 aveva affrontato il tema con un lungo intervento di d. Nicolino Barra. Precede il testo che nell’antologia dei numeri della prima serie delle nostre lettere che pubblicammo nel 2003 per le Edizioni Dehoniane con il titolo di : “Roma come chiesa locale, un’esperienza di dialogo” faceva da introduzione a queste lettere.

Nel rileggere questi testi per noi così importanti c’è venuto in mente la grande corrispondenza che hanno con la riflessione di Bonhoeffer sul tema del “cristianesimo non religioso”, ma anche, sul versante dell’attenzione al presente visto in basso, l’importanza che ha riflettere su sacro e religione in un tempo in cui l’incontro con fedeli di altre religioni e portatori di “altri” sensi del sacro si fa concreto e presente nella vita quotidiana.

“…Dunque Gesù nudo sulla croce. E non ne coprì la sua natura d’uomo la Chiesa primitiva.”

Come al solito la nostra speranza è quella di sollecitare nei nostri corrispondenti una riflessione e di questo siamo abbastanza fiduciosi. Spereremmo altresì che alcuni volessero mettere in comune queste riflessioni. Solo riaprendo il dialogo anche su questi temi apparentemente teorici possiamo infatti sperare di rimettere in moto una riflessione teologica comunitaria e radicata nell’esperienza della vita cristiana.

 

1. Da ”Roma come Chiesa locale” introduzione al cap. 9 “Una nuova tappa dell’Esodo, dare autonomia alla sfera del sacro” di Luigi Mochi Sismondi

Con i due testi che seguono ci inoltriamo in un territorio davvero inesplorato che “ la Tenda “ ci mostra da lontano, quasi senza entrarci, come Mosè sul monte guardando la terra promessa. E’ un cambio di prospettiva radicale quello che questo testo ci propone, veramente, come del resto è nel titolo: Una nuova tappa dell’Esodo.

“La Tenda” non si nasconde l’ambizione del tentativo, una vera rifondazione della prassi ecclesiale sulla base della distinzione tra sacro e religioso da una parte e Vangelo e fede cristiana dall’altra. Con questo non si vuole svilire la dimensione del sacro, anche vista a prescindere dalla speranza evangelica, tendendo magari a valorizzare solo la parte razionale, sociologica o psicologica dell’esperienza umana, ma anzi le si vuol dare, alla pari degli altri ambiti umani, una piena autonomia che la liberi e nel frattempo liberi la Chiesa dall’obbligo-privilegio di gestire il sacro “in regime di monopolio”.

E’ un discorso difficile, incompiuto, un seme, come l’autore dice, gettato nei cuori e nelle menti dei lettori, lo riassumo con le stesse parole che leggiamo nell’articolo:

“ La nostra ipotesi è che ormai i problemi posti nell’ambito dell’interiorità umana da un cumulo di situazioni giunte a un punto critico chiedono l’avvio di una prassi che discenda dalla distinzione tra messaggio evangelico e strumento religioso.”

L’analisi parte da una lunga premessa alla cui base c’è la coscienza del fallimento storico delle vie di rinnovamento ecclesiale finora seguite (premessa che qui non riportiamo ma che potrete trovare nel testo integrale delle lettere che alleghiamo alla spedizione per e-mail o che ci può essere richiesto ai nostri recapiti). E’ un’analisi della situazione a tinte molto scure, ma non senza la speranza che lo Spirito continui ad agire e con la dichiarata ambizione di farsi Luogo di riflessione:

“Riferire il bello sarebbe stato più piacevole, analizzare il brutto sarà più meritevole, per quanto possibile non deve sconsolarci. Dunque continueremo… Riflettere può essere il dono del momento, e non lo calcoliamo dono di seconda classe.” E ancora, “ Scrivendo quel che segue ci siamo sentiti come gli uomini raccoglitori delle prime epoche umane: Abbiamo avvertito che un terreno non dava più di che vivere. Abbiamo preso la nostra tenda e ci siamo spostati più in là.”

Chi dopo queste premesse si aspettasse un trattato di antropologia o di sociologia della religione o anche un’analisi storicamente puntuale della gestione del sacro da parte della Chiesa Cattolica o ancora la descrizione di come il sacro si sia espresso nella storia dell’uomo, resterebbe naturalmente deluso. Come deluso resterebbe chi cercasse nuove e puntuali certezze, è significativo che nelle 25 pagine dei due numeri si possono contare ben 66 punti interrogativi e una quantità enorme di parentesi, non manca la chiarezza dell’idea ma questa modalità di espressione mette in luce l’oggettiva difficoltà di chi si allontana dalla riva tranquilla delle speculazioni teologiche anche le più ardite per guardare un orizzonte davvero nuovo, e anche la pratica di un sistema di esposizione di tipo maieutico e non assertivo che ci piacerebbe poter vedere anche in altre trattazioni e documenti ufficiali e non. Tutto resta al livello di una prima intuizione, anche se certo non superficiale, o meglio al livello della profezia. Non si sarebbe potuto e forse neanche voluto fare di più, ma il testo è vibrante ed appassionato e l’idea che lo pervade è di quelle che da sole valgono un lungo viaggio nel deserto dell’incomprensione. Una volta acquisita essa apre ai nostri occhi panorami inaspettati, veramente altri territori dove raccogliere nuovi frutti dello Spirito.

Negli altri cinquanta numeri circa che seguirono queste due lettere non c’è traccia di una continuazione pur promessa di questo lavoro, eppure esso rimane sotteso alle analisi che lo seguono. Il metodo di studio proprio di questa lettera è infatti quello che nasce e si conclude con la pratica pastorale e segnatamente quella fatta in parrocchia, è lì che pulsa il cuore della redazione de “La Tenda”, è in quell’ambiente e non in un asettico studio storico o testuale che si cerca, si sperimenta, si tentano anche ipotesi culturalmente e teologicamente audaci.

Perché riproporre all’attenzione di un più vasto gruppo di lettori questo testo di più di venticinque anni fa che pure pare aver avuto così scarso seguito nella riflessione teologica ecclesiale?

Noi pensiamo che in questi anni non sia cambiato il centro del problema e quell’analisi fosse profetica come il tentativo di soluzione proposta. Naturalmente questo non significa che in ogni momento e in ogni posto lo Spirito non continui a parlare e non si aprano nuove possibilità, ma la strada imboccata dalla prassi sacramentale, specie nella contraddizione tra richiesta del sacro e sua offerta in “regime di monopolio” e a “prezzi di svendita” ci pare ancora la più battuta e come appariva allora, completamente priva di vie d’uscita. Allora come hanno fatto gli autori di questo testo nel 1980 lasciamo come un seme profetico questa prospettiva di capovolgimento totale, come loro speriamo che qualcuno voglia riprenderla come ipotesi di studio o anche “solo” come elemento di riflessione spirituale.

2. Sintesi delle lettere de La Tenda n° 105 e 106 aprile-giugno 1980 a cura di Francesco Cagnetti

Lettera 105

A nessuno è venuto in mente di indagare criticamente sul nesso tra religiosità, sacro, spirituale da un lato e spirito cristiano e fede cattolica dall’altro. Nessuno ha messo in questione il postulato che si sottende ad ogni ragionamento espresso dentro e fuori Chiesa: che la Chiesa e la fede debbano specificamente misurarsi sul sacro e sulla retta conduzione di esso. In altri termini si dà generalmente per scontato che alla fede p.e. cristiana e alla Chiesa p.e. cattolica, spetti per sua natura di ragionare delle cose del comportamento religioso, al punto che anche la distinzione posta a titolo di questa sezione: “fede e senso del sacro” ad alcuni sarà apparsa totalmente oziosa.

I rapporti fra religione naturale e fede cristiana, la continuità senza soluzione tra i due campi, il loro corrispondersi come domanda e risposta, l’essere una la copia imperfetta e l’altra la piena realizzazione, sono corrispondenze che non abbiamo visto sottoposte a giudizio preliminare prima che ci si dedicasse senz’altro alle modalità concrete del loro congiungersi.

Ci sono dunque opzioni di fondo già predeterminate. Nella Chiesa, e fuori della Chiesa,[ …]

C’è al riguardo un accordo, neppure tanto tacito. C’è un postulato: alla religione ci pensa la Chiesa.[…]

In campo di Chiesa non solo si accetta che sacro e fede, religioso e Chiesa siano prosecuzione uno dell’altro, ma sullo slancio si teorizza ancora che esse sono cose in fondo intime una all’altra, che convivono e non possono se non convivere. Nascono qui le teorie della “fede sporca”, cioè della fede che è e sarà sempre, almeno per la generalità degli uomini, contaminata di religiosità psichica e sociale. Si tratta dei principi tanto cari agli amministratori delle sacramentalizzazioni di massa, agli organizzatori di spettacoli religiosi, ai ripetitori delle feste patronali del passato, a coloro che ad ogni tentativo di rinnovare forme religiose corrotte vedono attacchi ai lucignoli fumiganti, agli estremi baluardi della fede. La difesa di ciò che conserva anche il solo nome cristiano è per loro un punto di onore. Anzi di fede.

Accolta troppo frettolosamente la continuità fra il religioso come richiesta e il cristiano come risposta ci si trova solo di fronte a problemi di conduzione della dinamica domanda-offerta. Essi poi si rivelano insolubili perché non si è dato mano alla questione di fondo e si finisce per girare in tondo.

Prendiamo il caso fin troppo nodale della prassi sacramentale […]

Si teorizza che i segni sacramentali hanno tale e tale significato, e quindi tali e tali requisiti. Si fanno concili, encicliche, documenti e convegni per celebrarne altezze e profondità. Ma poi in concreto la musica cambia e un sacramento (come un sigaro e un titolo di commendatore, diceva Vittorio Emanuele II) non si nega a nessuno. Dove pure sarebbe possibile agire oculatamente, verificando le disposizioni dei singoli e le opportunità pastorali generali (ma dove poi è possibile, col noto rapporto 1 prete – 10.000 “fedeli”), intercede la mortificante ragione che non si può fare ciò che la gente non tollererebbe.

Ciò dice molte cose, ma per ora limitiamoci a rilevare l’affermazione che la “gente” è sacramento-dipendente, non tollererebbe una improvvisa crisi di astinenza, la confessione quindi che ai “fedeli” manca una reale alternative di scelta. Sicché i vescovi, le uniche guide responsabili e forse consapevoli della attuale prassi sacramentale, ottenuta per Concordato l’esclusiva del prodotto religioso, devono poi, proprio perché agenti in regime di monopolio, garantire abbondanza della merce e facilità dell’acquisto, passando sopra ad ogni (da loro stessi enunciata) serietà del fatto sacramentale.

Dei preti si è detto: uno contro diecimila non possono né realizzare né volere una conduzione della prassi sacramentale che superi la routine. Né i vescovi tollererebbero a lungo un rapporto conflittuale tra preti e fedeli.

Anche della “gente” si è già iniziato a dire: ad ogni esigenza che in qualche modo può richiamare lo spirituale, affolla l’unico sportello aperto, quello cattolico. Là si sente in diritto di pretendere la prestazione, senza per altro smettere l’avversione alla burocrazia religiosa che gliela fornisce e sentendosi indebitamente aggredita ad ogni invito che tende a superare la fase dei pezzi di carta per attingere alla soglia della coscienza.

Completa il palcoscenico uno Stato che vuole essere democratico, cioè difendere l’indipendenza dei cittadini, perché questo pensiamo significhi essere democratico per uno Stato, il quale davanti ad una esigenza della popolazione non trova di meglio che fare come Pilato e, vergognandosi di gestire il sacro, lo appalta.

Siamo ad antitesi dalle quali non si esce, e sono ormai anni ed anni che si indicano misure correttive tutte sotto misura. Non se ne esce se non con una domanda radicale, che sia insieme domanda sulla domanda e sulla risposta.

Quel che bisognerà riesaminare è la legittimità dell’accoppiamento speculare tra domanda religiosa e risposta cristiana. In sostanza: deve la Chiesa cristiana entrare in rapporto con il senso religioso comune, con una qualunque domanda religiosa?

Alla domanda suddetta si dà una risposta affermativa troppo ovvia. Ma la questione ha ricevuto oramai più sensi diversi, sicché non è consentita una soluzione banale. Cerchiamo quindi pazientemente di distinguere le valenze del quesito. La domanda può significare solo: è legittimo che da una fede si diano valutazioni di merito su espressioni concrete del fatto religioso quali si presentano in un individuo o gruppo? La risposta è senz’altro affermativa perché una comunità cristiana, e qualunque altra, ha certo il diritto di esprimere la sua opinione sulle forme religiose che incontra, poniamo su sacrifici umani, o sulle orazioni per il parto delle mucche, sulla concezione sottesa alle visite cimiteriali. Deve anche farlo? Pensiamo di sì, altrettanto quanto deve applicarsi a ragionare sui comportamenti umani nel campo degli affari economici o dei rapporti interpersonali, amicali o famigliari.

Altrimenti acchiappa nuvole.

Ma quel “deve” della domanda può significare altro. Può significare “è obbligata”, la fede o la Chiesa, a passare necessariamente, a inverarsi nel fatto religioso naturale, a starci dentro come la mano nel guanto su misura, come il fiume nel proprio letto? Quindi con un’affinità fra le due grandezze che porta l’una (il sacro) a dissolversi nella risposta religiosa perfetta (la fede cristiana o la Chiesa), e questa ad aver bisogno dell’apparato religioso naturale per entrare nel regno concreto dei fenomeni percepibili?

La risposta di gran lunga più corrente sarebbe ancora pigramente affermativa: e chi se non la Chiesa deve interessarsi del sacro? Questo è non solo l’oggetto dell’attenzione della Chiesa ma il suo stesso ambiente naturale. Nel religioso e nel sacro nasce la Chiesa, di essi si sostanzia, di essi si prende cura. Religioso e sacro perdono persino i loro connotati originari una volta che la Chiesa li ha assunti in sé potenziandoli.

Non c’è dunque, si direbbe ancora, soluzione di continuità tra senso religioso e risposta cristiana. C’è rapporto profondo come tra inespresso e chiaro, tra implicito ed esplicito, tra imperfetto e compiuto.

C’è identità di campo che rende possibile, anzi doveroso il dialogo tra sacro e cristiano, e rende inverosimile che essi possano non coestendersi, impossibile che si possa scoprire tra di essi un’eterogeneità di principio.[…]

In sostanza nessuno ha dubitato finora, tra i cattolici come tra gli altri che alle esigenze religiose costanti o periodiche o momentanee la risposta possa e debba essere data dalla Chiesa cattolica.

Bisogno religioso e Chiesa cattolica sembrano proprio fatti l’uno per l’altra.

Ma noi pensiamo di aver evidenziato che ormai è tempo di cercare qualcosa che non sia un puro e semplice postulato. E’ tempo di cercare una risposta che sia a misura del problema critico, o meglio del doppio problema critico: può a una domanda naturale escludersi una risposta naturale?

E sul versante cristiano: la Chiesa cristiana è stata pensata da Gesù, e in qual senso, come risposta al bisogno religioso?

Così ripresentata, la domanda che ponevamo più su “deve la Chiesa cristiana, o la fede cristiana entrare in rapporto con il senso religioso comune?” perde ogni carattere di gioiosa oziosità.

E riformuliamola ancora una volta: la fede deve rapportarsi con l’ambito religioso allo stesso titolo comune per il quale si interessa di ogni altra cosa, rapporti economici ecc., o per una sua connaturalità privilegiata col religioso stesso?

È perché si tiene pacificamente acquisito il secondo corno del dilemma, che abbiamo visto p.e. psicologi e sociologi anche non cristiani attribuire alla Chiesa il compito di un risposta terapeutica.[…]

Torniamo ancora una volta alla nostra domanda variamente riproposta: “la fede cristiana deve considerarsi la risposta generalizzata alla domanda naturale di sacro di un dato individuo o di una data popolazione?”

Più in breve “dove sta scritto che spetta alla Chiesa cristiana gestire la sfera del sacro?”.

Andiamo a vedere dove può essere scritto. Apriamo il libro.[…]

Lettera 106

Noi ci domandiamo, correndo alla fonte senza ulteriori indugi, quale punto di inserzione scelse Gesù per dire una sua parola, per indicare una prospettiva sua ai piccoli e miseri ascoltatori ai quali si rivolse. Ci domandiamo a quale complesso di valori si affidò, se così fece, per indicare una via che portasse l’uomo ad uno sbocco nel profondo di sé e al di sopra di sé. Poniamo la domanda in termini concreti.

Si affidò Gesù a un sistema di idee filosofiche o solo raccomandò più genericamente la via della ricerca razionale intellettuale?

Oppure si affidò alla forza, ad una forza militare prescelta tra quelle esistenti o da creare appositamente, o vide almeno nelle armi una costituente del progresso dell’uomo?

Si affidò allo sviluppo economico, al denaro e ai beni nella loro capacità di soddisfare immediatamente o di procurare elevazione del tenore di vita individuale e sociale?

Alla diffusione del sapere culturale come mezzo di ascesa a stadi sempre più progrediti dell’homo sapiens?

All’organizzazione sociale in forme tendenzialmente sempre più complesse e in grado di favorire il cammino verso nuove frontiere?

Alla progressiva liberazione di potenzialità psico-fisiche capaci di far crescere l’autocoscienza?

Si situò nell’ambito dei valori religiosi e fece perno sull’esigenza di trascendenza che l’uomo avverte in ogni sua azione?

A questo punto ognuno interromperebbe la serie delle domande per fermare sull’ultima la risposta affermativa.

Certo, si direbbe, Gesù ha scelto il trascendente e il religioso come luogo della sua inserzione nel discorso umano. Egli ha fatto centro sulle forze religiose interne all’uomo, ha impostato una rivitalizzazione dell’ordinamento religioso preesistente ebraico, ha posto così la base perché ogni altro campo dell’umano si rifondasse su basi trascendenti e religiose ormai perfette. Religione sana per un mondo sano, diremmo. Gesù uomo religioso, centrato sul religioso per un uomo totale.

Gesù homo religiosus, dunque. C’è da chiedersi purtroppo come mai questa non sia stata l’impressione che egli fece a coloro che lo incontrarono di persona.

I Vangeli testimoniano ad ogni passo che proprio la più pacifica delle convinzioni correnti, Gesù uomo religioso e in lui ogni cosa intrisa di religiosità, era esclusa dalle valutazioni che correvano su di lui. I contemporanei registrarono accuratamente l’irrilevanza della distinzione tra sacro e profano in Gesù. Tramandarono a tutte lettere il suo evitare schemi generali di giudizio, e pregiudizio, e il suo continuo richiamarsi al normale senso comune, in valutazioni che si costruivano volta per volta. I pani riservati al clero gli sembravano non meno commestibili per il popolo. Mangiava con i pubblicani, accettava la compagnia con i ladri e la familiarità di donne senza distinzioni, toccava gli intoccabili. Lavorava di sabato, o almeno diceva che lo avrebbe fatto senza scrupoli. Se bisogna proprio rilevare delle preferenze, le parabole mostrano più spesso l’uomo religioso dalla parte del perdente. Il levita e il sacerdote di fronte al samaritano, il fariseo di fronte al pubblicano, la vedova che offre due spiccioli, i contrasti non sono certo casuali.

II dottore della legge che, dopo una vita spesa ad insegnare i mille precetti ebraici, e quindi con uno strazio interiore che è a noi inimmaginabile, dice: sì, lo riconosco, in fondo basta il comando “ama Dio e il prossimo”, raccoglie solo un misurato “non sei lontano dal regno dei cieli.”

Un’uscita verso il religioso-ufficiale invero Gesù l’ha compiuta. Intorno ai dodici anni, l’età in cui uno slancio religioso spinge ogni uomo verso la chiesa più vicina, Gesù sceglie il tempio. Ma una mano tanto materna quanto pesante lo riguadagna al mondo. È una luce che oscura la mente di Gesù per vent’anni. Pesa ancora quel richiamo sulla sua coscienza (chi racconterà i dialoghi sofferti tra Gesù e Giovanni?) quando la stessa mano lo spingerà non meno violentemente nella corrente del mondo che in quel momento è tutto, per i protagonisti, nella sconvolgente banalità di una ubriacatura paesana alla quale viene a mancare il vino[…]

Dopo Cana la vita di Gesù rotola fatalmente fino al Calvario, dove la stessa mano che ve lo ha sospinto lo raccoglie infine. E su di lui la parola giusta l’ha detta l’uomo della giustizia: ecco l’uomo.

Gesù aveva davanti a sé molte opzioni e non una scelta gli è stata risparmiata. Tutti lo hanno invitato a sedere alla loro destra, prima che il Padre gli desse la propria.

Lo spirito del male nel deserto, parenti, amici, folla, potenti, civili, religiosi, militari. Tutti gli hanno offerto una sedia e chiesta una omertà (lo inseguirono per farlo re. Non vedi che posso darti tutti i regni della terra. Io posso salvarti…). Ma Gesù tra la meraviglia di tutti (e lo vestirono da pazzo) taceva. Non accettò nessuna proposta di potere preparandosi man mano la condanna nella più totale solitudine (anche i suoi lo abbandonarono). (E non anarchicamente, ma senza disprezzare nessuno: portate l’offerta ai sacerdoti, neppure una virgola della legge verrà meno, date a Cesare quel che è di Cesare, ascoltate quel che vi dicono).

Insomma la nostra lettura di Gesù non lo vede abbracciato alla sfera religioso-sacrale e in essa espresso in maniera privilegiata rispetto alle altre sfere che rimarrebbero torno torno a ricevere lume da tanto sole. Gesù è invece solo al centro, figlio dell’uomo nel senso più pregnante, umanità vera e totale, nudo sulla croce senza divise. Tutto, ma proprio tutto il resto, sacro compreso, restava a guardare di lontano.

Se ci è permesso di esprimerci schematicamente diremmo:

sfera del politico

Gesù e la sfera dei valori religiosi

del sociale ecc.

del diritto

Gesù

del diritto

delle scienze esatte

del religioso, del sociale

e di quanto altro è umano

sfera del politico

Ma così:

dell’economico

dell’economico

Non così:

delle scienze esatte

Quel che andiamo dicendo può sembrare paradossale ma non è così. Ripetiamo solo con altre parole la più tradizionale delle dottrine sull’incarnazione: il mistero di Dio ha fatto irruzione nel mondo e si è fatto visibile in un uomo. Non in un sistema economico, o sociale, o filosofico, o … religioso.

Dovremo dunque dire che tutto il sistema religioso, che qualunque sistema religioso è altrettanto eterogeneo allo Spirito (o altrettanto omogeneo, se si vuole, come si vedrà) quanto ogni altra sfera dell’umano?

A noi pare che si imponga di doverlo riconoscere. (E che forse il religioso ha diritto ad una sua autonomia tanto quanto ogni altra sfera, ogni altro “piano del sapere” come li chiamerebbe Maritain? Anche questo si impone di doverlo riconoscere. Ma non anticipiamo).

Dunque Gesù nudo sulla croce. E non ne coprì la sua natura d’uomo la Chiesa primitiva. Essa chiamò ancora Gesù il Prescelto (= Cristo) e se stessa chiamò Convocazione, riunione, adunanza (= Chiesa).

I suoi inviati li chiamò inviati (= Apostoli), i sorveglianti sorveglianti (= Episcopi) e gli anziani anziani (= Presbiteri).

Ogni terminologia o giuridica, o sociologica, o sacra venne trascurata.

Non si parlò di tempio cristiano, non di sacerdoti né di sacrificio, se non per dire che sacerdoti si è tutti, maestri non ce ne sono, tempio è l’uomo, sacrificio è il cuore pentito, gesto cultuale stare a cena con i fratelli di fede a rinnovare la presenza di Cristo nello Spirito.

I primi cristiani abbatterono tutte le barriere tra sacro e profano, alimenti mondi e immondi, uomini puri e intoccabili, del luogo sacro si strappò il velo, di Gerusalemme caddero le mura.

Poteva durare? Doveva, ma l’angoscia del vuoto poteva ancora riprendere il sopravvento. “Ci siamo vergognati perché eravamo nudi.” E’ stato l’inizio della fine. Un bianco profano lenzuolo che ancora le stesse mani posero sul corpo di Cristo sotto la croce bastò solo per tre secoli. Durante i quali i primi a riaversi dallo sbigottimento furono gli uomini del sacro.

La testimonianza della letteratura cristiana dei primi tre secoli è lì a dirci che l’atelier del sacro stava intessendo filo a filo il primo nuovo vestito di Cristo.

Progressivamente più veloce è tutto un indaffararsi intorno a liturgie, calendari, legislazioni, scritture, competenze, che si indirizzarono appunto nell’alveo del sacro, il primo che si è aperto ad un tentativo di osmosi col pensiero di Gesù. (Perché proprio il sacro? E poteva il messaggio cristiano trovare un’altra sfera dell’umano più pronta ad inghiottirlo e riesprimerlo, un’ideologia politica o sociale, un’insegna militare, una scuola filosofica? La storia tutti sanno non si fa con i se.

Aveva il sacro una sua particolare facilità ad impalmare il pensiero di Gesù e tutto il resto viaggiava con l’handicap? E in base a che cosa lo si potrebbe affermare se non con la petizione di principio del senno del poi?

Una scomposizione del Vangelo in fattori primi vedrebbe un maggior numero di elementi confluire nella colonna del sacro? Sicuro? Però fu così. E Costantino come il demonio tre secoli prima (e per mille secoli ancora) offrì alla Chiesa una cointeressenza nel potere. Quella alla quale si era nascostamente abbigliata: la gestione del sacro.

(Un tentativo di unificazione culturale dell’impero non poteva trascurare la sfera della religione, né a un politico degno di questo nome poteva sfuggire l’unica forza religiosa in fase montante e a dimensione dell’impero stesso. La comunità cristiana tanto diffusa quanto embrionalmente unitaria era forse l’unica carta da giocare, comunque quella che Costantino giocò. Ma quel matrimonio si aveva da fare?).

In ogni luogo si aprirono chiese cristiane, le catechesi battesimali si affollarono quanto i giochi del circo, le liturgie si stabilirono a tempi fissi, il servizio presbiterale tornò nelle forme sacerdotali, il popolo alla greppia, cose e giorni si suddivisero nuovamente in sacri e non sacri. Tutto l’impero fu pieno di chiese. Ma anche i deserti di Palestina e d’Egitto si riempirono di vescovi preti e laici che nelle caverne si misero ad aspettare la fine. L’ultima clausola dell’Apocalisse si era infatti adempiuta: l’Anticristo aveva sedotto la Sposa dell’Agnello. Ora stava alla tavola dei potenti, a disposizione di tutti, non le mancava una porzione davanti.

Gesù così non fu più solo contro tutti. Non più di fronte ad Erode il potere, Pilato le armi, Anna e Caifa il tempio, il sinedrio della cultura, il popolo ed i suoi demagoghi. Ma preso il posto del sommo sacerdote, stava accanto agli altri. (Gli altri avevano scherzato con Gesù, ma Caifa un po’ meno. Bisogna che uno muoia per il popolo, aveva detto. Che cosa lo fece essere il più timoroso ed il più aggressivo di fronte a Gesù? Uno per tutti, e toccò proprio a lui scomparire quando i potenti dovettero cedere un posto per conservarli tutti. Un presentimento?)

Sono passati altri 1700 anni nei quali l’accordo è stato confermato e riconfermato. Fu un normale avvicendamento allora, dopodiché il posto del sommo sacerdote non ha più cambiato titolare. E chi si meraviglierà se non sappiamo più riconoscere Gesù fuori dei panni del sacro?

Così la partita riprende. Caifa si è fatto da parte. Pilato ed Erode sono rimasti amici un giorno, quanto è bastato a ricomporre la comitiva.

I posti al tavolo sono di nuovo tutti occupati. La regina d’Inghilterra ha nominato il capo dei pirati ministro della marina e si è tolta il fastidio. Il gioco può ricominciare.

Un gioco da gente abile. In cui è possibile quasi tutto. Ognuno ha le sue carte, ma ora si tengono separate, ora si mischiano, al prossimo giro le carte si scambiano, al successivo si scambiano i compagni.

Entusiasmante. C’è la guerra … santa, la scuola … cattolica, la nazione … cristiana, l’ospedale … militare, il papa … re, cuius regio eius religio.

C’è, leggete questa, l’abbiamo trovata su una busta gialla:

5° Reggimento Artiglieria Missili c.a.

Ufficio Assistenza Spirituale.

E perché non, inversamente:

Diocesi di Palermo

Carcere Vescovile

Vi meravigliate? Ma non site mai stati a Castel Sant’Angelo? O alla banca Vaticana?

Si organizzano colpi di mano, ma con discrezione, il gioco ha le sue regole, i giocatori sono di razza hanno fair play. A Cesare si dà fastidio, ma la guerra è guerra e il capo è lui. L’arte e la cultura, ma non troppo, vanno finanziate, male non ne può venire: Caifa è esposto, la religione è un bersaglio grosso per scienza e filosofia. Ma catechismo dei bambini e feste patronali sono cose sue. Se l’amico avversario si fa troppo debole con chi poi si giocherà al tavolo?

Nessuno perciò metterà a repentaglio oltre un certo limite l’integrità del giocatore a fianco. Uno che speculerebbe sulle sue disgrazie verrebbe a chiedere il suo posto. Un’altra operazione Gesù? Che seccatura, questi nuovi arricchiti.

Ma d’altra parte, noblesse oblige. E sia chiaro. Chi vuole stare al tavolo da gioco deve essere ben quotato in borsa. Terre che rendono, fatturato in ascesa, concorrenza sotto controllo, azienda ordinata e con prospettive per il futuro, come si dice. Chi vuol essere dei nostri deve garantire che, per la parte che gli compete, l’ordine di fuori sia assicurato. Se un Pilato, un Caifa, un capopopolo non “tiene” più, che sta a fare qui con noi? Insomma, amici, qui tra noi non si accettano nobili decaduti. Ognuno badi a sé; e nel suo proprio: guanto di velluto, se vuole, ma pugno di ferro. Ognuno tenga sotto controllo il suo scacchiere e quando occorre venga in soccorso dei suoi colleghi. Se vuol fare parte del club, questo è il minimo.

E in verità è una vita dura, quella dei “responsabili”. Se si sapesse quante preoccupazioni. Ogni giorno ce ne è una. E non capiscono che lavoriamo per il loro bene. Vogliono fare da sé, come se ognuno potesse fare la sua strada come crede. Pretendono la loro parte di eredità prima che noi abbiamo deciso sulla loro maturità. Prendiamo Galileo. La scienza saluta rispettosamente tutti e se ne va per fatti suoi. Bene o male bisogna concederle la maggiore età. E i comuni italici. Cominciano con qualche punto fermo sulle libertà civiche, poi passano alle monarchie costituzionali, eccoli alle repubbliche democratiche. La cultura inizia anch’essa con i suoi Erasmi medioevali a non chiedere più imprimatur, e poi il rinascimento e tutto il resto. Il settecento filosofico non metterà altro che se stesso all’attico delle sue costruzioni triadiche.

O Dio, non è che manchino risorse a chi è vecchio del mestiere. Oggi che la scienza è tributaria della tecnica e dell’organizzazione possiamo ritornarla all’ovile. Per il popolo democratico consumismo e mass-media.

La cultura è intelligente, finisce sempre per scoprire da sé come è comodo il salotto del potere. Ma certo che a volte si passano certi brutti quarti d’ora. Se non fosse per la forza delle armi, il denaro servo fedele e padrone di tutti, la burocrazia delle carriere sapientemente dosate, sarebbero guai per tutti.

Ognuno deve fare la sua parte per conservare l’ordine. Anzitutto l’ordine.

Il disordine è in ogni caso il primo nemico.

Tutto si può fare, alla fine anche quello che non poteva essere fatto, ma con ordine e man mano che il sistema è in grado di recepirlo immunizzandolo.

Manco a dirlo, il religioso è parte del tutto. E chi lo gestisce deve onestamente contribuire al bene comune. La Chiesa ha ricevuto diciassette secoli fa il mandato che il cartello dei potenti le rinnova fedelmente. Faccia il suo dovere ed avrà il suo piacere. In cappella, al tempo stabilito ci verranno tutti.

Comodità nel palazzo non gliene mancano. Ma non stia in ozio: lavori e traffichi il religioso, che non le sfugga di mano. Soprattutto dimentichi il passato, la sua origine volgare.

Non si faccia venire rimorsi, obiezioni di coscienza, non si ricordi di quando non era religione, di quando stava nel deserto, sposa di Ezechiele, nell’immortale parabola del capitolo 16.

A questo punto la nostra ipotesi è bell’e pronta e rinunciamo a svilupparla perché resti nella dimensione di un seme nel fondo dei pensieri dei nostri amici come sta nei nostri. Cosa succederebbe se la nostra Chiesa rinunciasse alla gestione del sacro?[…]

C’è un tempo per ogni cosa. La nostra ipotesi è che ormai i problemi posti nell’ambito della interiorità umana da un cumulo di situazioni giunte al punto critico chiedono l’avvio di una prassi che discenda dalla distinzione tra messaggio evangelico e strumento religioso.

Questo, sia detto subito anche per onorare un inciso posto più sopra, non solo non provocherà un ulteriore distacco fra realtà umane ed intuizione cristiana, ma anzi permetterà finalmente tra realtà umane e messaggio cristiano una congiunzione non mediata dalla struttura religiosa sociale o personale. La quale struttura religiosa sarà anch’essa, e finalmente, sotto il giudizio della fede cristiana, e crescerà in chiarezza non meno che in qualità, con le stesse possibilità di progressione di tutte le altre zone dell’umano illuminato da Cristo.

Dicevamo che ci pare meglio non spingere oltre l’illustrazione di un’ipotesi che è più un cambiare direzione con lo sguardo. Ma qualcosa almeno vogliamo abbozzarla, e serva ad incoraggiare i dubbiosi. Separati fede e sacro (e se noi, ne riparleremo, aiutassimo positivamente la crescita di strutture sociali religiose autonome ?), diverrebbero non influenti sulla fede le crisi del sacro che si accompagnano ai momenti di euforia dello spirito marziale, dell’illuminismo scientifico, intellettuale, del progresso, ecc.

Ciò avviene nel corso della vita di ogni singolo individuo come di ogni società. si sa, ci sono i vent’anni per tutti, uomini e popoli.

Sono momenti nei quali la paura non esiste e neppure il sacro, di conseguenza. Non si passa allora il tempo a fare calendari liturgici ma feste da ballo, e conti alla rovescia di imprese spaziali o di guerre, non di novene.

Solo una fede capace di inverarsi in tutti i campi senza privilegiarne nessuno potrebbe camminare passo passo con l’uomo e accompagnarlo senza soluzioni di continuità per tutto il suo itinerario di vita.

In particolare non ci sarebbe da temere, e da contrastare, quel crollo del sacro che sembra accompagnare, malgrado tutto, lo sviluppo dell’uomo dalla rivoluzione francese e che si annuncia sempre più profondo nella corsa al duemila. E non ci sarebbe più solo da attendere o da godere il crollo dei valori e degli ideali umani come se solo nel vuoto potesse svilupparsi il Vangelo.

Lo schema 13 del Concilio rifiuta un simile atteggiamento da monatti della storia. Ma lo schema 13 (un numero, non un nome, per esso i padri non trovarono un vocabolo nel dizionario teologico preconciliare) è un testo del quale non si sono ancora messe allo scoperto le basi teologiche, evangeliche.[…]

Avevamo delineato con una certa precisione le secche alle quali erano oramai approdate le discussioni ecclesiali sul rapporto fra sacro e religiosità popolare da un lato e fede-appartenenza ecclesiale e struttura sacramentale dall’altro.

Nella misura in cui si è divenuti coscienti che da quelle aporie si esce con un taglio anziché con sempre altri tentativi di congiungere le due sfere, si avvia una nuova prospettiva di ricerca. Per noi l’ambito del sacro naturale-religiosità naturale-senso dell’inconoscibile-dei misteri della vita e dei suoi passaggi obbligati-senso della morte, e di contro l’ambito cristiano dell’itinerario di fede-conversione-sacramenti-appartenenza ecclesiale-ortodossia-ortoprassi, si devono ricostruire come indipendenti. La loro congiunzione può e deve avvenire solo all’interno di ogni singolo uomo-cristiano. Le congiunzioni a livello soprapersonale hanno solo confuso tutto e resa impossibile la scelta cristiana nel mondo.

Su questa base bisogna avviare una operatività consequenziale. Non la gestione della religiosità popolare tradizionale e folkloristica, né il suo abbandono. Ma la ricerca, la fondazione di strutture civili, mondane, profane (come le si voglia chiamare, escluderemo il termine “laico” che resta un termine intraecclesiale e perciò si porta dietro il pericolo di far rientrare tutto dalla finestra di un terz’ordine più o meno servile).

Non risposte alle richieste di sacro magico legate alla puerizia-pubertà-nozze-generazione-morte (oggi cresima e comunione-matrimonio-battesimo-funerale), ma interesse dei cristiani impegnati nelle strutture pubbliche (servizi di stato civile, ecc.) per una celebrazione dell’evento naturale che superi la riduzione a registrazione anagrafica.

In quei luoghi gli ufficiali di stato civile (o quel che sarebbero) eventualmente cristiani, avrebbero forse un loro stile interiore e un messaggio da veicolare. Potrebbero forse essere ricercati per questo anche da non cristiani (… al diacono si addice predicare… il diacono assiste ai battesimi e ai matrimoni… non dicono nulla queste antichissime funzioni sacramentali di un ministro ecclesiale non presbitero…?)

Esemplificando ancora: non un esorcismo delle paure e un tentativo in extremis contro la morte appena avvenuta o magiche pratiche di scongiuro o consolatorie gestiti dalla Chiesa nei suoi funerali, ma riti civili, e non senza un particolare messaggio se guidati da un cristiano, e separatamente celebrazioni di fede nella resurrezione quando ce ne sono i presupposti.

(Sfondiamo anche porte aperte. In diverse parti del mondo si celebra il funerale tra casa e cimitero, e la Messa si compie più ordinatamente all’ottavo giorno. Prassi usuale.)

Oggi tra noi sembrano favole.

Possiamo però riferirvi di un episodio che forse inconsciamente ha raggiunto nei fatti la concezione che noi abbiamo teorizzato. Ci è stato detto che preti in contatto con le autorità del Comune di Roma hanno raccomandato una celebrazione meno sciatta del matrimonio civile. Avrebbero assicurato anche che nulla avrebbe da obiettare la Chiesa di Roma se al Comune si facesse uso di strumenti musicali, fiori e quant’altro rende piacevole e significativa una celebrazione di nozze.

Questo fatto di proporzioni oggettive minime merita che ce ne rallegriamo. E apre su una domanda: può esso sussistere al di fuori della giustificazione teorica che abbiamo prospettato, che il senso religioso può avere sportelli pubblici a cui rivolgersi? E se fossimo un po’ più vicini di quanto si pensa al giro di boa?

Senza illusioni, certo, ma ad Eliseo una piccola nube preannunciò il temporale atteso per tre anni e sei mesi.

Parte sostanziale del presente discorso dovrebbe essere l’analisi della religiosità popolare e la sua conduzione. Con le nostre ipotesi interpretative si comprende a meraviglia quel tale rinascere del folklore religioso paesano notato da molti, in tempi nei quali tradisce persino il campionato di calcio. E si comprende quale mancanza di discernimento o quale confusione, che è la stessa cosa, sta nei cosiddetti operatori pastorali che si sono gettati acriticamente su questi revivals come sulle nuove basi della fede. (Cose davvero costruite sulla sabbia) . E si arriverebbe a migliori analisi sulla equivocità di feste processioni, ecc. nelle quali l’ufficialità della versione cristiana non riesce dopo tanti secoli a venire a capo di contenuti naturali magici e di forme e collegamenti cosmici. Ma tralasciamo tale argomento che pure, lo riconosciamo, è la sostanza stessa della presente sezione. Attirati piuttosto dal ritmo di una ricognizione generale sul tema, torniamo a considerazioni generali.

Per esempio: cosa succederebbe se sacro e fede si rendessero autonomi? Cose buone, diciamo noi. Pensiamo per es. che se proprio noi cristiani ci mettessimo per queste vie aiuteremmo i “laicisti” a chiarirsi a se stessi e a noi. Adesso i rapporti sono avvelenati. Ma non sappiamo, e forse neppure loro sanno, se quando combattono “la religione”, “la Chiesa”, combattono l’esistenza di uno stadio religioso o di una sfera religiosa in favore di una visione globale che esclude quell’ambito, o combattono una confessione cattolica, o i suoi uomini, o privilegi, in funzione di altre modalità religiose o confessionali oppure, come noi, una stravolgente mistura di grandezze non amalgamabili.

Tutto ciò si chiarirebbe, con progressi nel dialogo non surrogabili da nessuna commissione di studio o dichiarazione di principio, quante ne escono ad ogni stagione.

Pensiamo poi che, dato al religioso-naturale quel che gli necessita per esprimersi, ne uscirà purificato per contraccolpo il linguaggio della fede, che tornerà ad esprimere quel che è fede e non quel che ha rubato dal sacro dietro cui si trova mascherata.

Ma quel che preme sottolineare, trascurando le tante e tante altre prospettive che nascono dal nostro discorso, è piuttosto quanto segue: di chi sarà a carico questa operazione? Pensate forse che quello che abbiamo detto finora piacerà davvero a quanti combattono la Chiesa e che potremo contare almeno sui nemici dichiarati della Chiesa?

È realistico pensare che quelli che combattono Chiesa e fede cristiana faranno onore al loro spirito di dissidio e lavoreranno per togliere alla Chiesa il sacro naturale (per intanto, e poi anche il resto, diranno molti)?

Ebbene non sarà così. Noi pensiamo che se molti panni ci sono stati strappati di dosso, territorio, politica, scienze, armi, cultura, i nostri ”nemici” non ci saranno di nessun aiuto quanto a liberarci dalla gestione del religioso.

Garibaldi sarà eternamente fermato a Porta Pia, sotto lo striscione dell’ultimo chilometro.

Non saranno mai i potenti a togliere alla Chiesa la gestione del religioso, cosa che compie da maestra e senza danno per nessuno ormai da ben diciassette secoli. Per grazia di Dio l’ultima (per ora) liberazione, potremo farla solo noi stessi.

I partners del potere hanno già ognuno il suo, non hanno difficoltà a riconoscere agli altri quel che non è esattamente specifico a loro. C’è una Yalta spirituale, in cui ognuno sa perfettamente cosa gli compete, cosa deve rispettare dell’altro, e cosa deve garantire nel proprio per la comune tranquillità. Se la Chiesa si fa bastare quello che le è stato assegnato, saranno tutti un cuor solo a garantirglielo.

Tentativi storici nel senso da noi indicato ne abbiamo conosciuti. La religione-naturale della rivoluzione francese, i culti razionali della Massoneria, ma oggi non c’è alcuna speranza che in noi stessi. Quale potere si mostra tanto ingenuo da combattere la Chiesa togliendole il sacro? Ma tutti, e ora la Cina, pagano in contanti il servizio di sacrestia. Saremo soli, è paradossale, noi cristiani a generare una religione per l’umanità, o meglio ad assistere l’umanità che si partorisce una religione?

Provocarla sarà il nostro riscatto. Molto ci verrà perdonato dalla storia se una nuova creatura nascerà e crescerà nelle nostre mani: una sfera del religioso con le sue proprie strutture, nella quale prenderanno posto anche cristiani: anzitutto come utenti, e come gestori se sapranno farlo. Pellegrini già nella scuola, nell’ospedale, nella caserma, nello stato, creature che pure noi abbiamo generato, e finalmente pellegrini anche nel tempio.

“Pietro e Giovanni si recavano, come ogni giorno al tempio” (Atti 3,1) “E ogni giorno non cessavano di annunziare la buona novella di Gesù Cristo sia nelle case che nel tempio” (Atti 5,42) “E ubbidivano alla fede anche molti sacerdoti del tempio” (Atti 6,7).

Allora ognuno tornerà a lavorare in proprio. Stato, cultura, ecc. ognuno farà la sua parte e i cristiani da cittadini collaboreranno con lo Spirito che avranno e per quanto ne avranno. Collaboreranno positivamente, o con l’obiezione di coscienza collaboreranno negativamente, e recuperando la libertà di giudizio saranno nuovamente i profeti della storia nella storia e della fede nel religioso, non per mezzo del religioso. Paradosso dei paradossi. Ci sarà possibilità di espressione della fede cristiana solo quando e dove sarà nata una struttura religiosa naturale e autonoma.

La comunità cristiana tornerà ad assemblee di fede non diciamo più profonda interiormente, ma certo di fede meglio significata. In essa una convocazione di quel che sarà, poveri, acculturati, uomini di politica, uomini del sacro. I servizi ecclesiali, la guida della comunità, non più a sommi sacerdoti del tempio, ma, come dice Paolo, a uomini che abbiano il dominio di sé, che abbiano condotto la propria casa con onore, la loro professione con correttezza.

Vediamo: un maestro di scuola, un contadino, anche un militare, un uomo di politica, perché no, un sacerdote del tempio (per rincominciare?)

Comunichiamo che, su richiesta, è disponibile la riedizione dell’Antologia degli articoli più significativi apparsi sulla lettera de’ LA TENDA nella sua prima serie tra il 1969 e il 1986 che publicammo con le Edizioni Dehoniane nel 2006 col titolo “Roma come chiesa locale: un’esperienza di dialogo”

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