Lettera 3 (Seconda Serie)

In questa lettera continuiamo a trattare dell’evangelizzazione, prima con una breve sintesi dei temi trattati e poi presentando i primi tre interventi.

Nel prossimo numero ancora altri interventi su questo tema a completare il quadro delle nostre riflessioni

Vogliamo ricordare che il testo di queste Nuove Lettere insieme a quello di tutte quelle inviate tra il 1969 e il 1986 e al testo di un piccolo libro che abbiamo curato su Don Nicola Barra e la vita della comunità locale di S. Vincenzo de’ Paoli ad Ostia dove è stato prete per più di 20 anni, li trovate sul sito www.latenda.info.

Sommario:

  1. Sintesi degli incontri sull’evangelizzazione
  2. Evangelizzazione: intervento di Francesco Cagnetti
  3. Evangelizzazione: intervento di Lorenzo D’Amico
  4. Evangelizzare, ma perché? intervento di Luigi Mochi Sismondi

Sintesi degli incontri sull’evangelizzazione

Uno dei temi essenziali trattati nei nostri incontri è il rapporto tra eucaristia e evangelizzazione, che è stato tema della lettera n° 2.

Un altro aspetto da noi discusso è il rapporto tra evangelizzazione e pluralismo religioso. Il riconoscimento di “semi” di salvezza nelle religioni non cristiane ci induce a ripensare il modo stesso dell’evangelizzazione, che non può più consistere in un proselitismo reso pressante dalla persuasione di dover salvare anime dall’inferno. Professare la nostra fede significa innanzitutto cercare di viverla sempre più intensamente e coerentemente, e comunicare ciò che essa ha operato in noi, come un bene che sentiamo di dovere partecipare, e tutto ciò con l’umiltà di chi è consapevole di aver ricevuto la salvezza come puro dono.

Un’altra condizione essenziale per una evangelizzazione credibile sta nel sapere vivere senza pregiudizi accanto a ognuno, saper ascoltare, saper apprezzare e saper discernere.

In linea generale, poi, siamo persuasi che la società sempre più secolarizzata in cui noi viviamo debba essere considerata nelle sue luci e nelle sue ombre, senza apocalittiche condanne e senza acritici entusiasmi. In qualsiasi epoca del passato noi volgiamo lo sguardo, non ci è dato trovare condizioni ideali che possano suscitare nostalgia, neppure in tempi in cui chiesa e stato celebravano il trionfo delle fede cristiana.

Infine, dallo scambio delle nostre esperienze nelle parrocchie di appartenenza, abbiamo convenuto che nonostante tutto è possibile condurre con buoni risultati varie iniziative di rievangelizzazione, attraverso gruppi del vangelo, incontri con fidanzati, coi genitori dei bambini che si preparano alla comunione, e con giovani e adulti su temi di attualità.

In tutte queste attività ci è stato di stimolo il ricordo di don Nicolino Barra, che nella sua parrocchia di San Vincenzo de’ Paoli a Ostia ha posto al centro della sua pastorale il coinvolgimento attivo e consapevole non solo dei suoi collaboratori laici, ma anche di ogni persona che si accostasse alla comunità eucaristica. Era sua cura che ciascuno dei partecipanti ai suoi consigli pastorali esprimesse liberamente il suo pensiero, proponesse iniziative, muovesse delle critiche. E nei caseggiati aveva promosso la creazione di gruppi di fedeli come punti di riferimento e di sostegno, luoghi di incontro e di preghiera aperti a tutti. Testimonianza, condivisione, discernimento e prima di tutto capacità di ascolto animata da una forte speranza nell’uomo. Imparare ad ascoltare, ci insegna il nostro amico Ghislain Lafont, è la condizione ineludibile per comunicare con gli uomini del nostro tempo. I vescovi ci insegnano che dobbiamo imparare a parlare alla gente, che dobbiamo conformare il nostro linguaggio a quello delle persone a cui ci rivolgiamo. Ma ciò senza un lungo ascolto non è possibile. Il che non è facile per nessuno, e soprattutto per chi ha funzione di magistero. Il vero dialogo non può essere una comunicazione a senso unico.

Insegnare senza ascoltare, senza imparare, è uno dei tanti idoli che minacciano la vita della chiesa.

Evangelizzazione: intervento di Francesco Cagnetti

Don Dino D’Aloia (Adista 7/04/2004) cappellano del carcere: “porsi affianco agli altri con il desiderio di condividere i valori testimoniati da Gesù in una relazione di scambio e di contaminazione reciproca”…

“chi trova qualcosa di bello sente il dovere di comunicarlo agli altri, ma non è detto che debba volerli convincere e presentarsi a loro dicendo che ciò che ha trovato è la cosa più bella che esista al mondo. Vorrà piuttosto condividere la sua scoperta con gli altri e lasciarli parlare delle loro scoperte. Condivisione sì, colonizzazione no”

Don Antonello Solla, parroco (sempre da Adista cit.): “Se desideriamo essere maggiormente coerenti con il Vangelo, dobbiamo assumere la denuncia come essenza stessa dell’annuncio”

Quindi: condivisione e denuncia. Ma, concretamente, che cosa significa “condivisione” ? Se significa condividere esperienze di fede con persone di altre religioni oppure più in generale condividere esperienze di vita con chiunque. O tutt’e due le cose ?

La condivisione praticabile si misura sull’interlocutore. Quindi va sempre reiterata la domanda: che cosa posso condividere con questa persona ?

La “denuncia” come “essenza stessa dell’annuncio”. Ma l’annuncio non si risolve nella denuncia. Il modello dell’annuncio ai “pagani” è il discorso di Paolo all’Areopago. L’annuncio è prima di tutto la proclamazione di Gesù risorto, salvatore dell’umanità. Ma ne fa parte anche la speranza, la gioia. Inoltre è la testimonianza che rende credibile l’annuncio.

Attualmente, si tende a pensare che la testimonianza da sola sia sufficiente. Forse perché l’annuncio, dopo duemila anni di cristianesimo, appare superfluo o addirittura inopportuno e un po’ ridicolo. Chi non conosce la storia di Gesù crocifisso e risorto ?

Professare esplicitamente la propria fede appare accettabile, corretto, solo in rari casi, quando la conversazione si indirizza naturalmente verso argomenti religiosi.

La “speranza” è una componente dell’annuncio che a me pare di grande attualità: infatti la nostra epoca è caratterizzata da una vistosa contraddizione tra l’elevata idea che ci siamo fatti dell’uomo, dei suoi diritti, delle sue aspirazioni ecc., e la realtà quotidiana che è assai spesso teatro di violenza, di sopraffazione ecc. È quindi facile cadere nel pessimismo, nel nichilismo.

Ma mentre per il cristiano la speranza è resa credibile dalla fede, come è possibile farla condividere da chi non crede ? Occorre inventare una vera e propria pedagogia della speranza.

Gli Ebrei alimentavano la loro speranza col ricordo dei “prodigi” compiuti dal Signore: primo fra tutti la liberazione dall’Egitto. Noi possiamo alimentarla con esempi di persone che hanno realizzato cambiamenti positivi nella vita degli uomini. Persone cristiane e non, a testimonianza che il Signore ha misericordia di ogni uomo, e tutti interpella all’interno della loro coscienza.

Certo l’orizzonte di speranza aperto dalla Risurrezione sembra offuscato dal rifiuto di molti. Gesù stesso dice: chissà se troverò ancora la fede quando tornerò ! Saremmo tentati a pensare che solo una parte dell’umanità parteciperà al Regno di Dio. Ma non possiamo limitare la misericordia di Dio entro l’ambito della nostra esperienza di fede cristiana. Certo, Dio opera per mezzo di noi, della Chiesa che Egli ha fondato e di cui facciamo parte, ma non dimentichiamo mai che lo Spirito soffia dove vuole (sia ringraziato il Signore !). Oppure vogliamo ripetere l’errore del popolo ebreo, ogni volta che s’insuperbiva e credeva che la sua elezione consistesse nel dominare tutti i popoli ? (“…per stringere in catene i loro capi, i loro nobili in ceppi di ferro..” Salmo 149).

Ricordiamoci che la conversione implica da un lato l’annuncio e dall’altro la recezione da parte della coscienza personale. Lo Spirito Santo opera dunque dentro e fuori la Chiesa, e questo è il significato più ampio, più umano, più universalmente umano della misericordia di Dio.

La speranza motiva l’operare, e l’operare rafforza la speranza. È nell’operare “come se”, cioè nel cercare e mettere in pratica il Bene, che il non cristiano può avvicinarsi alla fede nella Risurrezione. Se il non cristiano antepone l’amicizia, la sincerità, la rettitudine, la cura della dignità umana sua e degli altri all’utile comunque perseguito, all’ambizione senza limiti e senza freni, all’odio verso chi mette a repentaglio il suo potere, egli appartiene già al Regno di Dio, e direi che nel profondo della sua anima sono già presenti le primizie della Risurrezione, perché ha scelto beni non deperibili, perché ha saputo rinunciare per essi ad altri beni, senza dubbio preziosi per la vita umana, ma la cui fruibilità è circoscritta alla nostra vita terrena, e che in alcun modo possono essere anteposti al bene sommo dell’amore di Dio e del prossimo.

L’annuncio della speranza implica inoltre l’umiltà di chi annuncia, umiltà intesa come coscienza della propria finitezza e del carattere gratuito dei doni che il Signore ci ha fatti. Questa consapevolezza, infatti, ci avvicina agli altri uomini e ci consente di comunicare con loro in modo veramente dialogico (dare e ricevere).

Ma perché la nostra capacità di ascolto e di ricezione sia migliorata, occorre liberarsi, attraverso un esercizio prolungato e costante, da tutte le idiosincrasie, invidie, antipatie, disprezzi e pregiudizi che ci impediscono di considerare il nostro prossimo come un fratello.

Necessità di una pedagogia della speranza

Che cosa ostacola l’annuncio della Speranza ? Donde trae origine il pessimismo ? Non è solo dal confronto tra l’ideale e la realtà, ma dallo stato d’animo col quale facciamo questo confronto.

Può essere lo stato d’animo di chi vagheggia un mondo migliore, ma non si adopera per realizzarlo. Oppure lo stato d’animo di chi lotta per realizzarlo, ma perde coraggio di fronte agli ostacoli.

Nell’uno e nell’altro caso la rinuncia deriva dal carattere, ma anche e soprattutto dalla mancanza di fede (fede cristiana, ma più in generale fede nel bene).

Per uscir fuori da questa paralisi spirituale va praticata una vera e propria autopedagogia graduale e progressiva, che si articoli in una sequenza di obiettivi agevolmente praticabili. A titolo di esempio: nel campo politico, informarsi sulle questioni più rilevanti, e cercare di formarsi su di esse , per quanto è possibile, opinioni personali; partecipare ad iniziative varie: firme di petizioni, manifestazioni, incontri-dibattiti; intervenire presso i membri del Parlamento con suggerimenti, osservazioni critiche, ecc.

E così via in ogni campo della vita personale, familiare e sociale.

Una spiritualità incentrata sulla Resurrezione

Alla base della “missionarietà” di ogni cristiano deve esserci una spiritualità incentrata nella Risurrezione. È questo il “lieto annuncio”: la morte non ha l’ultima parola. La fede nel Cristo risorto trasfigura la vita intera del credente, trasforma ogni ostacolo in un’occasione di crescita, sovrappone alla parabola discendente degli ultimi anni della vita terrena la linea ascendente della “vita eterna” (”Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi, per annunciare quanto è retto il Signore..” Salmo 91)

Non si tratta quindi, oggi, di “annunciare” sul modello di Pietro e di Paolo, dato che da duemila anni l’annuncio è stato fatto, ma di testimoniare la portata liberatrice dell’annuncio. e di renderne ragione a chi la chiede

Il dialogo con i non credenti

Ma come raggiungere i non credenti ? Nei luoghi di lavoro, nei luoghi di svago, negli incontri tra genitori nelle scuole, nella partecipazione politica, nei rapporti con parenti ed amici. È nella frequentazione quotidiana che si danno le occasioni di evangelizzazione.

Occorre sensibilizzare i credenti a questa dimensione missionaria. Si potrebbe cominciare col mettere in comune esperienze di dialogo con i non credenti. Particolare attenzione meriterebbero anche i rapporti con i credenti di altre fedi, in particolare con i musulmani e con gli ebrei. Ottima è la consuetudine degli incontri in parrocchia con loro ( frequenti, ad esempio, nella parrocchia della Trasfigurazione a Monteverde Nuovo). La conoscenza reciproca consente di instaurare un rapporto amichevole che agevola, tra l‘altro, il superamento dei reciproci pregiudizi.

L’Incarnazione è l’aiuto fornito dal Padre ad una umanità incapace di liberarsi dal peccato. Nonostante questo aiuto, l’umanità è tuttora dilacerata dalle discordie. È una situazione tragica. Che cosa può ancora fare il Padre oltre a mandare suo Figlio nel mondo ? Già Gesù stesso, in un momento di sconforto si era chiesto se al suo ritorno sulla terra avrebbe ancora trovato dei credenti. Ma altrove egli dice di vedere Satana precipitato dal cielo. Per questo noi crediamo nella vittoria finale del Bene. Gesù ha affidato ai suoi discepoli

il mandato di proseguire la sua missione. Dipende da loro, con l’aiuto dello Spirito, se Gesù troverà ancora la fede al suo ritorno.

Lento ma sicuro tramonto della “Cristianità”

Dopo duemila anni sembra che la Chiesa stia, sia pure a fatica, avviandosi a liberarsi dalle compromissioni con le potenze terrene. C’è però ancora molto da fare. Solo portando a termine questo processo di purificazione essa potrà ricuperare piena credibilità, quella credibilità che in età apostolica le ha consentito di diffondersi. Certo, non dobbiamo aspettare quel giorno per cominciare a evangelizzare. Ma non dobbiamo meravigliarci se oggi è spesso difficile attrarre la gente alla fede.

È opportuno chiarire l’espressione “potere terreno”. Essa sta a significare un dominio fondato sul privilegio, sul denaro,sulla coercizione . Ripercorriamo le tappe della perdita da parte della Chiesa del potere terreno: la Riforma protestante, la formazione dello Stato moderno, la caduta dello Stato pontificio, il Concilio Vaticano II, la riforma del Concordato. Quali saranno gli ulteriori passi in avanti sul prolungamento di questa linea ? Il più difficile sarà il riconoscimento pieno e irrevocabile della laicità dello Stato.

Beninteso rinunciare al potere terreno non significa rinunciare a procurarsi i mezzi materiali indispensabili per esplicare la propria funzione, ma saper porre un limite al perseguimento di questi mezzi, sapere discernere il limite oltre il quale i mezzi diventano fini.

Riconoscere la laicità dello Stato senza riserve non è facile per la Chiesa. Da un lato non ha senso pretendere che la legge dello stato imponga a tutti i cittadini ciò che è ritenuto giusto solo da una parte di essi, sia pure rilevante. D’altra parte però non si può nemmeno pretendere che chi ha determinate convinzioni morali approvi una legge che dichiari lecito ciò che egli ritiene un male…Occorre approfondire la questione. Proviamo a farlo insieme.

Anche in uno Stato pienamente autonomo dalle varie confessioni religiose, le leggi presuppongono determinati valori morali. Ma quale morale è compatibile con la laicità dello Stato? Verosimilmente quell’insieme di norme e di valori che sono universalmente condivisi: non rubare, non uccidere, non dir falsa testimonianza ecc. E tuttavia lo Stato legifera anche su materie sulle quali non c’è nei cittadini uniformità di vedute (divorzio, aborto, fecondazione eterologa, ecc.). Prendiamo ad esempio la legge sull’aborto: non ogni aborto è consentito. Ma qual è il criterio del lecito e dell’illecito ? Pare che sia quello del consenso generale. La legge proibisce l’aborto a partire da una certa età dell’embrione, perché su questo limite sono tutti d’accordo (anche se una minoranza vorrebbe anticiparlo).

Si potrebbe quindi concordare che lo Stato limiti i suoi divieti a quegli atti che sono da tutti o dal maggior numero ritenuti non ammissibili. Se non si vuole accettare questo patto, allora non resta che creare uno Stato confessionale al quale naturalmente i dissenzienti dovrebbero sottomettersi, oppure dal quale dovrebbero emigrare. Oppure si dovrebbe spezzare l’unità nazionale creando due Stati, uno laico e uno confessionale, e di conseguenza….cuius regio eius religio! E poi si dice che la storia è maestra di vita !…E poi lanciamo episcopali anatemi contro il separatismo di Bossi….

Proviamo ad individuare alcuni dei motivi che ci dissuadono dall’evangelizzare

  1. un tempo si evangelizzava anche spinti dalla convinzione che fuori della Chiesa non c’era salvezza. Ora questa convinzione è stata alquanto ridimensionata. Siamo persuasi che agli uomini di “buona volontà”, quale che sia la loro appartenenza religiosa e anche nel caso che siano agnostici o atei, sia aperta la porta della salvezza.

Ma se la salvezza è intesa non come uno scampare dall’inferno, ma come partecipazione all’edificazione del regno di Dio, allora l’evangelizzazione deve consistere nel rivelare agli uomini di buona volontà la fonte e la meta della loro condotta, nell’annunciare che ciò che essi perseguono, la vittoria della fraternità umana sull’egoismo, è fondato e garantito da quel Gesù di Nazaret che per questa causa ha dato la propria vita e che per questo è stato risuscitato dal Padre.

  1. un’altra remora all’evangelizzazione è dovuta al fatto che per molti secoli i laici sono stati esclusi da questo impegno. Spettava al clero e in specie ai missionari il compito di evangelizzare. Ma cambiare non è facile: occorre insegnare ai laici a rendere partecipi i non credenti del dono che hanno ricevuto. inoltre: non ha senso, oggi, dopo duemila anni di Cristianesimo, annunciare che Cristo è risorto: tutti sanno che questa è la fede dei cristiani. Pertanto l’evangelizzazione, per essere accolta, deve più che mai consistere nel mostrare concretamente, con la risurrezione della propria vita, che Cristo è veramente risorto. Occorre testimoniare e rendere ragione della propria testimonianza.
  1. ciò che vale per il singolo credente vale anche per la Chiesa: essa deve essere trasparente testimone del Cristo risorto. Ciò comporta che essa debba costantemente verificare se la sua condotta è conforme al lieto annuncio che è stata chiamata a trasmettere. In questo senso c’è ancora molto da fare , sia da parte del clero che dei laici: la tentazione del potere terreno è ancora molto forte. La Chiesa tutta, preti e laici, dovrebbe pertanto porsi seriamente l’interrogativo: “Sono veramente libera dalla tentazione del potere terreno ?” ,”Che cosa devo cambiare in me stessa perché diventi trasparente immagine, modello efficace del Regno di Dio?”
  2. un’ulteriore difficoltà risulta dal fatto che oggi molti nuovi problemi etici sono emersi a seguito di una serie di fattori: tra gli altri il progressivo abbandono di convinzioni finora radicate, come la condanna dell’omosessualità, delle unioni non matrimoniali, del divorzio, dell’aborto, dell’eutanasia. Viviamo ormai in una società in cui nessuno ti perseguita se ti professi cristiano, ma nessuno – se cristiano non è o non si riconosce più – sopporta di essere sottoposto ai limiti che la Chiesa pone all’agire umano. Due ordini di problemi si pongono perciò ad ogni cristiano, e alla Chiesa : è lecito imporre per legge a chi cristiano non è le nostre convinzioni in materia etica ? e inoltre: fino a che punto le nuove convinzioni che si vanno diffondendo nella nostra società ci lasciano indenni da dubbi e da interrogativi ? Pensiamo ai divorziati: è possibile che il Signore condanni due persone che per inesperienza o anche leggerezza hanno fatto una scelta sbagliata sposandosi, e che intendono porre fine a questo errore, a privarsi per tutta la vita da un nuovo tentativo di vita di coppia ? E sull’eutanasia, che cosa ha da dire il cristiano ? Certamente sono questioni molto delicate, che concernono principi essenziali: la serietà dell’impegno ad una vita di coppia, la salvaguardia della vita umana. Ma non mi sembra giusto considerare il Signore unicamente come legislatore. Sappiamo anche sul piano umano che ogni legge va interpretata in sede di applicazione, e che non sempre la sua trasgressione è condannabile.

Concludendo: rilanciare oggi l’evangelizzazione come obiettivo primario della Chiesa è certamente essenziale. Ma proporre questo obiettivo ai cristiani senza una riflessione personale e comunitaria sui modi in cui, oggi, possa essere perseguito significa ripiegare su una strategia puramente difensiva che alla lunga si rivelerà perdente.

Evangelizzazione: intervento di Lorenzo D’Amico

1- Perché evangelizzare?

La storia di Abramo, di Davide, di Elia, il padre misericordioso, l’adultera, il buon samaritano, la morte e risurrezione di Gesù… quante pagine bibliche hanno riempito i nostri cuori e segnato profondamente la nostra vita e dilatato il nostro respiro? Come è possibile non raccontare ciò che il Signore ha compiuto e compie in noi e nell’umanità tutta? Ciò che di prezioso ci troviamo fra le mani lo abbiamo ricevuto in dono, per cui non possiamo certo vantarcene, che cosa ci viene chiesto? Saper condividere tali ricchezze con ogni uomo e donna.

2- Chi è chiamato ad evangelizzare?

Se è vero che per molti secoli i laici si sono sentiti esclusi da tale servizio, è anche vero che:

– per quanto riguarda l’evangelizzazione individuale, l’impegno dei laici c’è sempre stato ed è stato determinante, vedi di padre in figlio, da compagno a compagno;

– per quanto riguarda l’evangelizzazione comunitaria, c’è stato egualmente un impegno determinante, ma non sempre è stato colto come tale, lo stesso Benedetto da Norcia Assisi era laico e Francesco d’Assisi era diacono, ed hanno evangelizzato interi popoli; la fede cristiana ad esempio è entrata e si è diffusa in Corea agli inizi del XVII secolo ad opera dei laici. Sarebbe utile raccogliere la storia di laici evangelizzatori e ancor più ripensare al ruolo dei preti: anche loro laici a cui è affidato il servizio della comunione tra persone diverse, quindi tra doni diversi.

3- Che cosa sta cambiando la situazione?

Cosa ne è del coinvolgimento dei laici nella missione, nella diffusione del Vangelo, della sua Parola che libera?

Un primo elemento ha capovolto la situazione: i laici hanno tra le mani la FONTE, dopo tanti secoli nei quali si era tornati a porre i sigilli al “rotolo”, relegandolo in una lingua ormai incomprensibile, nelle

nostre soffitte; siamo stati incoraggiati a riprendere in mano ogni giorno il libro della vita e ci si sta avviando ad una lenta ma costante assimilazione, rielaborazione ed ecco uscire dal nostro cuore e dalla

mente di tanti uomini e donne una nuova-antica forza capace di tornare ad aprire gli occhi sulle opere che il Signore ha compiuto e continua a compiere con noi e ad agire di conseguenza.

Occorre ricordare che oggi, come nel passato, c’è il grave pericolo e non solo teorico, di una lettura fondamentalista della Bibbia, è necessaria una crescita dell’intero popolo di Dio, capace di confrontarsi con ogni uomo e donna di buona volontà.

4- Quali sono i punti di partenza di chi è chiamato ad evangelizzare?

Non c’è evangelizzazione se non c’è nell’evangelizzatore volontà di convertirsi.

Contemporaneamente è necessario saper discernere quando occorre con alcune persone tacere tutta una vita, lasciare all’altro l’iniziativa di certi argomenti e quando invece è necessario saper avviare un

dialogo; in tutti i casi l’inizio è un impegno serio ad ascoltare, a meditare e vivere, un’evangelizzazione ha come presupposto la testimonianza, a questo proposito è utile rileggere le parole del vescovo algerino Pierre Claverie, del 1996, in occasione del martirio di sette monaci, solo quaranta giorni prima di essere assassinato lui stesso:

Dall’inizio del dramma algerino mi è stato spesso chiesto: Cosa state facendo qui? Perché rimanete? Stiamo qui a motivo del Messia crocifisso. Per nulla più di questo e per nessun altro.

Non abbiamo interessi da salvaguardare o influenze da preservare. E non siamo nemmeno motivati da qualche perversione masochistica o desiderio di suicidio. Non abbiamo alcun potere. Rimaniamo in Algeria come al capezzale di un amico, tendendogli una mano amichevole, asciugandogli la fronte. Per Gesù, poiché egli è colui che sta soffrendo in questa violenza che non perdona nessuno ed è nuovamente crocifisso nella carne di migliaia di persone crocifisse. Come Maria, come Giovanni, stiamo qui, ai piedi della croce sulla quale Gesù sta morendo, abbandonato dai suoi, sbeffeggiato dal popolo. Non è forse essenziale per un cristiano stare qui, nei posti della sofferenza e dell’abbandono? Dove potrebbe stare la Chiesa di Gesù Cristo se non proprio in quei luoghi? Anche se può sembrare paradossale, la forza, la vitalità, la speranza e la fecondità della Chiesa vengono da quei luoghi. Da nessun’altra parte e in nessun altro modo. Tutto il resto è solo fumo negli occhi, un’illusione mondana. La Chiesa tradisce se stessa e il mondo quando si presenta come un potere in mezzo ad altri poteri, come un’organizzazione – foss’anche umanitaria – o come un movimento evangelico spettacolare. Può brillare, ma non può bruciare dell’amore di Dio, “forte come la morte” (Ct 8,6). Effettivamente è una questione d’amore prima di qualsiasi altra cosa, amore, solo amore. Una passione per la quale Gesù ci ha dato il gusto e insegnato la via: “Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).

“Alvaro Rodriguez Echeverria, presidente dell’Unione dei Superiori Generali, indirizza questa lettera ai religiosi e religiose che si trovano attualmente in Iraq aggiungendo: sono la spiegazione migliore della vostra presenza generosa oggi in Iraq… Fratelli e sorelle, anche voi siete laggiù a nome del nostro Messia crocifisso. Non siete una potenza e non siete un’organizzazione potente o prestigiosa; non avete interessi da salvaguardare o influenze da preservare…; anche per voi è una questione d’amore, solo d’amore, una questione di passione che, come quella di Gesù, vi abilita a creare spazi per la vita in abbondanza per il piccolo gruppo di cristiani per i quali la vostra presenza è indispensabile e consolante, ma anche per tutti gli Iracheni, senza distinzione di razza o di religione, che voi servite con generosa dedizione.” (Adista 31 luglio 2004 p. 14)

5- Ciò che ostacola l’evangelizzazione.

La Chiesa è un testimone credibile? “Ci sono stati secoli nei quali la Chiesa ha usato metodi di intolleranza e persino di violenza nel servizio alla verità” (Giovanni Paolo II, Regno 952, p. 467). (Vedi Atti del Simposio sull’Inquisizione, Collana “Studi e Testi” della Biblioteca Apostolica Vaticana, G. Cottier, A. Borromeo …).

Non ci sono oggi organizzazioni ecclesiali che risentano dell’intolleranza che furono propri dell’Inquisizione? Quanti uomini di Chiesa sono condannati ancora oggi senza possibilità di conoscere l’accusatore e senza possibilità di difendersi, dovendo solo prendere atto delle sanzioni a proprio carico?

Altri ostacoli:

– l’attuale sterilità nell’evangelizzazione avviene in quei terreni su cui la Chiesa ha preteso e pretende di dare risposte totalizzanti (vedi partiti, scuole, ospedali… );

– quando la Chiesa si presenta come una roccaforte piantata sulla roccia pronta a sfornare interdizioni, abituata ad allertare i propri abitanti contro il mondo esterno sempre visto nella sua valenza negativa, piuttosto che mostrare il suo vero volto come barca che deve faticosamente avanzare tra venti di ogni genere.

Sono un grave ostacolo all’evangelizzazione il tono, i diktat e l’isolamento dal popolo di certe affermazioni della gerarchia sulla morale ed in particolare sulla morale sessuale; non è pensabile un intervento all’esterno frutto solo di una meditazione personale sulle tradizioni, un pensiero che ha l’intenzione di essere parola di Dio definitiva e discriminatoria dei comportamenti umani, che non sia stato il frutto di una lenta, approfondita analisi all’interno del popolo di Dio;

– quante volte la Chiesa ha pensato e pensa di diffondere la “buona notizia” più con la ricchezza di beni materiali che con la ricchezza derivante dal Vangelo? Migliaia di religiosi/e sono impegnati a tempo pieno per la custodia, il restauro ed il mantenimento dei loro territori e caseggiati e non sanno più chiedersi le ragioni di tanti beni. Quale tragedia e di quali dimensioni! Può accadere che alcuni, come ad esempio Nicolò V, pensino ancora che il “volgo” ha bisogno di opere materiali grandiose per essere rafforzato nella fede, mi pare di aver sentito da qualche parte: “Il nostro vanto è nella croce di Cristo”.

Ritorna in tutta la sua chiarezza la seconda tentazione di Gesù: “Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni, perché è stata messa nelle mie mani ed io la do a chi voglio. Se ti prostri dinnanzi a me, tutto sarà tuo” (Lc 4,6…)

6- Ciò che aiuta l’evangelizzazione.

– È molto prezioso che singoli credenti operino una scelta di povertà vera, ma occorre che l’intera Chiesa s’impegni in un cammino aperto e universale libero dal potere economico; se questo non avverrà singoli battitori liberi potranno creare per dono del Signore piccole oasi, ma la Chiesa nella sua totalità rimarrà sempre più imbrigliata come Lacoonte che nel tentativo di salvare i figli si trova avvolto nelle stesse spire della piovra… il grande tentatore;

– non voler difendere ogni tratto della Chiesa, ma saper andare alla fonte della fede, che non è la Chiesa ma il Signore; la Chiesa è un tramite prezioso ma temporaneo e terreno;

– aiutiamo l’evangelizzazione ogni volta che seguiamo un “attivo e responsabile anticonformismo nei confronti di questo mondo e ci siamo trasformati rinnovando la nostra mente per discernere qual è il volere di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12,2);

– nella ricerca individuale ci sono a volte esempi straordinari di fede, il cammino comunitario è un aiuto unico per vivere e approfondire la propria ricerca e trasmetterla.

7- Dialogo all’interno e dialogo all’esterno.

Occorre un confronto aperto, senza paure, senza improvvise minacce o chiusure, con la volontà di cercare in profondità un dialogo non affrettato.

Una sana evangelizzazione ha bisogno contemporaneamente di un dialogo all’interno ed un dialogo all’esterno:

– Dialogo all’interno: oggi la situazione dell’ONU è bloccata dal diritto di veto di alcune nazioni, solo un ripensamento profondo dell’attuale struttura e veto può ridare vita all’ONU ed al mondo; così è per la Chiesa Cattolica, occorre un discernimento comunitario che comporti un reale cambiamento-approfondimento, una gerarchia che sia davvero al servizio della comunione. Perché questo avvenga è necessario saper mettere al corrente di una ricerca in atto e non comunicare solo i risultati a cose fatte, sapendo chiedere ai laici non solo preghiere ma anche contributi (bisogna riconoscere che vengono già chiesti, ma quelli economici);

– Dialogo all’esterno: in alcuni casi sarà davvero utile ascoltare la voce pubblica dei nostri vescovi, come ad esempio è stato ultimamente contro la guerra e sarebbe necessario contro tante forme economiche che generano ingiustizia, fame e morte; ma normalmente dovranno essere i laici cresciuti dentro comunità capaci di sviluppare e rispettarne le diversità, saranno essi stessi ad essere fermento dentro l’agone politico-sociale.

Il nostro dialogo all’esterno deve essere capace di cogliere lo sguardo disperato di un giovane emigrato/a e di affiancarlo/a efficacemente, oppure capace di cogliere il grido di una bambina come traspare da questa lettera di Roberta di undici anni, a proposito del padre ritornato nel vortice della droga:

“Droga,

a te si proprio a te, che prendi in pugno la vita di alcuni ragazzi che delusi della loro propria vita cadono nel tuo sporco gioco e pian piano li lasci cadere giù, si proprio così fai, tu ridi di chi non riesce a liberarsene, ma un giorno riderò io di te brutta vigliacca! In fondo tu non sei nulla, sei solo il destino legato alla vita di un uomo disperato e deluso della sua vita, ma se noi uomini vogliamo sappiamo distruggerti e dopo rideremo noi di te! Così diventerai uno sporco gioco che smette di giocare sporco e che poi cade in basso per sempre. Tanti saluti Roberta”.

8- Una Chiesa romana ancora catacombale?

Probabilmente ancora oggi a Roma viviamo una fede catacombale, con tante piccole e nascoste realtà che sono il resto del popolo di Dio, che accoglie la grazia di Dio, che sente e vive la gioia e la pace che ci deriva

da Colui che ha già vinto il peccato e la morte e ci è compagno in mezzo alle nostre tempeste, resto di popolo che sente la preziosità di Chi non si sostituisce ad Abramo, ma rende fecondo un seno sterile, che

accoglie Colui che ci accompagna nelle nostre ricerche intorno alla sua Parola, che ci accompagna nei confronti stabili fra coppie…

Forse è giunto il tempo in cui è necessario che tante perle preziose vengano alla luce del giorno, per poter comunicare la forza che viene da tale luce, una luce non generata, ma accolta… ed ora trasmessa.

9- Ite missa est.

Jungmann, un grande liturgista traduceva: “andate è l’ora della vostra missione”.

Ognuno di noi non pone mai l’ultimo mattone, ma se ben posizionata la nostra parola serve come punto di appoggio e di rialzo del mattone successivo; sarebbe un po’ ridicolo se rimanessimo concentrati su ciò che abbiamo posizionato noi, piuttosto che sull’intera costruzione.

L’immagine che abbiamo della creazione nella cappella Sistina, non rappresenta un Dio che tiene tra i denti Adamo, come una leonessa con il suo piccolo, portandolo qua e là, ma il dito della mano di Dio teso, un po’

staccato dalla mano di Adamo, che ne coglie la forza, ma non è forzato; così la nostra evangelizzazione deve rimanere un’offerta, piena della sua carica, ma rispettosa dei tempi e del pensiero dell’altro.

Evangelizzazzare ma perché?: intervento di Luigi Mochi Sismondi

Sembra una provocazione, ma lo è davvero? Forse è ora di spostare l’interesse dall’azione dell’ evangelizzazione ai suoi contenuti e in ultima analisi alle sue ragioni:

  • Siamo tutti oramai convinti che la salvezza, e la benevolenza di Dio non dipendano dalle cose in cui crediamo, al Padre è gradito un mussulmano come un buddista, come un cattolico, come infine un uomo di buona volontà che per sua storia individuale o sociale non abbia fede né abbia interesse alla sfera religiosa. Siamo inoltre convinti che il tentativo della Chiesa o meglio della cristianità di conformare ai propri riti e al proprio credo l’umanità intera sia privo di speranza di riuscita se pure avesse un senso.
  • Ancora, parlo per me ma penso di non essere tanto lontano dal sentire e dall’operare di tutti nel nostro gruppo, lavoriamo e ci impegniamo con fatica e con speranza giorno dopo giorno per costruire un mondo migliore e non pensiamo più se mai l’abbiamo pensato che questo passi attraverso la presa del palazzo d’inverno, sappiamo che solo un progressivo cambiamento di mentalità e la nascita di una nuova cultura potranno creare le condizioni per la pace e la giustizia e in ultima analisi la realizzazione dell’umanità intesa come la totalità solidale delle tante individualità, ognuna preziosa e unica. Così non ci stupiamo di sentir parlare anche da non credenti di bisogno di conversione. In cosa differisce e cosa ha in comune questo cercare di creare un nuovo pensare con l’evangelizzazione?
  • Ancora, migliaia di persone nel mondo anche senza fede religiosa ci dimostrano la forza dell’amore gratuito, la capacità del sacrificio e in mille e mille lebbrosari, ospedali case di accoglienza donano la vita per i più poveri. Quello che in altri tempi attribuivamo solo alla fede in Dio e alla sequela del Vangelo ecco che è patrimonio diffuso e non esclusivo dei “fedeli”; è successo quello che forse non speravamo e i “valori cristiani” hanno superato la loro origine e sono sparsi come sale nel mondo anche dove Gesù non è conosciuto o riconosciuto. Sappiamo che tutto questo viene da Lui ma come possiamo a lui ricondurlo senza violentare il sano non essere religiosi di tanti uomini e donne?
  • Ancora, e questa volta in negativo, l’evangelizzazione aggressiva e suadente dei tanti gruppi “evangelici”, non ci deve mettere in guardia dal voler comunicare i nostri valori religiosi, dal cercare di far accostare al Vangelo i distanti?
  • Ancora, a quale Chiesa conduciamo gli evangelizzati cui abbiamo proposto il cammino comunitario come parte integrante della fede cristiana? A quali celebrazioni, a quale obbedienza?
  • Ancora, uscendo dalla sfera sociale, politica, storica e religiosa e attingendo a quella personale, Bonhoeffer ci ha insegnato che di un dio che ci serva a tappare in nostri buchi di infelicità, da chiamare in causa al momento della morte, nemico (ancora?) invincibile, o della malattia e del dolore, il mondo moderno divenuto irreversibilmente adulto oramai non ha più bisogno, ha altri farmaci, psicologi e droghe di ogni genere che ci aiutano ad affrontare o a non vivere la dimensione della morte e del dolore. Salvare per dio questo ruolo era per Bonhoeffer la peggiore bestemmia condannando il Dio della vita ad essere custode “di cimiteri e camere da letto”.
  • Cosa fare allora quando il cuore ti scoppia in petto per la necessità di dire al mondo che non è questa la strada e che la verità e la via sono lì nel Vangelo di Gesù, nella vita di quest’uomo morto ammazzato non solo per le sue idee o per la sua bontà, ma perché ci aveva insegnato un reale rivolgimento di prospettiva che se ha reso improponibile la speranza nella potenza dell’uomo ci ha liberati anche dalla schiavitù della religione e ha reso per sempre inutile il tempio, e che Dio ha con la resurrezione per sempre confermato. L’uso storicizzato e terribile della potenza del fattore religioso in mano agli integralismi di tutti i campi ci mette in guardia dal chiamare chiunque ad una

obbedienza religiosa. Non è forse proprio dal liberarsi del cristianesimo-religione che è possibile ripartire per l’annuncio della Buona Notizia dell’amore di Dio che nella storia è apparso in Gesù di Nazareth? E’ proprio nel momento in cui Dio appare nella sua sostanziale inutilità che possiamo testimoniare l’in più che esso rappresenta: la speranza di senso nell’universo ma anche la possibilità di un rapporto “personale” col Padre che in Cristo abbiamo potuto sperimentare.

Per concludere una lettura dalla lettera del 30 aprile del 1944 di Dietrich Bonhoeffer dal carcere di Tegel ad Eberhrd Bethge, da cui, insieme alla riflessione sulla lettera 105 e 106 de La Tenda (vedi www.latenda.info) nascono molti di questi pensieri:

“… Per me non devi assolutamente preoccuparti; io sto straordinariamente bene, te ne meraviglieresti se venissi a trovarmi. Ti penso ogni mattina ed ogni sera leggendo la Bibbia. La gente qui mi ripete continuamente che da me promana una tale calma e che sono sempre così sereno. Ti meraviglieresti, o forse ti preoccuperesti tutt’al più delle mie idee teologiche e delle loro conseguenze…

Ciò che mi preoccupa continuamente è la questione di che cosa sia veramente per noi, oggi, il cristianesimo, o anche chi sia Cristo. È passato il tempo in cui questo lo si poteva dire agli uomini tramite le parole – siano esse parole teologiche oppure pie –; così come è passato il tempo della interiorità e della coscienza, cioè appunto il tempo della religione in generale. Stiamo andando incontro ad un tempo completamente non-religioso; gli uomini, così come ormai sono, semplicemente non possono più essere religiosi. Anche coloro che si definiscono sinceramente “religiosi”, non lo mettono in pratica in nessun modo; presumibilmente, con “religioso” essi intendono qualcosa di completamente diverso.

Il nostro annuncio e la nostra teologia cristiani nel loro complesso, con i loro 1900 anni, si basano però sull’“apriori religioso” degli uomini. Il “cristianesimo” è stato sempre una forma (forse la vera forma) della “religione”. Ma se un giorno diventa chiaro che questo “apriori” non esiste affatto, e che s’è trattato invece di una forma d’espressione umana, storicamente condizionata e caduca, se insomma gli uomini diventano davvero radicalmente non religiosi – e io credo che più o meno questo sia già il caso (da che cosa dipende ad esempio il fatto che questa guerra, a differenza di tutte le precedenti, non provoca una reazione “religiosa”?) – che cosa significa allora tutto questo per il “cristianesimo”? Vengono scalzate le fondamenta dell’intero nostro “cristianesimo” qual è stato finora, e noi “religiosamente” potremo raggiungere soltanto qualche “cavaliere solitario” o qualche persona intellettualmente disonesta. Dovrebbero essere questi i pochi eletti? Dovremmo gettarci zelanti, stizziti o sdegnati proprio su questo equivoco gruppo di persone per smerciar loro la nostra mercanzia? Dovremmo noi aggredire qualche infelice colto in un momento di debolezza e per così dire, violentarlo religiosamente? Se non vogliamo niente di tutto questo, se alla fine anche la forma occidentale del cristianesimo dovessimo giudicarla solo uno stadio previo rispetto ad una totale non-religiosità, che situazione ne deriverebbe allora per noi, per la Chiesa? Come può Cristo diventare il signore anche dei non-religiosi? Ci sono cristiani non-religiosi? Se la religione è solo una veste del cristianesimo – e questa veste ha assunto essa pure aspetti molto diversi in tempi diversi – che cos’è allora un cristianesimo non-religioso?

. Le risposte cui bisognerebbe rispondere sono: che cosa significano una Chiesa, una comunità, una predicazione, una liturgia, una vita cristiana in un mondo non-religioso? Come parliamo di Dio senza religione, cioè appunto senza i presupposti storicamente condizionati della metafisica, dell’interiorità ecc. ecc.? Come parliamo (o forse appunto ormai non si può più “parlarne” come s’è fatto finora) “mondanamente” di “Dio”, come siamo cristiani “non-religiosi-mondani”, come siamo ek-klesía, cioè chiamati-fuori, senza considerarci religiosamente favoriti, ma piuttosto in tutto e per tutto appartenenti al mondo? Cristo allora non è più oggetto della religione, ma qualcosa di totalmente diverso, veramente il signore del mondo. Ma che significa questo? Che significato hanno il culto e la preghiera nella non-religiosità? […]

Spesso mi chiedo perché un “istinto cristiano” mi spinga frequentemente verso le persone non-religiose piuttosto che verso quelle religiose, e ciò assolutamente non con l’intenzione di fare il missionario, ma potrei quasi dire “fraternamente”. Mentre davanti alle persone religiose spesso mi vergogno a nominare il nome di Dio – perché in codesta situazione mi pare che esso suoni in qualche modo falso, e io stesso mi sento un po’ insincero (particolarmente brutto è quando gli altri cominciano a parlare in termini religiosi; allora ammutolisco quasi del tutto, e la faccenda diventa per me in certo modo soffocante e sgradevole) – davanti alle persone non-religiose in certe occasioni posso nominare Dio in piena tranquillità e come se fosse una cosa ovvia. Le persone religiose parlano di Dio quando la conoscenza umana (qualche volta per pigrizia mentale) è arrivata alla fine o quando le forze umane vengono a mancare – e in effetti quello che chiamano in campo è sempre il deus ex machina, come soluzione fittizia a problemi insolubili, oppure come forza davanti al fallimento umano; sempre dunque sfruttando la debolezza umana o

di fronte ai limiti umani; questo inevitabilmente riesce sempre e soltanto finché gli uomini con le loro proprie forze non spingono i limiti un po’ più avanti, e il Dio inteso come deus ex machina non diventa superfluo; per me il discorso sui limiti umani è diventato assolutamente problematico (sono oggi ancora autentici limiti la morte, che gli uomini quasi non temono più, e il peccato, che gli uomini quasi non comprendono?); mi sembra sempre come se volessimo soltanto timorosamente salvare un po’ di spazio per Dio; – io vorrei parlare di Dio non ai limiti, ma al centro, non nelle debolezze, ma nella forza, non dunque in relazione alla morte e alla colpa, ma nella vita e nel bene dell’uomo. Raggiunti i limiti, mi pare meglio tacere e lasciare irrisolto l’irrisolvibile. La fede nella resurrezione non è la “soluzione” del problema della morte. L’“aldilà” di Dio non è l’aldilà delle capacità della nostra conoscenza! La trascendenza gnoseologica non ha nulla che fare con la trascendenza di Dio. È al centro della nostra vita che Dio è aldilà. La Chiesa non sta lì dove vengono meno le capacità umane, ai limiti, ma sta al centro del villaggio. Così stanno le cose secondo l’Antico Testamento, e noi leggiamo il Nuovo Testamento ancora troppo poco a partire dall’Antico. Attualmente sto riflettendo molto su quale aspetto abbia questo cristianesimo non-religioso, e quale forma esso assuma; te ne scriverò presto ancora e più a lungo. Forse a questo proposito a noi che ci troviamo al centro tra est ed ovest tocca un compito importante.”

Il gruppo “La Tenda

 

c/o Lorenzo D’Amico

Via Monte Sant’Angelo, 34

00133 Roma

gruppolatenda@gmail.com

www.latenda.info

Il Gruppo “La Tenda” è formato da:

Franco Battista, Torre Angela Roma

Francesco Cagnetti, Monteverde Roma

Tina Castrogiovanni, Ostia Nuova Roma

Lorenzo D’Amico, Torre Angela Roma

Maurizio Firmani, Monteverde Roma

Chiara Flamini, Torre Angela Roma

Alessia Galici, Ostia Nuova Roma

Maria Dominica Giuliani, Aurelio-Boccea Roma

Luigi Mochi Sismondi, Torre Angela Roma

Liliana Ninchi, Ostia Nuova Roma

Marco Noli, Ostia Nuova Roma

Solange Perruccio, Monteverde Roma

Umberto Sansovini, Ostia Nuova Roma

Gianfranco Solinas, Martina Franca Taranto

Antonella Sorressi, Ostia Nuova Roma

Micaela Sorressi, Ostia Nuova Roma

Daniele Trecca Ostia Nuova Roma