Lettera 28 (Seconda Serie)

In questo numero completiamo la pubblicazione delle relazioni e del dibattito “Economia e Lavoro: difendere la giustizia, creare opportunità per i giovani” che, come sapete, si è svolto presso la Parrocchia dei SS. Simone e Giuda Taddeo a Torre Angela Roma il 20 aprile scorso.

Nella lettera di giugno vi avevamo presentato l’introduzione di Gianfranco Solinas e le due relazioni più teoriche, quella di Giorgio Marcello e quella di Pierre Carniti (la lettera la trovate come tutte le precedenti sul nostro sito www.latenda.info nella sezione Nuove lettere de “La Tenda”).

Come spesso facciamo nei nostri incontri, il pomeriggio è stato dedicato alla presentazione di esperienze che in questo caso ci hanno parlato del lavoro visto sotto diversi aspetti.

Micaela ci ha parlato delle risorse che i giovani devono trovare dentro di sé per affrontare l’inserimento al lavoro: passione, entusiasmo, pazienza, tenacia, adattamento, flessibilità le parole d’ordine evocate.

Giada e Gionata a partire dalla loro esperienza ci hanno raccontato come hanno scelto di iniziare una vita insieme anche senza grandi sicurezze economiche, trasformando questa mancanza in scelta di comportamenti responsabili, senza lasciarsi congelare la vita dalla crisi.

Marco ci ha fatto entrare in cantiere parlando della sua vita di autista di una betoniera e ci ha raccontato le difficoltà ma anche la ricchezza di un lavoro di quelli “che i giovani non fanno più”.

Tiziana, medico e paziente (è in carrozzina affetta da sclerosi multipla), ci ha raccontato le difficoltà ma anche la ricchezza che deriva dalla sua malattia, in particolare nei rapporti con colleghi e pazienti. E’ stato un racconto bello e coinvolgente di cui in modo particolare la ringraziamo.

Ecco quattro storie, quattro persone che raccontano se stesse e i loro amici alle prese con la crisi e il mondo del lavoro, nel rileggerle non possiamo non ribadire che solo unendo alla riflessione e allo studio la ricchezza della vita quotidiana nella sua differente e ricca normalità possiamo sperare di capire e quindi di cambiare la società.

Lavoro in un call-center

Abbiamo voluto finire raccontando brevemente la storia di Mohamed e del lunghissimo viaggio che dall’Afghanistan l’ha portato a Roma e leggendo la lettera del Sindaco di Lampedusa che ci ricorda la dura sorte di chi cerca di entrare nella “Fortezza Europa”

Approfittiamo di questa ultima lettera prima delle ferie per un lancio:

Il 26 ottobre 2013, terremo il nostro prossimo convegno sul Concilio Vaticano II, il tema sarà “La riscoperta della Bibbia nel mondo cattolico”, interverranno due importanti teologi, Rosanna Virgili e Ghislain Lafont.

Il convegno di cui daremo a settembre maggiori informazioni si svolgerà a Roma presso la Parrocchia di S. Fulgenzio a Via della Balduina.

Sommario della 28° lettera:

  1. Micaela: entrare nel mondo del lavoro
  2. Giada e Gionata: la crisi come occasione per scelte di semplicità responsabile
  3. Marco: in cantiere con attenzione a un comportamento etico
  4. Tiziana: difficoltà e ricchezze di entrare in ospedale come medico con disabilità
  5. Storia di Mohammed e lettera Giusi Nicolini sindaco di Lampedusa

Chiara – Questa mattina abbiamo cercato d’interrogarci, approfondire i temi del lavoro, il dibattito di questo pomeriggio, con le varie testimonianze, sentiamo che deve camminare assieme a quelle tematiche.

Cominciamo con il lavoro e il precariato.

Micaela: entrare nel mondo del lavoro

Micaela – Un fattore comune a chi si avvia nel mondo del precariato, e parlo riflettendo sull’esperienza in questo campo di alcuni coetanei che abitano a Ostia – Roma, è la necessità di sfruttare tante piccole risorse di ognuno di noi. Ho notato che, pur nella varietà di attitudini e capacità, esistono dei fattori comuni.

  1. Sfruttare la propria passione, sfruttare ciò che da sempre ci affascina. Mi viene in mente DANIELE che è laureato in storia medievale, ma contemporaneamente ha una grande passione, quella per il calcio. Per me si tratta di una passione idiota, però lui ce l’ha da sempre. Tra l’altro è mio marito. Dopo un dottorato vinto, al termine di questo lavoro, non accettando le “dinamiche di palazzo”, si è trovato a casa e si è messo a seguire oziosamente commenti e siti che giravano attorno alla sua vecchia passione. Utilizzando la capacità di scrittura e di analisi che aveva sviluppato con lo studio, si è accorto che si apriva nel calcio una possibilità di lavoro. Oggi fa il giornalista sportivo su diversi siti WEB, nell’ambito del calcio-mercato: indaga sui retroscena, intervista procuratori e lo fa con grande professionalità; guadagna circa 1000 Euro al mese, che è tanto per noi.
  2. Entusiasmo: C’è un nostro amico di università, laureato in lettere, che nelle scuole private non ha trovato spazio ed ha colto un’opportunità di lavoro con le televendite. FABIO lavora (e ci racconta del suo lavoro!) con un incredibile piglio di fantasia, estro, entusiasmo da 5 anni. Non ha inseguito il lavoro dei sogni, ma il sogno di un lavoro, anche se diceva bene Francesco: il lavoro non dovrebbe essere un “sogno”, ma una realtà naturale.
  3. L’altra dote comune per cercare lavoro è la pazienza: MARCO ha l’indole di un vero “filosofo”, noi amici lo chiamiamo il “padre Anchise”! ha cominciato a lavorare in un call-center per la Tim, ha accettato, giorno dopo giorno, di continuare pazientemente a rispondere alle richieste dei clienti nel migliore dei modi, con attenzione e correttezza. Ha mostrato umiltà e lealtà nel suo ambiente di lavoro e ora, dopo 3 anni, svolge uno studio e supervisione della semantica in rete. Non mi chiedete cos’è, me l’ha spiegato più volte ed io continuo a non capire! Quello che ho capito è: rilevare le parole più comunemente usate, nell’accezione più popolare, parole che vengono poi utilizzate dalle agenzie pubblicitarie o per annunci di carattere informativo. Certo questa cosa mi inquieta, pensare che ci sono studi capaci di “controllare” le parole, magari anche per indurmi a comprare. Ma è il suo lavoro. Che, sì, rimane precario, tuttavia Marco continua a parteciparvi con grande umiltà e onestà e, ora con crescente passione.
  4. La tenacia: LAURA è un’altra amica laureata in medicina, siamo state compagne di liceo e ciò che l’ha sempre caratterizzata è stata la grande tenacia. Un’intelligenza sottile, delicata, accogliente, anche se non sempre riconosciuta, dotata di osservazione e lungimiranza. Dopo molti anni di tirocini non riconosciuti, promesse non mantenute, oggi lavora come oncologa Cremona.
  5. L’adattamento: Un altro amico, ENRICO, diplomato al conservatorio in clarinetto, non trovando lavoro, ha fatto un corso per diventare pizzaiolo, lavora dalle 19 alle 2, poi mette a posto, pulisce ed è a casa alle 3 – 3e30, tutte le sere tranne il lunedì; anche la sua vita sociale ha subìto grossi cambiamenti: quando gli altri sono liberi lui lavora e viceversa. Ma così, insieme alla moglie, può far crescere la loro bellissima bimba.

Ciò che è veramente necessario come elemento comune è la flessibilità, la capacità di “danzare” sugli eventi. Quando viene a mancare una cosa fondamentale, occorre cercare alternative.

Anche per me è stato così: dal 2003 al 2007 ho cambiato 4 lavori, commenta mio marito: “te credo, non te voleva nessuno”! Nel 2003, durante l’ultimo anno universitario ho cominciato a lavorare in una cooperativa socio-sanitaria. Io non pulivo neanche la cameretta mia e dovevo aiutare persone più anziane o inabili, lavarle, interagire… non avevo studiato per questo, ma ho cercato di far tesoro dell’esperienza con una mia cara, anziana zia colpita da un ictus.

Il lavoro successivo è stato “hostess di bordo” su alcuni pullman turistici a Roma, in realtà dovevo staccare i biglietti e cercare di non perdere i soldi, ma m’improvvisavo anche guida turistica.

Poi un terzo, poi un quarto lavoro, ed ogni volta attraverso un passaparola di amici, che mi dicevano di eventualità di cui avevano sentito parlare. In quegli anni ho scoperto in me tanta paura, incapacità, incoscienza… tutto questo mi ha aiutata a crescere in questo lavoro attuale con i ragazzi nella scuola. Oggi, quando mi trovo a parlare ai ragazzi di 3a media del loro lavoro mi sento rispondere: “per noi non ci sarà lavoro”. Allora io rispondo: “se riuscite ad alzare le antenne, a sviluppare la capacità di ragionare, di esprimervi, di tenere duro, di stringere i denti, qui imparate ad inventarvi il lavoro. La mancanza di lavoro potrà mettervi in ginocchio, ma dentro di voi troverete la forza di rialzarvi e aprirvi una strada in questa società”.

In un film che ho sempre amato, Indiana Jones si trova alla fine di una stradina con un precipizio davanti, il tempio che deve raggiungere è oltre il precipizio e si ricorda di un’antica profezia: “con il balzo della fede puoi raggiungere ciò in cui speri ”, lui non capisce il senso di queste parole, ma per salvare il padre è costretto ad allungare il passo verso il precipizio e, inaspettatamente, compare sotto i suoi piedi un pezzo di passerella, allunga l’altra gamba e vede un altro pezzo di passerella, via via fino al tempio. C’è chi crede nella fortuna, chi nella Provvidenza. In ogni caso è necessario che, da parte nostra, c’impegniamo ad allungare la gamba.

Chiara – Giada e Gionata vengono da Cosenza e si sposeranno il mese prossimo.

Giada e Gionata: la crisi come occasione per scelte di semplicità responsabile

Giada – La mia storia, il nostro progetto di vita è legato alla precarietà; anche quando abbiamo comunicato la decisione del matrimonio, tutti tendevano a scoraggiarci: “sono tempi difficili”, “aspettate, aspettate”. La svolta nelle nostre riflessioni è avvenuta quando abbiamo smesso di considerare i soldi che avremmo avuto in tasca e abbiamo riflettuto sul nostro tenore di vita. Quando abbiamo capito che non era necessario avere la seconda macchina, ma un’attenzione nel modo di vestire, di mangiare, abbiamo sentito salire la ricchezza di una sobrietà e il nostro passo è stato più sicuro.

Abbiamo riflettuto con alcuni amici e tutta questa crisi noi non l’avvertiamo, la cogliamo più nelle parole e negli atteggiamenti dei nostri genitori e nell’ansia delle persone più grandi di noi. Forse perché noi siamo cresciuti così…ci siamo iscritti all’università consapevoli che non ci sarebbe stato un impiego lavorativo garantito!

La parola crisi identifica la scelta di fronte ad un pericolo. Questo termine in realtà, in origini, designava una valutazione, un discernimento, quindi di per sé non significa perdita, sconfitta. Noi non siamo in crisi, perché non abbiamo dovuto scegliere niente, ci siamo trovati di fronte a quest’unica realtà, senza passare per il tempo della guerra, del boom economico. Per noi la “crisi” intesa come discernimento, è fare una scelta delle priorità, ad es., più un lavoro sui valori che un lavoro retribuito, una scelta di spese davvero necessarie. A proposito ricordo che quando una nostra amica ha partorito abbiamo pensato: di tutine e giocattoli sarà piena! così come regalo le abbiamo portato dei pannolini…che quelli non sono mai abbastanza!!

Dobbiamo impegnarci a tornare al passato, a quando ci si poteva permettere il superfluo, o darci una mano per vivere il presente?

Se finiamo col pensare che tutto è in crisi rischiamo di congelare la nostra vita.

La responsabilità che voi adulti sentite verso noi giovani, dovrebbe spingervi ad aiutarci a pensare come fare ad arrivare a fine mese con le nostre risorse, in questo nostro tempo. Aiutateci a liberarci da tanti condizionamenti. Molti di noi hanno avuto come maestri non i genitori ma la TV, spingeteci a mettere a fuoco il cuore della famiglia, non solo a spendere il nostro tempo per fare più soldi, ma per far crescere la relazioni.

Gionata – Io da un anno e mezzo lavoro alla posta. Quando mio padre mi ha detto di questa possibilità, io non ero molto favorevole e gli ho risposto: ”lo hai detto a mio fratello che ha 6 anni più di me?”. “Lui non può”.

L’idea di entrare in un mondo lavorativo così serioso mi turbava, però mi rendevo conto che rinunciarci sarebbe stato da folli, anche perché mi tormentava da due anni l’idea di sposarci. Questa poteva essere l’occasione giusta per dire: “sì, possiamo farlo!” Fino a quel momento avevo fatto diversi lavoretti perché ciò che mi pesava era dover chiedere i soldi a mio padre per le uscite il sabato. Ma un progetto di famiglia ha bisogno di più di qualche lavoretto…

Quando ho portato l’invito per il matrimonio, ho incontrato una persona sui 34 anni preoccupata per me: “che è successo? perché è incinta?” “No! Non è incinta!”. E così penso che mia nonna si è sposata a 14 anni e a 15 ha avuto il primo figlio e a noi che sfioriamo i 30, la gente ci guarda preoccupata!!

C’è qualcosa che non va.

Per la nostra esperienza ciò che viviamo di più significativo, è accorgerci della grande ricchezza delle relazioni che abbiamo creato in questi anni, vedere tanti amici capaci di spendere tanto tempo ed energie, per aiutarci a ristrutturare la vecchia casa in cui andremo; tutto questo non ha prezzo. Dovremo organizzare molte cene, per ringraziarli… ma adesso abbiamo una casa dove farle!!!

Giada – Negli ultimi anni è capitato di lavorare senza compensi economici ma le nostre relazioni sono cresciute e queste relazioni hanno anche un “ritorno” economico: noi abbiamo ristrutturato casa davvero con poco!!

Gionata – Perciò sposatevi!!! (se avete buon amici!!)

Chiara – Passiamo a Marco, che abita qui a Torre Angela e che da 27 anni guida una betoniera.

Marco: in cantiere con attenzione a un comportamento etico

Marco – Io ho 47 anni, quindi sono qui come fuori quota per poter parlare di lavoro giovanile. L’attività che svolgo, non è tra le più leggere, la sera non sento l’esigenza di andare in palestra per scaricarmi. Il camionista è un lavoro duro, ma anche lo stress mentale non manca, perché sono un lavoratore autonomo e tutto ricade su di me, le responsabilità del mezzo, l’aspetto normativo, i vari corsi di aggiornamento, l’aspetto economico…

Il lavoro si svolge in tre fasi:

  1. la prima si attua nell’impianto di betonaggio, dove avviene il confezionamento del calcestruzzo. Fatta la miscela, la componente più importante è la quantità d’acqua, che avviene attraverso dei manometri: un controllo di grande responsabilità. Nei cantieri vorrebbero un cemento lento per essere meglio lavorato, ma tu sai che questo non è possibile, perché creerebbe una separazione della miscela ed una tenuta inferiore nel tempo. Qui c’è tutta una lotta tra chi ha stabilito delle norme, il camionista che avrebbe tutti gli interessi per allentare il cemento, il capocantiere, quel poveraccio che deve stendere il cemento… e la tua coscienza. Il cemento si potrebbe fare più fluido con fluidificanti molto costosi che il cantiere non vuole sostenere, quindi? É chi deve stendere quella massa, spesso sotto il sole, che paga quel risparmio della ditta, il tutto, creato dall’assurda catena dei subappalti.
  2. 2. La seconda è rappresentata dalla strada, dal traffico, cosa comune a tutti noi, solo che trasporto 400 quintali e le ore di lavoro sono tante.
  3. La terza fase, quella finale, è il cantiere. Lo scarico non sempre facile, perché spesso si scende su stradine strette e pericolose; quando viene a piovere non si può interrompere il getto e una volta iniziato si deve concludere anche sotto la pioggia, a volte le betoniere affondano, si inclinano in modo pericoloso, insomma l’incidente è sempre in agguato.

A volte il freddo, altre la polvere. Il cantiere è uno dei posti più duri che ci sono e questo mi ricorda ciò che veniva detto una volta: “guarda, se non studi finisci in cantiere”; ecco perché molti oggi vanno all’università. Noi genitori non la usiamo neanche più come spauracchio, non c’è neanche l’ipotesi che nostro figlio faccia un tale lavoro forse perchè spaventa anche a noi. Sono ormai 10-15 anni che vedo solo lavoranti stranieri e devo dire che hanno una grande manualità ed una grande versatilità, ad esempio la capacità di riparare attrezzature e macchine. Io mi accorgo che i miei figli, anche a casa mia, non sanno fare nulla, l’altro giorno, mentre cambiavo una lampadina, mio figlio mi ha detto: “fermo, fermo, voglio vedere”, “vedere cosa?”, “voglio capire come si cambia” ed ho pensato: “qui siamo messi proprio male”.

Ho visto tanti incidenti, alcuni mortali, perché il cantiere è un luogo davvero pericoloso; devi stare proprio attento a come ti muovi, anche se a volte il getto avviene dopo aver aspettato tutta la giornata, solo dopo che sono andati via quelli che controllano, proprio per eludere le norme sulla sicurezza.

Finito lo scarico c’è da ripulire la betoniera, in alcuni punti anche con la mazzetta e lo scalpello. È li penso che il lavoro degli scultori è davvero faticoso e ringrazio quello che ha inventato le cuffie di protezione, perché la dentro la botte sembra di essere dentro una campana, per fortuna non dobbiamo farlo spesso.

Quando torni al parcheggio, hai la manutenzione del mezzo ma la giornata non finisce li, ma magari dopo cena a fare due conti per curare la parte amministrativa e le scadenze, l’aspetto normativo sta diventando proprio un incubo, continuamente norme nuove, nuovi corsi obbligati.

Io ero del WWF, ho iniziato questo lavoro perché era quello di mio padre e l’ho iniziato con conflitti interni. Nel corso degli anni mi sono accorto che si può svolgere questo lavoro rispettando l’ambiente, ed ho lavorato anche ai depuratori, alla metro, agli ospedali, all’università. Quello che ho imparato è lavorare nelle regole, ai costi giusti e non fare concorrenza spietata; c’è tutto un mondo che lavora senza regole e che ci toglie cantieri. In questi ultimi anni il settore dell’edilizia al quale siamo connessi vive una profonda crisi, molti colleghi sono falliti e la differenza tra loro e un lavoratore dipendente è che mentre quest’ultimo può usufruire anche se per un po’ della cassa integrazione, l’autonomo oltre a perdere il lavoro, chiude con i debiti. Anche io vivo al momento una situazione difficile perché ho il leasing da pagare 1500 euro al mese per un totale di 140000. Fino a qualche anno fa tutti questi sacrifici erano compensati da un ritorno economico che non ti faceva arricchire, ma dava oltre ad un normale stipendio qualcosa in più che alla fine serviva appena a coprire il famoso rischio d’impresa, come incidenti o rotture del mezzo che poi immancabilmente arrivavano. Ad oggi tale rischio si estende anche a una semplice partita a calcetto perché con la febbre si può anche lavorare, ma con una distorsione alla caviglia no. Uno dei fattori positivi di questa attività, sono le relazioni umane tra noi trasportatori, che sono molto vivaci è fatte certo da momenti di tensione, ma anche e soprattutto di vera solidarietà. Infine volevo solo aggiungere che, come i pescatori o gli agricoltori di un tempo, anche noi ogni mattina abbiamo più di un motivo di guardare al cielo, e non solo per vedere se è nuvoloso o se c’è il sole, ma perché è proprio nei momenti cosi difficili che scopri se la fede la Speranza con la s maiuscola se le cose in cui hai sempre creduto di “credere”, condiviso e magari anche consigliato ad amici, o ruminato da un brano del vangelo, sono solo una ciambella di salvataggio bucata che non ti serve a niente mentre stai affogando, oppure invece, qualcosa di solido su cui poggiarsi, insomma nel mio caso posso dire che questa “ciambella sta funzionando” è bello scoprire che, anche l’aspetto spirituale che hai sempre coltivato è fondamentale per andare avanti in queste circostanze, insieme all’irrinunciabile ricchezza della solidarietà umana.

Chiara – Tiziana viene da Cagli nelle Marche, ma è di nascita di Lanciano in Abruzzo, lavora in ospedale e ci parlerà di ciò che deve affrontare per lavorare con la sua disabilità.

Tiziana: difficoltà e ricchezze di entrare in ospedale come medico con disabilità

Tiziana – Marco, mentre raccontavi la tua storia ho rivisto la storia di mio fratello, anche lui camionista. Prima di cominciare voglio ringraziarvi per avermi dato la possibilità di partecipare a questo incontro davvero stupendo con tutti voi.

Da circa 7 anni vivo a Cagli, un paese di 10.000 anime in provincia di Pesaro-Urbino, lavoro in un piccolo ospedale che, purtroppo, come tutti i piccoli ospedali sembra prossimo alla chiusura o alla riconversione. Faccio il medico e sono arrivata lì un po’ fortuitamente; infatti vi parlo da lavoratrice e medico, ma anche da paziente, perché, come vedete sono su una carrozzina. Da circa 10 anni infatti sono affetta da sclerosi multipla, che è una malattia che colpisce il sistema nervoso e che danneggia il rivestimento dei nostri nervi e a lungo andare può compromettere le funzioni del nostro corpo: dal camminare, al parlare, al vedere, all’udire, un po’ di tutto. Mi sono ammalata nel 2003 e fino ad allora la mia vita era quella di una qualunque 28enne con tutti i suoi sogni, i suoi progetti da realizzare, una vita piena di impegni. Tanto da fare, poco tempo per pensare, perché frequentavo la specializzazione, quindi l’ospedale, facevo catechismo in parrocchia, volontariato in ospedale, avevo tanti amici, tanti impegni, anche un fidanzato con cui facevamo progetti di matrimonio e di figli. Quando la mattina di quel 10 novembre 2003 mi sono svegliata subito mi son resa conto che qualcosa in me era cambiato, improvvisamente avevo perso la sensibilità della metà sinistra del mio corpo ed erano compromessi anche la forza della gamba e del braccio di sinistra. C’è voluto poco a fare la diagnosi di sclerosi multipla ed in pochi giorni ho capito che la mia vita, che fino ad allora sembrava tutta ben incanalata e precisa, avrebbe subito un vero cambiamento di rotta. Tale diagnosi è stata certamente un fulmine a ciel sereno, perché si tratta di una patologia imprevedibile, a volte può essere benigna, a volte estremamente cattiva. Nei mesi successivi alla manifestazione della malattia io sono molto cambiata, fisicamente perché la malattia si è presentata all’inizio molto aggressiva, ma anche psicologicamente. Dacché avevo tutte le mie certezze, mi sono trovata a dover rivedere ogni aspetto della mia vita. In primis è crollata la mia storia d’amore con il mio fidanzato, il nostro legame ha mostrato la sua fragilità; Giada e Gionata, mi è piaciuta molto la vostra storia, perché è segno di una grande solidità, mentre il nostro rapporto ha rivelato proprio nel momento della mia malattia tutta la sua precarietà; la nostra storia è finita di comune accordo, con pace di entrambi.

Nel 2005 mi sono specializzata in medicina interna; la specializzazione prevede un tirocinio in ospedale e una piccola retribuzione; quando finisce però si riparte da zero. Devi cercarti una nuova occupazione. Utilizzavo già la stampella e la carrozzina per i tratti più lunghi, per cui ero cosciente che per me non sarebbe stato facile trovare un’occupazione in un mondo del lavoro così spietato e concorrenziale, anche perché di lavoro non ce n’è tanto, siamo in un momento particolarmente difficile. Quando ci si specializza le prime occupazioni sono quasi sempre al pronto soccorso o in guardia medica. Io ho inviato il curriculum a molti pronto soccorso ma quando spiegavo la mia malattia tutti mi rispondevano: “lascia stare, la tua malattia non è compatibile con questo lavoro”; la guardia medica non l’ho neanche presa in considerazione perché devi andare a domicilio del paziente e quello magari ha tre rampe di scale che chiaramente non sarei stata in grado di fare. La cosa più dolorosa è stato il colloquio in una clinica privata; l’amministrativo che ho incontrato mi ha detto: “ma come pensa di fare un colloquio di lavoro, lei che sta in quelle condizioni?”. Io gli ho risposto: “Per fare il medico penso che serva la testa, non tanto le gambe”, mi rispose in malo modo che non era proprio il caso, sbattendomi la porta in faccia. Faccio notare che qualche anno dopo quella clinica però è fallita ed ha fatto fallire la sanità abruzzese.

Nell’aprile 2006 ho fatto una domanda per un incarico in medicina presso l’Azienda di Urbino, ma quando ho visto la graduatoria che ero ottava di otto ho pensato che non sarei mai stata chiamata; invece a giugno mi hanno telefonato da Cagli che fa parte dell’azienda di Urbino. Al medico che mi convocava per telefono dissi che avevo la sclerosi multipla e la telefonata finì: “va bene ci risentiamo”; dopo qualche giorno mi ha richiamata dicendomi: “vieni a provare”. Dopo alcuni mesi questo mio collega mi ha rivelato che dopo la prima telefonata aveva provato a richiamare le sette persone che mi precedevano in graduatoria ma per fortuna nessuna ha accettato. Sono arrivata con un pizzico di fortuna, anche se io preferisco chiamarla Provvidenza. Giunta a Cagli hanno capito che avevo voglia di lavorare, che non avrei approfittato della mia situazione, l’unica limitazione infatti erano i turni di notte, per il resto facevo quello che facevano tutti gli altri. Ho trovato un ambiente accogliente, solidale, non solo tra i medici, ma anche tra gli infermieri, tutti; io mi muovevo con le stampelle, con una certa difficoltà e loro mi venivano incontro in tutti i modi. Ho trovato anche un’ubicazione adeguata, un residence a conduzione famigliare e lì mi hanno accolta come una seconda figlia, unica grossa difficoltà è stato il vecchio primario che, con gioia di tutti, è andato in pensione dopo pochi mesi. Nel 2008 è arrivato il nuovo primario, Benedetti di nome e di fatto, un uomo notevole, sia umanamente, che professionalmente. In questi anni non sono mancate comunque le difficoltà perché la mia malattia è fatta di ricadute, e di periodi di miglioramento… Nel 2007 ho avuto una ricaduta e da allora sono costretta a spostarmi in reparto con una carrozzina elettronica, all’inizio un po’ avversata, oggi benedetta tanto che penso che se l’avessi accettata prima mi sarei risparmiata tanta fatica. Ho avuto in questi anni momenti molto difficili, ma anche grazie all’aiuto della mia famiglia, che mi ha sempre sostenuta ed incoraggiata, sono riuscita sempre a rialzarmi. Quando sono partita la prima volta da Lanciano per Cagli, ho fatto una vera e propria scommessa con la mia malattia, con me stessa, anche perché per la prima volta andavo lontana da casa, 300km, a vivere da sola, lontana dai miei affetti, con l’imprevedibilità della sclerosi multipla. Posso dire di aver fatto bene. Le difficoltà non mancano e ultimamente il lavoro ha mostrato la sua fragilità, lì dove c’era solidarietà e complicità, oggi emerge a volte meschinità.

In questi anni ho vinto un concorso, per cui sono diventata di ruolo, ma le condizioni della mia salute sono cambiate, mi sono stati imposti esoneri per le reperibilità e in questi tempi di forti riduzioni nei bilanci sanitari e quindi di riduzione del personale, tutto ciò ha comportato per i miei compagni di lavoro un carico a volte eccessivo, in parte legato anche alla mia situazione; io cerco di compensare in altri campi, ma ciò che non posso non posso. Tutto questo ha comportato per me, in questi ultimi mesi, tensione e disagio.

Quello che vorrei però raccontarvi adesso è ciò che mi ha dato la malattia, perché se mi ha tolto le gambe e qualcos’altro, la sclerosi multipla è stata per me anche un’opportunità; mi accorgo di essere una persona più riflessiva; con questa malattia sono al tempo stesso medico e paziente e mi rendo conto che riesco meglio a capire cosa si prova quando sei dall’altra parte della barricata, quando ti trovi in un letto d’ospedale, quando guardi il volto del medico per captare qualcosa della sua espressione; mi ha dato l’opportunità di essere più in sintonia con i pazienti. Finito il lavoro ora ho molto tempo per stare sola con me stessa, per riflettere, per pregare, per coltivare al telefono amicizie preziosissime. La malattia non la si sceglie, è venuta da sola, cerchiamo di coglierne i lati positivi; per me è stata motivo di crescita anche con gli altri e nel mio lavoro, che io penso come missione. Spero che per tutti si possano schiudere le porte del mondo del lavoro, ma lavoro che possa piacere, far crescere.

Io sono abbastanza serena, anche se in questo momento sto andando incontro a grossi cambiamenti; ma i cambiamenti non ci devono spaventare, ma coglierli come il dispiegarsi di realtà nuove ed importanti. Grazie a tutti per l’ascolto.

Chiara – A questo punto ci sarebbe dovuto essere Mohammed, un ragazzo afgano, che è passato stamattina, ma è dovuto andare via. Posso raccontare brevemente la sua esperienza.

Mohammed è scappato dal suo paese a 14 anni per non essere arruolato a forza dai talebani, ha lavorato in Pakistan nei tappeti, poi in Iran ha lavorato per molti anni e quando i controlli sono stati più stretti, non avendo il permesso di soggiorno è scappato in Turchia, in un viaggio molto pericoloso a rischio continuo di essere presi e ammazzati. Ha lavorato in Turchia per potersi pagare il viaggio in Grecia, è stato respinto 8 volte e 8 volte ha dovuto ricominciare a mettere da parte i soldi per ritentare, 3 volte è stato arrestato e messo in prigione. In Grecia è stato accolto da un falegname e dai compagni di lavoro, dove ha portato anche compagni afgani, fino a quando ha deciso di venire in Italia. Giunto a Bari si è nascosto sotto il telaio di un Tir, e in una giornata piovosa ha effettuato il viaggio. Dopo molte ore si accorgeva di non aver più le forze e, con un sasso che aveva in tasca, ha cominciato a battere. Il camionista ha sentito e giunto ad un autogrill si è fermato, ma nel frattempo aveva avvisato la polizia e mentre camionista e poliziotti perlustravano l’intorno del Tir, lui da sotto si è dileguato. Un pastore lo ha rifocillato, rivestito e indicato la direzione per la ferrovia. Finalmente è giunto a Roma dove un migrante africano lo ha indirizzato ad un centro di accoglienza per rifugiati politici dove otterrà un permesso di soggiorno.

Mentre Mohammed raccontava la sua storia è stato notevole vedere il sorriso che lo accompagnava e come sottolineava la solidarietà ricevuta.

La situazione di lavori si sta chiudendo anche per i migranti, anche i lavori più malpagati; c’è gente che dopo 20 anni di lavoro in Italia, deve migrare in Germania o tornare al propri paese; pensiamo che significa per un migrante dover ricominciare in un nuovo paese, una nuova lingua, una nuova solitudine…

Lorenzo – Ascolteremo ora una breve lettera che ha scritto il sindaco di Lampedusa

Storia di Mohammed e lettera Giusi Nicolini sindaco di Lampedusa

La nostra lettera era già in stampa quando abbiamo potuto ascoltare l’omelia di Papa Francesco a Lampedusa, ne abbiamo avuta una forte emozione, era da molti anni che non ci sentivamo così in sintonia col nostro vescovo, per chi non avesse avuto modo di ascoltarla segnaliamo questo link http://www.youtube.com/watch?v=G73j4LuiiAo

CIMITERO AFFOLLATO A LAMPEDUSA

Giusi NICOLINI

Sono il nuovo Sindaco delle isole di Lampedusa e di Linosa. Eletta a maggio, al 3 di novembre mi sono stati consegnati già 21 cadaveri di persone annegate mentre tentavano di raggiungere Lampedusa e questa per me è una cosa insopportabile. Per Lampedusa è un enorme fardello di dolore. Abbiamo dovuto chiedere aiuto attraverso la Prefettura ai Sindaci della provincia per poter dare una dignitosa sepoltura alle ultime 11 salme, perché il Comune non aveva più loculi disponibili. Ne faremo altri, ma rivolgo a tutti una domanda: quanto deve essere grande il cimitero della mia isola? Non riesco a comprendere come una simile tragedia possa essere considerata normale, come si possa rimuovere dalla vita quotidiana l’idea, per esempio, che 11 persone, tra cui 8 giovanissime donne e due ragazzini di 11 e 13 anni, possano morire tutti insieme, durante un viaggio che avrebbe dovuto essere per loro l’inizio di una nuova vita. Ne sono stati salvati 76 ma erano in 115, il numero dei morti è sempre di gran lunga superiore al numero dei corpi che il mare restituisce.

Sono indignata dall’assuefazione che sembra avere contagiato tutti, sono scandalizzata dal silenzio dell’Europa che ha appena ricevuto il Nobel della Pace e che tace di fronte ad una strage che ha i numeri di una vera e propria guerra. Sono sempre più convinta che la politica europea sull’immigrazione consideri questo tributo di vite umane un modo per calmierare i flussi, se non un deterrente.

Ma se per queste persone il viaggio sui barconi è tuttora l’unica possibilità di sperare, io credo che la loro morte in mare debba essere per l’Europa motivo di vergogna e disonore.

In tutta questa tristissima pagina di storia che stiamo tutti scrivendo, l’unico motivo di orgoglio ce lo offrono quotidianamente gli uomini dello Stato italiano che salvano vite umane a 140 miglia da Lampedusa, mentre chi era a sole 30 miglia dai naufraghi, come è successo sabato scorso, ed avrebbe dovuto accorrere con le velocissime motovedette che il nostro precedente governo ha regalato a Gheddafi, ha invece ignorato la loro richiesta di aiuto.

Quelle motovedette vengono però efficacemente utilizzate per sequestrare i nostri pescherecci, anche quando pescano al di fuori delle acque territoriali libiche. Tutti devono sapere che è Lampedusa, con i suoi abitanti, con le forze preposte al soccorso e all’accoglienza, che dà dignità di esseri umane a queste persone, che dà dignità al nostro Paese e all’Europa intera.

Allora, se questi morti sono soltanto nostri, allora io voglio ricevere i telegrammi di condoglianze dopo ogni annegato che mi viene consegnato. Come se avesse la pelle bianca, come se fosse un figlio nostro annegato durante una vacanza.

Lorenzo – Questa donna è sindaco, mi pare, da poco più di un anno.

Perché mi pareva importante leggere questa lettera? Questa mattina da più parti si è ripetuto che il problema sul lavoro lo si potrà affrontare nel modo giusto non inseguendo conquiste del passato, ma mettendo a fuoco i valori da far emergere dal nostro lavoro; siamo chiamati a mettere non tanto quello che il mercato c’impone, ma quelli che sono i reali valori della vita, della persona umana. L’esempio di questa donna ci mostra come affrontare la vita ed il lavoro, sapendo risvegliare la propria coscienza e quella altrui. Se invece dei tanti telegiornali di morte, venisse raccontata la ricchezza di tante donne e uomini, che stanno costruendo, come questa donna qui, potremmo risvegliare dal fondo del cuore di molti la parte migliore, un risveglio capace di interagire con la profondità degli altri.

Luigi – Vorrei intervenire su questa lettera, legata al programma della ripresa del lavoro se si riprende la crescita dei consumi. Non dobbiamo farci incastrare da chi ci spinge a consumare di più per creare più posti di lavoro. Dobbiamo preoccuparci perché il nostro lavoro sia giustamente retribuito, ma ancor più perché il nostro sia un lavoro giusto, utile, quello che fa Tiziana in ospedale, quello che cerchiamo di fare ognuno di noi nella nostra vita, seduti al volante di una betoniera o in qualunque altro posto. Lavorare di più, far crescere il mercato, non fa crescere il paese, ma dare un senso profondo a quello che facciamo, altrimenti c’infiliamo in un vortice senza senso. Se riusciamo a creare lavori più dignitosi, la stabilità o la migrazione ne saranno una conseguenza; la gente non deve muoversi o scappare a causa di un mercato sempre più esigente, ma poter seguire una sua dignità; forse non è alla nostra portata di creare ricchezza, ma dignità sì, diminuendo le nostre esigenze personali e aumentando la ridistribuzione generale.

Alberto La Porta – Sono rimasto molto colpito dalle testimonianze che sono state date, colpito e commosso.

Quando il popolo ebreo è scappato dall’Egitto, il mar Rosso si è aperto non prima che il popolo entrasse tra le acque, ma quando il primo ha osato fare il primo passo, le acque si sono ritirate. Questa metafora mi ricorda quello che diceva Carniti stamattina: questa è la speranza che possiamo costruire noi. Nell’associazione Polverari di cui alcuni di noi fanno parte, associazione che permette l’alloggio di alcuni studenti universitari fuori sede, riducendo al minimo le loro spese, noi ci poniamo il problema di come far emergere da questi ragazzi i valori vitali, saper passare da uno studio e un lavoro personale, ad uno studio e lavoro più ampio.

Dovremmo essere capaci di mettere a fuoco questi valori e contemporaneamente dare a questi valori uno sguardo politico, cioè al di là del singolo, ciò che riguarda tutti; una responsabilità comune del territorio, della collettività.

Un tema da approfondire come gruppo, è quello dell’altra economia, puntare a consumare meno, ma soprattutto consumi diversi, il bien viveur, questi valori che sono stati enunciati vanno messi in un’economia altra; non valori aggiunti all’economia, ma valori dentro una nuova economia.

Gianfranco Desidero presentarvi brevemente il campo scuola che si terrà la prima settimana di settembre di quest’anno a Cetraro Marina, in Calabria, sul tema: “confini, identità, accoglienza”. Il significato del campo è questo: rompere tanti confini e barriere e vincere tante separatezze, nella prospettiva di consolidare nuove identità sociali fondate sull’accoglienza reciproca. Lo stesso tema del lavoro, infatti, va ripensato in chiave relazionale, di accoglienza tra le persone, anziché di asservimento. È necessario che si facciano parlare le esperienze innovative, avendo il coraggio di metterle in rete, esperienze di nuove relazioni di comunità capaci di dare senso nuovo alla famiglia, alla formazione scolastica, al lavoro, alla vita ecclesiale, al tempo libero. A Cetraro ci ritroveremo tra gruppi del Sud che provano a ritessere legami fraterni tra la gente delle periferie più degradate delle città meridionali. Un esempio tra altri: il Rione Sanità a Napoli, ove alcune associazioni operano in rete, coordinate e sostenute da Sr. Lucia, una suora barese settantenne che vive la sua missione sulla strada. Il loro impegno volontario si gioca nel restituire cittadinanza a scuola a bambini e ragazzi altrimenti destinati ad alimentare le fila della camorra; nel permettere a tanti immigrati che popolano il rione di imparare ad esprimersi correttamente nella lingua italiana e costruirsi una prospettiva migliore rispetto al lavoro ultraprecario di oggi; nel provare a rifondare uno spazio interculturale dai tanti colori tra persone e famiglie che sognano una nuova Napoli accogliente e solidale.

Come rete sociale “Bambini, ragazzi e famiglie al sud” siamo partiti, venti anni fa, da un impegno condiviso sul terreno dell’affidamento familiare, mentre in anni più recenti ci ritroviamo, nei nostri campi scuola estivi, a sostenerci reciprocamente nel tentativo di sperimentare relazioni di vicinanza di segno fraterno, a partire da coloro che più duramente soffrono l’esclusione sociale, ponendo alla base del nostro impegno la maturazione di una autentica coscienza politica.

Siamo convinti che l’operare in rete ci permetta di ampliare il respiro delle esperienze di vita comunitaria che tentiamo in tanti piccoli laboratori quotidiani, di vincere resistenze e paure, di misurarci con coraggio con nodi assai duri da sciogliere come quello del lavoro.

Nota di servizio: anche questa lettera è stata spedita al nostro indirizzario. Chi si trovi inserito senza desiderarlo ci scusi, basta una comunicazione e provvederemo a cancellare l’indirizzo. Chi invece viene a conoscenza di questa lettera e vuole riceverla ce lo faccia sapere. Come sempre sono gradite segnalazioni di indirizzi di persone interessate.

Come sapete non prevediamo un abbonamento per ricevere questa nostra lettera in modo da non limitarne la diffusione, le spese di stampa e di spedizione infatti sono contenute. Ogni partecipazione a queste spese sarà comunque gradita, il nostro Conto Corrente Postale è il 45238177 intestato a Francesco Battista