Lettera 27 (Prima Serie)

 

Cari amici,

eccoci al nuovo anno, con tante speranze in cuore e con tanti problemi aperti, che attendono da tutti noi un impegno rinnovato ed un atteggiamento chiaro e deciso, per essere risolti.

Fra essi, c’è quello dei baraccati: è un male vecchio cui abbiamo finito per abituarci, come le malattie croniche.

Eppure il problema, in tutta la sua gravità, continua ad attendere una soluzione. E, vorremmo aggiungere, non una soluzione qualsiasi, perché i baraccati sono persone e non una merce accatastata all’aperto che attenda di essere immagazzinata.

Abbiamo la netta sensazione che ci si dimentichi delle loro esigenze di persone e che si creda di aver risolto tutto assegnando una casa. A parte il fatto che neppure questo obiettivo appare oggi scontato! Quello che di certo c’è, ed è triste doverlo constatare, è la speculazione sulle case dei baraccati. Speculazione sui dati statistici, cui partecipano forze politiche ed organi di stampa; speculazione sugli acquisti di immobili, col risultato di assegnare le case peggiori, pagandole a prezzi eccessivi; speculazione sulle assegnazioni, di cui finiscono per beneficiare anche non-baraccati; speculazione sulle occupazioni che spesso servono ad assicurare spazi elettorali, lasciando i baraccati nella delusione.

Tutto questo grida alla nostra coscienza e ci chiama in causa. In questo momento c’è sul tappeto il problema delle case e di esso dobbiamo occuparci. Poi si porranno i problemi, ancora più gravi, dell’inserimento di tante persone in un ambiente nuovo, con tante necessità cui far fronte e con tanto bisogno di non rimanere isolati, di sentirsi popolo, di trovare un dialogo. Di questo ci dovremo occupare in seguito, cercando di dare una risposta a tante attese.

Vi salutiamo fraternamente

Gli amici de “ la tenda”

 

I Baraccati Sono Anche Persone

Il dibattito in Campidoglio sul problema delle case ai baraccati e gli scontri tra questi e la polizia in via Carpineto ed a Pietralata per l’occupazione abusiva di case libere hanno riproposto negli ultimi giorni dell’anno, anche all’attenzione della stampa, il problema della assegnazione delle case ai baraccati di Roma. Non ci si meraviglia che non sia stata data una versione unica dei due fatti, perché questo è normale; meno chiara è invece la ragione per cui neppure sui dati statistici, circa la consistenza del fenomeno che li ha prodotti, cioè sul numero delle famiglie che attualmente abita in baracche o in case malsane, esiste una qualche convergenza.

“L’assessore Bubbico – riferisce il Tempo di Roma del 6/12/71 – ha constatato che attualmente le famiglie “baraccate” sono dalle 15 alle 20 mila, cui bisogna aggiungere gli abitanti in case malsane. Ad una parte di queste l’Amministrazione ha già dato alloggio , ma permangono almeno 5 mila casi per i quali urge una sistemazione entro breve tempo.”

Per il Messaggero del 4/12/71 “ da un censimento recentissimo risulterebbe che a Roma vivono in baracche o in abitazioni malsane e precarie circa 8.500 famiglie per un totale di 38 mila persone”. Nello stesso articolo si legge che il Comune “è ora in grado di dare una qualche concreta assicurazione per 3723 alloggi in via di reperimento sul mercato romano”.

“ Le famiglie romane che abitano in baracche o in stabili fatiscenti sono 7513”, lo afferma il Messaggero del 14/12/71 e riferisce che “ il censimento dei baraccati è stato fatto nella notte del 23 –24 novembre da 214 vigili urbani”. “ Il numero più massiccio di famiglie che vivono in baracche – prosegue il giornale – si trova ad Acilia, Ostia, Fregene, Fiumicino, dove sono 1284, ed al Borghetto Prenestino, Borghetto Gordiani, Borghetto Malabarba, Acquedotto Alessandrino, Torrione, Via Casilina, Via Labico, dove sono 1237”. Come si vede i dati sono ancora piuttosto vaghi. Il Messaggero riferisce inoltre della destinazione, da parte del comune, di 117 miliardi per la soluzione del problema: 90 serviranno per l’acquisto immediato di 6.000 alloggi e 27 miliardi per la costruzione di case popolari.

Sempre il Messaggero del 22/12/71, riferendo del dibattito sulla casa in seno al Consiglio Comunale, afferma che l’ assessore all’edilizia, Mauro Bubbico, ha annunciato che l’Amministrazione civica stava esaminando l’acquisto di oltre 4.000 alloggi, mille dei quali sarebbero stati consegnati entro gennaio.

Da questa breve rassegna si ha un’idea, anche se approssimativa, sulla diversità dei dati che si riferiscono alla consistenza numerica delle famiglie di baraccati e degli impegni che il Comune prende per la soluzione del problema.

Quando si può scavare un po’ più a fondo, magari in una sola direzione, emergono delle indicazioni che a dir poco lasciano perplessi. Prendiamo il Borghetto Predestino: secondo i dati del censimento esisterebbero in questo agglomerato 953 famiglie di baraccati (907 della V circoscrizione e 46 della VI ), mentre secondo le rilevazioni del Comitato del Borghetto Prenestino sarebbero al massimo 700 , ed il numero è ulteriormente diminuito negli ultimissimo tempi. Una svista di 250 famiglie sembra francamente impossibile. Ma questo, in attesa di altre segnalazioni, resta un caso isolato.

Sebbene lentamente, le assegnazioni continuano e l’aumento del numero delle famiglie che abitano in baracche, vero o presunto che sia, rende difficile qualsiasi ipotesi di soluzione del problema. Questo aumento potrebbe attribuirsi ad iniziative di quelle famiglie che, certe di essere prossime all’assegnazione dell’alloggio, chiamano altre famiglie da fuori Roma, per farle subentrare, dopo un periodo di convivenza, nelle baracche e quindi nella posizione di attesa dell’assegnazione.Il Comune non sembra però intenzionato ad agire concretamente per scoraggiare tali prassi; c’è anzi il sospetto che la fuga di notizie circa le assegnazioni sia voluta, da parte di taluni, per mantenere la situazione immutata, nonostante gli sforzi finanziari per sanarla. Il caso del Borghetto Prenestino farebbe pensare ad un rigonfiamento artificioso del numero dei baraccati,

fatto con l’esplicito assenso delle autorità, per evidenti fini di potere e di sottogoverno.

Ammesso che l’Amministrazione comunale sia estranea a questo gioco di numeri, essa si dovrebbe far carico di ostacolare tali procedure in atto, che oltretutto sono contrarie alla giustizia ad al rispetto dei diritti degli altri. E’ chiaro infatti che della furbizia e dell’iniziativa di alcuni fanno le spese, come al solito, i più sprovveduti ed i più deboli.

La questione assume però un altro aspetto, ben più grave, se si considera l’ipotesi della presenza di precisi interessi speculativi che sono favorevoli ad un prolungarsi, magari all’infinito, del fenomeno. La speculazione non si limita solo a quella edilizia (un campo dove ha già mietuto in abbondanza ), ma assume colorazioni politiche altrettanto chiare e dannose.

L’attesa delle case e la successiva assegnazione, su cui fanno conto sia i partiti che amministrano che quelli dell’opposizione, sono uno strumento notevole per creare o rafforzare una base elettorale; per l’opposizione il mantenimento di una situazione precaria per migliaia di famiglie, quando si riesce a far credere di agire con ogni possibile mezzo per soddisfare le legittime aspirazioni, è una prospettiva piuttosto allettante. Così pure procedimenti di assegnazione su cui gravi il sospetto di disordine o di inefficienza, cioè conseguenza di una politica sbagliata, favoriscono le accuse di corruzione e di malgoverno rivolte alle autorità. L’abilità della politica delle opposizioni di sinistra è consistita anche nel garantire un qualificato appoggio di gruppi cattolici alla contestazione, certo non sempre immotivata, delle posizioni della maggioranza.

Un’azione caratteristica dell’opposizione è stata ed è quella di favorire ovunque possibile le occupazioni di appartamenti sfitti da parte dei baraccati: questa è stata a nostro avviso una lotta importante perché era probabilmente l’unico strumento adatto a sensibilizzare l’opinione pubblica ed i responsabili amministrativi della città. Al momento attuale viene invece a configurarsi come un’azione puramente di disturbo, perché intralcia oggettivamente l’azione che viene condotta dagli amministratori, si avvale della presenza di gruppi di non baraccati e quindi di non eventi diritto, svaluta infine tutta l’azione della pubblica amministrazione, anche per quel tanto che sta conducendo per la soluzione del problema. La soluzione che si prospetta con l’occupazione non è certo quella corretta, perché, lasciando da parte qualsiasi considerazione sul diritto di proprietà che può anche essere contestato nella particolare situazione, si compie un atto che, da qualsiasi giudice interpretato, in un sistema di giustizia per molti versi classista, non può considerarsi altro che contrario alla legge e, come tale, non può che essere annullato, con grave danno e delusione dei baraccati.

La soluzione va invece trovata con un sistema corretto e solo in questo modo sarà umanizzante. Per ora nulla di più lontano da tale logica: si assegnano case alla Magliana,

acquistate dal Comune per premiare la speculazione edilizia, sebbene non abbiano il permesso di abitabilità, perché al di sotto del livello del Tevere, o, anche se lo hanno, è stato concesso in spregio alle norme urbanistiche, perché tutto il quartiere è costruito contro le indicazioni del piano particolareggiato. E, dal momento che non hanno l’abitabilità, il Comune non ha potuto provvedere neppure all’illuminazione stradale:

di notte quindi tutti al buio, come nelle baracche.

Gli acquisti di Ostia premiano la speculazione di marca DC, quelli che si stanno trattando con il costruttore Marchini (1) sono di segno opposto: premiano la speculazione di marca PCI. Il prodotto non cambia, mentre si può intravedere quale rete di interessi e di collusioni legano governo ed opposizione, in una spartizione calibrata dei favoritismi agli speculatori e di potenziamento delle rispettive basi elettorali.

Il disegna risulta abbastanza chiaro ed il gioco delle parti consente agli uni di esercitare il proprio potere e di accrescerlo, agli altri di svolgere con onore il ruolo di opposizione, gestire potere e sottogoverno con uguali criteri, disporre di una base elettorale solida, che si alimenta con lo scontento e con le accuse di inefficienza rivolta agli avversari tradizionali della giostra.

L’assegnazione delle case, comunque, quando viene effettuata, non risponde a nessuna preoccupazione di umanizzazione: non esiste alcun riguardo per il modo in cui i baraccati sono trasferiti, né per il luogo dove andranno a stare; cioè non si prepara in alcun modo un inserimento nell’ambiente nuovo, spesso ostile, e che il più delle volte risulta traumatizzante per i nuovi arrivati.

A questo punto ci sembra opportuno suggerire dei semplici criteri per favorire una assegnazione ordinata degli alloggi: una domanda con lo stato di famiglia ed il certificato di residenza, la vidimazione dell’ufficio delle imposte, l’accertamento presso il catasto ( quest’ultimo per evitare che si assegnino case a chi già è proprietario ).

Il Comune ufficialmente già richiede la domanda, corredata dai documenti dello stato civile e del certificato di reddito, mentre per facilitare i baraccati , tutt’altro che esperti di pratiche burocratiche, tutti i documenti potrebbero essere reperiti d’ufficio dal Comune, per convalidare le semplici domande di assegnazione presentate dagli interessati. Ma questo presuppone una agilità ed una fantasia, da parte degli amministratori, che è utopia sperare.

Di fatto però alcuni gruppi collegati alla sinistra, ufficiale e non, non esclusi responsabili politici ed amministrativi, invitano espressamente a non presentare domande o a non corredarle con i necessari documenti, invece di svolgere una azione quanto mai opportuna di informazione e di sensibilizzazione nel giusto verso. Lo scopo di favorire la confusione ed il malcontento rientra nel quadro che precedentemente si è tentato di delineare.

Il Comune, inoltre, potrebbe fare qualcosa di estremamente utile anche sul piano della mera assistenza, servendosi soprattutto degli assistenti sociali, che si potrebbero far carico di facilitare l’operazione “umanizzante” dell’assegnazione ed indirizzare i baraccati in tutte quelle necessità pratiche che si presentano all’atto del cambio di residenza.

L’azione di bonifica delle abitazioni malsane e dei tuguri andrebbe fatta per blocchi, con la distruzione immediata dei servizi: acqua, luce, gas, telefono. Non tutti i problemi verrebbero risolti, certamente, ma potrebbe essere un buon avvio: resterebbe ad esempio immutato il problema degli anziani, per cui devono essere trovate soluzioni idonee – che, ci rendiamo conto, dovrebbero collocarsi in un quadro ben più ampio di politica sociale – dal momento che, naturalmente, la soluzione del ricovero, già possibile attualmente, non è proponibile.

Un’ultima proposta infine riguarda la possibilità che avrebbe il Comune di assegnare brevi-manu somme di denaro a chi, abitando in baracca, rinuncia all’assegnazione, preferendo attrezzare o completare per proprio conto case fuori città o in zone più favorevoli. In certi casi il Comune potrebbe cavarsela con somme che variano tra le 500 mila lire ed un milione, senz’altro al di sotto delle cifre necessarie per acquistare un appartamento; in tal modo si svuoterebbe anche il commercio di case – baracche, che attualmente vengono quotate dalle 300 alle 500 mila lire l’una.

Queste restano delle semplici proposte, ma non è detto che ci si debba limitare ad una attesa messianica di un cambio di indirizzo da parte dell’amministrazione o di una politica coerente ed efficace da parte delle opposizioni: resta, a nostro avviso, un’arma ancora valida ed è quella della denuncia alla magistratura nei confronti dell’Amministrazione comunale, per tutti quei casi di sperpero di denaro pubblico (assegnazioni di case inabitabili, acquistate per premio dagli speculatori); per i falsi nelle rilevazioni statistiche, allo scopo di ottenere maggiori finanziamenti e disporre quindi di un margine di alloggi per favorire chi non ha diritto; per l’assegnazione di case secondo criteri clientelari e di sottogoverno.

Il pretore sta indagando già sulle case della Magliana, costruite senza licenza e poi acquistate dal Comune per i baraccati.

Un’azione capillare di denuncia per questi abusi sarebbe senz’altro più efficace, anche se meno rumorosa, delle occupazioni, un rito che si diffonde all’insegna del velleitarismo e della demagogia.

  1. Gli appartamenti di questo costruttore, col quale il Comune sta trattando, sono di bassissima qualità, a detta di tecnici del Comune che compiono i rilievi precedenti all’acquisto e che noi abbiamo interpellato di persona. Sempre a detta degli stessi, difficilmente tali appartamenti avrebbero trovato un acquirente diverso dal Comune di Roma.

Storia Di “Chiesa” E Di ” Chiesa”

Sulla pista di Fiumicino sbucò fuori dal ventre del quadrigetto con l’aria smarrita di chi non sa dove aprire la sua tenda. Nell’andirivieni delle pratiche doganali si muoveva con la semplicità disarmata dell’uomo del “Nord –est”, che sa lottare contro la siccità ma non sa difendersi dall’aggressione dei consumi. Veniva da Santiago del Cile e prima ancora dal Brasile, dove aveva passato più di un anno nelle prigioni dei generali, e aveva conosciuto l’orrore della tortura. Nel dicembre del ’70 lo scambiarono con un diplomatico svizzero sequestrato dai guerriglieri. Ormai a Roma era libero di andare e venire, ma non aveva passaporto; era un “apolide”, per dirla con voce dotta, ma lui sapeva solo che nessuno ancora, in nessun luogo, lo aveva invitato a rimanere, benché in teoria potesse scegliere dove fermarsi. Era stato messo al bando dalla sua patria: se ci tornasse, il primo poliziotto che lo identificasse aveva il dovere sacrosanto di ucciderlo. E’ giovane e vuole essere prete.

Appartiene all’ordine dei domenicani del Brasile, ma qui a Roma non pensò di andare a chiedere ospitalità nella casa generalizia di S. Sabina, sull’Aventino, dove non conosce nessuno e nessuno parla la sua lingua…..il numero dei membri, che fa la “gloria” delle congregazioni religiose, distrugge la qualità dei rapporti interpersonali. Andò diritto al seminario brasiliano, sulla via Aurelia, dove ha degli amici e si parla la sua lingua, e dove sperava di sentirsi finalmente a casa. In portineria lo fecero entrare e gli assegnarono “d’ufficio” una camera. Rotto dalla stanchezza e dalle emozioni , si buttò sul letto e si addormentò. Dopo mezz’ora qualcuno bussò alla porta:

“Scusa, c’è stato un equivoco, tu non puoi restare qui….”

“Perché?”

“Perché tu sei messo al bando dal nostro paese e la tua presenza ci rovinerebbe i rapporti con l’ambasciata del Brasile a Roma”.

Il ragazzo del “Nord-est” silenziosamente rifece la sua valigia e uscì sulla strada. Quasi nessuno si era accorto del suo rapido passaggio per i grandi corridoi del seminario sulla via Aurelia.

Si chiama Tito de Alencar. Ha 26 anni. E’ nato nel nord-est del Brasile. Fu arrestato a S. Paulo nel novembre del ’69, insieme a molti altri preti e religiosi, sotto l’accusa di aver aiutato dei fuggiaschi (membri del Fronte di Liberazione) ad attraversare la frontiera meridionale del paese. Fu torturato selvaggiamente a due riprese, per lunghi giorni; una volta il sadismo degli aguzzini arrivò alla raffinatezza di escogitare una finta Eucaristia: gli misero in bocca un’ostia che gli provocò scariche elettriche in tutto il corpo e rimase tramortito….quando si accorse che gli veniva meno la capacità di resistere e che avrebbe denunciato gli amici, si tagliò le vene. Ebbe salva la vita a stento.

Nel dicembre del ’70, l’Avanguardia Popolare Rivoluzionaria sequestrò il signor Bucher, ambasciatore della repubblica svizzera a Rio de Janeiro, e chiese in cambio la libertà per settanta prigionieri politici, tra cui Tito.

Dopo un periodo di recupero in Cile, Tito è venuto in Europa e continua gli studi di teologia a Parigi, dove non ha ancora trovato il suo spazio umano, nella metropoli anonima degli esiliati. A Roma era di passaggio.

Due sere dopo, aveva scoperto degli amici e cenava a casa loro.

Qualcuno accennò all’ospitalità rifiutata ma egli non sembrò dare importanza all’episodio, disse che il carcere e la tortura gli avevano insegnato a non dar peso agli incidenti “secondari”.

Alcuni dei presenti decisero di contestare il fatto e si recarono dai superiori del seminario brasiliano. Furono accolti con molta gentilezza ma fu ribadito il criterio della prudenza e dei buoni rapporti con l’ambasciata. L’affare finì in una assemblea generale degli alunni (anche perché uno dei superiori si era ricreduto e voleva fare pubblica ammenda); la discussione si insabbiò nelle divergenze di opinioni circa l’interpretazione del fatto. Niente di più.

Intanto quella sera anch’io ero a cena con Tito e i suoi amici e ascoltai molte cose che venivano dai sotterranei della storia, dove nascono le radici della speranza. All’inizio Tito era restio a parlare, si schivava come se temesse di essere forzato a raccontare. Quando capì che nessuno chiedeva, cominciò a sentirsi a suo agio, smise di sfregarsi nervosamente i polsi e si rivelò. Ci disse che in carcere aveva scoperto la comunità. Con i fratelli nella fede e i fratelli nella sofferenza. Nella cella del penitenziario “Tiradentes” di S. Paulo, costruita per 15 persone e occupata da 40, ogni sera il gruppo dei preti si metteva insieme per riflettere sul Vangelo e trovarci la forza di non disperare dell’uomo. Dopo un po’ di tempo i guerriglieri marxisti chiesero di partecipare: ascoltavano in silenzio, a volte interloquivano, ed erano straordinariamente fedeli “all’appuntamento”. Una volta i preti prigionieri celebrarono l’Eucaristia e un guerrigliero di 20 anni (in seguito liberato con operazione-sequestro, poi ritornato clandestinamente in patria e ucciso dalla polizia) chiese di fare la comunione: “Vorrei tanto mangiare con voi questo pane, anche se non ho la stessa fede vostra, perché mi sento vostro fratello e fratello degli uomini e di questo Cristo di cui parlate tanto”.

Queste cronache ci facevano mulinare mille inutili domande nel cervello, quella sera durante la cena, e uno di noi chiese a Tito se lui si considerava un cristiano-marxista. Non colpì nel segno evidentemente, e Tito rimase perplesso, parve non capire la domanda e poi disse: “ma io sono cristiano e mi basta, non sento il bisogno di aggettivi!”.

Parlava lentamente, come se rivivesse una ad una, le amare esperienze fatte. Evitò due argomenti: i suoi torturatori e i fratelli nella fede che per paura gli avevano negato l’ospitalità.

“ una sorella di Roma”

Da “La voce dei poveri” Novembre 1971

Periodico della Comunità Parrocchiale di S.Maria – Via Aurelia sud –Viareggio (55049)

Nel 1972 nuova testata: “Lotta come Amore”.