Lettera 25 (Prima Serie)

 

Agli Amici

cari amici,

anche quest’anno la riapertura delle scuole è stata un appuntamento coi problemi di fondo lasciati nel letargo con la complicità della lunga estate romana. Non occorre ricordarli: basta guardarsi attorno, se non ci entrano in casa. Come cristiani essi non possono non interessarci e, fra i tanti, in particolare quello dell’ insegnamento della religione. Esso è stato studiato, è stato oggetto di vivaci discussioni e prese di posizione. Ma non possiamo dire che, almeno qui a Roma, esso sia diventato argomento di riflessione comunitaria da parte del popolo di Dio. Con questo numero di “la tenda” comunichiamo agli amici, un primo contributo a questa riflessione. Esso fornisce qualche elemento di fatto, ma è chiaro che solo col concorso di molte altre testimonianze e indagini sarà possibile ricostruire un quadro sufficientemente significativo dello stato attuale dell’insegnamento della religione à Roma, e dei problemi che oggettivamente esso pone. La, nostra lettera mensile è quindi, ancora una volta, un servizio e nello stesso tempo un invito. Ognuno di noi consideri con l’attenzione che merita uno dei punti più delicati, più critici, dell’azione pastorale della nostra chiesa locale; uno dei luoghi dove si misurerà la capacità della chiesa di annunciare il vangelo al mondo; il luogo dove più fine deve essere la sensibilità, più vigile lo spirito critico per cogliere il nuovo che i ragazzi, i giovani portano nel mondo, e comprenderlo alla luce della Parola di Dio. Se pensiamo poi che i destinatari dell’ “ora di religione”, in gran parte, non ricevono in famiglia o nella comunità cristiana una educazione alla fede, possiamo ancor meglio valutare la gravità della situazione e l’urgenza di una seria presa di coscienza da parte della chiesa, sia come gerarchia che come comunità.

Vi salutiamo fraternamente.

gli amici di “la tenda”

Introduzione Al Problema Dell’Insegnamento Della Religione Nelle Scuole Di Roma

Con queste brevi note proviamo ad offrirvi qualche elemento per una valutazione dell’insegnamento della religione nelle scuole di Roma, senza tuttavia la pretesa di risolvere un problema tanto complesso e vasto.

Dividiamo il nostro lavoro in tre parti:

  1. un rapido sguardo alla cornice legislativa e culturale in cui si è realizzato l’insegnamento della religione nelle suole dal 1929 ad oggi;
  2. cenni sulle nuove prospettive di fondo emerse sul piano religioso, culturale e politico dal 1945 ad oggi;
  3. approcci ad un esame della situazione a Roma con particolare riguardo alla prassi dell’Ufficio catechistico del Vicariato di Roma.

1. Legislazione e ideologie alla base dell’insegnamento della religione nelle scuole dal 1929 ad oggi

Riportiamo l’art.36 del Concordato fra Santa Sede e Stato Italiano, a cui si arrivò dopo anni di discussioni, di formulazioni, di leggi spesso corrette, abolite, riaggiunte ed alla quale si ricollega la attuale situazione giuridica dell’insegnamento religioso.

“L’Italia considera fondamento e coronamento della istruzione pubblica l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica. E’ perciò consentito che l’insegnamento religioso ora impartito nelle scuole pubbliche elementari abbia un ulteriore sviluppo nelle scuole medie, secondo programmi da stabilirsi d’accordo tra la Santa Sede e lo Stato.

Tale insegnamento sarà dato a mezzo di maestri e professori, sacerdoti o religiosi, approvati dall’autorità ecclesiastica, e sussidiariamente a mezzo di maestri e professori laici, che siano a questo fine muniti di un certificato di idoneità da rilasciarsi dall’Ordinario diocesano

La revoca del certificato da parte dell’Ordinario priva senz’altro l’insegnante della capacità di insegnare.

Pel detto insegnamento religioso nelle scuole pubbliche non saranno adottati che i libri di testo approvati dall’autorità ecclesiastica”

I fatti antecedenti e seguenti la stipulazione del Concordato mostrano chiaramente una divergenza di vedute fondamentali tra le due parti, anche in merito a tale articolo.

La frase ”considera fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento della dottrina cristiana, secondo la forma….” è ripresa in blocco dalla legge Gentile del 1923, e rispecchia chiaramente la convinzione filosofica del Gentile che considerava la religione come una tappa del cammino di formazione del bambino;. La religione poteva essere utile alla formazione del cittadino: era pertanto opportuno servirsene per quel tanto che bastava per formare i cittadini dello Stato. La stessa frase però suonava in modo tutto diverso, evidentemente, nella mente di Pio XI il quale, non tanto per motivi di prestigio o superiorità, ma proprio per la maggiore ampiezza e impegnatività con le quali considerava la religione, era convinto del valore di essa nel contesto globale della persona.

La divergenza di vedute si era manifestata già chiaramente quando le idee del Gentile erano state riprese e portate avanti da altre persone – che tra l’altro non avevano la chiarezza di vedute di Gentile – per la stipulazione del Concordato con la Santa Sede. Di fronte all’atteggiamento irremovibile di Pio XI, che rivendicava per la chiesa la missione inalienabile di formare l’uomo nella sua piena dimensione, i rappresentanti del Governo fascista – a un certo punto Mussolini personalmente – pur di venire ad un compromesso, fecero alla Chiesa delle concessioni che Gentile, in coerenza con le sue concezioni filosofiche, non avrebbero mai fatto: pensarono di poter concedere alla Chiesa il diritto di insegnare la religione anche nelle scuole medie, ripromettendosi di scindere la formazione dell’individuo in “teoria” e “pratica”. La chiesa avrebbe insegnato la teoria, ma il fascismo si riservava il diritto di formare il cittadino integrale.

Per uno studio più esteso su questo problema rimandiamo alla pubblicazione di G. Martina, “La Chiesa nell’età dell’Assolutismo, del Liberalismo, del Totalitarismo” – Morcelliana, 1970 da cui citiamo alcune notizie.

“L e trattative ufficiose, che durarono sino al novembre del ’28 quando ebbero inizio i colloqui ufficiali, si prolungarono più del previsto, e traversarono momenti drammatici: per due volte, all’inizio del ’27 e nell’aprile del ’28, in seguito alle pretese monopolistiche del fascismo sull’educazione giovanile, espresse chiaramente nello scioglimento di ogni organizzazione di educazione fisica, morale e spirituale dei giovani che non facesse capo all’opera Balilla, il Papa che in segno di buona volontà e per evitare il peggio aveva già soppresso di sua iniziativa gli esploratori ritirò al Pacelli ogni mandato per le trattative. Mussolini dovette arrendersi, e, se non revocò del tutto la decisione, ne modificò il senso e la portata”. (pag.729)

Evidentemente il Papa era ben convinto che l’insegnamento della religione , se ben impostato, era determinante per tutta la vita individuale e sociale del giovane, e non poteva rimanere in alcun modo una realtà solo teorica.

Il Concordato fu stipulato con grande soddisfazione – anche se con diverse eccezioni da ambedue le parti – ma apparve subito evidente che si era trattato di un dialogo fra sordi.

“Preoccupato forse delle proteste mosse dai vecchi parlamentari di estrazione liberale e dai fascisti oriundi dall’anticlericalismo, Mussolini nei due discorsi del 13 e 25 maggio tenuti successivamente all Camera e al Senato, tentò di minimizzare la portata delle concessioni fatte alla Santa Sede: la Chiesa in Italia non era sovrana e nemmeno libera; il cattolicesimo era divenuto universale solo perché sviluppatosi a Roma; il potere temporale era sepolto; il fascismo non rinunciava ad educare i giovani al senso della virilità, della potenza, della conquista; il Concordato non tradiva gli interessi dello Stato, e i suoi oppositori erano degli imboscati nella storia, non comprendendone la irreversibile evoluzione; in ogni caso, salvo il “trattato” (favorevole alla stato), il “Concordato” (favorevole alla Chiesa) era suscettibile di modifiche. Pio XI che nei mesi precedenti non aveva risparmiato elogi a Mussolini, “un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare”, replicò ora vivacemente soprattutto in una lettera al cardinale Gasparri, sottolineò i limiti della missione educativa dello Stato, confutò punto per punto le affermazioni di Mussolini, definite “ereticali” e peggio che ereticali, ribadì la sovranità della Chiesa, la sua missione educativa, interpretò gli articoli più controversi nel senso più favorevole alla Chiesa….” (ibid. pag. 732) Abbiamo voluto soffermarci sulle divergenze di interpretazione tra la S. Sede e lo Stato Italiano per mettere in chiaro come, già in partenza, il Concordato rivelasse grossi limiti, che potrebbero sembrare legati ad una data situazione o ad un insieme di circostanze, mentre a noi appaiono legati alla logica stessa di un tale sistema di comportamento della Chiesa. Tutto sommato Chiesa e Stato fascista operano, nel 1929, per garantirsi l’esclusiva dell’educazione dei giovani. Apparentemente lo Stato in questo caso sembra uscire sconfitto da una Chiesa che, bene o male, riesce ad imporre il proprio punto di vista. Ma, a ben pensare, c’è da chiedersi se non sia proprio la Chiesa ad essere perdente allorché cede alla tentazione di assicurarsi delle certezze e degli ambiti di competenza (e allorché trova una comoda fonte di sostentamento per il clero, evitando di lasciare che anche questo problema si risolva più autenticamente nell’ambito della comunità cristiana).

A questo punto varrebbe la pena di fare una specie di bilancio dei risultati ottenuti con il Concordato in materia di insegnamento religioso nelle scuole. Un lavoro di analisi sociale fin troppo vasto e tutto da fare. Entrerebbero nel conto i progressivi mutamenti intervenuti nella società in questi ultimi anni. A questi mutamenti poniamo attenzione qui di seguito.

2. Le nuove prospettive di fondo emerse nella società italiana e nella Chiesa dal 1945 ad oggi

Ovviamente ci limitiamo ad una pura enumerazione delle nuove ipotesi culturali.

  1. In campo ecclesiale si sono verificati profondi cambiamenti, soprattutto con il Concilio.

Sono state fatte fondamentali dichiarazioni sulla libertà religiosa: “Gli uomini sono tenuti ad aderire alla verità una volta conosciuta e ad ordinare tutta la loro vita secondo le sue esigenze. Ad un tale obbligo però gli esseri umani non sono in grado di soddisfare in modo rispondente alla loro natura, se non godono della libertà psicologica e nello stesso tempo dell’immunità dalla coercizione esterna… Per cui il diritto ad una tale immunità perdura anche in coloro che non soddisfanno all’obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa..” (Dichiarazione sulla libertà religiosa, par.2).

  1. Sul piano didattico sono in vigore dal 1967 i nuovi programmi di religione. Hanno il merito di aver aperto la via ad una libera sperimentazione di metodi e di contenuti nell’ambito di alcune linee orientative. Ma anche se questo fosse stato sempre realizzato resterebbe che la crisi dell’insegnamento della religione riguarda ben più che le forme didattiche e la scelta dei predicabili. Il superamento della scuola nozionistica ha travolto l’impostazione cattedratica dei programmi di studio di molte discipline e costringe anche la lezione di religione a difficili e sostanziali adeguamenti.

Se la materia di studio è vista come occasione di libera riflessione delle persone più che come distribuzione di verità artefatte, come giustificare che il “docente” deve essere obbligatoriamente soggetto al gradimento di autorità che sono principalmente preposte alla correttezza della dottrina? E come mai il benevolo istituto della “dispensa” dalle ore di religione è subordinato alla domanda dei… genitori dell’alunno? Tali semplici domande finiscono per nascere quando il sistema didattico prende in senso libertario le svolte che ha preso: l’insegnamento della religione è scosso nelle fondamenta. Ammettiamo senza resistenze che si tratta di momenti difficili di adattamento, di conversione e diamo atto che questi problemi vogliono anche decine di anni per giungere a nuovi equilibri. Ma se gli anni a disposizione ci fossero stati e non fossero stati adeguatamente spesi?

  1. Maturazioni ecclesiali e didattiche sono le spie visibili di movimenti TELLURICI globali: la maturazione di nuovi aspetti della persona umana come il senso della autonoma decisione, della libera associazione, dell’inviolabilità della sfera interiore (non che il mondo moderno rispetti poi queste sue creature!). Eppure l’ora di religione non prevede un atto iniziale libero e personale di adesione al dialogo se non in negativo la suddetta possibilità di dispensa, precaria e controproducente. Così se si evita che la scuola diventi luogo di presentazione del messaggio religioso a liberi ascoltatori, qualcuno non troverà di meglio che ipotizzare l’ora di religione come l’esposizione delle manifestazioni religiose antiche e moderne fatte da un esperto. E come pretendere che non sia, se vuole, ateo?
  2. In particolare la predisposizione dei giovani di fronte al mondo religioso è profondamente cambiata: diamo per scontato che almeno nelle città e dopo la terza media il professore di religione che entra in classe trova persone che hanno già liquidato il fatto religioso almeno nelle sue forme istituzionali cattoliche e nelle sue formazioni catetiche infantili.

Il pregiudizio nasce dal confronto tra le strutture umane in pieno movimento e quelle ecclesiastiche finora in completa stasi, ed è alimentato dai potentissimi veicoli culturali di massa che usano e creano figure stereotipe (si vedano nella cinematografia le caratterizzazioni del “prete”, “suora”, “devozione popolare”, ecc.)

Il sommarsi di tutti questi elementi, l’emergenza del senso di libertà della persona umana davanti all’annuncio religioso, la minore compattezza di forme e contenuti didattici, l’incertezza di impostazione tra annuncio e scuola, il pregiudizio già radicato nelle coscienze costringono ormai l’ora di religione in una veste di logoro e generico discorso su argomenti più o meno col vocabolo “religione”, discorso impostato su postulati teorici, didattici, psicologici assai incerti.

A non affrontare i problemi di fondo ci si riduce a far appello alle capacità personali per superare gli ostacoli (anche con il solito “facciamo un esame di coscienza per verificare se abbiamo dato tutto”, v. infra).

Il risultato è spesso che capacità personali (sempre quelle giuste?) producono il poco valido risultato che “questo professore è diverso dagli altri”, mentre negli altri, che non sempre sono meno dotati delle capacità necessarie, restano i problemi che non si possono risolvere con gli exploit dei professori-prodigio.

Ci sentiamo meno incerti nel chiudere questa seconda parte perché essa ha un riscontro nei documenti che presentiamo in appendice, il secondo dei quali, la Nota dell’Ufficio Catechistico Nazionale, dà la misura esatta della disponibilità ai cambiamenti da parte della struttura mentre la prima, il Commento del Giornale dell’Azione Cattolica, indica come anche negli ambienti più vicini alla ufficialità si tenti di portare il dialogo su confini più vasti.

3. Approcci ad un esame della situazione di Roma con riguardo all’azione dell’Ufficio Catechistico Diocesano (UCD) del Vicariato

Riportiamo in estratto da “La Diocesi di Roma”, 1970, pag. 571, il seguente schema.

Attività dell’UCD

  1. Sezione parrocchiale: omissis
  2. Sezione scuole elementari ————————————————– A
  3. Sezione scuole secondarie ————————————————– B
  4. Assistenza dottrinale e metodologica degli insegnanti ————- C
  5. Iniziative principali ———————————————————- D

A SEZIONE SCUOLE ELEMENTARI

  • Campo di azione:

Circoli didattici (ciascun circolo comprende più scuole) (1969/70, 135 circoli con 295 scuole)

Scuole elementari dipendenti dall’autorità ecclesiastica (1969/70, 265 scuole)

  • Compiti principali:

Nomina degli incarichi per le 20 lezioni (1969/70 587 incaricati)

Studio delle relazioni degli incaricati per le 20 lezioni

Scelta e nomina degli Ispettori (1969/70, 284 ispettori)

Relazione conclusiva sulle ispezioni al Provveditorato

Approvazione dei maestri delle scuole statali per l’insegnamento religioso (1969/70 circa 10.000 maestri)

Verifica dei titoli per l’insegnamento religioso per maestri delle scuole dipendenti dall’autorità ecclesiastica e relativa approvazione (1969/70, 1325 maestri)

Rapporti con le autorità scolastiche

  • Assistenza dottrinale e didattica

Riunioni di impostazione del lavoro con gli incaricati delle 20 lezioni

Orientamento degli ispettori

Gruppo di studio per i programmi e i sussidi

Corsi di religione per i maestri (1969/70, 193 partecipanti)

  • Iniziative principali

Gara degli alunni delle V elementari (1969/70, 620 partecipanti)

B SEZIONE SCUOLE SECONDARIE

  • Campo di azione:

Scuole secondarie statali (1969/70, 281)

Scuole secondarie dipendenti dall’autorità ecclesiastica (1969/70, 139)

Scuole secondarie private (1969/70, 38)

  • Compiti principali:

Designazione o approvazione degli insegnanti (845 insegnanti)

Prove attitudinali per la scelta degli insegnanti nuovi (171 prove)

Prove di aggiornamento (54 prove)

Rapporti con le autorità scolastiche

C ASSISTENZA DOTTRINALE E METODOLOGICA DEGLI INSEGNANTI

Incontri mensili con i capi dei gruppi di lavoro nei quali sono suddivisi gli insegnanti (47 gruppi)

Gruppo insegnanti a tempo pieno

Esame delle relazioni degli insegnanti

Tribune libere

Convegno estivo autunnale

Seminari di studio

Gruppi di studio per problemi particolari

Orientamenti dottrinali, metodologici e organizzativi

D INIZIATIVE PRINCIPALI

Incontri Veritas (1969/70, 237 scuole partecipanti a livello di scuola

1309 alunni incontrati con la finale diocesana

132 commissioni per la finale diocesana

171 partecipanti ai tre convegni premio

£ 4.095.000 ammontare del valore dei buoni-libro dato a ricordo degli incontri).

Precetti pasquali – reperimento predicatori e confessori

Gioventù studentesca

Gruppi di scuola

Incontri di settore o cittadini

Convegni estivi

Anzitutto alcune note all’UCD. Dallo schema riportato si ricava la grave mole di lavoro centralizzato che è nata con l’attuale sistema di insegnamento della religione. Diamo atto che nell’UCD si sia realizzato uno degli uffici più efficienti dell’intero Vicariato. Ciò diciamo in base alla comune opinione di quanti vi entrano in contatto. L’opinione corrente indica però anche i limiti dell’Ufficio: la struttura piramidale con responsabilità accentrata e difficoltà di dialogo, la mancanza di libertà di discussione su argomenti di fondo come quelli indicati nella prima e seconda parte di questo articolo.

L’opinione che abbiamo raccolto presso molti professori di religione è che resta difficile stabilire dialoghi efficaci sui problemi della scuola. La direzione dell’UCD guida un rigido e grosso organismo, quasi sopraffatta dal lavoro, poco disponibile ai problemi degli insegnanti e persino ai richiami di una desiderabile pastorale di insieme di tutta la diocesi.

L’impressione che si ha rileggendo lo schema suindicato è che sia troppo piena di operazioni di routine perché possa entrare una presa di coscienza della situazione, quel tanto di attenzione all’imprevisto, al nuovo, che non arrivano a chi deve inseguire le esigenze dei programmi standardizzati su ritmi pressanti.

L’abitudine naturale degli uffici a ripetersi secondo lo scadenzario, la mancanza di scelte pastorali ai livelli superiori, la paura che si compromettano posizioni che “portano qualche frutto” riducono la struttura all’irrigidimento.

Dall’altra parte, nei docenti e nell’opinione della diocesi si fanno strada quelle posizioni radicalizzate che finiscono per compromettere definitivamente il dialogo.

Diamo alcuni documenti a riscontro della difficile situazione.

Il Cardinale Vicario, nel rivolgersi agli insegnanti di religione, il primo ottobre 1971, all’apertura dell’anno scolastico, ai sacerdoti ha detto: “Facciamo un esame di coscienza per verificare se abbiamo dato tutto, perché la formazione religiosa raggiungesse i fini sperati. Presentatevi agli alunni come sacerdoti, come veri sacerdoti di Dio, uomini che vivono nel mondo, ma che non vivono la vita del mondo, che non hanno la mentalità del mondo, né si pianificano ad esso. I giovani devono vedere nell’insegnante di religione l’uomo di Dio, l’uomo di pietà, di preghiera, di sacrificio, che si sa mantenere fedele alla propria vocazione. Entrando nelle aule scolastiche cercate di mantenere sempre il vostro carattere sacerdotale: solo così i giovani ascolteranno il vostro insegnamento”. Alle religiose: “Nella scuola portate il senso della soprannaturalità, il profumo della vostra purezza che vi trasforma in angeli….” Agli insegnanti laici: “Anche voi siete sullo stesso piano…” “La scuola ha qualcosa di sacro. Quando varcate la soglia delle aule dovete far capire agli alunni che si trovano in un ambiente che sa di sacro.”

Parole santissime e degne di meditazione. Ma i capi dell’ufficio diocesano che si domandano se è volontà politica del vescovo che si dia luogo ai dialoghi di fondo richiesti dalla base, non si ricevono dall’incontro programmatico di inizio d’anno molti incoraggiamenti.

La base dei professori si irrigidisce e resiste come può. Per esempio non paga i contributi “volontari” (ma neppure sempre per motivi ideologici).

L’Ufficio risponde: “Illustrissimo Signor Professore, le faccio presente che la sua posizione presso questo Ufficio non è in regola. La prego pertanto di voler provvedere con estrema sollecitudine. Con l’occasione mi permetto di richiamarla ad una maggior diligenza, anche perché la scarsa diligenza degli insegnanti è di notevole aggravio al lavoro dell’Ufficio, comporta maggiori spese e danneggia gli insegnanti stessi in quanto l’Ufficio, non potendo venire sempre incontro ai desideri di tutti, è giusto dia la precedenza a quelli che si dimostrano più attenti anche alla piccole cose. Con cordiali saluti.”

L’attrito tra ufficio e docenti che abbiamo richiamato si fonda a detta di alcuni proprio sulla diversa interpretazione dell’uso di quel denaro: “tassa per concessioni governative” o piuttosto per il funzionamento degli uffici? O piuttosto contributo per affrontare comunitariamente e i problemi di gestione e quelli di ricerca, di sperimentazione, di analisi statistica che la diocesi e i docenti sentono di dover di volta in volta richiedere per valutare e affrontare la realtà?

Non che la classe dei docenti sia senza colpa ed abbia solo ragioni. Si pensi ai numerosi casi di docenti in cattedra per meriti non scolastici. Nomine-premio, nomine-sussidio, nomine-certificato di residenza cui l’ufficio pone la resistenza decisa e flessibile che può. Anche a Roma si sono verificate le spezzettature di cattedre per il minimo di sei ore a docente con lo scopo di far quadrare il bilancio del maggior numero di preti. Il conseguente aggravio di spesa per lo Stato che doveva moltiplicare gli stipendi base (a tutti di gruppo A) provocò intorno al 1965 una circolare del Ministero della Pubblica Istruzione ai presidi con l’invito a mantenere gli incarichi intorno alle normali diciotto ore. Fatti simili ci interessano in quanto inducono a interrogativi sulla competenza e coscienziosità richiesta e posseduta dai docenti. Anche se a Roma le cose sono andate meglio che altrove, merito all’UCD, in troppi casi la scuola di religione è un secondo lavoro per gente fin troppo occupata o non più utilizzabile diversamente. Non fa meraviglia che il contenuto delle lezioni di religione sia al di sotto del minimo tollerabile. (“La mia impressione è che un 90% dei professori di religione del passato e l’80% nel presente non hanno avuto una preparazione adeguata a questo grande compito; preparazione nulla sul piano teologico”. Mons. Fratteggiani alla tavola rotonda de La Rocca, v. infra).

Detto qualcosa sull’Ufficio Diocesano, qualcosa sui docenti, trascurando quel che comporterebbero lo studio dei contenuti e il tipo di annuncio o insegnamento o simile resterebbe qualcosa da dire sugli “alunni” romani e su quel che richiedono e sul quel che si richiede per parlare con loro. E qui si dovrebbe cominciare un lavoro che vorrebbe essere costruttivo. Invece non siamo in grado di farlo poiché non esiste un esame della situazione. Né l’Ufficio, né i professori, neppure le persone che hanno espresso le opinioni più radicali (v. l’Assemblea Ecclesiale Romana, cronaca in La tenda 23, pag. 10, il documento da essa proposto invita alla lotta abolizionistica ed è pubblicato in DOC n° 8 del 15/4/71. Sul piano teorico hanno espresso lo stesso orientamento “Testimonianze”, nov. 1970; e La Rocca 10, pag. 22, 11, pag. 25; 13, pag. 48; 14, pag. 47; 15, pag. 53; 17, pag. 51) nessuno può invocare più che i principi da cui parte. Manca il parere della base, del popolo di Dio, dei docenti, degli studenti. L’unica analisi statistica che si conosce per Roma fu condotta in proprio da Giancarlo NEGRI nel 1964 e rilevava negli studenti un atteggiamento nettamente favorevole all’ora di religione. Ma siamo poi al tempo del Concilio e prima della contestazione. E poi? (“In M. 12, 1971; 19 pag. 19 un articolo di Giovanni D’Alessandro tenta un bilancio delle operazioni correnti e finisce per lamentare il troppo intellettualismo con il quale si affrontano i problemi).

Non che si sia stati mai troppo benevoli con le richieste del “cristiano popolo d’Italia” che senza essere filosofo è almeno dell’idea di Gentile: un po’ di religione nell’infanzia non fa male. Non che si debba accondiscendere ad ogni richiesta pseudo-religiosa.

Ma prima di andare avanti certe domande bisogna pur porsele.

Cosa hanno da dire i professori di religione sullo svolgersi della loro azione, che spesso viene da una vera opzione apostolica? Questa domanda è più importante di quanto si creda se non si vuole che scelte politiche e culturali abbiano il sopravvento sulla libertà delle opinioni apostoliche.

Quanto è reale in desiderio degli alunni della città di avere un incontro con il fatto religioso, e in quale veste?

E non ci sono possibilità istituzionali corrette per l’insegnamento in un modo o nell’altro del fatto religioso nella scuola?

E d’altra parte: la presenza massiccia di professori teologicamente e culturalmente ritardati quale effetto provoca in giovani che hanno nella scuola l’unica fonte di informazione sulla religione e sulla chiesa?

Quali sono i pregiudizi correnti tra i giovani in materia di religione?

Non possiamo fare di più. Se abbiamo accettato di parlare dell’argomento sullo spunto di alcuni professori di religione è stato fatto ancora una volta per mettere insieme elementi di fatto, insinuazioni che potessero essere per il cristiano di Roma l’inizio di una riflessione.

L’UCD che ha speso quattro milioni per i premi del concorso Veritas troverà qualcosa da spendere per ricerche di fondo e dar materia alla riflessione di professori e politici?

I professori sapranno realizzare in proprio e in comune alternative già verificate nella pratica quotidiana?

Gli istituti di pastorale delle Università Pontificie troveranno in questa materia un interessante campo di ricerca?

Istituti civili ed ecclesiali ben più radicati sono in movimento: assistenza medica e pensionistica, diritto di proprietà delle aree fabbricabili, famiglia, parrocchia.

Non sarà certo la scuola di religione a passare senza contraccolpi la boa del momento presente.

Confidando agli amici questo contributo, solo ci duole di essere rimasti per troppi aspetti al di qua della soglia del problema.

APPENDICE

“l’ora di religione” da “Incontri di gioventù” – settimanale dell’Azione Cattolica Giovanile n. 29, 3/10/71 – pag. 13-16

L’ufficio catechistico nazionale ha diramato una nota sull’insegnamento della religione cattolica nelle scuole. Il fatto acquista una significativa importanza perché il documento è stato approvato dalla CEI. Legittimo è quindi concludere che il suo contenuto coincida con il parere dell’Episcopato al riguardo. La prospettiva non è sostanzialmente diversa da quella tradizionale: l’ “ora di religione” rimane un elemento del pluralismo di alternative che la scuola offre al giovane. Rinunciando ai toni aspri della polemica nel documento vi è un apprezzabile sforzo di impostare serenamente il discorso: l’analisi della situazione attuale e del disagio in cui si trovano gli insegnanti di religione rivela il tentativo di porsi in ascolto della realtà. Si vuole anche salvaguardare la libertà della coscienza introducendo nella proposta di riforma organizzativa le soluzioni dell’esonero dalle lezioni o dell’iscrizione facoltativa.

Anche se riconosciamo l’esistenza di questo sforzo dialogico, ci sembra che sia manchevole là dove non mette in discussione la prospettiva nella quale si muove.

È proprio la mancanza della collocazione dell’insegnamento di religione in un discorso pastorale globale, che coinvolge anche il modo di vedere la Chiesa, a sollevare dubbi e perplessità.

Quale finalità pastorale potrebbe porsi la chiesa con l’insegnamento della religione nelle scuole? Due sono le possibilità. La prima è quella di proporre l’approfondimento dottrinale e razionale della teologia o della Bibbia.

Soffermandoci su questa prima ipotesi, che ci sembra essere accolta nel testo, vorremmo sottolineare come essa recuperi un servizio alle masse studentesche, a condizione che vengano chiarite le ambiguità di cui sotto parleremo. Un servizio che, una volta eliminate certe impostazioni nel rapporto con la struttura della scuola, si concreta come offerta di un momento opzionale di riflessione sulla Bibbia e di approfondimento teologico alla richiesta di gruppi liberamente costituiti. Occorre però evitare (e in ciò ci sembra cadere il documento) di avallare l’esaurimento della pastorale studentesca con la presenza dell’insegnante di religione. La mancanza di questa pastorale fa attribuire all’ “ora di religione” scopi che mai potrebbero essere ad essa connaturali: così il testo può ambiguamente parlare di un più diretto rapporto con l’esperienza vitale di fede, di riferimento alla “complessa realtà sociale”, di educazione “al senso religioso”, di educazione “ad una religiosità di base”.

Questo tentativo di recupero ci pare ambiguo perché autorizza a credere che si possa annunciare la fede, o educare al “senso religioso” o “proporre una formazione religiosa di base”, con lo strumento della lezione, anche se rinnovata secondo le indicazioni (ancora “in fieri”) di un diverso rapporto educativo fra studente e professore.

È ambiguo perché colloca l’ “annuncio” sullo stesso piano dell’istruzione scolastica, mentre la realtà di fede si presenta su di un piano non contrapposto, ma diverso rispetto a quello scolastico.

Senza l’inquadramento in un contesto pastorale più ampio diventa una scelta restrittiva, ma pur sempre onesta qualora ne venissero eliminate le ambiguità ed i pericoli.

Anche restrittiva perché può giustificare l’attuale assenza della chiesa da un impegno pastorale globale (salvo i tentativi dei gruppi del movimento studenti di A.C., di G.S. e di pochi altri non organizzati), contribuendo a mantenere l’attuale alibi di una Chiesa che crede di rivolgersi al mondo della scuola e che invece è ad esso assai estranea. Può cioè autorizzare ad ignorare che gli studenti vogliono essere soggetti attivi e non passivi di una chiesa che non si annuncia unicamente attraverso l’approfondimento dottrinale ma come esperienza di fede che coinvolge la vita delle persone. O anche può indurre a non considerare l’esistenza di un ambiente studentesco come fattore di educazione della persona molto più rilevante delle discipline scolastiche stesse.

L’altra finalità pastorale di cui dicevamo all’inizio, che è quella di un annuncio globale della fede all’ambiente, emerge spesso nel testo, ma ci sembra impropriamente assegnata all’ora di religione. Se fosse stata questa nelle intenzioni degli autori del documento, allora, i motivi già sopra esposti in termini di “restrittività delle scelte” si trasformano in serie perplessità che coinvolgono lo stesso modo di concepire la Chiesa. Nel testo andrebbe letta una visione di Chiesa piramidale che crede di evangelizzare solo tramite l’azione del sacerdote, che non sa servirsi di meglio che delle strutture dello stato per questa sua missione, che riduce l’evangelizzazione a razionalizzazione della fede, e la fede ad ideologia contrapposta alle altre.

Non ci sembra in ultima analisi che questo voglia dire il documento ma una maggiore chiarezza sarebbe stata necessaria.

La scelta del documento si muove entro l’ambito di una situazione storica ben precisa, dove lo “strumento dell’insegnamento di religione” può ancora costituire un valido servizio nel senso indicato, non tanto come privilegio della Chiesa, ma come risposta della struttura statale alla libera istanza di gruppi di persone, offerta utilizzando persone qualificate in quel campo.

Rimangono aperti i problemi che derivano da una diversa ecclesiologia, in cui il rapporto Chiesa e mondo non deve passare attraverso l’istituzionalizzazione nelle strutture della società civile (in questo caso la scuola), perché i condizionamenti che ne deriverebbero porterebbero la Chiesa a perdere nella chiarezza del suo impegno profetico.

Pubblichiamo ora il testo quasi integrale della Nota dell’Ufficio Catechistico Nazionale

Ridimensionare i pregiudizi

  1. Innanzitutto, appare necessario ridimensionare criticamente alcuni pregiudizi, carichi di suggestione.

a) L’insegnamento della religione nella scuola non è un “privilegio” concesso alla chiesa. Sul piano storico si deve ricordare che esso è stato anche l’oggetto di insistenti rivendicazioni del movimento cattolico italiano.

L’insegnamento della religione va considerato fondamentalmente come riconoscimento di diritti della persona umana, a prescindere dal modo e dalle circostanze in cui tale riconoscimento è stato espresso in passato

Certo, la revisione delle norme vigenti deve tener conto della discussione che si è sviluppata su questo tema, soprattutto in seguito alla affermazione dello stato democratico e alla celebrazione del concilio ecumenico Vaticano II, per formulare un pronunciamento più rispondente all’attuale situazione.

b) Inoltre, va criticamente vagliata la posizione di chi sostiene che la fede non si insegna, ma si vive; non si impone, ma si conquista liberamente; non si trasmette “a pagamento”, servendosi delle strutture del potere (scuola-stato…), ma nella povertà; ecc. In effetti la discussione su questi punti può fornire criteri importanti per un aggiornamento dell’istituzione. Non va dimenticato, peraltro, che:

  • un’autentica esperienza religiosa include un responsabile esercizio del pensiero;
  • l’esercizio della libertà in genere, e della libertà religiosa in specie, è forte impegno dello spirito e non indifferenza o puro “spontaneismo”;
  • la scuola si va sempre più configurando come struttura determinante per la formazione della personalità (scuola a tempo pieno, scuola “partecipata”, scuola-comunità educativa, ecc.), nonostante le spinte di “descolarizzazione” che provengono da alcune parti e nonostante la forte incidenza dell’ambiente extrascolastico sul processo evolutivo dei giovani;
  • il vangelo, come ogni altro serio discorso religioso che appaia importante per la formazione della personalità, va responsabilmente presentato là dove si giocano le sorti dell’educazione.

Approfondire le motivazioni

  1. In secondo luogo, si deve arricchire la riflessione sulle “motivazioni” dell’educazione religiosa nelle scuole.

In passato, soprattutto a motivo della scarsa partecipazione delle masse alla vita democratica e ai processi formativi della personalità, poteva essere sufficiente codificare motivazioni raccolte dalla filosofia, dalla teologia, dalle valutazioni degli uomini di governo, dalle contingenze storico-politiche. Alcune di queste motivazioni hanno perso ormai il loro significato originario (ad esempio, l’insegnamento della religione, inteso come “fondamento e coronamento” di tutta l’istruzione); altre conservano tuttora il loro valore, ma vanno inserite in un discorso più organico, secondo una più chiara gerarchia di valore (si pensi, per esempio, alle motivazioni che possono venire dai diritti-doveri della chiesa o dei genitori).

  1. La verifica delle motivazioni va condotta, oggi, con riferimento alla complessa realtà sociale, utilizzando criticamente anche i dati dell’esperienza educativa, delle scienze antropologiche, e delle scienze della religione. In definitiva, si tratta di prendere contatto con le situazioni più vive dell’uomo moderno e della società contemporanea, per conoscerne e valutarne i condizionamenti, i dinamismi, le contraddizioni, le speranze.

La ricca serie di constatazioni che ne derive contribuisce, oggi in modi nuovi, a dare risalto alle componenti religiose dell’esperienza degli uomini e alle perenni istanze di interpretazione che l’accompagnano.

La chiesa riferisce tali componenti e tali istanze ai valori costitutivi della persona umana, in questo confortata non solo dalla sua fede, ma anche dal largo consenso che viene dalla storia dell’umanità e dall’antropologia di tutti i tempi. Alla dimensione religiosa dell’uomo ed alle sue espressioni concrete sul piano dell’esperienza, rimanda, in ultima analisi, ogni altra considerazione. In quest’area si radicano le complesse istanze dell’educazione religiosa, che costituisce un aspetto irrinunciabile e permanente di tutta l’educazione.

Poiché assume sempre più decisamente compiti formativi della personalità e si rivolge a tutto l’uomo (cf. anche le ripetute dichiarazioni politico-amministative degli ultimi anni, comprese quelle di carattere internazionale), la scuola non può tralasciare di rendere agli alunni un servizio adeguato per il risveglio, l’interpretazione e la maturazione del senso religioso.

Tanto più impegnativo appare questo servizio, quando una società intende servirsi praticamente di un unico modello scolastico, gestito dalla pubblica amministrazione. In tal caso, infatti, la scuola deve accogliere con particolare apertura e premura i problemi dell’educazione religiosa, mancando ai cittadini valide alternative.

Legittima, anzi doverosa appare dunque, l’istituzione nella scuola di un servizio adeguato per lo sviluppo critico e la maturazione del senso religioso. Più complessa appare, invece l’organizzazione pratica di questo servizio, soprattutto in riferimento alla crescente disparità di situazioni culturali e spirituali dei cittadini.

L’esperienza degli ultimi decenni, attentamente ripensata, porta a raccogliere qui una serie di considerazioni e di proposte che si ritengono di particolare significato anche oltre l’ambito ecclesiale.

I contenuti di un servizio

  1. Trattandosi di rendere un servizio a tutti gli alunni, e non solo a quelli che hanno già fatto l’opzione per una fede religiosa, alcuni ritengono che si debba pensare a una cattedra di religiosità, o di religione naturale, o di etica naturale, o di storia delle religioni, o di storia della tradizione ebraico-cristiana, o di storia del cristianesimo (dato il particolare contesto religioso della società italiana). L’ipotesi, anche se merita attenzione soprattutto in riferimento alla scuola secondaria superiore, dovrebbe essere enucleata con maggiore precisione e chiarezza, perché se ne possa dare un giudizio definitivo.

Si fanno intanto questi due rilievi:

  1. tale servizio sembra in larga parte anacronistico, sia perché riporterebbe a preoccupazioni di tipo culturalistico, sia perché anticiperebbe agli alunni della scuola secondaria interessi teoretici, che di solito si sviluppano solo successivamente;
  2. non sembra, questo, un autentico servizio per l’interpretazione dell’esperienza religiosa, che ha modo di maturare a contatto con i valori religiosi originali, più che mediante dati prevalentemente culturali.

In ogni caso, un simile servizio per lo sviluppo della dimensione religiosa non avrebbe necessariamente come titolari i “ministri” o i “testimoni” di una fede religiosa. Non sembra, d’altra parte, costituire materia di un concordato tra stato e chiesa. In definitiva, dovrebbe essere assolto più apertamente nel piano didattico generale della scuola e interessare tutti gli educatori. Non appare sufficiente, comunque, a garantire una verifica diretta dei valori religiosi originali.

  1. In senso più pieno, l’educazione religiosa va perseguita come accostamento personale a valori religiosi vissuti e criticamente vagliati, in vista di scelte libere e responsabili.

In riferimento ai valori cristiano-cattolici, come valori connessi con il contesto storico-culturale del nostro paese e come proposte stimolanti per “l’interesse religioso”, appare a questo punto di piena attualità e delinea un concreto servizio agli alunni, perché possano liberamente riconoscere e soddisfare le loro aspirazioni spirituali, salvo restando il dovere di accogliere, nei debiti modi, le istanze dei gruppi di religione non cattolica.

In questa prospettiva, acquista significato più chiaramente educativo i confronto con i valori spirituali vissuti in altre religione o, anche, fuori di ogni religione; inoltre, il riferimento alla storia delle religioni e, in particolare, alla storia del cristianesimo, può essere recuperato, non come puro interesse culturale, ma come chiarificazione critica dei valori religiosi accostati.

La chiesa avverte la validità di questa proposta soprattutto per i credenti. È convinta anche di dover dare una testimonianza oggettiva di se ad altri che la interrogano sinceramente; e sa di poter offrire il suo contributo a quanti, pur essendo al di fuori di ogni positiva confessione religiosa, cercano la risposta ai perenni problemi dell’uomo.

Considerando, poi, l’età giovanile come momento di ricerca e di verifica, la chiesa ritiene che anche l’ “insegnamento della religione” nella scuola possa contribuire felicemente ad accostare le disparate posizioni spirituali degli alunni, secondo i criteri di una metodologia che consenta loro di abituarsi al confronto, alla tolleranza, al dialogo, alla convivenza fraterna.

Non è un compito facile, come l’esperienza più recente dimostra. In certa misura il disagio va messo in bilancio per gli educatori e per gli alunni.

Nasce qui il discorso delle finalità, che l’educazione religiosa deve perseguire nella scuola di oggi, in riferimento alla disparità di esigenze dei giovani e della comunità

Le finalità

  1. Va detto, innanzitutto, che l’ambiente scolastico non può essere inteso come luogo di una piena esperienza cristiana, quale può essere, invece, l’ambiente ecclesiale. È piuttosto il luogo, in cui i valori cristiani devono essere conosciuti ed approfonditi, cosicché gli alunni siano capaci di fare una ricerca più piena, nei modi che riterranno opportuni.

Questo vale sia per chi è alla ricerca di una scelta religiosa, sia per chi ha bisogno di verificare le scelte fatte.

È chiaro, pertanto, che le finalità di un insegnamento riferito ai valori cristiano-cattolici non possono essere quelle di una pura trasmissione di sintesi dottrinali precostituite; come non possono essere quelle di un puro aggancio agli interessi occasionali e superficiali degli alunni. Esse vanno più direttamente individuate sulla linea di sviluppo dell’ “interesse religioso”. Richiedono, pertanto, educatori esperti non solo di teologia, ma di fede vissuta e testimoniata, di umanità e di processi evolutivi di maturazione, di fare proposte autentiche, di guidare il senso critico, di rispettare le conclusioni degli alunni.

Anche per fedeltà ai valori del cristianesimo e della religione in genere, oltre che per rispetto alle posizioni spirituali di tutti e di ciascuno, gli educatori devono aprire i giovani al dialogo, al confronto, alla partecipazione personale e di gruppo, alla libera espressione, in uno stile di viva responsabilità

Iscrizione o diritto all’esonero?

  1. A questo punto, va segnalata la indisponibilità di certi gruppi di studenti per qualsiasi discorso e il pregiudizio che la loro presenza arreca all’azione educativa, anche la più aggiornata.

Si discute, perciò, se non sia preferibile rivedere radicalmente l’istituto dell’ “esonero” dall’ora di religione. Ferma restando la “obbligatorietà” di impartire l’insegnamento della religione nelle scuole, da più parti si fanno due proposte:

  • istituzionalizzare l’iscrizione alle lezioni di religione, su richiesta delle famiglie o, ad una certa età, degli stessi alunni;
  • rendere più effettivo l’istituto dell’esonero, responsabilizzando le famiglie e gli stessi alunni, che lo potrebbero chiedere personalmente, a partire da una certa età.

Le due proposte devono essere vagliate con estrema attenzione, sotto il profilo pedagogico-pastorale, e sul piano giuridico-amministrativo, con particolare considerazione per i diversi gradi dell’ordinamento scolastico.

Si fa osservare, comunque, che la prima potrebbe essere inserita solo nel quadro di una nuova legislazione. Può dunque essere studiata responsabilmente ai vari livelli. Nessuno, tuttavia, può anticipare soluzioni di questo genere, senza creare un serio pregiudizio pedagogico e amministrativo.

La seconda può essere attuata anche oggi, fatta eccezione per il diritto di richiesta dell’esonero da parte degli alunni. Di fronte a questa prospettiva, chiunque ha responsabilità diretta deve contribuire a creare le condizioni che rendono consapevoli e possibili scelte di questo genere.

In entrambi i casi, ci si dovrà preoccupare di risolvere il problema dei “non iscritti” all’ora di religione o degli “esonerati”: è compito di tutti provvedere a una loro responsabilizzazione e fornire servizi adatti per queste situazioni.

I giovani che intendono compiere queste scelte devono avvertire per primi l’impegno di trovare altre occasioni e altri modi, per promuovere una vera libertà religiosa.

Due soluzioni educative?

  1. A questo proposito, sembra opportuno richiamare la posizione di alcuni esperti, che giustificano l’istituzione di una duplice soluzione educativa, sempre riferita ai valori cristiani. Documentando la radicale inadeguatezza dell’attuale struttura, essi sottolineano la necessità di una impostazione nuova, secondo le proposizioni seguenti:
  • esigenza di una formazione religiosa “di base”, quasi propedeutica, riconosciuta largamente dalla psico-sociologia e dal diritto comune internazionale, da soddisfare nella scuola con un servizio di “introduzione” ai problemi dell’esperienza religiosa (cattedra di “religiosità di base”, per una elementare fondazione della “libertà di coscienza”; ad evitare tendenze intellettualistiche o puramente culturalistiche, tale cattedra sarebbe sempre da riferire ai contenuti del cristianesimo e dovrebbe, quindi, essere affidata a “testimoni” convinti dei valori cristiani;
  • esigenza di una formazione cristiana più organica, da parte di non pochi alunni e genitori, e seconda cattedra di religione, con finalità e contenuti educativi più adatti a chi ha già fatto un’opzione per la fede cristiana;
  • diritto di “opzione tra le due cattedre”, ma esclusione del diritto di esonero totale, come contrario al diritto-dovere della persona umana e alle giustificazioni della psico-sociologia.

Tali prospettive, enucleate spesso con seria documentazione, appaiono certamente ricche di suggestione. Suscitano, tuttavia, non poche perplessità e molti interrogativi, non solo sul piano dell’attuazione. Ad ogni modo, vanno attentamente vagliate non soltanto in se stesse, ma anche nel quadro globale della riforma della scuola.