Lettera 23 (Prima Serie)

Agli Amici

Cari amici,

dopo la pausa estiva, riprendiamo il nostro lavoro. In questo numero poniamo particolarmente attenzione al grave problema delle classi differenziali e di aggiornamento, offrendo agli amici precise testimonianze. Queste ci fanno conoscere alcuni bambini del borghetto Predestino alle prese con un tipo di scuola che perpetua la loro condizione di emarginazione e di umiliazione. Potremo capir meglio il loro dramma se terremo presente la difficilissima situazione ambientale in cui sono inseriti e che viene tratteggiata nella indagine pubblicata sulla lettera n° 22 (luglio- agosto 1971).

Per bambini che portano su di sé già un pesante fardello di solitudine, il sistema delle classi differenziali, col pretesto di offrire una scuola migliore, si traduce in una nuova condanna all’abbandono a sé stessi. A questo proposito sarà opportuno non lasciarci fuorviare dalle allettanti prospettive pedagogiche offerte dalle norme istitutive delle classi differenziali: la realtà presenta il quadro desolante di insegnanti per nulla preparati ad un compito così delicato come quello di ridare fiducia e di introdurre nell’immenso spazio della creatività bambini per i quali la vita ha già assunto i tristi contorni della lotta per la sopravvivenza.

A ciò si deve aggiungere la grave carenza di attrezzature e si comprenderà con quanto velleitarismo e superficialità ci si impegni in compiti che richiederebbero profonda sensibilità, competenza e quella che si dice “ chiara volontà politica”.

I ragazzi di Barbina, in “Lettera ad una professoressa”, affermano che le classi differenziali e di aggiornamento sono la cosa più bella che ci sia nella scuola italiana, quando funzionano. Ed aggiungono subito che non ci sarebbe più bisogno di classi differenziali (nota a pag. 84), se si realizzasse la scuola a tempo pieno. A quattro anni di distanza da quando sono state scritte queste parole, dobbiamo amaramente constatare che le classi differenziali non hanno funzionato affatto e che il pieno tempo resta un’utopia.

Forse la risposta migliore ad una situazione così carente potremo darla tutti noi, nella misura in cui sapremo liberarci da una falsa cultura fatta di privilegi e troveremo concrete occasioni di autentica crescita insieme ai fratelli sfruttati, abbandonati a sé stessi, indifesi, traditi da una società che si autodefinisce “civile” e da una città che si fregia del titolo di “centro della cristianità”.

Vi salutiamo fraternamente.

Gli amici de “la tenda”

Classi Differenziali, Non Si Puo’ Piu’ Tacere

  1. INTRODUZIONE

Da qualche tempo sui giornali si leggono frasi di questo tipo : “No alle classi differenziali” “Le classi differenziali sono diventate un ghetto per i poveri”.

Psicologi, sociologi, maestri, genitori hanno cominciato a lottare contro questo tipo di classe; e la reazione del Ministero della Pubblica Istruzione non tarda a venire. Con circolare del 13 agosto 1971 il Ministero comunica: “Le classi differenziali e di aggiornamento verranno sostituite a partire dal 1° ottobre prossimo, con classi sperimentali, nelle quali, PUR RIMANENDO IMMUTATE LE NORME PREVISTE DALL’ORDINAMENTO VIGENTE si promuoverà un’azione pedagogica individualizzata”.

Se leggiamo la circolare, ci accorgiamo innanzitutto che questa vale solo per la scuola media secondaria inferiore.

D’altra parte, la sostanza della circolare è chiara: le classi differenziali nella media cambiano soltanto nome, non il meccanismo; nelle elementari le cose restano come prima.

Ora l’inganno verso i genitori è completo: ufficialmente le classi differenziali non “esistono più”. Ma è proprio vero?

Pensiamo che oggi sia più che mai necessario soffermarsi sul problema delle classi differenziali, cercando di coglierne i suoi precisi contorni. Per far questo analizzeremo la situazione nel concreto, mettendo a fuoco la realtà della nostra città.

  1. BORGHETTO PRENESTINO 1971

Il Borghetto Prenestino, il più esteso di Roma, è abitato da 3.000 persone circa. Da una indagine campione – su 100 adulti – condotta nel 1969 risultò che il 40% delle persone erano analfabete; esse erano in maggioranza impiegati (58 casi su 100) come manovali, operai semplici e specializzati nel campo edilizio.

In questo mondo di sottoproletariato prendiamo tre storie.

Luciana S. ha sette anni, è figlia di immigrati calabresi. La madre è analfabeta, il padre sa solo leggere, fa il manovale e rientra a casa per alcune ore al giorno. Luciana inizia la II elementare e non sa assolutamente leggere; la I l’ha trascorsa in bianco. Un mese dopo l’apertura della scuola passa il direttore che domanda alle maestre quali sono i “soggetti difficili”. Luciana finisce nella classe differenziale. Intanto arriva la commissione psicopedagogica dal ministero; questa accerta due cose: Luciana, secondo i test non deve stare in classe differenziale perché può isolarsi maggiormente; la maestra della classe differenziale è del tutto impreparata a recuperare i ragazzi. La commissione psicopedagogia fa precise richieste, il direttore incrocia le braccia. Intanto la madre di Luciana, vedendo che la figlia non sa leggere, comincia a dire: “C’è chi nasce intelligente e chi nesce cretino; tu, figlia mia, non hai avuto fortuna e sei un po’ tonta”; Luciana si convince di essere cretina.

Lorenzo allora prova a seguirla al doposcuola. Luciana si rifiuta di leggere perché dice che non lo sa fare e che lei è cretina. Dopo molti giorni Luciana impara a leggere. Pian piano la paura della cretina sparisce. Riprende coraggio; adesso sta in classe differenziale, dove dovrebbe essere recuperata alla classe normale.

Un mese fa un gruppo di madri della borgata andarono dal direttore a chiedere di togliere le loro figlie da quella classe; il direttore rispose: “ Va bene, però la responsabilità è tutta vostra”. Solo due madri su otto insistettero, le altre lasciarono le figlie lì, fino alla fine dell’anno scolastico.

Salvadore C. ha 7 anni, è il terzo di sei figli; il padre è manovale e sta fuori casa per gran parte del suo tempo; la madre cerca di seguire allo stesso modo tutti i figli, ma non ci riesce. Salvadore, come altre migliaia di bambini a Roma, non ha potuto frequentare né la scuola materna né l’asilo; questo vuoto – come è stato accertato da successivi esami psicologici – ha pesato sul suo sviluppo affettivo e sulla capacità di manipolazione degli oggetti più fini, come penne, matite ecc. Salvadore va alla prima elementare e la maestra per tutto il tempo lo lascia all’ultimo banco col quaderno in bianco davanti. Dopo due mesi Salvadore non sa scrivere le vocali; per la lettura è muto. A casa comincia ad essere guardato in modo diverso: sta nascendo la psicologia della pecora nera; il padre fa il confronto con Paolo, il quarto figlio, che, avendo potuto frequentare l’asilo, scrive aste e vocali; perciò si innervosisce e, anche senza dirlo, tratta Salvadore da testa dura.

Salvadore viene seguito dal doposcuola in borgata e comincia ad arrangiare qualcosa. Durante l’estate migliora. L’inizio della seconda elementare sembra incoraggiante. Poi arriva il direttore e Salvadore finisce in classe differenziale insieme a Luciana. Salvadore si sente chiaramente escluso, la maestra lo fa sempre scrivere e contare decine, mai disegnare. E Salvadore (ma questo la maestra non lo sa) in prima non ha imparato nulla. Salvadore è sottoposto a test ; la commissione psicopedagogia avanza la stessa richiesta che per Luciana. La madre chiede e ottiene che Salvadore venga rimesso in “classe normale”. Un giorno il padre s’accorge che il figlio sta, come al solito, all’ultimo banco, col libro aperto davanti, trascurato e con il timore in più di doversi adattare a nuovi compagni e ad una nuova maestra. Il padre va dalla maestra a reclamare che il figlio venga seguito al pari degli altri e che non venga scartato perché figlio di un operaio; la maestra si picca di essere giudicata nel suo lavoro; ordina ai ragazzini di scrivere questo tema: “Come si è comportato il padre di Salvadore”. Salvadore suda freddo e scrive quello che vive: la maestra è stata ingiusta con papà mio. La maestra allora piomba dal direttore mostrando il tema; interviene l’assistente sociale che spiega alla maestra le difficoltà del ragazzo; la maestra promette davanti al direttore che sarà piena di affetto per lui, che ora ha capito tutto.

Alcuni giorni prima di Pasqua, Salvadore porta alla maestra un regalino; lei, “che ha capito tutto “ , rifiuta il regalo di Salvadore mentre accetta quello di tutti gli altri. Adesso Salvatore a scuola fa una sola cosa: copiare il dettato, copiare il dettato, ogni giorno; mentre intorno a lui i compagni scrivono, disegnano, leggono, fanno lavoretti, contano. Anche senza le minacce o i temi il ragazzo è escluso. La maestra per aiutarlo non gli da compiti per casa, mentre gli altri li fanno; e lui se ne accorge e non vuole fare più nulla. Continuando così potrà finire un giorno dopo l’altro alla classe speciale, e che si potrà dire allora? Il bambino ormai non rende più. Adesso l’unica speranza è che l’anno prossimo il direttore rimedi per Salvadore una maestra comprensiva e veramente preparata.

La storia di Salvadore è importante perché chiarisce due aspetti paralleli e coincidenti della selezione. La classe differenziale non serve a recuperare, la classe normale è gestita in modo eguale alla differenziale. Il meccanismo dell’esclusione e del disadattamento è ormai scattato. Senza speranza.

Giovanni e Giuseppe C. sono i più grandi di tre figli. Giovanni ha sette anni e Giuseppe nove. In Calabria hanno frequentato la prima elementare in una scuola rurale dell’entroterra più isolato. In queste scuole si fa lezione due ore al giorno, per cinque giorni alla settimana. Durante l’inverno c’è neve e fango e la maestra resta latitante. Comunque i due ragazzi terminano la prima elementare bocciati. La famiglia emigra per lavoro a Roma; si iscrivono alla scuola per la prima elementare.

Data la loro età i bambini vengono sottoposti a test. La commissione psicopedagogia, la medesime che ha operato nella scuola di Luciano e Salvadore, accerta che i bambini sono normali per intelligenza, ma non superano i test perché, a causa dell’isolamento in cui sono vissuti, non riconoscono gli oggetti più comuni in essi disegnati. Finiscono alle differenziali. Dopo alcuni mesi entrano in una “ classe di recupero” di 36 alunni!!!

Insieme a 34 ragazzi che hanno le loro stesse difficoltà linguistiche, psicologiche, sono passati da una classe differenziale ufficiale a un’altra mascherata.

La storia di Giovanni e Giuseppe ci dà un’altra indicazione: la differenziazione scolastica nasce a monte: in Calabria, con la scuola rurale, si completa a Roma con la classe differenziale. Un’altra volta ancora il meccanismo dell’esclusione è scattato.

Queste storie possono sembrare un’eccezione; eppure se cominciamo a frugare nel quartiere l’eccezione si ripete, il mosaico dell’esclusione comincia a dilatarsi. Nell’anno scolastico 1970/71 nel quartiere Prenestino Labicano c’erano ufficialmente segnalate 27 classi differenziali (notizia desunta da un ciclostilato distribuito dall’Ispettorato Centrale Scolastico, via Gioberti, 60 Roma). Da una inchiesta condotta attraverso assistenti sociali, psicologi, maestri, nei soli paraggi del Borghetto Prenestino ne sono state individuate 26 (e il dato non è completo) come dalla seguente tabella:

Scuole elementari con classi differenziate Numero classi Alunni

 

A. Trilussa (via Anagni) 4 30

Giovanni XXIII (V.le Partenope) 2 21

G. Belli (Villa Gordiani) 4 36

G. Cesare (Conte di Carmagnola) non accertato ————

totale 14 127

Scuole medie con classi di aggiornamento Numero classi Alunni

U. Betti ( via Aquilonia) 1 12

B. Pinelli ( via Aquilonia ) 2 30

G. Salvatori (succursale) 9 88

__________ ________

totale 12 130

————— ————-

totale complessivo 26 257

Maurizio Di Giacomo, nell’offrire questa testimonianza, si pone a disposizione per maggiori notizie, critiche, collegamenti, proposte al seguente indirizzo: Doposcuola Borghetto Prenestino, Via Stazione Borghetto Prenestino, 90, 00177 Roma.

L’ Assemblea Ecclesiale Romana : Una Cronaca

Dopo i nostri articoli sui diversi apporti dati al rinnovamento della Chiesa locale di Roma dal Movimento laureati cattolici (vedi “la tenda” n° 8 febbraio 1970, n° 14 ottobre 1970), da “ Hora quinta” (vedi “la tenda” n° 10 aprile –maggio 1970), dagli studenti della Lateranense (“la tenda” n° 11 giugno 1970), e infine dalle Equipes Notre Dame (“la tenda” n° 19 aprile 1971), pubblichiamo ora un articolo sull’Assemblea ecclesiale romana, sempre nell’intento di contribuire alla “comunione di pensiero, di ricerca, di sperimentazione” tra i cristiani di Roma

(vedi presentazione di “la tenda” n° 1 giugno 1969).

L’articolo si presenta come una “cronaca”, una pura e semplice informazione, seguita da una breve collocazione dell’Assemblea ecclesiale nella storia del movimento spontaneo a Roma. Difatti i temi a volta a volta scelti e dibattuti, le iniziative prese e realizzate dall’Assemblea ecclesiale parlano da sé e pungolano salutarmene la coscienza e l’intelligenza del lettore non distratto.

Non vogliamo tuttavia rinunciare a dire ciò che queste righe ci hanno suggerito.

A sei anni dalla chiusura del Concilio, ci siamo chiesti: cos’è cambiato nei rapporti tra la gerarchia della Chiesa locale di Roma e i potenti della nostra città?

E, prima ancora, quali segni ha dato la Chiesa di volersi veramente liberare dalla propria potenza terrena? Se nulla di convincente v’è stato, non dipende soprattutto dal fatto che, nonostante la riforma liturgica e quella del calendario, la più gran parte dei fedeli è tenuta al di qua da un’effettiva partecipazione?

La testimonianza che ci dà l’Assemblea ecclesiale, col coraggioso radicalismo delle tesi, con la tempestività e la continuità della sua lotta per una Chiesa veramente memore che il regno di Dio non è di questo mondo, ci sembra insegnare qualcosa a ciascuno di noi.Essa ci induce tra l’altro a considerare in che misura le comunità cristiane di base di Roma sono sensibili a questi problemi, li riconoscono come invito di Dio ad una partecipazione più profonda alla vita della Chiesa.

Ci sembra utile ricordare alcuni fatti attraverso i quali si è dispiegata l’attività dell’Assemblea ecclesiale, senza pretendere di fare un bilancio dei tentativi di collegamento fra i gruppi di base messi in atto da diverse parti nella Chiesa di Roma dal 1968. L’Assemblea ecclesiale è nata il 15 febbraio 1969 per rispondere all’esigenza di collegamento fra i gruppi cristiani spontanei e le comunità di base, e per offrire loro un’occasione di confronto e di scambio delle loro esperienze, e di generalizzazione delle loro iniziative.

Già il 1° gennaio 1969, giovani appartenenti a diversi gruppi avevano aderito ad una iniziativa spontanea di contestazione della “Giornata della pace” indetta dal Papa. La gendarmeria vaticana li aveva duramente espulsi dalla basilica, mentre alternavano preghiere a letture di passi biblici, conciliari e teologici. Da qualche mese inoltre, si era costituito un “Centro di collegamento” col proposito di aiutare i gruppi a organizzare attività comuni.

In occasione di una di queste – il pubblico dibattito organizzato dal “Centro di collegamento” e dai gruppi Ozanam, Papa Giovanni, Giovanni XXIII e Ora sesta il 2 febbraio al teatro Centrale su “La comunità ecclesiale alla luce dell’esperienza dell’Isolotto” – sorse l’idea di un’assemblea permanente delle iniziative ecclesiali di base.

Per iniziativa del Circolo Ozanam e con la collaborazione del Mir fu infatti indetto in via Balbo 4 un incontro di preghiera e riflessione su Camilo Torres per il 15 febbraio e tale incontro può considerarsi la prima riunione dell’assemblea dei gruppi ecclesiali romani, perché si propose di continuare a dare ai diversi gruppi occasione e luogo d’incontro e di confronto. L’organizzazione delle riunioni, per un certo tempo settimanali, fu curata da una segreteria tecnica incaricata di mettere in atto le decisioni dell’assemblea.

Negli incontri i gruppi presentarono le loro esperienze e proposero le loro iniziative che, pur rimanendo affidate alla responsabilità dei proponenti venivano generalizzate. Di queste indichiamo le più significative:

  • 15/2/1969 Incontro su Camilo Torres : letture, riflessioni e preghiere per celebrare la memoria del prete guerrigliero. Emerge la volontà di costituirsi in assemblea permanente dei gruppi ecclesiali romani.
  • 2/3/1969 Presenza in S. Pietro per protestare contro la visita di Nixon in Vaticano e il suo incontro con Paolo VI. Circa cento giovani provenienti da diversi gruppi e parrocchie si sono riuniti in S. Pietro: preghiere, letture bibliche e distribuzione di un volantino esplicativo in cui si legge “Nixon cerca presso il Papa prestigio per il suo potere. Vogliamo che il nostro vescovo sappia che noi non vogliamo che la sedia degli Apostoli venga considerata dal mondo come uno Stato con cui si scambiano rappresentanze diplomatiche …….Il Papa deve ricevere Nixon da pastore non da capo di Stato”. Invitati ad allontanarsi dall’arciprete della basilica i giovani furono trascinati via dai gendarmi e alcuni di loro furono consegnati alla polizia italiana.
  • 23/4/1969 Dibattito su “ Il problema dei patti lateranensi nel rinnovamento della Chiesa in Italia”, all’Adriacine in via Forte Trionfale, organizzato dai gruppi Papa Giovanni, Giovanni XXIII, Ora sesta, Comunità uno, Movimento giovanile unitario, per iniziativa del Centro di collegamento. Circa trecento gli intervenuti; il dibattito fu introdotto dalla lettura di un testo preparato e distribuito ai presenti a cura degli organizzatori e da interventi di G. Bruni, M. Cuminetti, L. Tosti, R. La Valle; furono raccolte firme per una dichiarazione auspicante la rinuncia unilaterale della S. Sede ai Patti Lateranensi.
  • Aprile 1969 Iniziative di solidarietà per F. Fabbrini,imputato di turbamento di funzione religiosa per aver interrotto l’omelia di un prete in S. Pietro in Montorio, che aveva sostenuto la tesi di Israele popolo deicida. Diffusione a cura del Mir di un documento sui fatti “Le discussioni teologiche sono finite in un’aula del tribunale”; organizzazione dell’invio di lettere di solidarietà al procuratore della Repubblica e al “vescovo di Roma”.
  • 27-28/9/1969 Appoggio e partecipazione alla riunione dell’assemblea dei preti solidali (AEP), in concomitanza con il primo Sinodo dei vescovi a Roma. Ricerca di alloggio per i partecipanti, collaborazione volontaria per la segreteria e per le traduzioni; attiva presenza all’interno del gruppo nazionale italiano che si costituì, autonomamente, come gruppo preti-laici e contribuì a proporre in termini nuovi il problema del prete nella comunità.
  • 12/10/1969 Raduno in S. Pietro in occasione del Sinodo dei vescovi, con la partecipazione di alcuni membri dell’AEP. Preghiere, letture, canti e distribuzione di un documento in cui si legge fra l’altro “i vescovi non vengono a Roma portando le voci dei loro Paesi. In Italia per esempio la gente, il popolo di Dio, è stato forse invitato a discutere per il Sinodo con i vescovi che lo rappresenteranno? Rappresentanti di chi?….Vogliamo pregare Dio perché la chiesa, popolo e pastori, sia veramente la comunità dei fratelli, dove si ascolta la sofferenza del mondo e si diffonde l’annuncio della speranza”; notevole la partecipazione dei gruppi e l’interesse della gente presente.
  • Novembre 1969 La suddetta iniziativa contribuì molto alla ripresa dei lavori dell’Assemblea che sostituì al nome “Assemblea dei gruppi ecclesiali” quello di “Assemblea ecclesiale romana” per evitare ogni confusione sulla sua rappresentatività rispetto ai gruppi e sulla responsabilità delle iniziative nate o generalizzate al suo interno. L’Assemblea, pur rimanendo aperta alle comunicazioni delle esperienze e delle proposte operative dei gruppi, assunse direttamente la responsabilità delle sue iniziative. Maggiore importanza assunse la segreteria a cui restò, di fatto, affidata la funzione di proporre temi di discussione e obiettivi d’azione.
  • 24/11/1969 Lettera al cardinal Dell’Acqua per protestare contro la preghiera antidivorzio da lui indetta ufficialmente per il 23 nov. L’Assemblea prese in esame questo invito del Cardinale e decise di inviargli una lettera nella speranza di instaurare un dialogo almeno con il “vicario del vescovo di Roma”. La lettera non ebbe risposta e l’Assemblea decise di renderla pubblica in modo che il dialogo potesse svilupparsi nella sua sede naturale: la co
  • 23/1/1970 Incontro di preghiera interconfessionale in occasione della settimana per l’unità dei cristiani. Letture bibliche, riflessioni e preghiere hanno caratterizzato l’incontro a cui hanno partecipato valdesi, battisti e altri evangelici, preti e pastori; un documento approvato dai presenti dice fra l’altro: “Ci sentiamo responsabili di non aver cercato insieme la medesima fede e di non aver vissuto nell’amore e nella pace…..La venuta di Cristo nel mondo ci chiama ad essere fermento nella società, per partecipare all’opera di liberazione degli uomini e per costruire la comunità cristiana libera dai compromessi col potere politico, economico e culturale. Non può esistere vero ecumenismo, cioè impegno all’unità in Cristo, finchè nelle comunità cristiane ci saranno divisioni di potere, di classe, di razza, perché in Cristo non ci deve essere né giudeo, né greco, né schiavo, né libero, né maschio né femmina”.
  • 11/2/1970Pubblico dibattito su “Autoritarismo nella chiesa e concordato” presso la facoltà teologica valdese. Circa duecento gli intervenuti; relazione introduttiva concordata in assemblea con particolare riferimento alla stretta relazione fra degenerazione dell’autorità nella chiesa italiana e regime concordatario; sono poi intervenuti G. Mario Albani, G. Girardet, A. Zarri e altri; fu distribuito un ciclostilato contenente una serie di casi poco noti, tratti dalla giurisprudenza, che mettono in risalto il carattere vessatorio delle norme concordatarie. Il materiale è pubblicato sul n° 10 , 15 maggio 1970 di IDOC.
  • 16/3/1970 Espressione di solidarietà con Mons. Baldassarri sottoposto a “visita apostolica” di chiaro carattere intimidatorio e inquisitorio; approvazione di un documento sul divorzio ampiamente ripreso dalla stampa. La segreteria presentò una bozza di lavoro per affrontare il tema del “matrimonio oggi nella chiesa” , che servì poi da traccia di discussione per altre riunioni il 13 aprile, il 4 e il 25 maggio. Al termine della presentazione sorse una discussione sui recenti interventi della gerarchia sulla legge Fortuna-Baslini in discussione al parlamento italiano; i risultati furono raccolti in un documento in cui si legge fra l’altro: “il Papa si presenta come il sovrano di uno Stato che pretende a torto o a ragione di interferire negli affari interni di un altro Stato. Gli atti che il Papa compie come sovrano temporale nulla hanno a che vedere con la fede e ci impongono il dovere come cristiani di manifestare il nostro dissenso da iniziative che, perpetuando la confusione tra comunità ecclesiale e società civile, nuocciono gravemente all’annuncio evangelico”.
  • 28/4/1970 Appoggio e partecipazione al pubblico dibattito su “Coscienza e libertà di espressione” organizzato dall’IDOC. Alcuni professori della Gregoriana e altri moralisti presero coraggiose posizioni su alcuni interventi vaticani contro la libertà di parola nella chiesa, posizioni più decisamente polemiche assunsero alcuni dell’“Assemblea ecclesiale”.
  • 9/11/1970 L’Assemblea decide di affrontare il tema dell’insegnamento della religione nella scuola come problema di catechesi. Fu deciso di coinvolgere nel dibattito anche gli studenti, ma questa iniziativa non avrà successo; fu inoltre costituito un comitato ristretto per l’elaborazione di un documento che poi sarà discusso, modificato e approvato nella seduta del 14 dicembre.
  • 11/1/1971 Diffusione del documento ai gruppi, alla stampa, agli insegnanti di religione romani. In esso si legge fra l’altro: “La scelta libera e consapevole del cristiano si può raggiungere solo nel rispetto della coscienza individuale e comunitaria danneggiata da ogni forma di coercizione sia pure indiretta ed anche solo di natura psicologica quale inevitabilmente si ritrova nell’attuale sistema di insegnamento scolastico della religione”. Vi sono inoltre riportate una serie di proposte operative per “eliminare tale forma di privilegio e far cessare tale forma mistificata di evangelizzazione”.
  • 11/2/1971 Pubblico dibattito al teatro dei Satiri in Roma su “ Concordato e insegnamento della religione nella scuola”. Circa duecento le persone in sala e un centinaio restate fuori perché il proprietario del locale aveva chiamato la polizia per la minacciosa presenza in sala di un gruppo di “cattolici tradizionalisti” spalleggiati da una squadra di fascisti; durante l’introduzione di M. Cuminetti e M. Bertini i disturbatori, con la tolleranza della polizia tentarono di impedire agli oratori di parlare, ma il dibattito continuò, pur se vivacemente, permettendo alla maggioranza dei presenti di manifestarsi d’accordo col documento proposto dall’Assemblea il cui testo, insieme con quello delle relazioni, è stato pubblicato sul n° 8 del 15 aprile 1971 di IDOC. Vasta eco nella stampa e diffusione del tema fra gruppi e comunità fuori Roma.
  • 1/3/1971 Documento “Significato del documento del Consiglio di presidenza della CEI: chiaro appoggio agli antidivorzisti”, discusso e approvato per la diffusione nelle parrocchie. Questa diffusione è risultata molto limitata mentre maggiore è stata la divulgazione attraverso i canali della stampa e delle agenzie.
  • Aprile 1971 E’ affrontato il tema dei “Rapporti fra chiesa di Roma e speculazioni economiche” con l’individuazione di tre settori in cui tali rapporti si esplicano: edilizia, assistenza all’infanzia, cliniche private. Un gruppo di lavoro ha affrontato il primo aspetto individuando però difficoltà per il momento insuperabili, per ottenere la documentazione necessaria per una denuncia articolata e fondata. Nella stessa riunione l’Assemblea decide di aderire al Comitato di collegamento nato fra gruppi e comunità romane interessate al caso Lutte.
  • 31/5/1971Intervento sul processo dell’Isolotto. Invio di una lettera al Procuratore della Repubblica di Firenze P. Vigna, con 34 firme, ed una al Cardinale Florit con 28 firme per esprimere apprezzamenti e dissenso sul loro comportamento.Copie delle lettere sono state inviate all’Isolotto. Discussione sugli sviluppi del Comitato di Collegamento al quale si è deciso di confermare tutto l’appoggio; si è altresì deciso di ripensare il lavoro e la funzione stessa dell’Assemblea ecclesiale romana alla luce di questa nuova esperienza in corso.
  • 20/6/1971 Partecipazione dell’Assemblea e di altri gruppi romani all’incontro nazionale svoltosi a Firenze su “ Chiesa e potere economico-politico in Italia”, organizzato dal gruppo di lavoro del “Bollettino di collegamento fra le comunità cristiane in Italia”. L’Assemblea ha riproposto un tema già affrontato a Roma “Chiesa e potere nella storia” mentre altri gruppi hanno trattato altri aspetti del problema. La partecipazione dei gruppi romani è risultata omogenea.

Questi i fatti più significativi attraverso cui l’Assemblea si è resa presente all’opinione pubblica e ai fratelli ed ha espresso l’orientamento prevalente al suo interno. La vita dell’Assemblea però non si esaurisce in essi: si è dispiegata nel lavoro di riflessione in comune, nelle discussioni all’interno, nelle tensioni generate dalle scelte sulla via da seguire, nel rapporto con i gruppi che di volta in volta si esprimevano in essa e nell’attività della segreteria.

Non è nostro compito in questa sede dare conto di tutto ciò, possiamo però dire che la vita della Assemblea ecclesiale romana si inserisce, e al tempo stesso ne è una espressione, nell’evoluzione del movimento spontaneo nato a Roma e in Italia dalla crisi dell’unità ecclesiastico-politica che va sotto il nome di “mondo cattolico”. In tale processo essa ha rappresentato un costante richiamo all’unità nella diversità, per le molteplici esperienze di rinnovamento della chiesa presenti a Roma, indicando anche una via per realizzare tale unità. Dopo che molti dei gruppi spontanei hanno scelto un più specifico impegno politico, dissolvendosi nei partiti tradizionali o confluendo nei movimenti o gruppi extraparlamentari, gli altri, che hanno inteso mantenere una più precisa connotazione ecclesiale, si sono trovati spesso in tensione fra una ricerca di “impegno cristiano nella società”, ed una più precisa assunzione di responsabilità all’interno della istituzione ecclesiastica nell’ambito del rinnovamento liturgico e pastorale.

Difficile è risultato il confronto di cui pur tutti hanno avvertito la necessità, per aprirsi alle esperienze degli altri e per cogliere il limite della propria. L’Assemblea ha indicato , nell’analisi e nella lotta contro l’autoritarismo e il temporalismo della gerarchia e contro le compromissioni della chiesa con il potere economico e politico, un momento unificante e al tempo stesso discriminante: unificante per quanti sono preoccupati della costante perdita di credibilità della chiesa specie presso i poveri e i giovani, discriminante per quanti parlano di chiesa povera, ma la vogliono ancora ricca e potente.

In qualsiasi esperienza di comunità o di gruppo, sociale o di evangelizzazione, la presa di coscienza delle resistenze che si frappongono al reale rinnovamento della chiesa non può essere disgiunto dall’impegno a rimuoverle: questa ipotesi di lavoro dell’Assemblea oggi comincia ad essere diffusa anche fuori Roma.

 

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