Lettera 21 (Prima Serie)

Roma, Un Episcopato Articolato (2)

Per descrivere gli anni ‘69 – ‘71 torniamo alle più semplici considerazioni ed esposizioni di fatto. Procederemo come per flashes separati, con minore unità di impostazione, data la condizione di movimento nella quale si trovano le cose che presentiamo. Il panorama episcopale è quello della tabella 1. I livelli di potere che si cerca di instaurare sono quelli della tabella 2.

Escludiamo nella maniera più decisa che sia questione di lotte tra persone. Si tratta di livelli organizzativi strutturalmente a confronto. Parliamo sempre sotto questo aspetto tralasciando ogni giudizio sulla persona dei vescovi. Non abbiamo difficoltà a credergli invece veramente impegnati ad evitare anche con volontaria sterilità le frizioni nascenti dalla natura dei rapporti strutturali che di volta in volta sono costretti a incarnare.

Primo flash: rapporti tra vice gerente e vescovi ausiliari. Il vicegerente-segretario generale e cinque vescovi ausiliari territoriali sono oggi sullo stesso piano episcopale. Tutti cioè con eguale diritto a pascere la porzione di popolo di Dio loro affidata. Il problema nasce dal fatto che i cinque da un lato e il vicegerente dall’altro devono guidare lo stesso popolo di Dio. Il vice gerente gode il vantaggio di essere l’alter ego del vicario, ma si scontra con l’enormità della diocesi ed è quindi esposto ad un contatto spersonalizzato. Gli ausiliari sono più legati e da più tempo, al clero e alle parrocchie, ma sono esposti al rischio della impotenza se, vedi caso, il vicario non partecipa alla riunione settimanale dei vescovi che anzi affida alla presidenza del vicegerente col quale ha già concordato le linee della “pastorale”.

Per quanto sia difficile immaginare una équipe di ausiliari in meno bellicosa dell’attuale, il loro esser vescovi si presenta come un handicap ineliminabile per una guida centralizzata che non voglia sorprese. Intermediari episcopali per quanto ben disposti vengono sostanzialmente ritenuti pericolosi. Sopprimere cinque vescovi non è possibile, né trasferirli in blocco o progressivamente. Non resta che disinnescarli per usi Pacifici. L’ausiliare Canestri trasferito da poco ad altra diocesi è stato sostituito dal settore est, considerato come il più delicato, con un vescovo più anziano di lui (Terrinoni, 1971).

Secondo flash per neutralizzare la struttura episcopale è necessario anche sostituirla con una funzionante cinghia di trasmissione tra centro e periferia. Nel 1970 si rispolvera una visione della città in “prefetture”, opportunamente riadattate. La città viene suddivisa in 35 gruppi di sei-dieci parrocchie con a capo un prefetto. Si riuniscono i 35 prefetti, si trasmettono direttive per i parroci. I prefetti non sono vescovi, non hanno veste per discutere. La cinghia di trasmissione corre senza attriti episcopali.

Testo flash: individuazione di due sistemi gerarchici nella diocesi.

Sembra di poter identificare oggi nella guida pastorale della diocesi due diverse strutture che tendono a sostituirsi e ad escludersi a vicenda.

TABELLA 4 – Corrispondenze tra i livelli di due supposte linee di guida pastorale

E B
Papa 1 Papa
Vicario 2 Vicario
3 Vicegerente
Vescovi ausiliari 4
5 Prefetto
Prete – Parroco 6 Parroco
Comunità di base 7 Comunità di base – Parrocchia

La prima struttura si avvicina molto d’una serie di rapporti tipicamente ecclesiali (E) caratterizzati da gradi sacramentali, con tutte le attribuzioni, libertà e garanzie connesse: comunità di laici col presbitero, collegio dei presbiteri col vescovo, concilio dei vescovi. Un esiste invero il problema del raddoppio 1-2 (Papa-Vicario, sul quale vedi primi accenni di discussione in “La Tenda” 1, pag. 3) ma lo trasmettiamo ad altra ricerca.

La seconda struttura comporta oltre raddoppio 1-2 già detto anche un ulteriore sdoppiamento episcopale (2-3, Vicario Vicegerente) di ancor più difficile spiegazione ecclesiologica. Inoltre aggiungo un grado intermedio tra vescovi e presbitero (5, prefetto) con funzioni delegate senza alcun riscontro in un grado di sacerdozio.

Negli ultimi due anni è in piena crescita la seconda struttura che appare di tipo burocratico (B). Essa evita precise attribuzioni di responsabilità a livello episcopale in (gradi 1,2,3 senza trascurare l’utilizzazione del grado 4), interrompe per mezzo del prefetto (5) l’incontro dei presbiteri è quindi della base col vescovo.

Pensiamo di poter identificare un certo indirizzarsi spontaneo delle forme di vita ecclesiale più genuine intorno alla struttura E. Come per una attrazione naturale il clero e la comunità di base si rivolgono al vescovo territoriale e quando devono oltrepassarlo si rivolgono naturalmente al Cardinale Vicario. Generalmente parlando, solo lo smistamento dei casi per via di ufficio pone via via preti e comunità di fronte ad altri interlocutori (vedi a completa conferma il caso di S. Luca del quale abbiamo preso le mosse).

Poniamo l’ipotesi che la diocesi avrà un funzionamento perlomeno difficile finché conviveranno le due strutture parallele o meglio le due mentalità, ecclesiale e burocratica, che in quelle si esprimono. Che un vero sblocco dei rapporti ecclesiali in Roma sia subordinato alla eliminazione di uno dei due schemi?

Tanto più che le due strutture E e B si ramificano e si intrecciano ancor più rigogliosamente nei gradi presbiteriali (5 e 6). Poniamo quindi un quarto flash: strutture presbiterali collegiali (ai livelli 5-6 della tabella 4).

Presentiamo anzitutto tre strutture collegiali piuttosto di tipo E. Nel presbiterio la prima struttura collegiale è ovviamente l’assemblea generale del clero. Ne è stata convocata una sola, nel settembre 1970, con argomento “rinnovata pastorale del matrimonio”. Seconda struttura collegiale derivata dalla prima è il consiglio presbiteriale, organo rappresentativo del clero che collabora stabilmente col vicario con funzioni consultive. Di fatto il precedere dei lavori del consiglio presbiteriale ha alquanto deluso i suoi membri. Piuttosto è stato convocato su argomenti teorici o di procedura senza che gli venga richiesto in termini precisi un parere su situazioni concrete della diocesi. Qualche volta si è riusciti ad ottenere la discussione su fatti reali. In un caso la presidenza ha accettato, ma ha imposto che quella parte di discussione non venisse messa a verbale! Il Cardinale partecipa solo in parte alle riunioni ed è stato del tutto assente all’ultimo incontro (maggio 1971). Il Consiglio è stato anche suddiviso in gruppi di lavoro, con relativa commissione di collegamento, che vengono riuniti separatamente. Gli eletti al consiglio presbiterale non riconoscono sempre nel procedere delle riunioni l’esercizio di una reale funzione consultiva al vescovo e si sottraggono persino alle riunioni plenarie, pur sapendo che con tre assenze in decade da membri del consiglio.

Proprio per la coscienza di essere l’unica voce viva nel clero diocesano, il consiglio non si pone ancora il problema della sua natura di sostitutivo per un della riunione di tutto il presbiterio. Esso difende in se stesso l’unica forma di rapporto 6-1 o 6-2 o 6-3 o 6-4 che dovrebbero poi essere un unico rapporto e senza deleghe di rappresentanza.

Tersa struttura collegiale di tipo E può essere qui considerata la riunione periodica del clero dei cinque settori col relativo vescovo territoriale. Essa si svolge ormai prevalentemente in forma di ritiro spirituale, di regola ogni mese.

Viceversa vengono favorite altre tre forme collegiali di tipo B. Una è la riunione di prefettura di cui si è detto si dirà. Tende a prendere i contenuti della riunione di settore di cui subito sopra.

La seconda è il consiglio dei prefetti. “Il consiglio dei prefetti si riunisce una volta al mese, insieme al consiglio episcopale, ed al Cardinal Vicario e al Vicegerente che presiede, in modo da realizzare l’unità della diocesi. Saranno poi, in seguito, precisate le sue funzioni”. Alla lettera, Rivista diocesana di Roma, 1971, 1-2, p.119. Nella breve frase ufficiale appaiono non poche cose: che il consiglio episcopale tende ad essere diluito in una riunione più vasta; che non è neppure assicurata la partecipazione del Vicario (la particella “o”) e in ogni caso non avrà la presidenza della riunione (“il Vicegerente che presiede”). Soprattutto appare che alla finalità invero non piccola di “realizzare l’unità della diocesi” corrisponde una assoluta incertezza istituzionale “saranno poi, in seguito precisate le sue funzioni” a totale discrezione del costituente. Tale consiglio dei prefetti tende abbastanza visibilmente a doppiare il consiglio episcopale ed il consiglio presbiteriale; la stessa denominazione “consiglio dei prefetti” fa dei vescovi poco più che degli spettatori.

Terza struttura di tipo B possono considerarsi “le nuove dieci commissioni diocesane” (Rivista diocesana di Roma, ivi). Esse sembrano avere piuttosto il compito di affiancare e condizionare gli uffici del vicariato (desiderio mai abbandonato e mai realizzato) dei quali ricopiano le competenze (v. Rivista diocesana di Roma, 1970, 11-12, p. 1332.

In complesso noi proponiamo l’ipotesi di una struttura B che tenta di sostituire la struttura E. In tale tentativo si concede nei gradi presbiterali un certo spazio a forme collegiali che sono ormai concessioni necessarie. Ma tali forme collegiali vengono realizzate prescindendo dai rapporti e garanzie credenziali e persino da normali indicazioni procedurali di base.

Quinto flash: una parola a parte merita la prefettura o la come dicevamo è il raggruppamento di 6-10 parrocchie. Interrogato il consiglio presbiteriale che abbiamo catalogato tra le forme di tipo E, si espresse con parere largamente favorevole alla costituzione delle entità prefetturali, cavallo di battaglia della struttura B. Come mai? Una risposta esauriente ci porta al cuore del problema.

Una il rapporto tra livello 7 e 6 (comunità di base-presbitero) è ecclesialmente corretto anche se si pone oggi in dimensioni anomale (5000 a 1, vedi “La Tenda” n. 2 p. 9). Il rapporto tra livello 6 e 4 (presbitero-vescovo) è ecclesialmente corretto, ma si pone anch’esso in dimensioni scorrette (grosso modo 100 preti per un vescovo). Il rapporto 4-2 o 4-1, collegio dei vescovi col suo elemento unitivo si pone in modo sia ecclesialmente che numericamente (=umanamente) corretto: 11 a 1. Tralasciamo, come si è detto, il grave problema dello sdoppiamento 1-2.

Il consiglio presbiterale con i limiti esposti più su è l’unico “locus” del dialogo di tutto il clero romano e del clero col vescovo. Esso sta lentamente prendendo coscienza della necessità di favorire non solo una struttura corretta di tipo E, ma anche di realizzarla in rapporti numerici normali, condizione essenziale per una vera esperienza ecclesiale.

Al presentarsi della possibilità di un grado 5 (la prefettura) attualmente utilizzato nella struttura B ha individuato un rapporto tra 10-20 presbiteriani delle (6-10 parrocchie) da favorire. Lucidamente il consiglio presbiterale ha captato la possibilità di un livello umano assimilabile ad una struttura E del futuro e non ha avuto timore di accettarlo. Nelle risposte del Consiglio Presbiterale ai quesiti posti dal Cardinal Vicario sul rinnovamento delle prefetture si legge: “… Previa è indispensabile condizione… ci sembra la trasmissione di valori attraverso i più assidui ed espliciti contatti umani… Ci sembra che le strutture attuali efficacemente utilizzate… possono servire come punti di incontro dove iniziare il dialogo in questione”. Poi alle singole domande: D. “le prefetture attualmente esistenti sono ritenute valide …?”

R.”… la prefettura attuale concepita come gruppo di lavoro parrocchiale non è ritenuta valida, ma va vista come un punto d’incontro di tutti i sacerdoti che operano in una zona, qualunque sia il loro ministero specifico… ”

D ” E’ utile e possibile una attività pastorale super parrocchiale? Chiuse ”

R. “… indispensabile per ottenere i seguenti benefici: i diversi ministeri vengono meglio precisati e valorizzati se posti a confronto con i problemi comuni… I sacerdoti… escono da una situazione di isolamento, perché prendono coscienza fa di una più ampia responsabilità,… (si) realizza l’integrazione permanente… la prefettura è il luogo naturale della promozione del coordinamento… ”

D. “Quali proposte …?”

R. “Fare della prefettura il vero centro di incontro del presbiterio locale… senza distinzione di categorie… la prefettura dovrà avere la funzione di promuovere… un vero dialogo pastorale su ciò che comporta il ministero sacerdotale a Roma ( cosa da fare e da non fare, priorità di scelta ecc.)”.

D. “Quali rapporti dovrebbero essere instaurati tra Prefettura e Settore, tra Prefettura e Vicariato? ”

R. “Ci siamo trovati d’accordo nel sottolineare che l’attuale configurazione delle strutture giuridiche al vertice della diocesi (Cardinal Vicario, due Vicegerenti (il vescovo territoriale Cunial conserva l’antico titolo di vicegerente, n.d.r.), Vescovi ausiliari di settore, Delegati e Capi Ufficio del Vicariato) risente ancora di una concezione prevalentemente giuridica della autorità del governo della diocesi, che deve essere arricchita… In caso contrario resterebbe ancora troppo complessa e difficile l’attuazione di una corresponsabilità in colore e che governano la diocesi. Auspicando che al più presto vengano precisate le funzioni delle singole strutture e persone si suggerisce quanto segue: fa la prefettura non deve chiudersi in se stessa ma conviene che faccia continuo riferimento alle altre prefetture del settore sotto la guida è il coordinamento del Vescovo Ausiliare”. Meno limpidamente poi si aggiunge: “per quanto riguarda, poi, il rapporto tra prefettura e vicariato, esso si attua attraverso il riferimento diretto dal consiglio dei prefetti e Cardinal Vicario con il suo consiglio episcopale (non del tutto chiara la relazione tra questa fase e la precedente, n.d.r.) e per loro tramite con gli uffici diocesani di servizio.(“Rivista diocesana di Roma 1970, 11-12, p.1341 sgg.).

Il Cardinale accompagnava la pubblicazione del documento con una lettera in cui tra l’altro diceva: “oso manifestare la speranza che le decisioni e gli orientamenti contenuti nel documento costituiscono un ulteriore contributo alla promozione di una coscienza di responsabilità…” (ivi, p. 1340).

Quindi un organismo pensato e utilizzato nella struttura B è stato rilanciato dal consiglio presbiterale come un’occasione valida per rapporti comunitari corretti, che escludono una semplice trasmissione di ordini e rendono possibili confronti su prassi di base. Riuscirà? La carta è in mano al clero.

Sesto flash: rapporti tra comunità di base e vescovo. Torniamo allo spunto iniziale: dialogo della comunità di S. Luca col vescovo e fatti similari. Per illuminare questi rapporti abbiamo poi intrapreso l’analisi della figura episcopale romana.

Attualmente la comunità di base che si presenta al vescovo, trova, si permetta il paragone sportivo, i cinque ausiliari situati in difesa e zona. Primo tempo, 1968. Dietro gli ausiliari non c’è che il Cardinal Vicario. A lui arriva immediatamente ogni attacco che superi l’ausiliario territoriale. La necessità di non esporsi, di non creare Isolotti a Roma, porta al rapido risolversi di situazioni delicate: scelta di parroci concordata con i laici della parrocchia (v. “La Tenda” 1, pag. 6); costituzione di una parrocchia sperimentale a S. Agapito (v. “La Tenda” 12, pag. 2 sgg); messe dei giovani. Queste ultime tanto innocue quanto pubblicizzate da un lato e ostacolate dall’altro.

La stampa ben pensante non perdona al cardinale l’affronto, ed imbastisce appositamente il caso del monsignore che si sposa, un normale caso privato già risolto da quattro mesi.

Evidentemente così l’estremo difensore è troppo esposto.

Secondo tempo, 1969: entra il libero Poletti. L’attacco che supera il difensore a zona incontrerà ancora una linea di difesa. La possibilità stessa del contatto fisico con estremo responsabile viene resa più difficile. Sia il caso di S. Luca: un unico incontro con il Cardinale che rinvia colto al Vicegerente, tra questi e l’ausiliare di zona rapidi scambi, il consiglio pastorale della parrocchia infine desiste.

Qualcuno alle volte riesce a forzare le difese si presenta tutto solo Cardinale, lo costringe ad esporsi; ma c’è ancora una via d’uscita: “Non sono io il vescovo di Roma”. Miracolosa deviazione in angolo!

Ci sono ancora altre possibilità di manovra. Don Lutte chiede un rapporto stabile con l’ “ecclesia” di Roma. Incontra la congregazione vaticana dei religiosi, la polizia italiana. Per trovare una via d’uscita che non addossi alla diocesi la responsabilità della sua presenza in città, si ventilerà l’idea di farlo appartenere ad una diocesi dei Castelli (le cosiddette “suburbicarie”), infine rimedio del principe: né fuori né dentro, né del clero romano né a casa sua: un permesso di celebrare rinnovabile di volta in volta, come se esistessero le “semicomunioni”…

Qualche volta suona il telefono, è il segretario personale di Qualcuno, gli sdoppiamenti continuano. Però precisa di parlare a titolo personale e non come segretario del Tale. Fu una sarabanda di riproduzioni per scissione. Dov’è il Vescovo responsabile? Il suo nome è “legione”.

Settimo flash: esame di coscienza e lettura spirituale.

Confermiamo di non aver voluto coinvolgere un giudizio sulle persone sulle intenzioni. Sappiamo che senza una profonda autocritica certi meccanismi di decomposizione agiscono automaticamente. Drucker, ivi pag. 212: “l’aumento dei livelli direttivi è un problema serio per tutte le aziende, indipendentemente dalla loro organizzazione. I livelli direttivi, analogamente gli anelli degli alberi aumentano di numero con il passare degli anni, mediante un insidioso processo, che non può essere completamente evitato… Ogni livello addizionale rende più difficile il raggiungimento di una direzione comune e di una comprensione reciproca. Ogni livello addizionale svia la tensione dagli obiettivi che appaiono sempre più sfocati. Aumentando il numero dei livelli aumentano le sollecitazioni, l’inerzia e l’attrito dell’organizzazione”. Val la pena di allungare la citazione: “Soprattutto, con l’aumentare del numero dei livelli direttivi, specie nelle grandi aziende, aumentano le difficoltà per la formazione dei futuri dirigenti, sia perché aumenta il tempo necessario per percorrere tutta la trafila gerarchica, sia perché gli individui che salgono la scala gerarchica sono portati a diventare degli specialisti anziché dei dirigenti. In molte grandi società si possono, oggi, trovare fino a 12 livelli gerarchici tra il capo reparto e il presidente della società.

Supponendo che un individuo sia nominato capo reparto 25 anni e che rimanga solo cinque anni in ciascuno dei vari livelli intermedi (entrambe le ipotesi sono esageratamente ottimistiche) questo individuo arriverà agli 85 anni prima di poter essere preso in considerazione per la nomina a presidente. Il rimedio adottato di solito in questi casi – l’istituzione di uno speciale sistema di promozione per i giovani geni o per principi ereditari particolarmente scelti – è ancora peggiore del male “.

Naturalmente si dirà che la chiesa è ben altro che una società industriale. Appunto. La tradizione sacramentale della Chiesa non conosce altri livelli che la comunità di base col presbitero, il collegio dei presbiteri col vescovo, il concilio dei vescovi che si riunisce quando necessario e su diversa scala: cittadina, regionale, nazionale, universale; con incontri neppure periodici, ma occasionali, cioè di volta in volta che lo richiedono necessità di confronto. Per il resto tutta la Chiesa e presente nella più piccola chiesa locale col suo vescovo, i suoi normali rapporti si tengono con lettere di comunione, fermo restando il parere di Pietro quando sono necessarie scelte finali. Il resto se proprio non viene dal maligno è almeno pericoloso.

Ottavo flash: a modo di conclusione. Uno sguardo a quanto abbiamo scritto. La diocesi è soggetta in questo momento ad una proliferazione di organismi che possiamo dire aberrante; oppure ciò è un segno. È segno che il corpo vivo della chiesa locale non tollera la massificazione dei grandi numeri, che è alla ricerca di dimensioni umane, di rapporti dialogici, che spinge sotto la crosta che la comprime e, simile ad una specie biologica inferiore, produce piccoli mosti destinati alla sterilità in attesa di produrre l’individuo capace, quello che già si porta nel seno e cui tende con tutte le forze della sua natura.

Il modo o nell’altro, mentre le comunità di base cercano un’identità per non essere massa indistinta dei consumatori religiosi, anche i presbiteriani cercano collegamenti e dialoghi, il vescovo si moltiplica, nelle strutture presbiteriani intermedie più equivoche e più esposte alle manovre è al contrattacco una chiara volontà di fare la comunità cristiana.

Previsioni? Qua e là non abbiamo potuto celarne qualcuna, ma non è nostro compito. Così ci fermiamo all’analisi. Il resto è nelle mani degli uomini di buona volontà e speriamo con il presente lavoro di averlo più favorito che compromesso.

Appendice: Articolazione Dell’Episcopato Diocesano Secondo

 

il sinodo romano del 1960.

Articolo 11 1. i confini della diocesi di Roma comprendono il territorio del vicariato dell’Urbe e della Città del Vaticano, nonché la patriarcale Basilica di San Pietro.

2. La Curia diocesana del Vicariato di Roma è costituita, per autorità del Sommo Pontefice e sotto la Sua diretta dipendenza, dal Cardinale Vicario, dal Vicegerente e dagli Uffici.

3. Nel territorio della Città del Vaticano esercita la giurisdizione il Vicario Generale, nominato dal Romano Pontefice per il medesimo territorio. La Basilica e la Canonica di San Pietro, secondo le antiche e ancora vigenti Costituzioni, sono rette dal Cardinale Arciprete.

Articolo 12 Il Cardinale Vicario presiede agli Uffici del Vicariato e regge il territorio a lui affidato con potestà ordinaria vicaria, i cui limiti sono stabiliti dal Sommo Pontefice. Gode, inoltre, della pienezza e del libero esercizio della potestà di Ordine, è giudice ordinario è non cessa dal suo ufficio durante la vacanza della Sede Apostolica.

Articolo 13 Il Vicegerente, nominato dal Romano Pontefice e insignito della dignità arcivescovile, esercita la giurisdizione ordinaria vicaria subordinatamente al Cardinale Vicario; non cessa dal suo ufficio durante la vacanza della Sede Apostolica.

Articolo 14 Il Vicariato di Roma consta di due Uffici, la Segreteria e il Tribunale.

Articolo 15 1 Nell’esercizio del suo ministero pastorale il Cardinale Vicario, oltre che al Vice gerente, è coadiuvato da Vescovi ausiliari, ex nominati dal Sommo Pontefice e muniti di quelle facoltà che saranno loro conferite dal medesimo Cardinale Vicario.

2. Un noi un Consiglio formato dal Vice gerente, dal Segretario del Vicariato e dagli Ausiliari f sarà periodicamente convocato e presieduto dal Cardinale Vicario fa al fine di promuovere o ordinare l’apostolato diocesano.

Articolo 16 Il Cardinale Vicario presiederà la Commissione, da convocarsi periodicamente, composta dal Vicegerente, dal Segretario del Vicariato, dall’Officiale di Curia e da altri Officiali designati dal medesimo Cardinale Vicario, al fine di ordinare il lavoro interno della Curia diocesana.

Articolo 17 Il Cardinale Vicario si riserva di convocare il Consiglio dei parroci, di cui all’articolo 134 par. 3, per esaminare i principali problemi pastorali della diocesi.

Articolo 18 Con apposito regolamento, che dovrà essere approvato dal Sommo Pontefice, il Cardinale Vicario definirà l’ordinamento e le competenze dei singoli Uffici del Vicariato.

NOTE:

1. La Città del Vaticano con sue realtà è dunque da considerarsi all’interno della diocesi di Roma.

2. La basilica di S. Pietro con le sue celebrazioni liturgiche è dunque da considerarsi ugualmente all’interno della diocesi, anche se è affidata a persona diversa dal Cardinale Vicario. Non risulta che ci siano regolari rapporti sia pure a livello consultivo tra la curia diocesana del Vicariato (11-2) e il Cardinale arciprete (11-3). Il problema assai grave della liturgia e della pastorale nelle patriarcali basiliche romane non è stato mai affrontato. L’amministrazione dei sacramenti nelle basiliche praticamente incontrollata si presenta in forme massive.

3. nel Sinodo romano, malgrado alcune incertezze, si evidenzia uno schema di divisione di competenza così fatto

Papa-Vescovo di Roma (art. 1)

con tre distinti territori o competenze:

1) Città del Vaticano con vicario generale (11 – 3)

2) Basilica di S. Pietro con Cardinale arciprete (11 – 3)

3) resto della diocesi con Cardinale Vicario (11 – 2 e 12)

quest’ultima parte della diocesi così ulteriormente articolata:

Vicegerente 13
Segretario 15
Dai quali in due linee:
Ausiliari (15 – 2) Officiali di Curia (16)
per l’apostolato diocesano per il lavoro degli uffici
Consiglio dei parroci (17)

4 Impressionante la genericità delle competenze. Il Cardinale Vicario regge con “limiti stabiliti dal Sommo Pontefice” (12). Ha si “pieno e il libero esercizio della potestà di ordine”, ma ciò vuol dire solo che quando ad es. amministra una cresima questa è assolutamente… valida!

Il vicegerente esercita “subordinatamente al Cardinale Vicario” (13). I vescovi ausiliari “muniti di quelle facoltà che saranno loro conferite dal medesimo Cardinale Vicario” (15). Ci “si riserva di convocare il consiglio dei parroci” (17). Per gli uffici si provvederà “con apposito regolamento” (18), a tutt’oggi desiderato.

5 Un Segretario viene nominato in 15 – 2 prima degli Ausiliari. Si preannuncia così la sua qualifica episcopale (che si avrà solo nel 1969).

Attualmente le funzioni di Vicegerente (Art. 13) e Segretario generale (Art. 15-2) sono uniti nella stessa persona. Se si fosse seguita l’indicazione del Sinodo, i soli gradi episcopali sarebbero stati ben cinque: Papa, Cardinale Vicario, Vicegerente, Segretario generale, Vescovo ausiliare. Ancor più numerosi di quanti ne abbiamo mostrati in vita al presente. Non ci dispiace terminare anche l’appendice con la nota lieta che la realtà, tutto sommato, è migliore di come avrebbe potuto essere.