Lettera 20 (Prima Serie)

Agli Amici

Cari amici,

con questo numero di “La Tenda” avviamo una riflessione sull’episcopato della diocesi di Roma, così com’è andato strutturandosi negli ultimi venticinque anni e come si presenta nel suo assetto attuale.

Una prima precisazione: si tratta di un punto scottante della nostra comunità ecclesiale e, malgrado questo (o per questo), mai approfondito dalla pubblicistica o toccato solo nei suoi aspetti marginali e di colore. Noi crediamo che quello del ruolo del vescovo e delle distorsioni che possono crearsi nell’esercizio di esso, sia uno dei punti chiave per la crescita di autentiche comunità cristiane e per la loro stessa sopravvivenza.

Pensiamo inoltre che lo stesso grado di disinteresse per il problema sia sintomo di una condizione di letargo della comunità ecclesiale, su cui pesa in misura determinante proprio l’esercizio aggrovigliato della funzione episcopale. Di qui la nostra convinzione di dover offrire un servizio di documentazione, mettendo a disposizione della comunità una mappa di orientamento, anche se inevitabilmente approssimativa , per muoversi nella confusa struttura dell’episcopato romano.

Seconda precisazione : vorremmo fosse chiara la nostra scelta di non esprimere giudizi sulle intenzioni e sull’operato dei Pastori, di cui dobbiamo pur valutare il ruolo, i reciproci rapporti ed interferenze, le potenzialità. Siamo ben coscienti, infatti, delle resistenze che la realtà oppone a coloro che vogliono influire su di essa, e d’altra parte sappiamo come gli sviluppi delle azioni messe in essere vadano spesso ben oltre le intenzioni dei protagonisti e possano assumere, nel vario

intrecciarsi fra di loro,contorni difformi dalle promesse iniziali.

C’è poi da considerare che spesso siamo costretti ad esaminare in due righe un lavoro svolto in dieci anni di azione pastorale,con tutti i limiti che un’analisi di così breve spazio comporta.In tutti i casi,infine,deve essere salvaguardata la buona fede delle persone,se non si vuole correre il rischio di giudizi spesso superficiali,ingiusti e comunque parziali.

Terza precisazione : abbiamo omesso di esaminare,in questa trattazione,il ruolo del vescovo numero uno della diocesi di Roma, il Papa,riservandoci di farlo in altro momento.

Con queste precisazioni ci avventuriamo nel difficile,complesso e delicato discorso sull’articolazione dell’episcopato nella diocesi romana.Confidiamo di rendere un piccolo servizio di documentazione alla comunità tutta,ai suoi membri,all’episcopato,al presbiterio. E la coscienza dei limiti che può avere,e ha senz’altro,il nostro lavoro è ulteriore motivo di invito a coloro che ci leggono, perché arricchiscano la ricerca con la loro partecipazione.Vorremo anche che questo invito venisse raccolto da tutti coloro che si sentono di dire qualcosa,senza che “il rango” eventualmente da essi ricoperto costituisca freno al dialogo o spenga la comunicazione nel mormorio.

Per esigenze tecniche abbiamo diviso il lavoro in due parti,che pubblichiamo in questo prossimo numero di “La Tenda”, facendo in modo che esse escano a brevissima distanza l’una dalla altra, onde recuperare l’unitarietà della trattazione. Qui presentiamo la parte storica di essa, rinviando l’esame della situazione attuale alla lettera n° 21.

Vi salutiamo fraternamente

Gli amici di “ La Tenda “

 

Roma, Un Episcopato Articolato.

Più frequentemente che un tempo, alle comunità di base capita di attuare la comunione con il Vescovo in incontri di dialogo con lui.

L’ambito della comunione tra comunità, presbitero e Vescovo, le modalità e i limiti del loro reciproco e dialogico presentarsi sono su un piano non puramente umano, ma di fede. Hanno diritto ad una attentissima riflessione, a cui noi cercheremo di dedicarci a mano a mano che si realizzeranno gli incontri. Trarremo dal loro svolgersi la materia per comprensioni e valutazioni più generali.

 

Assumiamo stavolta come test l’evolversi e il successivo disperdersi del dialogo tra la comunità parrocchiale ‘S.Luca‘ e il Vescovo ( Cf. La Tenda, n° 15, pag. 9 ). Ci sembrò allora evidente (vedi il nostro commento ivi) che il procedere del dialogo fu non poco determinato dal fatto che la comunità di base si trovò in momenti successivi a dialogare con più Vescovi situati a livelli gerarchici diversi, Vescovi che sostituendosi reciprocamente neutralizzavano un discorso che cercava di essere continuo e lineare.

A noi che ci ripromettiamo di favorire il dialogo fa problema la moltiplicazione dei dialoganti. Ci sembra doveroso tentare un’analisi della poliedrica figura del “Vescovo di Roma”, il multiforme interlocutore nel quale si imbattono il cristiano, il presbitero, la comunità di base che un giorno sentono il bisogno o vogliono provare il piacere di dialogare con il Vescovo.

Tenteremo una specie di carta del labirinto, che possa essere guida per coloro che meno frequentemente si trovano in dialogo col Vescovo. E’ bene infatti che non si avventurino senza le coordinate astronomiche necessarie per orizzontarsi.

Tenteremo anche un inizio di individuazione delle relazioni visibili o supponibili che intercorrono tra i Vescovi e tra essi e i presbiteri in modo da individuare, sia pure per congetture, gli accordi, i disaccordi, gli accordi nei disaccordi.

Cominciamo col presentare discretamente affollata la

TABELLA 1 – Episcopato direttamente collegato alla chiesa locale di Roma :

– Paolo VI, Vescovo di Roma

– Angelo dell’Acqua, suo cardinale Vicario

– Ugo Poletti, vice-gerente del Vicario

– Cinque Vescovi ausiliari territoriali, competenti nelle cinque zone nelle quali è divisa la diocesi ( Cunial, Pocci, Terrinoni, Trabalzini, Zanera )

– Due Vescovi ausiliari competenti in assistenza ospedaliera ( Angelini ) e confraternite ( Pascoli ), settori sottratti alla competenza dei cinque Vescovi ausiliari territoriali.

– Un Vescovo (Selis) alla Università Cattolica e Policlinico Gemelli, sottratti alla competenza del Vescovo deputato all’assistenza ospedaliera.

– Un Vescovo – Abate (Franzoni) nel monastero e basilica di S.Paolo e suo territorio parrocchiale, sottratti alle competenze del Vescovo territoriale corrispondente.

In totale dodici Vescovi. Trascuriamo i Vescovi residenti a Roma a vario titolo ,ma senza legame diretto con la comunità diocesana. Senza legame diretto , ma non senza interferenze. Si tratta di ottanta- cento Vescovi. Per la presenza di questi non abbiamo potuto dare alla Tabella 1 la rubrica più semplice : “ Vescovi della Chiesa locale romana “.

Dalla Tabella 1 si evidenzia una struttura a cerchi concentrici, con competenze di uno nelle competenze dell’altro. Ci sono ovviamente rapporti e tensioni inerenti alle competenze. Noi tenteremo una presentazione di tali rapporti e tensioni senza dimenticare l’avvertimento di Shakespeare : “Ci sono più cose, o Orazio, di quante la vostra filosofia ne possa sognare”. Come al solito ci sentiremo soddisfatti se avremo avviato negli amici della comunità di base una conoscenza meno sfocata dell’episcopato di Roma che già all’inizio delle note ci siamo permessi di indicare come : “ un episcopato articolato “

Attualmente possono essere individuati nell’episcopato romano alcuni livelli gerarchici . Li indichiamo così :

 

TABELLA 2 – Attuali livelli episcopali a Roma :

1 . Papa

2 – Cardinale Vicario

3 – Vicegerente

4 – Altri

 

Va precisato immediatamente che la Tabella 2 indica i livelli attualmente desumibili dai tipi di rapporto nei quali i dodici Vescovi prevalentemente si presentano , non senza che da alcuni del quarto livello si operino resistenze che si richiamano o alla uguale quantità di episcopato esistente in ciascuno o a privilegi precostituiti , con conseguente costituzione tanto di legittime autonomie quanto di vere e proprie riserve di caccia.

Dalla Tabella 2 il lettore desumerà una struttura tendenzialmente lineare discendente non del tutto componibile con la struttura a cerchi concentrici espressa dalle competenze individuate nella Tabella 1. Difficoltà inerenti alla nostra opera di descrizione, deformazioni ottiche intrinseche ad ogni tentativo di fotografia di un essere vivente in movimento oppure, e sarebbe ben più preoccupante, composito impostazione del collegio episcopale? Anche per rispondere a questa domanda daremo qualche elemento nel corso del lavoro che segue.

Prima di procedere saranno utili ancora uno sguardo sintetico e qualche nota generale alla seguente

TABELLA 3 – Cronologia dell’episcopato romano 1945 – 1971, con aggiunta della carica di

segretario del Vicariato

Papa Anno Vicario Vicegerente Ausiliari Segretario

 

Pio XII 1945 Marchetti Traglia Pascucci

( dal 1939 ) (dal 1931) (dal 1936) (dal 1940)

1951 Micara Maccari

( + 1964 )

 

1953 Traglia +

+ Cunial

Papa Anno Vicario Vicegerente Ausiliari Segretario

Giovanni XXIII 1958

1960 Micara +

+ Traglia

1961 Giaquinta

( fino al 1969)

Paolo VI 1963

1965 Traglia

1966 Cunial,Pocci,

Trabalzini,

Zanera,Canestri

1968 Dell’Acqua

1969 Poletti

1971 Terrinoni

Nella tabella sono sottolineati i nomi di otto Vescovi in carica . Ci aggiungiamo Angelini (ospedali, dal 1956), Franzoni (Abate di S.Paolo, dal 1964), Pascoli (Confraternite, dal 1966) Selis ( Università Cattolica, dal 1970 ).

Nel 1945 l’ Episcopato Romano contava tre nomi: Papa, vicario, e vicegerente. Oggi, come dicevamo, ne conta dodici.

 

Ancora una volta non troviamo di meglio che ripercorrere, sulla base dei ricordi più che di documenti, l’itinerario dal 1945 ad oggi. Seguiremo le successive sostituzioni e cooptazioni nel collegio episcopale romano. Siamo costretti a mettere nel conto forse imprecisioni di presentazione e certo valutazioni non del tutto fondate. Gli amici sapranno discernere e comunicarci correzioni. In fondo il nostro lavoro assomiglia alla presentazione di una ipotesi a cui ogni attento lettore potrà apportare tanto correzioni quanto conferme. E andiamo ad incominciare.

1945 – Guida la diocesi un tandem episcopale assai affiatato: Marchetti (vicario)- Traglia (vicegerente). Non ci sono che due livelli episcopali: papa e vicario-vicegerente. Considerando soprattutto l’aspetto del rapporto vescovo – clero possiamo trascurare l’apporto del papa perché tutte le decisioni vengono prese al livello del vicario. Poco conta che per la nomina dei parroci romani il vicario debba presentare il nome del prescelto al papa nella udienza di tabella ( la normale udienza mensile per i collaboratori ). Di nessun rilievo al nostro discorso il segretario del vicariato Pascucci che fa parte dei 10 – 20 impiegati degli uffici, in una posizione di leggera preminenza.

Il clero ha dunque di fronte un solo livello episcopale. Marchetti e Traglia agiscono sempre di comune accordo e il vicario usa presentare le decisioni in prima persona. Eppure proprio nell’ambito della pacifica direzione binaria Marchetti-Traglia si assiste al nascere di un fenomeno che avrà forme e conseguenze ben gravi. Sul piano umano la figura del vescovo si sdoppia lentamente. Decide il carattere. Marchetti è l’uomo delle decisioni forti,della legge da rispettare, del “o così o niente”. Traglia di molto più giovane, si mantiene a contatto personale con il clero e i suoi problemi umani, è l’uomo della convinzione pacifica, della pazienza imposta a se e proposta agli altri. L a guida della diocesi è allo stesso tempo rigida e duttile, capace di uscire in azioni decise ma anche di riassorbirne le conseguenze. Non siamo a livello di una tattica preordinata perché i due vescovi sono di levatura morale e di onestà superiori. E’ solo l’incontro di due personalità diverse, che dispongono insieme di un arco molto vasto di possibilità di azione. Il clero sa di avere davanti una conduzione unitaria della diocesi, ma sia pure nel solo piano umano l’episcopato romano è già un episcopato a due facce.

1951 – Contro le attese che vedrebbero il vicegerente Traglia succedere al defunto Marchetti viene nominato dal Papa il cardinale Micara, proveniente dalla diplomazia, al momento in sede a disposizione. C’è da chiedersi, in profondità se pure di passaggio, se la nomina non provenga dalla idea che un uomo al comando possa inserirsi in una comunità viva modificandola dall’esterno. A parte il merito della scelta questo atteggiamento verticistico è in fondo infantile. Si chiamerà un giorno, culto della personalità.

Qualcosa però non funziona. Il vicario Micara appare presto poco assimilabile alla pastorale diocesana. Gli stessi che lo hanno scelto lo affiancano allora con un secondo vicegerente , proveniente dalla parrocchia ( Cunial, 1953, parroco di S.Luca a P.le Clodio). Il vicario Micara gli concede poco spazio sicché il peso reale della diocesi ricade ancora sulle spalle del vicegerente Traglia. Questi cerca naturalmente un appoggio alla sua azione: emerge il segretario del vicariato Maccari (1951 aggiunto), ex-parroco, sufficientemente innestato nel clero romano. Di questa struttura intermedia che lui stesso potenzia si avvale il vicegerente Traglia non senza le resistenze degli altri uffici del vicariato (tribunale, amministrazione, ufficio per le nuove chiese). Gli uffici vedono crescere il volume dei problemi ai quali sono preposti. Di pari passo crescono l’organico degli uffici, l’effettiva competenza e quindi le possibilità di resistenza. Del resto nell’organico del vicariato il segretariato è capo di un solo ufficio, corrispondente più o meno agli “affari ordinari“. Un tentativo , fallito, di riportare gli uffici in una unica struttura si farà solo nel Sinodo Romano (1960, vedi le precise indicazioni, ma a livello di enunciato, negli articoli 14 e 18 riportati in appendice).

Più su, all’ombra dell’anziano papa Pio XII, cresce il potere di controllo di un altro livello intermedio, la segreteria di Stato. Non solo quell’ufficio si è scelto tra i suoi uomini il timoniere della diocesi (il vicario Micara), ma cerca ancora di correggere la rotta (nomina del vicegerente aggiunto Cunial) e instaura progressivi rapporti di vassallaggio sulla diocesi. Mancheremmo al nostro dovere di cronisti se omettessimo di notare che i capi dell’ufficio della segreteria di Stato, che si ritiene competente in affari romani, rispondono ai nomi di Montini e Dell’Acqua.

 

Come si vede il vicegerente Traglia, nel quale ci sembra di individuare il meglio della funzione episcopale romana, agisce ormai da una posizione assolutamente più debole di quella antica, in un palcoscenico sempre più popolato e in cui al presentarsi continuo di nuovi personaggi non può che contrapporne degli altri (poteri al segretario del vicariato). E’ naturale che in questo contesto,l’abitudine alla diplomazia , il rimando burocratico e l’agire per interposta persona diventino lentamente le regole del gioco. La vischiosità, le difficoltà dell’agire crescono col crescere del numero degli agenti. Il clero che porta i suoi problemi al Vescovo e ne porta di sempre più vivaci e urgenti dalle comunità di base che presiede, incontra invece sempre più frequentemente rimandi defatiganti, problemi di competenza senza soluzione, decisioni senza un responsabile cui rivolgersi per un chiarimento, nonché un terreno pronto per gli abili giocatori di corridoio. Il che, se è già grave per burocrazie che vogliono essere funzionanti, è ben più grave per gruppi umani ed ecclesiali nei quali per definizione carità, sincerità e libertà devono presiedere al fiorire dei doni dello Spirito.

Ancora qualche considerazione sul periodo post-1951 a riguardo della coppia Traglia (vicegerente)-Maccari (segretario) che abbiamo indicato come il vero fulcro di quel tanto di guida pastorale che si riesce ad esercitare. Si ritrova la complementarietà dei caratteri come nel precedente binomio Marchetti-Traglia. Il duro, si direbbe oggi in termini cinematografici, è il segretario, il buono è il vicegerente. Nel fondo identità di vedute, nell’attuazione siamo già ad una certa visione dei compiti. Qualche volta a chi deve trattare col Vescovo si imbrogliano i conti, trova degli strani rimandi reciproci, decisioni che non riesce ad attribuire all’uno o all’altro; interrompe il dialogo e se ne va perplesso.

Dobbiamo registrare che il compito di spalla e di copertura esercitato dal segretario logora progressivamente il suo rapporto col clero. Alla fine si troverà isolato dal presbiterio.

1958 – Giovanni XXIII è vescovo di Roma. Nomina Traglia “pro-vicario” (1960 per rafforzare la sua azione accanto all’anziano vicario Micara. Subito dopo il segretario Maccari viene nominato vescovo di altra diocesi e sostituto alla segreteria del Vicariato Giaquinta, 1961). L’episcopato romano di Papa Giovanni non porta alla diocesi altro cambiamento che il piccolo aggiustamento di “vicegerente” in “pro-vicario” e lascia la sorpresa impressione di non intervenire nei fatti romani. Ma da altri avvenimenti da noi commentati (vedi la posizione presa nel problema della costruzione di nuove chiese in Roma, La Tenda, pag. 10, 11¸e soprattutto l’occasione del Sinodo Romano, ivi, pag. 7) ci è lecito interpretare il suo non intervento nei fatti diocesani. Giovanni XXIII si limita ad offrire delle opportunità perché la diocesi si risollevi da sola, non invia persone che cambino le cose, non ha il culto della personalità. (Sul Sinodo Romano del 1960 vedi appendice al presente lavoro).

Dal 1960 al 1961 la diocesi ripropone dunque di nuovo una direzione a tandem (Traglia-Gianquinta )sia pure ostacolata dal permanere degli altri livelli di potere (segreteria di Stato, cardinale vicario anziano, vicegerente aggiunto, agli altri centri di potere ecclesiastico e no). Nei limiti detti Traglia e Giaquinta conducono in accordo la pastorale diocesana. Nuovamente il clero ha dinnanzi due persone per una stessa funzione. Il segretario si espone per primo,il provicario interviene piuttosto in seconda battuta. La chiarezza non ne guadagna. Sul piano dei rapporti personali ancora una volta si assiste ad un progressivo distacco del clero dalla persona del segretario.

Va detto per inciso, ma chiaramente, che i due segretari del vicariato hanno lasciato nel clero romano il ricordo di una progressiva impossibilità di collaborazione ma non di meno motivi di profonda stima.

Tutti riconoscono in loro accanto ad un carattere deciso e persino rude doti di assoluta onestà, di grande capacità di lavoro, di indiscussa buona fede anche in interventi che una pastorale più moderna non avrebbe forse approvato. Esponiamo puramente la nostra ipotesi: essi hanno pagato lo sdoppiamento della figura episcopale. Il clero sente il disagio di non poter colloquiare con un unico responsabile e riversa sul segretario il dispetto che ne deriva. E’ una reazione di carattere negativo, una reazione da disadattamento.

Dal fondo matura anche una esigenza in termini più positivi. Bisogna incontrare il vescovo: bisogna avere dunque più vescovi che siano in contatto con un numero minore di preti. E’ l’ipotesi già accolta dal Sinodo Romano (Art. 15/1). Se la diocesi fosse divisa in diocesi più piccole la comunione del vescovo con il clero sarebbe più reale e le posizioni prese dal clero troverebbero immediata comunione o opposizione (non è tempo ancora di parlare di posizioni prese dalla comunità di base ).

1963 – Paolo VI è vescovo di Roma. Nel 1964 muore il cardinale Micara. Nel 1965 Traglia è nominato cardinale vicario: ha 70 anni, quando divenne vescovo ne aveva 41.

Il clero ha ormai maturato l’esigenza dell’incontro reale col vescovo e finisce per imporre la nomina dei vescovi ausiliari territoriali. In una sorta di decentramento spera di avere un più reale ascolto delle sue esigenze. Al clero sembra di assistere all’inizio di un’era nuova quando nel 1966 Paolo VI presenta al presbiterio riunito i cinque vescovi ausiliari già previsti dal Sinodo del ‘60. Il papa non trascura di precisare che il vicario ha scelto i nomi dei suoi collaboratori. E’ naturale che abbia tenuto presente l’e3sigenza di evitare movimenti centrifughi. Tra i cinque è anche il vice-gerente Cunial che non ha particolari compiti che lo distinguono dagli altri quattro. Il clero sperimenta i primi incontri diretti e prolungati col vescovo su problemi concreti. Non è il caso di temere un conflitto col cardinale vicario sia perché si configura lentamente un rapporto collegiale tra vescovi sia perché gli ausiliari sono stati scelti tutti dal vicario stesso. Ma il segretario generale è senz’altro a mal partito nella nuova struttura. I vescovi ausiliari tendono per natura loro ( se non fossero le persone pacifiche che sono ) a porsi come veri responsabili delle scelte pastorali trovando il movimento unitivo nell’incontro con il vicario. In questo schema non c’è posto invece per una funzione unificante del segretario che tra l’altro è l’unico a non essere vescovo. E siccome fin’ora ha anche assolto il compito di assumersi il peso almeno dell’attuazione delle decisioni che potevano pesare al vicario, va da se che la sua posizione si deteriori sempre più. Il vicario però non lo abbandona, indebolendo così se stesso.

1968 – Dopo trentadue anni di episcopato, ventinove dei quali passati nell’anticamera del vicario, il cardinale Traglia viene sostituito in ventiquattro ore con il cardinale Dell’Acqua. Il principio di non intervenire con personale esterno alla diocesi ( che ci sembrava di poter legittimamente proporre in base al comportamento di Giovanni XXIII ) non ha avuto il tempo di trovare conferma.

Rapidamente il vicario affronta il problema del rapporto ausiliari – segretario. Giaquinta viene nominato vescovo (1969) e la carica di segretario resta vacante. Il collegio dei vescovi si riunisce settimanalmente; dei dodici della Tabella 1 al 1969 sono già in carica 11, anche se l’Abate Franzoni risulta mai convocato.

Direzione episcopale collegiale nella diocesi di Roma? L’ipotesi dura un giorno. Nello stesso 1969 appare nella perplessità generale ( vedi ‘ La Tenda ‘ n. 2, pag. 10 ) il nuovo vicegerente Poletti. Facciamo di nuovo una ipotesi e procediamo così :

Primo: la mentalità di una direzione centralizzata è ancora prevalente nei capi e non assorbe l’esigenza del clero di avere sempre a portata di mano il vescovo responsabile di una decisione

Secondo: sdoppiare le proprie funzioni poggiando su un’altra persona il peso del rapporto quotidiano con il clero diluendo la responsabilità e formula ben sperimentata nella diocesi.

Terzo : per operare unificando i cinque ausiliari allo stesso modo che il clero occorre un livello più forte che il semplice segretario non vescovo.

Risponde ottimamente alle tre esigenze suddette un vice-cardinale : c’è pronta nel Sinodo la denominazione di “vicegerente”, senza contenuto dal 1966 ma legittimamente utilizzabile. Di nuovo un’impostazione di direzione a piramide, di nuovo un cuscinetto tra cardinale e vescovi, tra cardinale e diocesi.

Cari amici, leggete con noi: Drucker –“Il potere dei dirigenti”- 1954, ed. ital. Comunità, 1958. Senza adeguati principi organizzativi i livelli direttivi tendono a moltiplicarsi. Eppure il fatto che, in realtà, ben pochi livelli siano necessari è provato dall’esempio della più antica e prospera organizzazione della civiltà occidentale, la chiesa cattolica. Esiste un solo livello organizzativo tra il papa e il più umile dei parroci: “il Vescovo” ( pag. 213 ). O ineffabile ottimismo di chi non crede nei guasti del peccato originale! Noi invece per il giro di pochissimi anni abbiamo descritto una vera proliferazione di livelli intermedi.

Drucker dice : “In mancanza di adeguati principi organizzativi“. Noi diciamo: in mancanza di principi teologici sulla struttura dei rapporti interepiscopali, intersacerdotali, interecclesiali, sostituiti da principi organizzativi.

 

Questa che abbiamo descritta è la base della situazione dell’ultimo biennio 1969 – 1971, con gli sviluppi e i deterioramenti che ancora cercheremo di individuare. Parleremo quindi dello stato attuale dell’episcopato romano richiamando l’attenzione della comunità di base a non trascurare una attenta valutazione dello stato di diritto e di fatto del vescovo con il quale si vuole o si deve dialogare.