Lettera 18 (Prima Serie)

Agli amici

Cari amici,

questa volta abbiano preparato un numero speciale dedicato alla benedizione delle case. Si tratta di un argomento che torna ogni anno di attualità con l’approssimarsi della Pasqua, ma che fino ad oggi non ha ancora trovato un’occasione di vera chiarificazione nella nostra chiesa locale. Ci siamo pertanto sentiti in dovere di offrire il nostro modesto contributo ala comune riflessione, affinché si torni a considerare con più attenzione la gravità di una situazione che provoca spesso confusione nella coscienza dei fratelli, avendo perduto, così come si debba vincere la tentazione alle comode certezze che nascono dall’abitudine, porgendo ascolto allo Spirito che continuamente ci sollecita e ci spinge avanti. Solo così avremo la forza di restituire alla benedizione della casa quel profondo significato che già era presente nella cena pasquale ebraica e che è legato al grande evento della Resurrezione.

Abbiamo pensato di inviare questo numero del ciclostilato anche ai parroci di Roma, riservandoci di continuare a farlo successivamente solo con quelli che ce ne faranno espressa richiesta per iscritto o per telefono.

Non è nostra intenzione, infatti, di imporci ad alcun fratello che non si senta di aprire con noi un dialogo, né ce la sentiamo di usare i pochi mezzi di cui disponiamo per alimentare il cestino dei rifiuti.

Con l’augurio che la Pasqua diventi centro della nostra esistenza vi salutiamo fraternamente,

gli amici de “La Tenda”

La Benedizione Delle Case A Roma

  1. Storia dal 1870 al 1965.

Ci sembra utile riferire assai rapidamente alcuni sviluppi successivi intervenuti nella tradizione della benedizione delle case nella città di Roma.

Qualche ricordo del tempo intorno al 1870. Non vi sembri fuor di luogo se facciamo menzione di un altro rito, la Comunione degli infermi, simile per qualche aspetto alla benedizione delle case. Dalla chiesa alla casa del malato si svolgeva una piccola processione così ordinata: precedeva un bambino con campanello, poi due con candele e tra essi il sacerdote, quindi l’ultimo dei chierichetti con il tradizionale “ombrello”. Chiese a due passi da ogni casa, stradine tranquille del “centro”, gente che conosceva il prete e il malato, qualcuno usciva dalle botteghe, si inginocchiava. Al secondo passaggio del sacerdote ci si informava sulle condizioni del malato mentre a ceri spenti la piccola processione rientrava. Dopo il 1870 questa processione decadde progressivamente. Non pensiamo a pressioni esterne, piuttosto all’emergenza di nuove componenti del tessuto sociologico cittadino. Atmosfera più laica, vie nuove, più palazzi e meno case, attraversamenti, incontri fortuiti con gente meravigliata. Si verificò una inversione di tendenza. Fino allora quanto più era solenne il “trasporto”, tanto più era rispettoso. Da allora in poi tanto più era rispettoso quanto più riservato.

La benedizione delle case presentava un cerimoniale esterno per qualche verso simile a quello descritto, ma riuscì invece a sopravvivere più a lungo. Perché?

Atmosfera ricaricata: le Palme, i Sepolcri, le ore di agonia, il silenzio delle campane, in casa le pulizie pasquali ed i piatti tradizionali già pronti. Roma in qualche modo tornava per un giorno ad essere la città di un tempo in cui il sacro si mischiava naturalmente con la vita quotidiana.

Davano il segnale le campane e dopo poco dalle sacrestie partiva la piccola invasione: acquasantiere, boccette di ricambio, bambini felici, sacchetti per le offerte, informazioni sui percorsi come prima di un assalto e….. partenza. Di casa in casa, di porta in porta: “Padre s’accomodi, Padre segga un momento, Padre benedica anche qui, Padre benedica mio marito, eh Padre quelli si che erano tempi”. All’ave Maria tutto è concluso. Restano i commenti, nelle sacrestie come nelle case: “il tale non si è neppure alzato, hai visto come si fa l’acqua santa….” Insomma Pasqua è arrivata, domani quasi tutti andranno in chiesa per la Comunione del “precetto”.

L’usura di questo rito, se considerata in confronto a quella della comunione degli infermi, fu molto lenta, data appunto la forza di suggestione esercitata dal complesso della settimana santa e dalle colleganze con abitudini stagionali assai generalizzato (pulizie di primavera, cucina di circostanza).

Ovviamente, va precisato, la benedizione delle case non è il suo aspetto esteriore appena nominato, come neppure la comunione, agli infermi è la processione che la precedeva. Tuttavia abbiamo scelto di presentare la benedizione delle case partendo dal suo aspetto folkloristico perché pensiamo che il profondo e intricato legame col substrato sociologico di questo rito è stato ed è una delle maggiori cause della massiccia resistenza ai necessari aggiornamenti.

Il tempo scorre e la città cambia il suo volto religioso, sociale, culturale; ma il cambiamento progressivo vede sopravvivere la tradizione della benedizione delle case. Essa infatti può contare sulla forza di un complesso di tradizioni cittadine popolari-religiose che riescono ogni anno a riprodurre per tre giorni l’atmosfera antica, come per una sospensione magica dei processi normali di sviluppo.

Procediamo velocemente. Le novità che pure pesano sulle consuetudini non incidono dunque visibilmente. Fino all’ultimo dopoguerra non troviamo veri punti di grave squilibrio. La gente accetta la convenzione della visita del sacerdote, pur se il contesto di fede è sempre più ristretto e meno presumibile. Dopo la guerra la situazione oggettiva evolve più rapidamente. Insediamenti di massa, parrocchie ad alto numero di abitanti, mancanza di clero, mobilità delle prime feste pasquali fuori città, crescente percentuale di non praticanti od ostili. Innegabili riserve si fanno strada nel subconscio di preti e laici, ma la forza della tradizione è tale che esse non giungono alla forma espressa di critiche o idee di riforma dei riti della Settimana Santa.

Per quanto incide sul nostro argomento la riforma del 1955 stabilisce che la celebrazione dei riti liturgici deve compiersi in orario corrispondente all’avvenimento che si commemora. Cena del Signore al giovedì sera e Memoria della morte al venerdì pomeriggio. La veglia di attesa e la Messa di Resurrezione si trasferiscono anch’esse dal sabato mattina alla notte tra sabato e domenica. Per la benedizione delle case che come vedremo è proseguimento della liturgia dell’acqua pasquale non c’e’ più posto il Sabato Santo, considerato ormai giorno intermedio di attesa e per il quale solo viene usato il nome di “giorno a liturgico”, cioè vuoto.

Per molti altri aspetti la restaurazione dei riti della settimana santa del ’55 è uno degli atti più coraggiosi di Pio XII, e vorremmo avere competenza e spazio per approfondire. Procede con una chiarezza che farebbe bene a tanti più moderni legislatori preoccupati dell’aggiornamento indolore. Stabilisce il radicale principio della preminenza dei riti liturgici sul resto e quello della fedeltà a storia e cronologia. Tutto ciò che è devozione, tradizione recente, prassi pastorale deve riaggiustarsi di conseguenza su nuove posizioni. Un riesame radicale anche della benedizione delle case è dunque positivamente richiesto dalla riforma del ’55.

C’è da chiedersi se il rapporto tanto delicato precario esistente a Roma tra celebrazione pasquale, atmosfera festiva e necessità del richiamo pastorale di massa insito (come vedremo) nella visita domiciliare e sfuggito al …….vescovo di Roma. Invero pensiamo che Pio XII abbia scientemente accettato di sottoporre a tensione la benedizione delle case come del resto tutte le altre tradizioni popolari aggrovigliate intorno ai “sacrosanti riti del triduo sacro”. Così barcollano le vie crucis, le ore di agonia, i “Sepolcri” le benedizioni dei cibi ecc.. Un vero “si salvi chi può” in vista di una specie di selezione naturale.

Un’occasione allora per rivedere la benedizione delle case oltre che nel contesto liturgico anche in quello pastorale e sociologico.

Le norme che verranno emanate nella chiesa locale di Roma riguardano invece la pura e semplice trasposizione della benedizione delle case ai giorni dopo la festa di Pasqua. Non è l’unico caso in cui la chiesa locale di Roma trascura occasioni per considerare le cose in modo dinamico ed approfondito, precisione. Per quanto riguarda il vescovo si sa che la teologia del tempo lo dispensa dal preoccuparsi della sua chiesa locale quando ha illuminato (e questa volta è vero) tutte le altre chiese del mondo.

Ma a questo punto le incongruenze già insite nella benedizione delle case esplodono.

Il rito in fondo vegetava nell’atmosfera artefatta della Settimana Santa.

Mancando questa resta la sostanza cioè pressoché nulla. I fedeli lamentano che quando viene il prete “non è più come prima”, i sacerdoti finalmente focalizzano l’equivoco sostanziale e l’inutilità pastorale di quel che compiono. Intorno al 1960 l’incongruenza della prassi è ormai evidente e qualcuno lo fa presente. Il Vaticano smorza e tergiversa. Ne segue che gli unici tentativi si fanno in alcune parrocchie e sempre nel de jure condito, che resta rigido e vigilato. Qualche parroco cerca almeno unna migliore esecuzione del rito. Invia lettere di presentazione, mette nei palazzi avvisi che preannunciano giorno e ora dell’arrivo del prete. Conseguenza di questi sforzi di adattamento è che nelle parrocchie più volenterose la benedizione si dilunga ben oltre i primi giorni postpasquali. Incontra per premere su altre “attività” parrocchiali, come il concludersi della preparazione alle prime comunioni (aprile-maggio), o …… per intralciare la normale vita della parrocchia.

Qualche parroco domanda allora di poter anticipare la benedizione delle case alla Quaresima. Il senso pasquale viene sostituito dall’elemento del richiamo pastorale alla prossima Pasqua (ma di ciò parleremo più oltre). Il vescovo concede. Primi? Dopo Pasqua? Si comincia a discutere. I pastori hanno per le mani questa benedetta benedizione e sono costretti a sistemarla da qualche parte. Qualcuno ha l’idea che una risposta possa venire meglio se ci si pone la domanda così: ma cosa è dunque la benedizione delle case?

Era ora. Permettete che anche noi facciamo quindi provvisoriamente punto sulla storia per passare ad una riflessione più attinente alla cosa stessa. Gli sviluppi intervenuti negli ultimi tre-quattro anni (1968-70) non sono comprensibili se non si conoscono le impostazioni di fondo alle quali ormai si fa riferimento nella prassi.

  1. Cosa è la benedizione delle case

a) Aspetti teologici.

“Ho visto acqua uscire dal fianco destro del tempio, e tutto ciò che era raggiunto da quell’acqua era salvo” (Ezechiele, 47).

La prima parola del sacerdote che entrava nella casa erano la concisa profezia di Ezechiele. Niente meglio di questa breve frase indicava in quale invero solida concezione teologica si appoggiava il rito della benedizione della casa. Uniti nell’unica figura profetica l’aspetto sacramentale. (“ho visto acqua”), l’aspetto sacrificale-cristologico (“uscire dal fianco, destro”, evidente richiamo a “lo trafisse e dal fianco uscirono sangue ed acqua”;-“del tempio”, ormai il tempio è Cristo, dopo che il velo del tempio è stato strappato), l’aspetto salvifico universale (“tutto ciò che era raggiunto dall’acqua era salvo”).

Nessuna altra presentazione avrebbe meglio indicato perché nel giorno di Pasqua l’acqua del fonte battesimale raggiungesse come un fiume in piena ogni luogo dove i cristiani si sentivano ormai popolo salvato, con famiglie, case e masserizie.

Il contenuto teologico del rito della benedizione delle case è a nostro modesto avviso molteplice e profondo. Anzitutto è uno dei pochi sopravviventi riti nei quali il concetto di salvezza cristiana viene esteso dall’anima (“il Signore custodisca l’anima tua” si diceva una volta alla distribuzione della comunione) o dall’anima e dal corpo (quante orazioni della messa chiedono ancora aiuto “dall’anima e dal corpo”) fino alle realtà tutte che contornano l’uomo e la sua famiglia. Il concetto di una salvezza globale è profondamente biblico (ricordare le aspersioni su uomini e cose, e l’intero rito della prima partenza dall’Egitto).

Di più: non ci è possibile approfondire, ma siamo quasi dell’idea che l’accettare e il celebrare l’acqua del fonte nella propria casa ha per l’intera famiglia un senso ecclesiale che equivale a quello che ha per il singolo l’aver partecipato alla Eucaristia pasquale. Solo ricordiamo il significato della casa segnata con sangue dell’agnello che è l’affermazione di appartenenza al popolo di Dio; e qualcuno avrà nella memoria il profondo senso della cena pasquale nel film tratto da “il diario di Anna Frank”, quando la famiglia riunita si fa consapevole di esser parte di una nazione perseguitata da sempre. Andrebbe infine sviluppato in questa sede il senso della salvezza “nella casa”. Basterà agli amici rivedere in San Paolo la preponderanza delle virtù domestiche nei suoi famosi elenchi: ospitalità, obbedienza agli anziani e ai padroni, amore nel coniuge nei figli e dei sottoposti, sobrietà, preghiera domestica, perché si comprenda in quale panorama di vita famigliare cristiana vada a situarsi come confessione di fede e stimolo di vita il rito dell’acqua pasquale nella casa.

Questo compresso di aspetti che abbiamo chiamato teologici ruota intorno alla attualizzazione nella casa-famiglia della pasqua celebrata nella riunione Comunitaria con il presbitero. Fosse pure assente il sacerdote dal rito dell’acqua pasquale nella casa, chi potrebbe dire che esso non avrebbe relazione con la vita ecclesiale ? Ma è difficile trovare un rito non domestico tanto carico da sé solo di riferimenti alla realtà “popolo di Dio”! Per quanto riguarda l’eventuale celebrazione del rito da parte del padre di famiglia la questione di principio è già risolta nel Concilio Vaticano II ormai vecchio di 10 anni: “Si provveda che alcuni sacramentali, almeno in particolari circostanzi e a giudizio del vescovo ordinario, possano essere amministrati da laici (Cost. della Sagra Liturgia, n° 79). Più che temere per l’assenza del sacerdote qualora il rito fosse degnamente preparato e condotto (e vedremo due tentativi avvenuti in Roma) sarebbe bene preoccuparsi di quando un rito tanto venerabile viene ripetuto senza alcun contesto di fede, ecclesiale e no.

  1. aspetto pastorale.

All’interno di una comunità cristiana a rapporti umani sviluppati come ad esempio una normale parrocchia di quaranta-cinquanta famiglie, la benedizione pasquale delle case, o il rito dell’acqua pasquale celebrato con il sacerdote, sarebbe certo occasione di vero dialogo. Un commento a fatti di famiglia o di comunità, una preghiera, persino un richiamo, sono naturali in rapporto già vivo, tra persone che hanno già nella fede comprensione sufficiente della realtà che il rito propone (acqua pasquale, l’incontro con l’anziano della comunità ecc.).

In alcune città d’Italia (Napoli, Umbria, Toscana), la benedizione delle case avviene nel tempo della Quaresima. Manca allora la ricchezza teologica dell’atto di fede pasquale. E’ presente invece questo secondo aspetto, l’incontro pastorale, in vista di una migliore celebrazione pasquale. Una specie di pro-liturgia della parola, secondo i casi, come atto all’interno della fede (e quindi con un rito paraliturgico) o come annuncio della parola in eventuali incontri con i lontani.

A questo punto siamo in grado di comprendere il curioso funzionamento del rito romano. Posta la benedizione al Sabato Santo esso si trovava inserito tra due celebrazioni….pasquali. Tra la veglia del Sabato mattina e la domenica di Pasqua. Il sacerdote che viaggiava per le case dei fedeli poteva quindi legittimamente compiere un rito postpasquale e nello stesso tempo annunciare la Pasqua del giorno dopo! Non unico caso di delicato equilibrio negli usi romani tra fedeltà liturgica ed esigenza pastorale. Accorgimenti antichi che sanno un po’ di compromesso, eppure degni di attenzione se non proprio di rispetto.

Questo piccolo marchingegno del Sabato Santo romano è saltato nel 1955. Resta il ricordo delle astuzie di cui si intesseva talvolta la pastorale dei bei tempi. E resta il fatto che manca ancor oggi la consapevolezza della distinzione reale esistente tra i due aspetti (espressione di fede e atto di comunicazione pastorale).

La mancanza di chiarezza si rivela però deleteria dato che alla situazione antica di rapporto pastorale tra sacerdote e fedeli va sostituendosi sempre più una situazione che richiede rapporto missionario tra sacerdote e lontani.

In misura crescente il sacerdote incontra ambienti estranei alla fede, fortemente critici, ostili.

c) Aspetto, o meglio, esigenza missionaria.

 

Prima reazione del sacerdote, ma assai superficiale, può essere quella di dare allo strumento che adopera, nel nostro caso la benedizione, una nuova funzione.

Di renderlo cioè anche occasione di annuncio del Vangelo.

Se tra i due primi aspetti del rito (momento culturale o di espressione della fede o di preghiera e momento di dialogo pastorale) non vediamo incompatibilità, purché si attuino in una situazione di fede che possa sostenerli entrambi, che dire quando si tenta di soddisfare contemporaneamente anche una esigenza missionaria verso i lontani? Un rito che è di per sé espressione di fede diventa da sé solo uno strumento di annuncio missionario quando viene posto in presenza di soli estranei alla fede? Evidentemente no. Perciò non hanno senso frasi come “la benedizione è sempre meglio di niente”, “almeno una volta vedono un prete e sentono una preghiera”, “la benedizione delle case è un’occasione per entrare nelle case della gente” (a parte il cattivo gusto dell’ultima proposizione). Abituati al doppio aspetto (momento culturale e pastorale) del vecchio rito, dobbiamo far attenzione a non celebrarlo fuori del rapporto di fede che entrambi suppongono applicandogli una innaturale (e irreale) intenzione missionaria.

Questo problema è per noi tanto importante e sottile, e tanto valido per il caso ben più grave dei sacramenti, che ci permettiamo di ripeterlo in altri termini. E’ possibile ridurre la benedizione, delle case ad una occasione missionaria di annuncio? Se la benedizione delle case è quell’atto della fede a contenuti pregnanti di cui abbiamo parlato più su, per noi la risposta è: no, un rito della fede non può essere, posto senza una comunità sia pur minima, come se fosse puro atto di dialogo con un non fedele. Se fosse pure salo la realizzazione, di un incontro pre-pasquale tra cristiani, con un contenuto di preghiera pastorale nel senso suddetto, la risposta sarebbe ugualmente: no, un atto, di preghiera cristiana è peculiare di chi ha già fede. Deve essere un atto di annuncio? lo sia nelle forme di un dialogo umano normale e slegato da ogni ritualismo. E senza dimenticare che l’annuncio vero è la nostra conversione, e non il bussare di porta in porta.

Ma anche se questi problemi teorici fossero risolti nell’altro senso, fosse pur giusto benedire per richiamare, benedire per convertire, in pratica potrebbe oggi la benedizione delle case assolvere questo compito? Richiamati al concreto, come piace a molti pastori, non ci resta che tornare alla storia, anzi alla cronaca.

  1. Stato attuale della benedizione delle case, per un giudizio sulla sua ipotetica finalizzazione all’annuncio del Vangelo.

La situazione che descriviamo vi è nota e credete, c è davvero pesante ricordarla con voi.

Abbiamo atteso il sacerdote, o almeno ha atteso la moglie. Bussammo. Un sacerdote sconosciuto, abito lungo nero, cotta di pizzo. Spesso non sa parlare italiano e se ne scusa. Senza preamboli percorre la casa spargendo acqua benedetta per le camere. Dice un’orazione che cerchiamo di afferrare; lui una benedizione, noi un segno di croce; un’offerta nel sacchetto del bambino; un saluto convenzionale e un augurio. Qualche volta si indovina che il sacerdote è sincero e vorrebbe non aver fretta. L’altro bambino è già uscito ed ha bussato altrove, la porta del vicino è già aperta. Arrivederci al prossimo anno.

E questo nella migliore delle ipotesi, a casa nostra. Ma vediamo la cosa dalla parte del sacerdote.

Un giorno qualunque, entra nel palazzo; le chiavi dell’ascensore dal portiere, si comincia dall’alto. C’è il superattico, il portiere con gesto discreto avverte di passare oltre. Poi alla rinfusa. La donna di servizio che precede il prete di stanza in stanza, la signora che esce di fretta per prendere il bambino a scuola, nessuno in casa, il tranviere che ha fatto il turno di notte e stava dormendo, ancora nessuno, ma il portiere ha le chiavi, la tale che cerca i soldi, il tale che cerca qualcosa da dire, i ragazzi qualcosa da fare per darsi un contegno in una situazione così improvvisa ed imbarazzante, loro che non hanno il saper fare dei grandi. Questo cento, ducento volte. I bambini sono sempre più stanchi, il sacerdote abbrevia e non dice più “Ho visto acqua uscire dal fianco destro …. E tutti erano salvi”. E’ stanco anche lui? Ha capito che non è proprio il caso?

bbiamo abbreviato al massimo questa descrizione, è di tanta pena che non avremmo voluto scriverla, ma abbiamo accettato di parlar concreto. Ce ne è abbastanza per rispondere alla domanda “la benedizione delle case può essere un atto missionario di annuncio?”. Noi prendiamo per indiscutibile l’affermazione che la benedizione delle case ha raggiunto un tale stato di avvilimento che anche nulla è meglio di quel che abbiamo.

I vescovi o i parroci (che spesso non vanno di persona, ma mandano altri) non hanno avvertito il disagio, né affrontato le cause evitando ogni confronto con i movimenti della realtà cittadina. Qualche aggiustaggio per rendere materialmente ancora possibile ciò che bisognava esaminare se avesse più senso. Nulla di più.

4. tentativo 1968 – 1970

Qualcuno allora ha agito extra legem.

Hanno cominciato i sacerdoti. Alcuni delle parrocchie ponendo condizioni alla loro partecipazione alla benedizione delle case: nessuna richiesta di soldi, numero limitato di case da benedire, orario conveniente. In modo più radicale hanno potuto agire i sacerdoti slegati dalla parrocchia (professori di religione, studenti nelle università, impiegati ecc.) rifiutando semplicemente la collaborazione. Restavano a disposizione i religiosi soggetti ad obbedienza, ma non pochi superiori condividevano ormai il disagio. Queste difficoltà di esecuzione hanno reso via via più faticoso il compito dei parroci indebolendo le loro resistenze. Alcuni hanno allora affrontato il problema globalmente ponendosi il traguardo di un rinnovamento della benedizione delle case.

Di costoro si interessa il presente paragrafo.

Abbiamo ritenuto doveroso sincerarci di persona sui tentativi compiuti negli ultimi due-tre anni in alcune parrocchie di Roma. “In corpore vivo”, con senso di provvisorietà, qualcuno ha cominciato a muoversi nelle comunità di base.

Abbiamo parlato con i parroci assicurando loro esposizioni anonime per non disturbare il calmo progredire ulteriore dei tentativi e degli approfondimenti. C’è motivo di ritenere che il Cardinal Vicario sia stato regolarmente informato delle novità.

Le parrocchie hanno battuto vie diverse e quanto abbiamo esposto più su specialmente sugli aspetti teologici e pastorali aiuterà i nostri amici a valutare gli indirizzi prescelti dai singoli parroci. Riferiamo dunque la prassi seguita in alcune parrocchie di Roma negli ultimi anni per rinnovare il rito della benedizione delle case e soprattutto per dare ad essa un contenuto.

Questo aspetto lo abbiamo rilevato contenti; non si è cercato di rinnovare forme, ma di ricreare una sostanza, e ciò ha poi contribuito ad escogitare le forme corrispondenti.

Parrocchia n° 1 – 7000 famiglie.

1969: il presbiterio prende atto della difficoltà pratica di raggiungere 7000 famiglie e si fa consapevole della inutilità di una visita brevissima, fatta oltretutto da sacerdoti estranei alla parrocchia. Si invitano dall’altare i fedeli a chiedere una visita alla famiglia riunita pur conservandosi l’abituale passaggio del sacerdote benedicente. 50 famiglie chiedono la visita impegnando il parroco per due mesi ogni sera in visite che non avranno seguito.

-1970: si prosegue. Si invia una cartolina che restituita al parroco chiede una vera e propria riunione di preghiera. Resta il solito passaggio del sacerdote.

-Ancora 50 risposte. Il sistema delle cartoline si rivela tecnicamente troppo complicato e non rispondente.

1971: la visita di cui sopra si svolge da Febbraio a Maggio. Passerà ancora il sacerdote dopo Pasqua.

Il parroco pensa che si debba restituire alla visita il senso di una vera e propria riunione di preghiera “ma non è opportuno perdere il contatto, qualunque esso sia”. In ogni caso per eliminare il passaggio del sacerdote pensa di non poter agire finchè non ci sarà la copertura del vescovo.

Parrocchia n° 2 – 10.000 famiglie, la metà inserita recentemente.

1970: il parroco il giorno di Pasqua annuncia che per difficoltà particolari (sacerdoti malati, ecc.) quest’anno non si effettuerà la benedizione delle case. In effetti alcuni sacerdoti appartenenti al clero della parrocchia hanno chiesto riforme radicali. D’altra parte l’insediamento di un gran numero di famiglie ha rappresentato all’ultimo momento un ostacolo insormontabile. Dal che la decisione improvvisa.

1971: Ci si propone, non è detto come, di iniziare un nuovo tipo d’incontro nella zona nuova, visitando la sera le famiglie per un incontro di preghiera. Negli anni prossimi si dovrebbe allargare alle zone meno nuove fino alle più antiche.

Il parroco ritiene che il problema vada studiato a livello diocesano, è contrario alla preghiera del capo-famiglia (vedi oltre), alla abolizione completa della pratica e alla visita su invito.

Parrocchia n° 3 – 3000 famiglie

1969: il parroco spiega per lettera il senso della visita del sacerdote alla famiglia ed avverte che per agire in modo umano visiterà le famiglie personalmente ed in ora serale. Avviso nella portineria.

1970: si avverte in chiesa che i sacerdoti della parrocchia visiteranno di sera le famiglie che ne faranno richiesta. La visita si prolunga per molti mesi dell’anno. Non si effettuerà più la visita generalizzata. 1971: idem.

Parrocchia n° 4 – 800 famiglie. Parrocchia nata nel 1968.

1968: si invia ai fedeli una lettera in cui si afferra l’impossibilità di ricevere offerte, si spiega il significato della benedizione delle case come occasione di incontro col sacerdote e si suggerisce il testo della preghiera. Il passaggio del sacerdote avviene come al solito. Per l’esiguo numero di famiglie si completa la visita in due settimane. Si riscontra la, difficoltà di incontrare i membri validi del nucleo familiare, ma si, completa l’elenco delle famiglie della parrocchia.

1969: idem, ma si preannuncia che sarà l’ultimo anno. Si inizia la consuetudine di visitare le famiglie in occasione dei sacramenti.

1970: si invia un biglietto di augurio per la Pasqua ed un formulario per una preghiera comune da recitare in.famiglia nella domenica di Pasqua; i sacerdoti informano di essere disposti alla visita se richiesti; pochissimi lo chiedono.

1971: idem.

Di questa parrocchia pubblichiamo in.appendice la, lettera del 1969 e il testo della benedizione del padre di famiglia. (App. n°1)

Il parroco pensa che in tutta Roma si può giungere gradualmente a questa soluzione della benedizione del capofamiglia; tale benedizione, specialmente nelle famiglie inurbate dal meridione, è ricordata come un’antica tradizione. Riconosce che non molto parrocchie sono in condizione di poter rinunciare ai proventi di una questua che è l’ultima ad esser condotta capillarmente (vedi sulla questione App. n° 3.

Parrocchia n° 5 – 3500 famiglie.

1969: i sacerdoti mandano una lettera di augurio per la Pasqua ed un formulario con la preghiera di benedizione a Dio, da compiersi dal capofamiglia sulla mensa di Pasqua. Al mattino di Pasqua ogni fedele può prendere da una vasca alla porta della chiesa l’acqua benedetta nella notte. Si fornisce anche un sacchetto di plastica. In 1100 famiglie il sacerdote porta la lettera casa per casa. Il giorno di Pasqua vengono presi 1900 sacchetti. Si rifiutato visite richieste per la sola benedizione.

1970: idem, ma il formulario della preghiera non è stato più recapitato in casa. I fedeli possono prenderlo alla porta della chiesa insieme con l’acqua.

1971: idem.

Il parroco pensa alle difficoltà pratiche radicalmente superate, al rinascere della funzione del padre di famiglia come maestro di fede, al collegamento con i riti biblici dell’esodo e quindi al valore ecumenico della nuova prassi.

Di questa parrocchia pubblichiamo in App. n° 2 parte della lettera di augurio dei sacerdoti per la Pasqua 1969 e alleghiamo il cartoncino distribuito la domenica di Pasqua 1970.

Probabilmente esistono altri tentativi non giunti a nostra conoscenza. In quelli che sommariamente abbiamo esposto si evidenziano tendenze diverse e divergenti.

Le parrocchie 4 e 5 eliminano la visita del sacerdote e mantengono un rito di fede-preghiera collegato con la professione di fede pasquale celebrata in chiesa al mattino di Pasqua e che si rinnova alla mensa della famiglia.

Le parrocchie 1, 2, 3 tendono con maggiore o minor decisioni a sostituire la visita antica con una visita più ordinata e umana. La parrocchia 1 non sa decidersi e mantiene il doppione: incontro rinnovato – visita generalizzata; la parrocchia 2 spera una trasformazione globale della benedizione di tutte le case in incontro di tutte le famiglie; la parrocchia 3 è giunta all’abbandono della prassi antica per un incontro con le sole famiglie che lo desiderano.

Considerando le iniziative nell’ambito dei tre aspetti che nominavamo (aspetto cultuale, pastorale, missionario) le parrocchie 4 e 5 realizzano l’aspetto di fede e preghiera pasquale e quanto di pastorale c’è nel ridare al padre di famiglia il suo compito religioso, ma non realizzano in questa sede l’incontro tra sacerdote e famiglia, ritenendolo impossibile nelle dimensioni attuali della comunità o inefficace o scarsamente missionario. Le parrocchie 1,2, 3 hanno eliminato l’aspetto pasquale del rito conservando solo una generica riunione di preghiera e tentano aspetti o solo pastorali (visita solo a richiesta, parr. 3 ) o pastorali e missionari (visita rinnovata e generalizzata della parr. 2. A riguardo di questa parrocchia c’è solo l’esempio di come una parrocchia possa trovarsi improvvisamente con l’acqua-santa- alla gola la mattina di Pasqua.

E non sarà l’ultima).

Un giudizio nostro riguarda solo il rapporto tra tentativi e problemi di fondo. Registrando i pochi processi di rinnovamento individuati possiamo dire che ha trovato una certa conferma l’affermazione “i pastori hanno cominciato a pensare”. Quel che emerge con notevole chiarezza è la prudenza, la gradualità con la quale i parroci procedono (quelli che procedono). Non si sa di reazione apprezzabili alle modifiche introdotte. Evidentemente anche i parroci più problematici agiscono al di qua della linea della sconsideratezza e della frattura, mentre le comunità di base appaiono meno sclerotiche di quel che si teme.

5. Prospettive.

Per aiutare i tentativi esposti nel paragrafo precedente pensammo di mettere mano alla loro registrazione e a qualche descrizione storica e precisazione teorica. Ci sembrava ormai tempo di superare il momento dei tentativi isolati e silenziosi per avviare un discussione più aperta nella comunità romana.

Al punto di maturazione a cui è giunto il problema vediamo possibile l’azione su due piani. Presbiterio e comunità di base.

  1. Azione del presbiterio e del vescovo. Il vescovo ha ormai elementi per dire qualcosa. E’ lecito esporre quel che ci aspettiamo. Ci aspettiamo che apra nella diocesi il dialogo ufficiale sulla benedizione delle case. Anzitutto richiamando tutte le comunità che non hanno ancora fatto tentativi, che non hanno problemi. Un invito esplicito a pensare e sperimentare in libertà, con la prudenza e progressività che hanno già dimostrato quelli che hanno agito.

Poi ci aspettiamo che favorisca nel presbiterio il confronto tra le esperienze fatte. Non una scelta dall’alto tra le possibilità proposte (e magari contro di esse) ma l’assistenza qualificata al dialogo chiarificatore tra coloro (p.e. i 5 da noi nominati) che hanno già detto qualcosa e hanno già consolidato una visione di fondo ed una prassi corrispondente. Non una scelta dall’alto proprio e soprattutto ora che qualcuno agendo ha orientato in direzioni precise le consuetudine e il pensiero della comunità. Poco male se le direzioni sono divergenti. Si discute, ci si convince e chi deve tornare indietro ha garantito tempo e modo di agire con cautela e rispetto della comunità.

  1. Maturazione ulteriore del problema nelle comunità di base. E’ la seconda linea lungo la quale deve necessariamente procedere l’aggiornamento della benedizione delle case. Abbiamo pubblicato questo modestissimo contributo proprio con lo scopo di favorire con la divulgazione dei fatti e qualche riflessione iniziale la generalizzazione del problema.

E’ solo l’inizio. Per chi vuole che la cosa entri nell’ordine del giorno della sua parrocchia comincia ora il lavoro di pensiero e di azione, personale e di gruppo, con particolare richiamo alla funzione dei consigli pastorali parrocchiali. La particolarità delle situazioni locali non sono rilevabili e risolvibili neppure nel miglio studio generale. Nessuno può sostituirsi ai nostri amici lettori nel tentare di incidere nelle diversissime realtà parrocchiali in cui ognuno si trova, come noi del resto.

Ma tuttavia non siamo divisi né lontani. Il giorno di pasqua alla mensa di ciascuno di noi si benedirà il Signore. Si rinnoverà l’antico rito dell’Esodo. In quel momento penseremo anche a tutti voi. L’unica fede e l’unica preghiera renderanno più vicino, più simili le nostre tende. Auguri! La Pasqua che rinnova antiche liberazioni introduce a nuovi cammini.

APENDICI

App. n° 1

I SACERDOTI AI FRATELLI CRISTIANI DELLA PARROCCHIA (n° 4) – Pasqua 1969

Vogliamo parlarvi della “benedizione delle case”. Negli anni passati abbiamo cercato insieme di correggere, una prima stortura: la benedizione delle case non è bagnare le mura per allontanare o scongiurare – quasi con rito magico poteri malefici sulla famiglia, ma è un incontro della famiglia con Dio nella preghiera. Però ancora non ci siamo. Difficilmente quando entra in casa il sacerdote la famiglia è al completo: con la più buona volontà, lavoro è studio assorbono in tutte le ore del giorno. E poi per essere pasquale, la benedizione dovrebbe avvenire a Pasqua, mentre i sacerdoti vanno nelle famiglie prima e dopo questo giorno.

In pratica, come è oggi, essa è appena una “visita” che il sacerdote fa in famiglia; meglio dire: una fugace apparizione.

Per quest’ano lasciamo pure le cose come stanno (sulla busta è indicato giorno e ora); ma intanto incominciamo a riflettere che occorrerà modificare, e quindi migliorare, questa tradizione, per non rischiare di cadere nel formalismo.

SE E’ VISITA: potrà avvenire in qualunque periodo dell’anno e non per forza in occasione della Pasqua; dovrà avvenire con tutta la famiglia al completo, con calma e disponibilità di tempo; dovrà essere posta su un piano di incontro amichevole e pertanto gradita e cercata, non “subita” o “non rifiutata” per buona educazione.

SE E’ BENEDIZIONE PASQUALE: deve essere vissuta nel suo valore. “Benedizione” primariamente significa: “dire bene” cioè lodare, “ringraziare”; proprio qui ritroviamo il suo sapore “pasquale”. “Pasqua” – che vuol dire “passaggio” – ci riporta all’Antico Testamento, quando il popolo eletto la celebrava annualmente per ricordare, nella lode a Dio, il “passaggio” di Dio Liberatore. Leggiamo nella Bibbia: “In questo giorno spiegherai ciò a tuo figlio dicendo: si fa così per tutto quello che il Signore fece per me, quando uscii dalla schiavitù d’Egitto”. Gesù celebrò la “sua” PASQUA, nel quadro di questa pasqua ebraica. Sedette a tavola con i suoi discepoli, “rese grazie a Dio con la preghiera di benedizione” e compì il nuovo rito, il rito della Nuova Alleanza. Con la sua Morte e Resurrezione divenne Lui la Nuova Pasqua, Lui il “passaggio” dalle tenebre alla luce, dal peccato alla vita; e noi cristiani Nuovo Popolo di “salvati”.

Se IL GIORNO DI PASQUA IN OGNI CASA i cristiani – già nutriti con il Corpo di Cristo, già lavati nel suo Sangue – già “passati” con Gesù Risorto dalla morte dell’egoismo alla gioia dell’amore – si alzeranno prima a “benedire” Dio, a lodare e ringraziare il Padre che ha operato “grandi meraviglie” per loro figli…. veramente allora si realizzerà la BENEDIZIONE DELLA CASA, la risposta esultante con la quale il “nuovo popolo” – riunito in tanto comunità familiari – esprime la sua piena “lode” e dice il suo sincero “grazie” a Dio “potente salvezza”.

BENEDIZIONE DELLA FAMIGLIA A DIO PER IL GIORNO DI PASQUA

“Quando due o tre si riuniranno nel mio nome, Io sarò in mezo a loro” (Mt. 18,20)

Nel giorno solenne di Pasqua, i cristiani, riuniti per pranzo attorno alla tavola, prima di prender cibo, rinnovano la fede in Cristo Risorto, Lo acclamano Redentore e si impegnano come famiglia a vivere la “comunione” in Gesù.

Un componente della famiglia, meglio un genitore, oppure chi ha una voce più indicata, legge dal Vangelo il brano di una apparizione di Gesù che, risorto, mangia con i suoi discepoli.

(Per es.: Luca 24, 36-43; Giovanni 21, 1-14).

LA LODE

Lett.: Noi sappiamo che il Cristo è veramente risorto dai morti.

Tutti: Gloria a te, Signore.

Lett.: L’Agnello ha redento il suo gregge,

Cristo innocente ha riconciliato i peccatori con il Pare

Tutti: Gloria a te, Signore

Lett.: Rendiamo grazie al Signore: egli è buono,

il suo amore è per sempre.

Tutti: Gloria a te, Signore.

Lett.: Infondi in noi, o Signore, il tuo spirito di carità e fa che viviamo concordi, noi che tu hai

chiamato ad essere testimoni d’amore, affinché il mondo creda che Tu sei il Salvatore.

Tutti: AMEN ! ALLELUIA ALLELUIA!

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APPENDICE N. 2

IL GIORNO DI PASQUA, giorno della fede, della speranza nella futura resurrezione, da ogni casa salirà a dDio la benedizione dei cristiani: è l’antica BENEDIZIONE PASQUALE.

Voi sapete che in questi ultimi anni la benedizione di pasqua veniva letta dal sacerdote nei giorni successivi. Ma è vivo in tutti il ricordo della benedizione alla famiglia riunita, dinnanzi alla mensa preparata, dopo che le campane avevano ricordato a tutti la gioia della resurrezione !

Quest’anno torneremo a celebrare la benedizione a Dio proprio nel giorno della Pasqua. Noi sacerdoti non saremo in ogni casa in quel momento. Il padre reciterà la preghiera di benedizione con tutta la famiglia, prima del pranzo. E potrà spargere, con ramo d’ulivo, l’acqua raccolta al fonte del battesimo nel mattino di Pasqua.

Così, come Dio comandò a Mosè prima del “passaggio” dall’Egitto, in ogni casa i cristiani si alzeranno a benedire Dio; loro, già nutriti con corpo di Cristo, già lavati nel suo sangue, pronti per il viaggio, il “passaggio”, con Cristo risorto.

E la pace del Signore sia sempre con voi.

I sacerdoti della comunità.

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APPENDICE N. 3

IL PROBLEMA DEL DENARO NELLA BENEDIZIONE DELLE CASE

La benedizione delle case è tradizionalmente occasione per una raccolta di denaro. A noi non dispiace pensare che un incontro col sacerdote sia occasione per uno scambio di “doni” (“carismi”, volevano dire, funzioni dello Spirito, e anche doni materiali). Non la questione di principio ci muove a parlare dell’argomento in termini negativi, ma la sensazione avvertita da molti cristiani e sacerdoti che non esiste più il contesto per simile scambio. Dal che l’idea di eliminare, rilevata anche in molti che non pensano di eliminare del tutto il passaggio del sacerdote. In una media parrocchia romana, la raccolta della benedizione delle case raggiunge uno-due milioni di lire. Entrando subito in medias res ci domandiamo: quante parrocchie sono in grado di rinunciare di colpo a tale entrata mantenendo i pesanti bilanci ai quali sono legate? Qui nascono per la tangente due considerazioni.

Primo: chi vuol bloccare il rinnovamento, la purificazione delle forme di vita ecclesiale continui a costruire enormi complessi parrocchiali: grandi piramidi a base quadrata, che sapranno stare in piedi per millenni (ma di questo riparleremo).

Secondo: i preti che pensano a rinnovamenti e si vedono proporre la guida di una parrocchia di grande mole e complessi bilanci si fanno sempre più perplessi (e a dio piacendo anche di questo riparleremo).

Torniamo al denaro nella benedizione delle case. I parroci hanno sempre ritenuto giusto far parte al sacerdote delle offerte raccolto durante la benedizione delle case. Giusto. In questi ultimi tempi, stante la difficoltà di trovare sacerdoti disposti, i parroci hanno pensato bene di lasciare ai sacerdoti una parte sempre maggiore. Umano. La cosa ha toccato qua e là punte eccessive. Siamo a conoscenza di un caso in cui il parroco per di poter contare su un “regolare” svolgimento della benedizione delle case, ha rinunciato a tutte le offerte in favore dei sacerdoti collaboratori. Una specie di appalto.

Nessun commento. Domanderemo volentieri, a coloro che vogliono mantenere la benedizione delle case generalizzata togliendo le offerte, come risolveranno le difficoltà connesse ?

Da parte nostra invitiamo coloro che hanno in animo di affrontare globalmente il problema della benedizione delle case di tenere a mente i due aspetti menzionati (incidenza sul bilancio e compenso ai sacerdoti). Se si trascurano le dimensioni finanziarie delle cose si finisce almeno per non capire le motivazioni nascoste di certe resistenze.