Lettera 17 (Prima Serie)

Cari amici,

finalmente siamo in grado di far fronte alla promessa fatta da tempo di trasmettervi il testo della conversazione tenuta da Tommaso Federici nell’incontro tra gli amici de “La Tenda” del 15 novembre 1970. Essa vuole limitarsi a fornire un’ampia gamma di sollecitazioni, sinteticamente espresse, che attendono di essere recepite e sviluppate da tutti noi. Ci permettiamo perciò di raccomandare vivamente alla vostra attenzione, specie a coloro che non hanno potuto partecipare all’incontro, le parole di Federici che, con chiarezza ed incisività, ci propongono un itinerario biblico che noi sentiamo particolarmente convincente ed autentico per il nostro lavoro.

Ci pare anzi che la trattazione del tema, così ricca di riferimenti e di connessioni, abbia portato maggiore chiarezza in quella che è stata una intuizione ancora oscura nel momento in cui abbiamo scelto di chiamare “La Tenda” il nostro ciclostilato, dando alla parola un preciso significato interiore.

Abbiamo compreso ancora meglio come il nostro sia tempo della tenda e del deserto, e come noi siamo chiamati a viverlo, penetrandone le sue pur dure leggi, che ci sono di sostegno per crescere nella libertà.

La nostra scelta a lavorare per la maturazione di una chiesa viva vuole perciò realizzarsi nella provvisorietà, evitandoci di appesantire il cammino con fardelli inutili, sempre pronti a rimetterci in marcia, specie quando siamo tentati dalle pigrizie sempre ricorrenti, ed aiutandoci ad operare costantemente come popolo ed a rifuggire il miraggio dei ghetti di ogni genere. Il cammino che abbiamo davanti è terribilmente difficile e sarebbe vana follia volerlo percorrere con le nostre forze.

Nella conversazione ci si ricorda che non c’è Tenda senza lo Spirito. Solo nell’attenzione e nella disponibilità allo Spirito potremo evitare di disperderci e di perdere di vista l’itinerario che siamo chiamati e paercorrere.

In questo senso ci auguriamo che il testo di riflessione che vi rimettiamo e che è fonte di ispirazione per il nostro lavoro, possa costituire un valido contributo alla comune crescita.

Vi salutiamo fraternamente,

gli amici de “La Tenda”

La Tenda E Il Deserto – Conversazione Di Tommaso Federici

1. IL SIGNIFICATO DI UNA TERMINOLOGIA

Una certa terminologia che oggi prevale, parla della vita sociale come di una giungla; dicono gli antropologi, i biologi, gli zoologi che è una terminologia molto imprecisa: nella giungla gli animali stanno nel loro stato perfetto di naturalità.

Nella Bibbia si trova un tipo di linguaggio abbastanza simile, una terminologia come tenda, deserto, cammino e così via. Deserto, con tutto il suo ambiente vitale ed insieme mortale; cammino (che è “l’esodo”) che non ammette soste nè ritorni nè corse, ma che ammette solo che si cammini. Quale realtà sta dietro a questa terminologia biblica? E, anzitutto, è una realtà? Se si riflette, ci si deve convincere che le realtà bibliche sono vere realtà, che si voglia o no. La Bibbia descrive una serie di realtà che fanno capo al deserto ed alla “tenda”, un certo ordine delle realtà che descrivono in un modo impressionante la nostra attuale realtà. Si può dire veramente che la nostra vita è un deserto, che si svolge in un deserto; veramente che noi siamo per così dire accampati sotto tende d’una provvisorietà che giorno per giorno si fa, e giorno per giorno si disfa; si può veramente dire che noi camminiamo in una strana maniera, spesso non sappiamo dove si va, se stiamo tornando indietro o accelerando il nostro cammino in tempi sempre più rapidi.

La Tenda E Il Deserto

a. Un fatto storico

La Bibbia dà un parametro insostituibile per fare il punto: quando si cammina bisogna orientarsi spesso e servirsi degli strumenti opportuni per sapere dove si è. Ora, la bibbia presenta questa realtà: tenda e deserto. Anzitutto dobbiamo metterci sepmpre davanti alla Bibbia con questo spirito: la Bibbia è un libro storico che narra fatti storici; non ideologie, non idee astratte, ma vita vissuta. Ora tra quei fatti storici emerge l“Esodo”, che è avvenuto in un tempo che i critici possono ormai datare quasi esattamente, ed è avvenuto una volta per sempre. Esso si è svolto attraverso un lungo periodo, in un deserto. È concentrato sulla realtà “deserto”. Il deserto, nella bibbia è il luogo dell’orrore ed insieme il luogo della morte e dei pericoli, il luogo dove la vita umana è una vita precaria, quindi che sta continuamente per spegnersi. Un luogo tuttavia, dove la vita umana prende uno slancio vitale per entrare in una vita vera, più vera. L’esperienza storica di questo Israele cje ha passato nel deserto alcuni anni della sua primizia dell’esistenza, l’inizio del suo essere, per noi raggruppa, concentra, filtra e poi ripropone schematicamente tutta l’esperienza umana: la morte, la crescita, l’invecchiamento e la fine inevitabile.

Quando vuole ammaestrare la sua comunità di Corinto (una comunità singolare ricca di fermenti, ma disordinata: Roma e Corinto sono le due comunità del Nuovo Testamento forse più interessanti da questo punto di vista), S. Paolo richiama quegli avvenimenti del deserto e dice: questi avvenimenti sono avvenute per noi, in un modo iniziale per il nostro insegnamento perché non facciamo anche noi l’errore, gli errori, cioè la ribellione, la concupiscenza, cioè la volontà malvagia che ha contaminato un parte dell’Israele storico nel deserto. È la famosa filippica di 1 Corinzi 10, lss, dove si parla del battesimo e dell’eucaristia.

b. Un fatto esistenziale

Il deserto e la tenda sono un fatto storico, un fatto che investe perennemente l’esistenza dell’uomo. Israele ha compiuto un esodo nel deserto; ha vissuto sotto la tenda. Cristo ha compiuto il suo esodo ed ha vissuto sotto la tenda, anzi non aveva dove poggiare il capo. Il Figlio dell’uomo riposava sotto le stelle mentre gli altri figli degli uomini avevano le regge o i palazzi o le rendite. La chiesa è presentata nel Nuovo Testamento come la Comunità della nuova alleanza, la nuova Assemblea sacra per eccellenza, anzi, secondo la terminologia del Nuovo Testamento, la nuova Convocazione: è la continua convocazione dell’Assemblea, precisamente convocazione intorno alla Tenda, sotto la tenda; e la Chiesa è vista solo come la comunità che compie il proprio esodo, se no semplicemente non è “Chiesa”.

c. Un fatto eterno

Non solo, ma quest’esodo continua perché, come si vedrà, tutta l’esistenza umana,e l’esistenza cristiana in specie, è raffigurata come esodo. Già Adamo, nella seconda narrazione della creazione (Genesi 2), è descritto come l’essere che Dio crea nel deserto e poi trapianta nel “giardino delle delizie”. L’ultima Comunità, quella escatologica, è rappresentata come quella che il Signore crea nel deserto e che poi attraverso questo cammino lungo, faticoso, doloroso, spesso mortale, comunque sempre entusiasmante e vitale, trapianta nella patria ultima. Quindi l’esodo come fatto storico, come fatto esistenziale è anche un fatto eterno. L’Apicalisse quando vuole rappresentare lo stato ultimo della Comunità dei santi, cioè di tutti gli uomini salvati che nella fede e nell’amore hanno accettato il Padre mediante il Figlio e nell’operazione dello Spirito, descrive questa comunità dei santi come quelli che compiono una processione sacra, un esodo, e che staranno per l’eternità sotto le tende, sotto i “tabernacoli”. L’Apocalisse in questo passo (7, 1-17, passo celebre perché si legge secondo i vari cicli liturgici nella festa di Tutti i Santi), descrive i 144000 come coloro che rappresentano tutti i “convocati” per vivere per sempre la Festa dei Tabernacoli eterni, le Tende eterne.

Le Realtà Della Tenda

Dopo queste premesse, vediamo le realtà della tenda nel deserto.

a. La Pasqua

La prima realtà è la Pasqua. La Pasqua è un tema difficile, perché riunisce in sè praticamente tutti i temi biblici: L’uscita e l’abbandono definitivo, senza più rimpianti, di quello che era il vecchiume della vita; l’abbandono della schiavitùl l’uscita dall’oppressione.

Dunque anche l’uscita dall’idolatria nelle sue varie forme, per un camminare nuovo, un camminare libero, senza più una schiavitù che venga sia dall’alto sia dal basso, una libertà totale di fronte a Dio, a se stessi e agli altri.

b. La libertà e la salvezza

La libertà, cioè l’interiore libertà, è la libertà in comunità, non la libertà individualistica ed egoistica, che nel deserto semplicemente non esiste; è la libertà d’una comunità dove tutti sono liberi e la comunità è libera. Solo questo è salvezza. La Pasqua insegna che precisamente il Signore “con mano potente e braccio disteso”, secondo la ricca terminologia biblica, crea un Popolo libero, una volta per sempre, e libera una volta per sempre il suo Popolo. Non è un gioco di parole: lo crea libero perché si senta libero, e lo libera, lo porta fuori dagli influssi soprattutto dalle forme insidiose dell’idolatria, perché nella libertà questo Popolo voglia essere il Popolo di Dio. È la formula dell’allleanza: “Io sarò per te Dio, tu sarai per me Popolo”.

Questo implica una libertà reciproca tra Dio e il Popolo.

c. Il duro cammino

Altra realtà della tenda: questo Popolo vive sotto delle tende fatte di volta in volta di pelli o di frasche, ma vive in modo precario, attraverso un cammino che in apparenza sembra che non finisca più. Il cammino è durissimo. Alcuni passi biblici, che vedremo subito, ripetono che il Signore quasi impietosamente insiste sulla durezza del cammino. Un testo del Duteronomio cap 8, che Gesù nella sua tentazione oppone al demonio, comincia con il Signore che ricorda come Egli stesso ha fatto camminare per 40 anni questo popolo.

Ora “40” è il numero che indica attesa o tensione verso un compimento. Il testo (Deut. 8,1 ss) inizia dunque con la solita accusa del Signore al suo Popolo: “Io ti ho fatto camminare per 40 anni nel deserto, per metterti alla prova, per tentarti, per sapere che cosa avevi nel cuore, se avresti o no obbedito ai precetti ed alle leggi; e poi t’ho nutrito con manna, per farti sapere come non di solo pane viva l’uomo; ma l’uomo vive di tutto ciò che esce dalla bocca del Signore”. Si ribadisce che il cammino è durissimo perché la salvezza si ottiene solo attraverso la sofferenza. La Bibbia escude un sistema efficace con cui si possa evitare di affrontare in pieno, senza viltà, la sofferenza totale; perciò si abita in una vita precaria sotto una tenda, non in case, in regge.

Gesù, con la sua polemica che non si è più spenta ricorda ai suoi discepoli, che sono andati a visitare Giovanni Battista nel deserto, che non sono andati a vedere un uomo vestito in maniera molle con bei vestiti, un uomo che abitasse nelle regge, ma un uomo rude, del deserto, Giovanni il Precursore. Ci si può salvare solo affrontando tutta la sofferenza.

d. Le leggi inesorabili del cammino

Il cammino impone una sofferenza necessaria, non sregolata, non caotica, ma attraverso delle leggi, le leggi del cammino nel deserto; leggi che spesso si vogliono infrangere e di fatto si infrangono, ma per il peggiore male dell’uomo.

Queste leggi sono inesorabili: o ci si adatta o ci si ribella; se ci si adatta ci si può salvare, se ci si ribella non esiste più salvezza. La prima legge che deliena la vita sotto la tenda è: non correre. Quando si procede nel deserto non si può correre, se deve camminare secondo i piani stabiliti, si deve tenere la velocità che questo cammino durissimo richiede; non si può andare più rapidamente di quanto la realtà veramente richieda. La seconda legge: nel deserto non si può indietreggiare, non si torna indietro, non esiste la malinconia; la malinconia cioè esiste, ma deve essere respinta e distrutta (l’Egitto con il cibo che sazia e le abitazioni di pietra). Il cibo e la sazietà, che nel linguaggio biblico sono la carne, le cipolle, i meloni e tutte le leccornie che aveva l’Egitto dalla civiltà raffinata, è una tentazione prenne per Israele. Esso di fronte alla vita dura ed all’ignoto vuole tornare indietro, alla comodità, allo stato di benessere, ma non può indietreggiare, se indietreggia sarà sterminato, perderàla via e non troverà più la sua vita. Un’altra legge che consegue è: non fermarsi. Nel deserto non ci si può fermare. Ossia nel deserto ci si può anche fermare il tempo necessario, il tempo stabilito: il giorno di sabato nel deserto ci si riposa totalmente, si festeggia la creazione e l’adempimento finale degli ultimi tempi, e intanto si loda il Signore con un culto, quindi ci si ferma, si prende un pò di riposo, ci si prepara. Ma non ci si può fermare più di quanto sia consentito dal programma di cammino. Chi si ferma, veramente è perduto nel deserto. Chi si ferma perde la via ed è assalito dai nemici e perde definitivamente la direzione. E ancora: nel deserto, quarta legge, non si può andare lentamente; non si può correre più di quanto sia consentito, ma non si può neppure procedere lentamente. Nel deserto occorre avanzare speditamente. Chi va lento, è sorpreso dalla notte o dai nemici o dai pericoli naturali (le bufere, il caldo e gli animali). chi va lento perde le stagioni, perde il diritto di prendere l’acqua nelle oasi e così via.

Un’altra legge (e queste sono in un crescendo le leggi più valide) è: nel deserto non ci si può dividere dagli altri, nel deserto si cammina tutti insieme. Un libro biblico poco conosciuto, i Numeri, contempla questo cammino nel deserto come una marcia regolata, una specie di processione sacra. Tutti insieme schierati con ordine, in forma di croce, tre tribù a settentrione, tre ad oriente, tre nel meridione, tre nell’occidente, con l’Arca al centro. Questa immensa croce con un cuore vitale avanza verso la patria, rendendo culto al Signore, unendo i fratelli in un’Assemblea sacra permanente ed indivisibile. Non ci si può dividere perché il deserto, cioè tutta la vita, così come oggi noi la stiamo vivendo, implica che chi è isolato è preda facilissima dei nemici. I nemici del deserto sono numerosi, svariati, insidiosi ed incalcolabili, perché spesso una situazione favorevole poù diventare improvvisamente sfavorevole; per una comunità una certa situazione è favorevole, per l’uomo individuo isolato può diventare pericolo di morte.

Non ci si può ribellare, ancora una sesta legge della vita sotto la tenda. Non ci si può ribellare, perché occorre in qualche modo “stare insieme” con un’autorità; più volte Istraele si ribella, in due direzioni: una contro Dio ed una contro l’autorità. La ribellione contro Dio è quasi nevrotica, è dettata dall’orrore del deserto, dalla paura, dal timore del domani, dall’incertezza del momento; è sempre ingenerosa perché il Signore nella via del deserto ha dato inizio a questa via efficace della salvezza. Poi esiste la ribellione che occorre guardare con occhi attenti, quella contro l’autorità di Mosè ed Aronne, specialmente di Aronne, l’autorità sacerdotale. Direi che in via di principio, cioè come punto ideale, Israele che si ribella non ad Aronne, ma al modo come Aronne esercita il suo ufficio, ha ragione. Aronne rivendica per sè l’intero esercizio sacerdotale, escludendone tutti gli altri. Il sacerdozio spetta invece, come proclama la Bibbia in forma fortissima, ad Aronne e a tutto il Popolo; tutto il popolo di Dio è un unico sacerdote che al Signore tributa il culto di salvezza universale, nell’alleanza fraterna con tutte le nazioni del mondo (Esodo 19, 6 ss). Ma esistono dei limiti reciproci, esiste un funzionare del sacerdozio di Aronne, ed un funzionare del sacerdozio del Popolo; i due gruppi, il gruppo di Aronne, che è in minoranza esigua, ed il Popolo, si trovano presto in opposizione; un gruppo di laici, sono laici perdenti del resto, il gruppo di Core, Datan e Abiran si ribella. Ora Aronne ha le sue colpe, e queste dalla Bibbia sono sottolineate; egli, fratello di Mosè, quando può tenta di scavalcarlo nel potere. Ma il Signore ristabilisce sempre una proporzione; occorre anche obbedire pur se in condizioni quasi proibitive; nella contesa accade che il fuoco divide, una volta per sempre, i ribelli ad oltranza da tutto il resto del sacerdozio, e li divide anche da tutto il resto del popolo. La natura in qualche modo si fa strumento di punizione per chi, ribellandosi, ha messo in pericolo la stessa esistenza del popolo, pur partendo da motivi legittimi (Num, 16 e 17). Queste sono alcune delle leggi che anche oggi hanno la loro validità, se guardiamo con occhi attenti la realtà nostra.

Il Tempo Della Tenda

Il tempo del deserto è un tempo di transizione, non è il tempo definitivo; tempo definitivo è quello, secondo l’espressione biblica, in cui si sta “sotto il fico e sotto la vite”. È una espressione bellissima: si sta nella pace totale, ciascun Ebreo ha il suo appezzamento dove ha coltivato le sue cose, e sta in scambio continuo con gli altri, in una vita pacifica, quasi indeterminata, che dura per sempre. Il tempo della tenda è tutt’altro: è un tempo di transizione, si arriverà alla vite e al fico, ma qui occorre guardare le realtà che si hanno davanti adesso; e indubbiamente in tutta la Bibbia, dall’Antico al Nuovo Testamento, dalla Genesi all’Apocalisse, è il tempo privilegiato di tutta l’esistenza umana.

a. Il tempo privilegiato

Il deserto, va ripetuto ancora, dove la tenda deve essere eretta ogni sera e tolta via ogni mattina, è il luogo dell’orrore e della morte, è il luogo degli scorpioni, dei serpenti, è il luogo della sete e della fame, è il luogo dei razziatori nascosti che piombano all’improvviso sulla carovana. Ma è il tempo, coestensivamente, della forza e della vita; mai come nel deserto questo popolo è forte perché è spoglio, è leggero, porta con sè poco bagaglio ma molta vita, molta speranza, molta energia, da farne tesoro in seguito, quando giungerà nella patria. Occorre ricordarsi per un istante, ospitati come siamo da monaci ed eremiti, i quali si rifanno alla vita nel deserto, come i primi monaci, verso la fine del II sec. e l’inizio del IV, sono “tornati” nel deserto. Di solito diciamo che sono scappati per paura della civiltà e per disprezzo delle realtà del mondo, ma siamo molto poco informati se campioamo ancora di questi luoghi comuni. In realtà i primi monaci sono fuggiti nel deserto per contestare la vita comoda dei cristiani e della Chiesa del tempo, i compromessi dei cristiani e delle Chiese del tempo, il fatto che i cristiani si stavano caricando già di troppi pesi e bagagli, di troppe ideologie, e stavano diventando gli uomini del comodo, della sazietà, gli uomini della vita definitiva, che invece non può ancora venire; i cristiani avevano perduto quello che per i primi tre secoli era il vero istinto del deserto, quello di procedere, difar procedere anche gli altri, di contribuire a che anche gli altri, che non fanno parte del popolo di Dio, vadano comunque in avanti. Quindi i primi monaci hanno fatto un immenso atto di coraggio, un atto di “tornare indietro”, che in realtà è un andare ancora in avanti: ritornare ai tempi privilegiati del deserto, della tenda. È escluso dunque il pregiudizio che i primi monaci disprezzassero il mondo e così via; questo verrà in seguito, dopo l’VIII o IX secolo, quando si avrà in un’“ideologia” monastico-ascetica che non sarà più quella dei monaci antichi.

b. La situazione di benessere e le sue tensioni

Perché diciamo “tempo privilegiato del deserto”? Per comprendere guardiamo che cos’è la negazione di questo “tempo privilegiato”: guardiamo la “situazione di benessere”, contro cui combatte continuamente la Bibbia: gli storici, i profeti, i libri sapienziali, i salmi fino alla soglia del Nuovo Testamento; contro cui combatte Giovanni Battista, combatte Gesù Cristo, combatterà poi la Chiesa apostolica all’inizio, sicchè il libro degli Atti narrerà l’avversione cristiana contro il benessere e la sazietà dei pochi di sempre.

Esiste innanzitutto una tensione biblica continua, che si può distinguere in questi momenti successivi: la grazia del Signore al popolo nel deserto e al popolo nella patria (per grazia s’intende qui ogni bene della vita, fino all’esistenza quotidiana, al modo di essere nel deserto o nella patria, al modo d’essere come “segno alto, levato per la salvezza” degli altri). Il secondo momento è la sazietà. Israele appena entrato in patria, si mette seduto se si può usare il termine, mentre nel deserto ha molto camminato. La sazietà significa subito la sazietà innanzitutto nei rapporti con Dio, una specie di insoddisfazione e quindi le varie forme del peccato. Il peccato è indesrivibile perché è infinitamente vario. Come nessun artista lo può raprresentare tutto, così anche il Popolo di Dio, geniale nell’inventare sempre nuovi modi di peccato, di rivolta contro la divina grazia. Sia nel deserto, sia in patria, il Signore che ama il suo popolo invia sempre, inevitabilmente, una punizione: è il terzo momento. Una punizione che fa pensare sempre molto sia i filosofi, sia i teologi, sia i moralisti, sia i politici, sia i poeti; il Signore sembra un padrone che sta continuamente punendo il suo popolo, un Dio impietoso, persecutore, repressivo; se si leggono bene i testi, non fermandosi solo al colpo che Dio assesta al momento giusto -un colpo del resto sempre minore di quanto il Signore potrebbe fare -si vede subito come quei colpi sono medicine, e medicine salutari. La sazietà fa perdere di solito la presenza di se stessi, i riflessi vitali li appanna; il colpo fa tornare improvvisamente l’ubriaco in se stesso. La punizione viene descritta dai Profeti con il termine tecnico di “punizione medicinale”, il Signore “colpisce per guarire” (cfr Isaia 19, 22). Nel deserto si cade spesso in stato di sazietà; gli Ebrei hanno appena mangiato la manna, hanno mangiato le quaglie, hanno bevuto l’acqua della rupe, sono sazi, mormorano prima, durante e dopo; allora il Signore manda una punizione. Le punizioni sono sempre varie: per lo più sono i nemici che assaltano o invadono. Questa punizione è sempre medicinale; la Bibbia fa vedere come dietro questo pungolo doloroso il popolo è ritornato in se stesso, e anche gli individui nel popolo; non soltanto la comunità, ma ciascuno torna in se stesso, si converte, ritorna all’autenticità antica del deserto dove si sta a tu per tu con Dio. La conversione automaticamente, infallibilmente, riapre la via della grazia. Riprendiamo ancora il testo del Deuteronomio, cap 8, già richiamato come uno dei testi chiave della Bibbia.

Esso prosegue: “Durante questi anni, il tuo piede non si è gonfiato, il tuo mantello non si è consumato -il Signore ha sempre provveduto a questo popolo che abita sotto la tenda -; poi sei entrato nella terra che tu non hai coltivato, hai trovato le case che non hai costruito, hai trovato le miniere che non hai scavato – si rappresenta qui una situazione di benessere in una forma di civiltà industriale, non solo agricola, e allora il Signore mette in guardia -ricordati allora, quando avrai preso questa terra con tutti i beni che tu non avrai lavorato, che il tuo cuore non si innalzi, diventi gonfio, superbo, e non dica: la mia forza ha fatto tutto questo” (Deut. 8, 4-17). La continua tentazione di ricadere nello stato di sazietà, nell’autosufficienza, nell’autonomia, nella vita del deserto in realtà non esiste, perché nel deserto si dipende continuamente gli uni dagli altri, e tutti da Dio. La “beatitudine” così male interpretata, che Gesù richiamerà alle folle ed ai discepoli sopra il monte:“beati i puri di cuore”, indica precisamente questo: beati coloro che tra sè e il Signore e il mondo non hanno posto dei diaframmi che sono i beni ingombranti, i bagagli pesanti, le ideologie che corrompono, le idolatrie che ottundono l’intelligenza. Quest’essere “puri di cuore” (e nella Bibbia il cuore non è mai l’organo del sentimento, è sempre l’organo dell’intelligenza) indica lo stato per cui l’intelligenza limpida fa passare al di là di tutti questi impedimenti, fa comprendere quando viene la punizione medicinale, porta a convertirsi ed a restare nella situazione autentica: quella della tenda.

c. Il costante ritorno alla tenda

Nella Scrittura, ancora, questo tempo privilegiato è così importante che il tornare alle tende è un’espressione tecnica, in ebraico, per indicare il ritorno ai veri tempi dell’esistenza umana, ai tempi forti, quelli pieni di vita e gravidi di una vita nuova. Forse potremmo fare un paragone con questi tempi del deserto richiamando gli anni della resistenza, chiamati gli anni dell’autenticità, in cui un popolo benchè tardi, riscopriva i valori, distruggeva molte categorie superate, e riscopriva anche se stesso negli altri. Ma si può dire che nella Bibbia il ritorno alla tenda è costante. Quando Israele vuole ritrovare se stesso, vuole abbattere certe strutture che gli impediscono di vivere dice:“alle tue tende Israele!”. così farà Geroboamo quando si ribellerà all’oppressione di Roboamo, figlio di Salomone, o farà compiere lo scisma a dieci tribù su dodici, ed erigendo un regno che vuole ritornare ai tempi del deserto. Che poi il regno del Settentrione sia tornato o no a quei tempi, è una situazione storica ed esistenziale su cui potremmo parlare a lungo.

d. A tu per tu con Dio: parlare al cuore.

Il deserto, la tenda, il luogo privilegiato, il luogo dove si sta a tu per tu con Dio. Quando i profeti vogliono indicare che questo popolo è così tardo a convertirsi, parlano di adulterio. Il popolo è visto come una sposa che diventa adultera; l’adulterio indica sempre il peccato di idolatria. Allora il Signore non trova altri mezzi, lui non può costringere il popolo a tornare, lo sposo non può costringere la sposa ad amarlo. Il Signore però ha un mezzo infallibile, come lo descriverà ad esempio il profeta Osea. Al’inizio del cap 2 Osea parla di questo adulterio terrificante, il tornare ad adorare gli idoli che i vecchi padri hanno adorato; il Signore addolorato, angosciato, interviene e dice che ha un mezzo e lo metterà in azione, riporterà di nuovo il popolo nel deserto, gli indicherà di nuovo le strade antiche, parlerà di nuovo al suo cuore, nel deserto, appunto quando le categorie malefiche, i diaframmi opachi sono caduti; allora il cuore dell’uomo, cioè la sua intelligenza, ed il cuore di Dio, cioè la divina Sapienza stanno a tu per tu e l’incontro è immediato, possibile e fecondo.

Anche nel Nuovo Testamento questo tornare nel deserto è continuo. Quando deve procedere alla moltiplicazione dei pani, Gesù porta sempre le folle in una regione deserta per insegnargli che lì il popolo deve stare a tu per tu con il suo Signore, deve comprendere se stesso e deve aprire totalemtne il suo cuore, cioè la sua intelligenza. Questo popolo che apre l’intelligenza verrà nutrito nel corpo; quindi il Signore moltiplica i 7 pani ed i 5 pesci (il simbolismo è trasparente anche nei numeri). E verrà nutrito nell’ intelligenza, perché non di solo pane nel deserto vive l’uomo, ma di ogni parola che cade dalla bocca di Dio. Come introduzione al lungo discorso eucaristico, Giovanni presenta precisamente Gesù che nel deserto moltiplica i pani per nutrire questo popolo (Giov. 6, 1, ss). Non solo, ma il Signore in ultimo riporterà nel deserto la sua Chiesa, la Sposa del Figlio che è l’Agnello; nell’Apocalisse cap 12 l’ultimo combattimento (che non è quello dei tempi futuri che dovranno venire, ma è quello che la chiesa dei santi sta combattendo adesso, si svolge nel deserto; la Madre, questa madre feconda che è la Comunità che sta per partorire nel dolore, e partorisce questo Bambino, il frutto maschio del suo seno; nella figura biblica egli è sia il Messia Gesù Cristo, sia la comunità stessa in quanto prosecuzione della vita, dell’opera e della Persona del Signore. Nel deserto il Signore e questa chiesa raffigurata come una Signora, una domina, porta soccorso mediante le ali dell’aquila, e mediante la natura che assiste e interviene come strumento docile del Signore per la salvezza degli uomini.

Sotto la figura della Signora, che ha il sole e le stelle intorno a sè, si può vedere, anzi si deve vedere anche Maria madre del Messia.

c. La disponibilità

Perciò il tempo della tenda nel deserto è il tempo della disponibilità totale. Questo popolo che abita sotto la tenda dovrà arrivare ad “una terra che fa scorrere latte e miele”. Un altro luogo comune da sfatare: non si tratta della terra del benessere, del “paese di bengodi”, della “terra della cuccagna”. La “terra che fa scorrere latte e miele” è la terra dove le sole pecore e capre, e le sole api selvatiche danno un prodotto; è la terra dove in realtà piove poco, il raccolto è scarso, c’è fame: dove poco è il latte e poco il miele, il miele non degli apiari ma dei fori nelle rocce. È la terra dove tutto il popolo deve lavorare molto in attesa della pioggia primaverile e autunnale, che solo il Signore può inviare a suo tempo; e per il resto tutti devono comunicare i propri beni agli altri. Nella “terra” in realtà, questo latte e questo miele, che per noi sono diventati alimenti di delizia e di benessere dipendono solo da Dio, dalla divina Provvidenza. Quanto si riceve da Dio dev’essere perciò scambiato tra i fratelli, gli abitanti della tenda. Già nel deserto le realtà che poi il Nuovo Testamento prenderà come ultime, messianiche ed escatologiche, cioè l’acqua, la manna e la Parola, sono intese precisamente in questo senso della totale dipendenza da Dio. Il popolo che vive sotto la tenda non può fare a meno degli elementi vitali come l’acqua e il cibo, la manna, le quaglie del deserto (Esodo 17, 1-7 e già Esodo 16, 1-36). La mormorazione contro Dio è un atto d’ingenerosità, di malvagità, di odio del popolo, ed anche d’irresponsabilità. Il Signore manda i beni, ma il Signore vuole che il popolo abbia totale disponibilità e la dimostri, perché il Signore non fa mancare nulla a nessuno. Il Deuteronomio richiama gli episodi dell’acqua e della manna perché vuole che il popolo viva con disponibilità totale su questa Terra poverissima, dove esiste solo latte e miele, cioè pecore ed api selvatiche. Egli vuole che questo popolo stia anzitutto in attesa, in ascolto della Divina Parola, dopo di che l’acqua e la manna non mancheranno.

f. La provvisorietà

Infine il tempo della tenda è il tempo, come s’è detto già più volte, della provvisorietà. Il deserto come realtà storica ed esistenziale, in cui anche noi oggi viviamo, in cui hanno vissuto i nostri antenati, in cui vivranno i nostri discendenti, non è una realtà eterna, è una realtà transitoria, destinata a terminare. Il deserto, essendo il luogo della morte, è insieme, come sempre nella Bibbia che vede le realtà in tensione teologica, il uogo della vita; il luogo da dove si deve uscire, cioè dove si debbono recuperare tutte le forze, per uscire di nuovo verso una vita più piena. Chi non ne esce subito, chi vi si ferma troppo, chi addirittura si compiace di autodistruzione non ne esce più, vi perisce necessariamente; perché è il luogo dove chi vive secondo quelle leggi viste sopra, acquisterà una potenza vitale, ma chi vive contro quelle leggi perderà via via tutte le sue battute fino a perire. È un discorso valido oggi per quanto riguarda le considerazioni che noi abbiamo, potremmo e dobbiamo avere per le realtà terrestri. Per troppi secoli le abbiamo disprezzate ed oggi ci vengono opposte da movimenti, da ideologie, che le rivendicano asè in modo per lo più polemico, perché i cristiani hanno disprezzato questo mondo dove purtuttavia hanno vissuto. Ora, se non siamo capaci di vivere nel deserto e di riuscire alla vita, siamo perduti. Questo discorso è valido per gli ordini religiosi, i quali se si sono ritirati nel deserto, come è necessario fare, ma non sono capaci continuamente di ritornare a vivere insieme con gli altri, in comunità con gli altri, predicando anche l’evangelo, vivendo nella comunità, anche essi oggi hanno poco più da vivere e da dire, sono anch’essi perduti.

Le Tende E La Tenda

Ed occorre parlare anche della Tenda, T maiuscola. Le tende con la t minuscola sono le nostre abitazioni normali, abitazioni che spesso sono purtroppo anche delle baracche, sono abitazioni soltanto sognate.

a. L’Emanuele: Dio-con-noi

Il Signore promette di stabilire la sua Tenda in mezzo alle tende; queste tende diventano il luogo dove si vive una vita vera per il fatto che il Signore è presente, è L’ Immanuel, il Dio-con-noi, Dio tra noi. Non è un caso che due libri importanti dell’Antico Testamento, l’Esodo ed Ezechiele, terminino con la presa di possesso che il Signore fa della sua Tenda in mezzo agli uomini. Al cap 40 dell’Esodo, in chiusura del libro, il Signore prende possesso attraverso una Presenza indicata in modo imperscrutabile da una nube, per cui l’uomo davanti al Signore non può guardare al di là. Anche in Ezechiele, il nuovo Popolo di Dio, nella nuova alleanza, nell’attesa ultima, godrà questa Presenza; ed anzi il Popolo di Dio secondo l’ultimo versetto, Ez. 48, 35, si chiamerà precisamente Adonaj shammah Il-Signore-sta-qui.

Il Signore in pratica non abita una sua tenda, ma abita le tende di tutto questo Popolo. E non è un caso che due libri decisivi del Nuovo Testamento rivelino la stessa realtà. Questo vuole indicare che l’incarnazione è compiuta, che il Signore ha preso definitiva dimora in mezzo agli uomini, quando cioè l’Umanità di Gesù Cristo ha vissuto ed ha ricevuto la gloria di Dio, quando si è dimostrata e ha dato la vita ai suoi discepoli, Giovanni non può usare altro che un termine della teologia del deserto, cioè: il Signore ha posto la tenda, i pioli della tenda; eskenoses, indica precisamente questo piantare i pioli della tenda, en hymin, in mezzo a noi, una volta per sempre senza più pentimenti (Giov 1, 14). Ed infine l’Apocalisse nella sua visuale storica e profetica ripropone questa Tenda di Dio che è l’unica nostra Tenda, come l’adempimento finale: quando vedremo la tenda che il Signore veramente può abitare, perché l’abbiamo preparato anche noi, vivendo nella tenda, allora i tempi sono finiti.

b. Dio come gli uomini

La Tenda tra le tende implica dunque un farsi-come-gli-uomini da parte di Dio, un Dio che si abbassa, secondo la teologia biblica, quasi si distrugge, svuota se stesso del suo contenuto divino per stare-con, per abitare in mezzo alle tende degli uomini. È implicata sempre una mediazione umana; Dio abita in mezzo a noi perché i nostri fratelli abitano in mezzo a noi, Dio sta nei fratelli. Anzi si può spingere più a fondo questa teologia. Si può ripresentare ad esempio Matteo 25, secondo cui il giudizio ultimo è eseguito sul bene che i fratelli hanno fatto ai fratelli, il Signore dirà che egli “è” i fratelli, “io avevo fame e voi mi avete dato da mangiare” (Mt 25, 31-46). Vivendo sotto la tenda si fa bene a Dio facendolo ai fratelli. Questa è una mediazione umana necessaria di salvezza, che parte da Dio e giunge agli uomini, e dagli uomini continuamente, in un dialogo ininterrotto, ritorna a Dio. Il Signore attraverso gli uomini e sempre attraverso gli uomini si mostra nelle opere. Noi non possiamo attenderci avvenimenti spettacolari, ad esempio che il sole esploda, che il mare sommerga le montagne, e le montagne diventino isole, per poter comprendere che il Signore sta lì; ma dobbiamo aprire l’intelligenza per vedere le opere, le parole, i fatti che gli uomini portano agli uomini. Dio si serve sempre di opere e di parole e fatti umani specialmente oggi, in una forma smpre più profonda e sempre più massiccia.

Il Signore interviene, agisce e il Signore anche conduce, cioè guida il suo popolo mediante gli uomini. È una pretesa che parte da una base giusta, quella di volere una mediazione perfetta. Chi conduce e guida un accampamento deve essere un rais, come dicono i beduini, deve essere veramente il capo carismatico. È la pretesa che ha in realtà quel gruppo che si è ribellato contro Aronne. Essi vogliono un Aronne perfetto e vogliono partecipare alla perfezione di Aronne; e l’unico modo che vedevano era la ribellione. Ora noi in un certo senso dobbiamo insieme non rassegnarci e rassegnarci all’imperfezione di questa mediazione, dobbiamo prendere viva coscienza che la mediazione divina esiste ed opera sempre attraverso gli uomini in quanto uomini, gli uomini nella loro umanità totale, cioè imperfetta. Se non si ha presente questo, sia l’autorità costituita sia noi ci poniamo continuamente in atteggiamenti falsi. Tutta la Chiesa ha lottato nei primi quattro secoli per affermare che la gerachia anche se imperfetta è l’unico canale ministeriale delle grazie infinite di Dio.

c. Dio e gli uomini

La Tenda sta con le tende, Dio con gli uomini, la comunità nel deserto. Questo deserto che stiamo attraversando e vivendo è il momento principale in cui Dio sta con gli uomini. Si tratta del momento iniziale, che deve maturare e concludersi con una realizzazione piena di queste medesime realtà, non di altre realtà. Queste realtà iniziano in modo ancora imperfetto, ma non possiamo pretendere di trovare altre realtà, quasi da fantascienza, perché il Signore sta già con noi, sta ora in questa Comunità nel deserto e così starà in ultimo per sempre.

La Tenda E Lo Spirito

a. Niente Tenda senza lo Spirito

Nel deserto il popolo non può camminare se non ha lo Spirito di Dio. Nell’antico Testamento lo Spirito di Dio non è la terza persona della Trinità, è la potenza dinamica irresistibile di Dio in quanto si comunica all’uomo e gli dà la vita. La prima parte del Libro dell’Esodo, fino al cap 15, è consacrata all’uscita, all’esodo fino al deserto, al primo accampamento. La parte mediana, per 20 capitoli, è consacrata all’inizio di questo accampamento, attraverso le realtà nuove: l’alleanza, la legge nuova, il sacerdozio, il culto, il sacrificio nuovo. L’ultima parte, cap 35-40, è consacrata a far vedere come lo Spirito di Dio guidi la costruzione di questa Tenda. Quando vorrà indicare questa medesima realtà, il Nuovo Testamento non potrà altro che richiamarsi al Tabernacolo del deserto; così Paolo (1 Cor. 3, 16 e 6, 19; Ef cap 2 e 3) richiamerà questa Comunità del deserto, che traversa questo luogo degli orrori esistendo come un Tempio, come un Tabernacolo vivo, composto ormai delle persone fisiche di cristiani nella fede e battezzati.

b. Niente Popolo senza la Tenda

Senza lo Spirito la Tenda non si può costruire, ma senza la Tenda neppure esiste il Popolo. Il Popolo di Dio esiste perché in seno ad esso esiste questa Tenda. È una tenda in fondo non diversa dalle altre tende, che si deve montare ogni sera e smontare ogni mattina; ma è la Tenda decisiva perché è chiamata il “Tabernacolo dell’appuntamento”, o “del convegno”, o “dell’assemblea”. In fondo il Popolo si sente popolo non solo quando pianta la tenda e la rimuove, non solo quando procede nel cammino, combatte contro i nemici, provvede alla distribuzione comunitaria dei beni, fa delle collette per costruire il Tabernacolo: precisamente è convocato tutto il Popolo davanti a questo tabernacolo, quando tutti i fratelli vedono gli altri fratelli, quando tutti i fratelli vedono l’autorità sotto cui hanno accettato liberamente di camminare, allora il Popolo si sente Popolo di Dio.

Quindi la Tenda è il sogno dell’unità di questo Popolo; è una Tenda sempre aperta, con un sacerdote sempre a disposizione e con il Signore sempre a disposizione, anzitutto verso il sacerdozio che deve fare da mediazione necessaria verso il Popolo.

c. Niente culto senza il Popolo

E ancora. Il Signore in qualche modo ha necessità di questo Popolo, che questo Popolo gli tributi un culto; Egli ha necessità d’un popolo sacerdotale. Una necessità non metafisica, perché il Signore può vivere anche senza il culto umano. Ma se esiste la tenda eretta dallo Spirito, se esiste questo Popolo, il Popolo deve tributare il culto al Signore e il Signore deve accettare il culto del Popolo: intorno a questa Tenda il culto è l’anima, è la vita del Popolo. tutto un Popolo nel deserto viene mostrato nel suo inizio. Il cap. 11 dei Numeri narra un episodio singolare: Mosè non resiste più, deve portare tutto questo Popolo così pesante, che nel cammino si attarda, che in parte scappa via prima, che si ribella a lui ed ai suoi ufficiali. Allora chiede al Signore un aiuto e il Signore manda su lui e sui settanta Anziani lo Spirito Santo. E lo Spirito di Dio viene e resta su di loro. Ma la contestazione non si placa, e allora Mosè:

“Oh, se tutto il Popolo avesse lo Spirito!” (Num. 11, 29). Il Popolo sacerdotale deve avere lo Spirito di Dio, per poter essere realmente Popolo intorno alla Tenda, e per procedere in avanti. Il Nuovo Testamento mostra la chiesa ancora giovanissima come una che ha appena ricevuto lo Spirito (Atti 2, 1-11) e che comincia a camminare nel deserto.

Quella è veramente una Chiesa priva di bagagli, priva di impedimenti, non priva però di strutture. È tutto un Popolo sacerdotale, che è sorretto da quattro strutture, cioè da una unica struttura in quattro dimensioni fondamentali: la conversione continua del cuore, la fede, il battesimo e l’eucaristia.

Esse sono le strutture indistruttibili, eterne della chiesa nel deserto.

d. Niente salvezza senza il culto

Il Signore non ha necessità del culto, ma gli uomini hanno necessità di dare culto al Signore. Quando il Signore chiama Mosè e gli fa compiere il suo esodo personale sotto il monte Horeb, gli si rivela nel Roveto ardente (Esodo 3,1 ss). Mosè veramente compie il primo esodo, la sua prima esperienza nel deserto; aveva spinto il gregge dentro il deserto, il Signore lo chiama dal roveto che brucia e non si consuma e gli dimostra e comunica la Parola divina. Il segno è il fuoco. Ora a Mosè viene dato un altro segno: questa vita nel deserto, che è libertà totale, che è agilità nel procedere, è salvezza; ma sarà la salvezza soltanto quando sarà realtà il segno principale della salvezza cioè il culto. Il Signore dice: Vi accorgerete, potrete fare esperienza vitale, sperimentale che siete liberi, che io vi ho estratto dall’Egitto quando sotto questa montagan mi darete il culto (Es. 3, 12).

Quindi il culto nel deserto è l’inizio del cammino, e il culto nella terra promessa è la fine del cammino. Senza il culto questo Popolo, che pure viene continuamente assistito, protetto, sfamato, condotto, non si ritroverebbe intorno alla Tenda e non capirebbe che è il Popolo del deserto e solo il Popolo del deserto, non della civiltà sedentaria.

La Tenda E La Città

La tenda è una realtà. anche la città moderna, la città tecnocratica, è oggi una realtà.

a. Due civiltà, due spiritualità, due realtà

Due realtà che si fronteggiano, la tenda oggi riprende via via la coscienza di sè; la città la coscienza di sè la sta perdendo, se mai la ha avuta. Due civiltà. Di qua un gruppo umano dove, come già il Popolo sotto la tenda, tutti conoscono tutti, dove tutti i fratelli conoscono tutti i fratelli, dove tutti aiutano tutti; di là la città dove è possibile, uscendo dal portone e girnado l’angolo, entrare in un altro deserto, nel deserto vero degli orrori, dove nessuno conosce nessuno dove nessuno aiuta nessuno, dove probabilmente tutti odiano tutti. Due spiritualità. Una spiritualità della soddisfazione della vita sedentaria, della situazione di benessere, la soddisfazione sfrenata e fatua di essersi dato questo benessere con le proprie forze.

Ed una spiritualità della disponibilità totale verso gli altri, della disponibilità verso il Signore da cui si attende tutto. Due realtà che già nella Bibbia si fronteggiano. Nella Bibbia, Antico e Nuovo Testamento, la Parola di Dio va sempre nel deserto, non va mai nelle grandi città, non si rivolge mai ai personaggi vestiti di abiti morbidi e che abitano nelle regge; se qualche volta la Parola di Dio si rivolge alle grandi città, sarà a Sodoma ed a Gomorra che la respingono; una sola volta Ninive, “la grande città”, accetta la parola di Dio, ma sarà una eccezione che dovrebbe essere contemplata ancora oggi. La Bibbia preferisce in genere ed in ispecie la tenda; la tenda è l’ambiente vero dove la Scrittura ambienta tutta la vita, la realtà, la vita vera, quella che deve rimanere.

b. La Città solo alla fine

Eppure nella Bibbia la città compare, una Città con la C maiuscola. Essa è raffigurata come una sposa bella adornata per la festa delle nozze con il suo fidanzato che sta per diventare lo sposo.

Ma la festa è guardata solo come un lontano adempimento, come una promessa. La città come la concepiamo noi oggi e come noi oggi in essa viviamo, è una realtà che la Bibbia guarda con orrore. Tanto più che già nella Bibbia esiste la tentazione di fuggire via da questa città.

Più di un Salmo, in specie il Salmo 55, descrive già questa tentazione di fuggire dal deserto della città, di ritornare alla situazione privilegiata ch’è la tenda. Dice il Salmo 55: “Signore, ascolta la mia preghiera e non nasconderti alla mia supplica (il discorso è in prima persona, ma come sempre nel Salmista parla in realtà tutta la Comunità, il discorso in prima persona è un gioco letterario per far intervenire tutto Israele che prega e implora così), ascoltami e rispondimi, io erro nel mio dolore e gemo al grido dl nemico, all’incalzare dell’empio, poichè mi fanno cadere addosso la sciagura e con furore mi perseguitano. Mi trema in petto il cuore e terrore di morte piomba su di me, timore e tremito mi assalgono e lo spavento mi circonda, ed esclamo:

Oh, se avessi ali come una colomba per volare via e trovare riposo, fuggirei lontano e andrei a posarmi nel deserto, mi metterei ben presto al riparo da vento impetuoso e da tempesta. Confondi o Signore la loro lingua perché vedo violenza e discordia nella città; giorno e notte si aggirano sulle sue mura; ed iniquità e violenza stanno in mezzo ad essa, insidie sono dentro di essa e dalle sue piazze non scompaiono mai violenza e frode. Se fosse stato un nemico ad oltraggiarmi l’avrei potuto sopportare, se fosse stato un odiatore ad insultarmi mi sare nascosto; ma sei proprio tu il mio amico, il mio confidente, un altro me stesso …”

È descritta la situazione per cui velleitariamente si fuggirebbe solo per rifugiarsi nel deserto. Ma questo non è voluto dalla Bibbia, la quale vuole che si torni nel deserto come condizione permanente, non solo temporanea, per difendersi da una città aggressiva.

c.La Comunità verso la Patria

La comunità corre verso la patria, e quando essa entrerà nella Patria lascerà dietro di sè tutta la miseria della vecchiaia antica. Il Signore attende il suo Popolo nella sua Patria perché vuole che sia ancora una volta il protagonista necessario delle realtà ultime: della gioia dopo il dolore, del bene dopo il male, della quiete dopo la stanchezza. Allora il Signore sarà in modo plenario l’Immanuel, il dio-con-noi, nell’unità plenaria di tutto il suo Popolo. Dopo le spesse tenebre la Comunità escatologica conoscerà la luce totale, che sarà Dio e con lui l’agnello. Dopo la grande, inestinguibile sete, la Comunità berrà l’Acqua della vita, ch’è lo Spirito consolatore. E dopo l’angoscia del lunghissimo cammino, l’unica Comunità celebrerà al suo Signore una liturgia eterna di gioia, di ringraziamento, di gloria. Ancora una volta la Bibbia si serve di tante immagini poetiche per parlare al cuore degli uomini; dietro ogni immagine esiste viva ed efficace una realtà vera ed indescrivibile nella sua pienezza. Ma il Signore che ha tratto Israele dall’Egitto ed ha resuscitato Gesù Cristo riempiendolo di Spirito Santo, ad ogni sua parola e promessa ha sempre fatto corrispondere un adempimento.

Perciò la “tenda” esprime tante e così decisive realtà.