Lettera 10 (Prima Serie)

Introduzione

Cari amici,

eccoci di nuovo al nostro appuntamento, che sempre meglio vuol tradurre nei fatti la volontà di fraterna comunicazione che ci anima tutti. Da parte del gruppetto che si è preso l’impegno di coordinare il lavoro e di tener vivo il dialogo, ci si sta impegnando a dare il meglio di sé, anche se non è molto, per essere fedeli alla intuizione iniziale.

Da parte di tutti i fratelli che hanno scelto di rispondere al nostro invito, abbiamo notato un vivo interesse per la problematica che stiamo sommariamente analizzando in questo periodo. In molte occasioni ci sono stati testimoniati consenso e adesione per i discorsi che andavamo sviluppando e, più particolarmente che, per il modo nel quale ci accostavamo a temi che, purtroppo, si è soliti affrontare con adesione acritica e con atteggiamenti di netta chiusura, dunque con notevole pressappochismo e superficialità.

Fin fino ad ora il nostro impegno maggiore si è indirizzato alla documentazione ed alla analisi storica, condotte nelle forze minimali consentite dalla natura del ciclostilato e dalla carenza di fonti e di studi organici; questa fase iniziale ha comportato perciò, ed è spiegabile, un prevalente atteggiamento di attenzioni e di disponibilità a ricevere quel poco che eravamo capaci di dire, piuttosto che di partecipazione ad Iva a un discorso di rinnovamento. Non ci siamo perciò preoccupati oltre il necessario per il fatto che il numero dei contributi concreti degli amici lettori non fosse pari a quello dei consensi da loro manifestati.

Giunge però il momento di maturare delle posizioni all’interno della comunità e di renderne consapevoli i fratelli. L’occasione di riflessione che abbiamo voluto e che continueremo ad offrire non può non portare ad un processo di chiarificazione da cui possono scaturire delle scelte concrete. A questo punto tutti sono chiamati ad uscire dal chiuso del loro pensiero dei loro pensieri per contribuire alla scoperta del modo migliore di essere richiesta nella realtà storica in cui si è calati.

Non vogliamo essere noi de “La Tenda” a prefigurare forme nuove e modi di essere della comunità cristiana più aderenti alla sensibilità e problemi dell’uomo di oggi. Solo dalla appassionata determinazione di cristiani consapevoli può scaturire la spinta necessaria per costruire il nuovo. In questa prospettiva si colloca la nostra speranza di una più viva partecipazione degli amici che ci leggono al lavoro che stiamo portando avanti. Ci auguriamo perciò che l’interesse degli temi trattati si cominci a tradurre in un lavoro di ripensamento in forma scritta, che possa essere poi partecipato i fratelli, per una crescita di tutti nella fede e nella carità.

In attesa di risposta, vi salutiamo fraternamente

gli amici de “La Tenda”.

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Il Sacramento Del Matrimonio A Roma (3)

Nei numeri 6 e 7 de “La Tenda” considerammo: 1) la prassi matrimoniale romana fino al ’68 2) i due documenti diocesani del ’68 – ’69 3) e la prassi dopo i due documenti.

Riprendiamo l’argomento passando senz’altro al punto

4) Radici profonde delle difficoltà in materia di prassi matrimoniale romana.

La cosa che più ci ha colpiti nel corso della ricerca sull’argomento che affrontiamo è il vedere come il vescovo abbia agito inizialmente con chiarezza (le “Norme” del 14-12-68 ) e poi in disordinata quanto rapida e totale ritirata (la “Applicazione” del 15-2-69). Che cosa era intervenuto? Che cosa era stato trascurato o non era stato previsto? Quali ostacoli a nascosti erano stati sottovalutati? Cosa faceva in modo che la precedente posizione ufficiale (il mettere le mani sull’argomento tale) sia stata inopinatamente confermata come la migliore anche le sue conseguenze pastorali? Perché un vescovo che agisce aggrava la situazione ed il non agire precedente custodiva il tutto al di qua di certi peggioramenti? Perché il Cardinale Vicario poteva dire a Papa Giovanni: “Santità, Roma è la città dove per non essere ucciso e devi fingere di essere morto “? Quali sono dunque a Roma le cose più forti del vescovo e della sua diocesi messi insieme?

Le abbiamo cercato di queste cose. Se per caso le abbiamo trovate, diciamo subito, deve trattarsi di realtà che premono ben oltre il campo della prassi matrimoniale. Di grosse realtà di fondo che resistono integre ai tentativi di legislazioni settoriali e che, se non si vuole aprire discorsi più ampi, bisogna infine accettare ineluttabile mente, come già avveniva più coscientemente nelle passate gestioni.

A noi sembra di avere localizzato alcune cause profonde che producono la realtà attuale (anche) matrimoniale e che rendono vano ogni tentativo di migliorare la situazione che sia situato più a valle. Sono: a) la presenza dei religiosi nella diocesi b) la necessità che hanno il vicariato e le parrocchie di disporre di entrate periodiche, continue e sicure. E soprattutto, c) lo sono stato attuale della religiosità dei cristiani di Roma e, d) lo stato della teologia legalistica del sacramento del matrimonio.

Come in chiaro si tratta di argomenti di fondo che nella presente ricerca entrano per il solo verso della loro incidenza sul problema della prassi matrimoniale e che pertanto riceveranno in questa sede uno sviluppo assai parziale che può persino riformare il loro vero aspetto. Quando torneremo ad affrontarli nella loro concretezza cercheremo migliori approssimazioni.

a) La presenza dei religiosi nella diocesi.

Quel che è sfuggito al vescovo non pratico di Roma, secondo il nostro modesto avviso, e che i questa città e possibili farsi schermo non solo con tradizioni venerabili e usanze consolidate, ma anche, come nel caso delle innumerevoli parrocchie e chiese dei religiosi, con organizzazioni di grosse dimensioni che non è possibile attaccare sui fianchi.

Impartire un ordine al clero diocesano è ancora abbastanza semplice solo che si consideri come è più difficile mettere un elemento di disturbo nelle faccende di un ordine religioso che, di caso, abbia fondato sugli introiti di una delle chiese nuziali di Roma lo sviluppo, mettiamo, della sua missione in Africa, o in me menage quotidiano del seminario centrale o le spese di rappresentanza nella Casa Generalizia. Il religioso rettore della chiesa non avrà alcun bisogno di opporsi al vescovo rinnovatore: gli basterà passare la notizia del vicariato al superiore immediato. La battaglia si accenderà (se si accenderà) al di sopra della sua testa ed egli potrà continuare a contravvenire alle disposizioni del vescovo ostentando agli sposi che si presentano la tranquilla sicurezza che venne conosciamo.

C’è di più. Gli ordini religiosi, che reggono la quasi totalità delle chiese nuziali, hanno anche una presenza massiccia nella pastorale diocesana. Già abbiamo ricordato (cfr. “La Tenda nr. 1 pag. 10) come i religiosi guidino 135 parrocchie contro 102 del clero che sono direttamente collegate al vescovo. Si tenga conto del fatto che il vescovo per non concentrare troppo il suo clero e poterne di disporre del maggior numero possibile di parrocchie, ha affidato a i religiosi quasi tutte le parrocchie più popolose o con particolari servizi. Per esempio, San Lorenzo al Verano con l’assistenza al cimitero impegna l’opera di venti francescani (equivalenti all’organico di 8-10 parrocchie dove diocesane); parrocchie enormi della periferia, per non parlare dell’assenza a ospedali, carceri, scuole, collegi, ecc. impegnano interi conventi ed il servizio di questi ordini religiosi non permette che ad essi vengano arrecarti fastidi da un momento all’altro nelle voci attive del bilancio. Questo non doveva essere trascurato. Oggettivamente parlando o si è disposti ad affrontare sia pure con una gradualità il discorso globale della presenza dei religiosi nelle strutture pastorali ordinarie della comunità diocesana o bisogna rassegnarsi a non turbare certi stati di fatto. I religiosi, dopo quanto detto si comprende bene, hanno ottenuto con pochi, rapide, facili mosse, il rientro della legislazione matrimoniale (le”Norme” del 4-12-’68) in interpretazioni (la “Applicazione” del 15-2-’69) che non turbassero i loro diritti acquisiti. La presenza dei religiosi è preziosa e adesso la diocesi non sa: le costa un sacramento.

(Ripetiamo che questa analisi tiene conto di uno solo degli aspetti della presenza dei religiosi nella diocesi. Come rilevammo ne “La Tenda” n. 8 pag. 5, ai religiosi va attribuito, ad esempio, il merito del risveglio di parte del clero romano. Si vede bene che un giudizio complessivo sulle religiosi a Roma meriterà un ben più ampio giro d’orizzonte. Ciò vale anche riguardo alla persona che i singoli religiosi. A molti obbedienti esecutori fa riscontro numero rilevante di uomini che soffrono il peso della duplice obbedienza (al vescovo e all’ordine religioso) e che sono ormai alle porte dell’obiezione di coscienza ma di questo ne riparleremo fuori parentesi).

b) Necessità e comodità per il Vicariato e l parrocchie di disporre di entrate periodiche continue e sicure.

Premettiamo all’argomento vero e proprio l’esposizione di alcune cifre che permettono di avere una certa misura e i termini del problema.

L’ufficio matrimoni della diocesi di Roma ha evaso nel 1969 n. 24.000 pratiche matrimoniali. Circa due terzi dei matrimoni romani (forse più, non si hanno per ora statistiche ufficiali) sono celebrati dalla parrocchia che istruisce la pratica. Quindi sedicimila matrimoni hanno subito la tassazione di lire 40.000 e da ottomila matrimoni quella di lire 20.000. Su questi ultimi non possiamo indagare essendo appunto incerta la somma pagata dagli sposi: il nostro conto trascura quindi un terzo di tutti i matrimoni celebrati, nonché le tasse collegate alle pratiche di stato libero (lire 1.000 al vicariato) e agli altri certificati.

Consideriamo le sedicimila celebrazioni per le quali è stata pagata la somma minima di lire 40.000. Tale somma risulta così spartita e giustificata.

L.8.000 alla parrocchia per il servizio di compilazione della pratica matrimoniale che ha istruito la pratica.

L.4.000 al vicariato servizio di controllo ed archiviazione della pratica (=contributo alle opere diocesane”, v “Norme”)

L.1.000 (eventuali) al parroco servizio = scrittura dell’atto di matrimonio e invio della pratica al comune territorialmente competente per il matrimonio

L.26.000 alla chiesa che celebra Servizio: la messa, 4 sedie, ecc. (vedi “La Tenda” n.7 p.4) il resto è da pattuire per il matrimonio

Trascuriamo il rapporto tra costo e prestazione. Probabilmente è determinante il regime di monopolio in cui le chiese agiscono ed il fatto che ci troviamo nel campo delle spese solo sociologicamente qualificanti.

Torniamo invece al conto globale. Dunque ragionando sui sedicimila matrimoni (due terzi del totale) per la sola quota minima imposta dalle leggi diocesane.

Le parrocchie di partenza hanno incassato nel L. 1969 128.000.000 (circa mezzo milione annuo per parrocchia); il vicariato ha incassato lire 64.000.000; le chiese di celebrazione del matrimonio lire 416.000.000. Il tutto, ripetiamo, per le sole in limitatissime prestazioni sopra indicate, senza contare tutte le altre voci che sono considerate (i servizi ben più numerosi pattuiti a parte), senza contare 8.000 matrimoni celebrati nella propria parrocchia ed i costi di certificati e stati-liberi. Ma volevamo solo far chiaro agli amici a quale livello ci muoviamo con le nostre considerazioni. A livello di centinaia di milioni.

Ed eccoci invece al nostro argomento vero e proprio. Nella città di Roma ad un comunità cristiana istituzionale (diocesi e parrocchia) corrisponde un complesso di edifici, di personale addetto, di attività e funzioni di varia natura. Anzi si è in molti casi vicini alla identificazione. C’è una parrocchia, si dice, perché c’è una chiesa, dei preti, delle sale, ecc. Se ciò non manca “la gente chiede la parrocchia”. Una vita comunitaria esiste, ma resta in secondo piano nella considerazione e evidente (e ci permetteremo di supporlo noto di amici) che per una sorta di rivoluzione copernicana non sono tanto le comunità che esprimono atteggiamenti di fede, di culto, di missione e come loro conseguenza le strutture esterne ritenute di volta in volta espressive di tali interiorità, quanto piuttosto si costituiscono e gestiscono strutture esterne, alcune direttamente in funzione di atti di culto, altre rivolte ad altre sfere (sport, cultura, ecc.) con la speranza che si producano atteggiamenti “religiosi “.

Ovviamente, una volta a posto il rovesciamento di prospettiva “comunità di uomini e strutture” con “strutture con appendici di uomini” si pone il problema della costituzione, conservazione e conduzione gli impianti, nonché della preparazione, qualificazione e retribuzione del personale-clero.

Una media parrocchia romana ha un conto spese sui 12.000.000 annui. La diocesi con la sua sede monumentale, i duecento dipendenti centrali, piani di costruzione di chiese, i seminari ecc. ha un conto spese di miliardi. Non ci sono a Roma, diamo per scontato, comunità cristiane disposte (o solo capaci) di sostenere strutture esterne di dimensioni così enormi. E a Roma le motivazioni del disimpegno sono ancor più numerose che altrove, come in altra sede potremo chiarire. Come risolverle?

La soluzione unica è che le strutture vengano rese produttive esse stesse, facendosi produttivo il servizio che in esse viene prestato a chi ed eventualmente lo richieda. Il che è appunto ciò che si è fatto rendendo produttiva di denaro ogni celebrazione di sacramento ed ogni prestazione fornita dal clero.

A questo punto l’argomento che volevamo esporre è sufficientemente pronto per quel la prima presentazione che le nostre brevi note si propongono di raggiungere. Le parrocchie e la diocesi sono costituite a Roma come complessi di edifici, uffici, personale, attività, di ragguardevole consistenza. Questi “sistemi” corrispondono a comunità cristiane assai meno consistenti, debbono pur funzionare, per convenzione. Ne viene quindi senza scampo che deve istituirsi un meccanismo che produca periodicamente e sicuramente il denaro necessario. Nulla di meglio che sia la stessa macchina ad essere messa in conduzione di procurarsi quanto gli occorre per sopravvivere. Messi questi dati nel calcolatore diocesano non può che uscirne la legge sul matrimonio che ha prodotto. La prassi nuziale romana è quindi espressione obbligata delle attuali strutture “comunitarie”.

Le difficoltà della prassi nuziale romana non provenivano dalla mancanza di un decreto diocesano che riordinasse la materia ma dalla realtà stessa del tessuto della diocesi e delle parrocchie. E la realtà ha finito per imporre rapidamente i suoi lineamenti al vestitino legislativo nel quale si voleva ridurla.

Chi vuol affrontare il problema dei matrimoni a Roma sa che deve mettere le mani sul bilancio delle parrocchie e della diocesi e quindi sulle strutture che muovono i bilanci e di mettere in conto la lunga lotta che aspetta chi vuole agire sulle cause profonde per vari.

Ed ancora alcune considerazioni su aspetti particolari di quanto sopra detto, sapendo di doverli però riprendere più direttamente.

Quando il vescovo pensò bene di sistemare la faccenda dei matrimoni non sospettò che il nuovo strumento che avrebbe usato si sarebbe rivolto contro di lui. L’ufficio Amministrativo del vicariato pensava, proprio perché disinteressato al fatto specifico (la questione patrimoniale) saprà ben entrare nel fatto come elemento d’ordine. Potrà opporsi alle esosità. e smascherarle con competenza, controllare il movimento sotto il denaro tramite la riscossione e la contabilizzazione centralizzata, e garantirà alla fine una prassi precisa ed uniformi. Ma l’ufficio riuscito era DEL vicariato con le sue e esigenze di bilancio, e DI QUEL vicariato padre di QUELLE parrocchie – con le loro esigenze di bilancio. Messo a sorvegliare i commensali trovava di meglio di chiedere un posticino a mensa. L’aver trascurato anche questo e le ne ho, la debolezza e gli strumenti burocratici, ha ridotto il “mettere ordine” a classificare le chiese, tabellare le tariffe, razionalizzare le discussioni solo questo poteva fare l’ufficio amministrativo di QUELLA struttura. Poteva ancora di evitare le tariffe per nuovo scontentare nessuno o per garantirsi una parte delle rate: ha fatto anche questo punto

Altra considerazione: deve dove ha ancora parrocchie e chiese vivevano introiti rilevanti, ma non precalcolabili, ora invece esse possono conoscere in anticipo le entrate con quasi assoluta precisione. La certezza delle entrate produrrà immediatamente la costruzione di voci di spesa ancora fino ad oggi inesistenti o comunque precarie e che essi dovevano mantenere riducibili qualora fossero diminuite le entrate. Quando le nuove voci di uscita avranno preso consistenza, sostenute dagli introiti nuziali, quale nuova difficoltà si sarà aggiunta alle altre per chi vorrà veramente risanare il Sacramento del Matrimonio dal parassitismo. La legge vigente ha creato cioè nuovi parassiti su una pianta che ne aveva fin troppi. Il danno procurato da questa legge rischia di avere dimensioni incalcolabili. È per questo che ancora a mezzo del nostro discorso noi scongiuriamo chi di dovere a prospettarsi l’abolizione delle attuali forme di tassazione rigida che solo assicurano nutrimento certo a nuove spese. Rinunci il vicariato alle sue quote nuziali prima che essi solidifichino le voci di uscita a corrispondenti e si tolga alle parrocchie almeno lo stupefacente di entrate facili e sicure. Tra pochissimo sarà troppo tardi.

E poi, al cuore del problema. Se si vuole veramente qualcosa si avvii la revisione delle strutture comunitarie, riconducendole a gruppi umani dai quali procedano e si sostengano le strutture comunitarie le strutture esterne. Le strutture esterne attuali (e purtroppo quelle in pianificata costruzione) sono troppo pesanti per le spalle attuali (e tanto più future) delle comunità cristiane e tendono ad opprimerle anziché svilupparle. Delle “nuove chiese” parleremo ancora.

Ma qui entra finalmente l’argomento delle comunità cristiane umane, delle loro dimensioni di domani. Argomento dalle implicazioni assai delicate e che dovrà essere trattato direttamente.

Pensiamo di aver messo allo scoperto pure realtà diocesane che saranno durissime da intaccare: alcune forme della presenza dei religiosi, la struttura burocratica della diocesi stessa. Situazioni a-comunitarie che ogni giorno di più si aggrovigliano a ciò che resta del corpo unitario della Chiesa.

Noi no, noi ci spostiamo un po’ più in là con la nostra tenda e andiamo circa una via d’uscita. C’E’! Un vecchio prete, guidato da Dio, il virus della “perfetta – organizzazione” lo aveva già isolato: leggete con noi.

Dal 1. libro di Samuele, cap. 8 vv 4-20 “tutti gli anziani di Israele si radunarono e andarono da Samuele, a Rama, per dirgli: “ecco tu sei diventato vecchio e i tuoi figli non calcano le te orme. Costituisci dunque su di noi un re che ci governi, come tutte le genti!”. Agli occhi di Samuele la cosa parve cattiva, poiché aveva detto di “dacci un re che ci governi!”. Pregò perciò Javhè e Javhè gli disse se “ascolta una voce del popolo, qualunque cosa e ti dicano. Infatti, non hanno ripudiato te, hanno ripudiato me, perché io non regni più su di loro!” Come hanno agito sempre da quando infatti uscire dall’Egitto fino ad oggi, mi hanno abbandonato e hanno servito divinità straniere, così essi stanno facendo anche con te. Ed ora ascolta la loro voce ma testimonia chiaramente contro di loro il diritto del re che regnerà su di loro!” Samuele ripeté tutte le parole di Javhè al popolo che gli chiedeva un re e aggiunse: “questo sarà il diritto del re che regnerà su di voi: prenderà i nostri figli per destinarli ai propri carri e ai propri cavalli, perché corrano innanzi al suo carro; per usarli come capi di 1000 capi di 100 e capi di 50; perché arino la sua aratura e mietano la sua messe; e che fabbrichino e arnesi per i suoi carri. Prenderà anche le vostre figlie come profumiere, cuciniere e panettiere. Prenderà il meglio dei vostri campi, delle vostre vigne e dei nostri oliveti e li darà ai suoi servi. Sulle vostre sementi e sui redditi delle vostre vigne preleverà le decine e le darà ai suoi eunuchi e ai suoi servi. Prenderà i nostri schiavi e le nostre schiave, come il meglio del nostro bestiame grosso e i vostri asini e li adopererà per i suoi lavori. Preleverà la decima dal nostro bestiame minuto e voi stessi diventerete suoi schiavi! Giunti a tal punto griderete a causa del re che vi sarete scelto. Ma Javhè allora non vi risponderà neppure! “. Il popolo rifiutò di ascoltare la voce di Samuele e disse: “No: su di noi ci sarà un re! E finalmente saremo anche lui con gli altri popoli “.

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“Hora Quinta”: Un Invito Ad Un’Autentica Eucaristia

un gruppo di giovani cristiani della comunità San Clemente Papa a Monte Sacro si riunisce da alcuni mesi ogni settimana per meditare insieme la parola di Dio, e la domenica per celebrare l’eucaristia. Non è l’incontro casuale che costituisce ancora la forma consueta e prevalente di culto della cristianità romana. E’ un primo passo per riscoprire il vero senso della Cena del Signore, quella profonda comunione che faceva della primitiva comunità di Gerusalemme “un cuor solo e un’anima sola “. Altri gruppi di cristiani stanno vivendo questa esperienza nella nostra lista di Roma. E già si può considerare acquisito un primo importante risultato: si è presa coscienza in questi gruppi che la riforma della liturgia iniziata dal Concilio è l’avvio ad un processo che ci pone in modo non eludibile di fronte alla nostra responsabilità cristiani. Nella prima fase di questa esperienza i fedeli più sensibili ed aperti hanno trovato con gioia nel nuovo rito la risposta ad esigenze più o meno consapevolmente avvertite: nella semplicità ed essenzialità che restituiscono all’Eucaristia il suo vero senso, insieme all’uso della nostra lingua che rende possibile ad un più un gran numero un principio di partecipazione comune; nella messa in comune delle intenzioni di preghiera che fa riscoprire il senso del Padre nostro; nel rinnovamento dei canti che, superando le forme espressive di una sensibilità ormai desueta e di una religiosità disincarnata, riporta alla luce la concretezza della nostra vita animandola dello spirito biblico. Ora si va prendendo coscienza che l’assemblea eucaristica è il momento centrale, essenziale, e che essa realizza il suo significato solo se in essa ciascuno dà e riceve qualcosa di autentico. Perciò la sua forma tradizionale di massa rivela sempre più chiaramente il limite oltre il quale non è più capace di consentire una profonda partecipazione. È il limite tra la coralità e la crescita comune nella fede.

Pensiamo che queste considerazioni ci aiutino a meglio comprendere il motivo che ha indotto i giovani San Clemente a dare vita a una lettura mensili, “hora quinta “. Non è un foglio di invito a conferenze e adunanze, ma un mezzo per partecipare a una esperienza di fede fatta in comune: “spunti di riflessione che nascono da un lavoro di gruppo e si allacciano per un verso alla liturgia domenicale e per l’altro alla nostra meditazione comune”; “un invito che facciamo agli altri sperando che ci vengano risposte, suggerimenti, critiche”, nella fiducia di “scoprire le energie nascoste, di cristiani disponibili ad un impegno di rinnovamento in risposta più piena all’invito del Concilio, che chiama i laici alla corresponsabilità nella Chiesa, che vuole si dibattano i problemi della nostra dimensione cristiana, che vuole assegnare noi un posto di protagonisti dell’azione stessa della Chiesa”.

Siamo in lontani dal tradizionale bollettino parrocchiale. Il confronto evidenzia il contrasto di due mondi. Il bollettino parrocchiale è la testimonianza che la parrocchia in realtà non ha nulla da dire. Esso non neppure il bollettino di una parrocchia, ma per la parrocchia in genere, per qualsiasi parrocchia. A ciascuna di queste viene poi riservata l’ultima pagina che, riempita con fervorini, avvisi sacri ed elenchi di benefattori, dà ulteriore conferma che la comunità locale non esiste. “Hora quinta” si presenta invece semplicemente come espressione di un gruppo che sa di non essere ancora una comunità, e perciò si propone di diventarlo.

Ringraziamo i giovani San Clemente e l’aiuto che essi danno anche a noi confermandoceli nella vita e che andiamo maturando il confrontandoci nella fiducia che il concilio non è passato invano i chili l’invito alla riflessione, al colloquio e all’impegno cede la sente di più il posto allo scambio fraterno di esperienze di vita cristiana tra autentiche comunità locali.

(Chi desidera ricevere “Hora quinta” può farne richiesta a: Marilisa Afeltra, Via Val Sillaro 42 – 00141 Roma – tel. 8106735)