Lettera 1 (Prima Serie)

Presentazione

 

Da tempo avvertiamo l’esigenza di vivere con maggiore pienezza la realtà della Chiesa locale cui apparteniamo, cosicché i suoi problemi, le sue ansie, le sue difficoltà, le sue scelte diventino, sino in fondo, i nostri problemi, le nostre ansie, le nostre difficoltà, le nostre scelte.

Ora, proprio nel momento in cui più chiaramente abbiamo sentito la responsabilità e l’urgenza di una nostra collocazione nuova nella comunità ecclesiale, più vivo si è fatto il bisogno di entrare in contatto, stabilendo una comunione di pensiero, di ricerca, di sperimentazione che superasse gli ostacoli spazio-temporali che la vita di una grande città pone ad autentici rapporti interpersonali. Si è fatta così lentamente strada l’idea di un foglio di collegamento tra amici che si ponesse come un facile e maneggevole veicolo di dialogo. Perciò queste pagine che vi giungono non costituiscono una semplice occasione di lettura, bensì l’invito ad una attenta riflessione su fatti e fenomeni che vi offriamo in tutta la loro problematicità, sprovvisti come siamo di soluzioni prefabbricate e di tranquillizzanti certezze.

Quello che vi giunge è uno strumento di lavoro e come tale vi invitiamo ad usarlo, per quello che può servire.

Non è, né vuol essere, una palestra di esperti, ma l’umile frutto di un impegno appassionato per una presenza viva nella Chiesa di Roma.

Quanto più il lavoro che abbiamo avviato sarà frutto di una autentica partecipazione di tutti, tanto maggiore sarà la penetrazione nel vivo dei problemi e l’individuazione di valide prospettive di crescita della comunità ecclesiale in cui siamo inseriti.

Purtroppo, i mezzi di comunicazione delle idee non sempre contribuiscono a far emergere i valori della Chiesa locale, sottolineandone il contributo originale ed insostituibile al piano divino della salvezza.

Troppo spesso, anzi, vediamo gli organi di formazione farsi portatori di stati di preoccupazione e di ansia nei riguardi di comunità locali che vanno scoprendo l’immensa responsabilità di aiutare i fratelli a realizzarsi in un preciso contesto storico, calandosi nel profondo delle contraddizioni del tempo.

Noi cercheremo tutti insieme di coprire certi vuoti, di far esplodere certi silenzi, di restituire al dialogo spazi inariditi dalla cattiva abitudine ad inautentiche prudenze.

Questo pensare assieme sulla scorta di dati precisi e di analisi documentate ci abituerà a vedere la realtà con la necessaria apertura e ad essere dentro con tutti noi stessi.

Il nome che abbiamo dato al nostro gruppo vuole indicare lo spirito che deve guidarci nell’affrontare i problemi della chiesa locale, nel distacco da una visione statica della realtà e nella disponibilità al dialogo ed all’incontro con tutti i nostri i fratelli, senza distinzione alcuna.

Dobbiamo quindi liberarci da tutti i pesi che possono ritardare il nostro cammino, seguendo l’esempio di Gesù, il vero grande nomade che ci sollecita continuamente a seguirlo lungo le strade della storia.

Confidando nella illuminazione dello Spirito, più che nelle nostre deboli forze, diamo inizio al nostro lavoro, salutando fraternamente tutti gli amici che avranno occasione di leggerci.

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L’Elezione Del Vescovo

 

Il Cardinale di Bruxelles, Suenens, ha rilasciato alle “Informations Catholiques Internationales” (n. 336,15 maggio 1969, supplemento) una lunga intervista. In essa (pag. IX) si legge: “Credo che un giorno ci sarà da rivedere alla luce della collegialità episcopale il modo di eleggere il papa”. La cosa ci riguarda: è il nostro Vescovo.

Attualmente l’elezione del Vescovo di Roma è affidata al collegio dei cardinali.

Chi sono i cardinali? Un po’ di storia, ridotta al minimo: Il Vescovo di Roma, come ogni altro vescovo, era coadiuvato, e se necessario sostituito, dai “presbiteri” (= i preti) e dai “diaconi”, questi ultimi anche per l’amministrazione temporale dei bei della comunità. In concilio con altri “episcopi”, particolarmente quelli più vicini (dei castelli romani, diremo oggi), il papa curava le questioni che riguardavano la comunione con le altre chiese. Da questi tre nuclei nasce lentamente il collegio dei “cardinali”. Questi, dapprima collegati col servizio liturgico di S. Giovanni in Laterano (sede del papa), assumono storicamente funzioni variabili, tra le quali la elezione del papa (riservata ai soli cardinali e vescovi dal 1059, ed ai soli cardinali dal 1179).

Nella storia abbastanza fluttuante del collegio dei cardinali notiamo un elemento assolutamente costante: i cardinali sono sempre collegati ad una chiesa di Roma se preti, o ad una regione diaconale della città. I vescovi entravano nel collegio a titolo della loro vicinanza con la città; e si sentì anche per essi il bisogno di un reale collocamento “nella” diocesi romana, provvedendosi quindi alla loro assunzione al collegio di S. Giovanni in Laterano. Tanto doveva esser forte il senso della comunità locale organicamente composta!

I cardinali dunque furono sempre collocati ecclesiologicamente, liturgicamente, giuridicamente come preti, diaconi e vescovi romani (ed oggi solo a titolo onorifico senza alcun contenuto reale, dopo le ultime disposizioni di Paolo VI, Motu proprio del 15 aprile 1969).

Delle funzioni che questi preti romani hanno conservato a noi interessa soprattutto la precipua: l’elezione del nostro vescovo. Ed a questo riguardo, e sempre semplificando, ancora un po’ di storia.

Nei secoli I-III l’elezione del papa avveniva come per ogni altro vescovo. Cipriano così racconta della elezione di Cornelio nel 251: scelta del clero e del popolo, conferimento dell’episcopato da parte dei vescovi presenti, lettera al vescovo di Cartagine per la comunione. Dal Concilio di Nicea (325) in poi il papa venne eletto dal solo clero; popolo e nobili davano l’approvazione. Iniziò dopo Costantino il lungo periodo delle interferenze del potere politico sulle nomine ecclesiastiche (e viceversa), e a Roma, in particolare, la storia degli interessi dell’aristocrazia nell’elezione papale.

Per tentare uno sblocco, l’elezione del papa venne riservata, all’inizio del 2° millennio, al collegio dei cardinali. A quel livello si trasferirono gli interessi e le pressioni. Non ne mancavano i motivi: i cardinali erano gli elettori del papa ed i titolari delle funzioni centrali di una chiesa sempre più centralizzata.

In questo ambito di ampiezza di rapporti con tutta la struttura ecclesiastica universale, si nominarono tra i cardinali vescovi di diocesi lontane, importanti politicamente e religiosamente. Ciò, sempre limitandoci all’aspetto che consideriamo (l’elezione del papa), soddisfaceva due esigenze: rassicurava i poteri civili di tutta Europa circa un’elezione in cui qualcuno avrebbe parlato anche per loro (e i cardinali si fecero talvolta latori di veri veti e imposizioni), e inoltre, nel papa eletto da vescovi anche non romani, dava alla chiesa universale il contrappeso di una centralizzazione sempre crescente. Cioè: un papa sempre meno romano, per comunità sempre meno autonome. Si può dire che questo equilibrio abbia retto finora. Paradossalmente, come diremo anche riprendendo la posizione del Card. Suenens, esso conserva una sua forza di sviluppo, e perfino chi avverte il difetto di base propone soluzioni che non cessano di aggravarlo.

Ma oggi un fatto nuovo, capovolgente (copernicano, direbbe Suenens, p. IV), è venuto ad inserirsi nella teologia della Chiesa, del vescovo, della diocesi, è venuto a compromettere il secolare equilibrio e a riportare i problemi in termini nuovi e antichi: la teologia della chiesa locale.

Diamo per acquisita al lettore almeno la sostanza di questa teologia, della quale tanto siamo debitori agli orientali. E continuiamo le nostre riflessioni.

La chiesa locale che vuole essere se stessa, col suo evangelico talento, incontra in pari tempo il problema della comunione con le altre chiese. L’incontro si è sempre più realizzato, nella chiesa occidentale, nell’incontro con Roma. Oggi (vedi l’intervista di Suenens), esso è piuttosto uno scontro, un manovrato contrasto, più o meno appariscente.

Come risolvere il problema della comunione con le chiese sorelle, costrette oltre il giusto nella comunione (o in qualche suo surrogato giuridico) con Roma? Due vie erano possibili: l’approfondimento globale della teologia della chiesa locale, specialmente proseguendo nella linea del concilio, e, l’altra via. La lotta per il controllo dell’elezione del papa.

Noi sentiamo di dover denunciare che il problema è stato posto ancora una volta in una lotta per il potere.

Sta avvenendo quel che talvolta avviene quando, ad una “visione globale” (nel nostro caso: centralizzazione), si sostituisce una nuova visione globale (per noi, la chiesa locale). Ci sono cose che vengono risolte secondo uno schema e cose risolte secondo un altro, fin nella stessa persona. E questa confusione dei momenti di transito, questa paura di andare fino in fondo alle proprie intuizioni, che permette quelle soluzioni intermedie profondamente mistificatorie e senza vero contenuto rinnovatore. Noi pensiamo di dover guardare nel fondo del contenuto di ciò che ci viene indicato, non solo all’aspetto esteriore. Ed in questo problema, giriamo l’impressione ai nostri amici, si cerca ancora di sciogliere il nodo tirando i capi.

Anche persone “dell’avvenire” chiedono dunque per il domani un papa eletto da tutto il mondo. Ciò, si dice, in vista di una migliore recezione a Roma delle posizioni delle chiese locali.. ora noi diciamo: se per papa si intende ancora un vescovo locale (l’altra possibilità, un supervescovo senza diocesi, esula per ora dal nostro discorso) si cercherà forse di garantire le chiese locali di tutto il mondo depersonalizzando la chiesa locale di Roma? Non appare che quel che giunge al suo termine non è né più né meno che il lungo processo iniziato tanti secoli fa, e cioè la soppressione del rapporto tra vescovo di Roma e comunità di Roma? E, paradossalmente, dovremo temere questa liquidazione finale da chi vuole garantire le chiese locali! Ma in buona sostanza l’ultima chiesa (quella romana) che teneva, da 1500 anni solo sulla carta, l’ultimo rapporto elettivo tra vescovo e clero-diocesi sta per vederlo cancellato, e ciò nella ebbrezza di una nuova teologia che ricrea la personalità delle chiese locali!

Ebbene, ci saremmo aspettati da Suenens che la parola di liberazione valesse per tutti: “allora io rinuncio a partecipare ad una elezione in cui la comunità locale non viene chiamata, interpellata; la chiesa di Roma esprima un’indicazione, un’esigenza”. No, il concetto di maturità della chiesa locale vale per tutti, non per Roma: a Roma deve essere applicata la collegialità episcopale.

Ebbene, non accettiamo questa soluzione; abbiamo pagato caro anche noi, finora. E pensiamo che una vera soluzione dei problemi delle chiese locali (di Roma e di tutto il mondo) non passi per un nuovo meccanismo, il più universale possibile, della elezione del papa, ma attraverso una applicazione, a Roma e dappertutto, del concetto di chiesa locale in se perfetta e comunicante con tutte le altre, salvo il particolare rapporto di tutte col vescovo successore di Pietro.

Lo schema oggi vigente, al quale ci opponiamo tutti, troverebbe il suo coronamento e non il suo superamento nell’elezione del papa da parte dei vescovi di tutto il mondo. Lo schema di una chiesa aristocratica ci darebbe anzi la più completa e razionale realizzazione di sè: “i vescovi scelgono il papa, il papa sceglie i vescovi”. Non è a questo che la teologia della chiesa locale voleva condurre, non è con questo che si garantisce lo sviluppo delle chiese locali.

Le chiese locali hanno diritto alle loro libertà (non ci interessa qui il problema dei limiti, ovviamente in termini di comunione e di ex-comunicazione). Paradossalmente ciò si otterrà garantendo anche alla chiesa di Roma la sua autonomia. Come sempre, non è togliendo i diritti degli altri che si salvaguardano i propri.

E su queste aperture il dialogo con i nostri amici vuole cominciare.

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Un’ Esperienza Di Pastorale Di Gruppo

 

La Costituzione “Lumen Gentium” proclama che i laici “hanno diritto di ricevere abbondantemente dai sacri pastori i beni spirituali della Chiesa”, e quindi li esorta a manifestare “le loro necessità e i loro desideri, con quella libertà e fiducia che si addice ai figli di Dio e a fratelli in Cristo”; essi non solo “hanno la facoltà, anzi talora anche il dovere di far conoscere il loro parere su cose concernenti il bene della Chiesa” (Lumen Gentium, 37).

Sono già trascorsi quattro anni dalla chiusura del Concilio e purtroppo dobbiamo costatare che questa esortazione ha avuto scarsa eco nella nostra diocesi. Basti pensare alla conduzione accentratrice e paternalistica della maggior parte delle nostre parrocchie, all’assenza di un dibattito a livello diocesano sui problemi attuali della chiesa. La discussione si svolge quasi sempre al di fuori delle strutture ecclesiali, nei circoli e gruppi spontanei. Quanto alle iniziative gerarchiche per la “formazione” e la “partecipazione” dei laici, come il consiglio pastorale diocesano e il centro diocesano di cultura religiosa, avremo modo di esaminare in futuro in che misura e in che modo sono state attuate.

Pensiamo che noi laici abbiamo la nostra parte di responsabilità in questo stato di cose. Ci sembra pertanto urgente aprire un dialogo nella chiesa locale di Roma che ci porti a prendere coscienza delle esigenze e delle possibilità di una nostra partecipazione attiva, creativa alla vita della chiesa, e a lavorare per un mutamento sostanziale della situazione.

Pensiamo che il miglior modo di cominciare sia quello di mettere in comune delle esperienze. Prendiamo ad esempio quella, assai significativa, della parrocchia della Trasfigurazione a Monteverde Nuovo. Quando, pochi mesi fa, il parroco fu destinato ad altra sede, un gruppo di laici, tra i quali numerosi giovani, si rivolsero al Cardinal Vicario, per esprimergli l’esigenza di un profondo rinnovamento della pastorale parrocchiale, che mirasse, nello spirito del Concilio, alla costruzione di una comunità autentica e aperta, attraverso il dialogo e la corresponsabilità di sacerdoti e laici.

L’iniziativa provocò non poche perplessità negli ambienti del Vicariato, come si potè arguire dall’impegno che fu posto nel tentativo di convincere i laici promotori della inopportunità di tornare sopra decisioni già maturate dall’autorità ecclesiastica per la scelta del nuovo parroco, dimostrando con ciò che neppure un fatto così importante riusciva a fare avvertire l’esigenza di abbandonare gli usuali schemi burocratici per far maturare nel dialogo valide prospettive pastorali per la comunità parrocchiale.

L’atteggiamento fermo e responsabile del gruppo e l’apertura che il Cardinale Vicario dimostrò nel ricevere ed ascoltare “attentamente e con paterno affetto in Cristo le iniziative, le richieste e i desideri proposti dai laici” (L. G. 37, c), servirono a riaprire un dialogo costruttivo che ha portato alla nomina del sacerdote proposto come persona adatta a realizzare il desiderato rinnovamento pastorale.

Ci auguriamo che questa esperienza non costituisca un episodio isolato, ma un punto di partenza; “in questo modo infatti è fortificato nei laici il senso della propria responsabilità, ne è favorito lo slancio e le loro forze più facilmente vengono associate all’opera dei Pastori. E questi, aiutati dall’esperienza dei laici, possono giudicare con più chiarezza e opportunità sia in cose spirituali che temporali; e così tutta la Chiesa, sostenuta da tutti i suoi membri, compie con maggiore efficacia la sua missione per la vita del mondo.” (L. G. 37, d).

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Riflessioni Sul Clero Romano

 

L’annuario della Diocesi di Roma per l’anno 1968-1969, pubblicato dal Vicariato di Roma, edizioni Treviri, riporta a pagina 755 la seguente tabella:

Tabella 1

DISTRIBUZIONE PER ETA’

DEL CLERO DIOCESANO ROMANO

ANNI NUMERO %
(a) fino a 30 anni 38 9.53
(b) dai 31 a 40 86 21.55
(c) dai 41 a 50 107 26.82
(d) dai 51 a 60 107 26.07
(e) dai 61 a 70 36 9.02
(f) dai 71 a 80 5 1.26
(g) oltre 80 15 3.75
(h) senza classific. [*] 8 2.00
TOTALE 399 100.00

[*] per mancanza di dati [!]

Alcune note preliminari per una reale lettura dei dati.

Ha poca importanza notare la scarsa rilevanza delle linee (e), (f), (g). A quel livello si scontano le poche ordinazioni di una diocesi romana molto più piccola oltre che il normale peso del tempo.

Quanto alla linea (a) va detto che ssa comprende in realtà sacerdoti da 24-25 a 30 anni, quindi solo 5-6 classi. Per avere un decennio completo si potrebbero aggiungere gli ordinati (presunti) dei prossimi 4-5 anni. L’annuario suddetto conta (p. 758, per i quattro seminari di Roma, complessivamente) 63 studenti negli ultimi 5 anni di studio. Nella migliore delle ipotesi, se tutti i 63 accettassero l’ordinazione, si raggiungerebbe il numero di 101 sacerdoti per il gruppo che ora si trova tra 20 e 30 anni. Pensiamo più giusto tuttavia riportare la consistenza del gruppo in questione (a) ai valori del gruppo (b), intorno cioè agli ottanta elementi, considerando le normali diminuzioni prima delle ordinazioni e le diminuzioni per altre cause.

A queste cifre aggiungiamo alcune prime osservazioni, quelle che nascono dalla lettura pura e semplice della tabella.

Prima osservazione: l’etàmedia del clero romano è spostata in alto. E’ già ora al di là dei 45 anni, metà tra 25 e 65 anni, periodo della normale attività. E’ inoltre destinata a salire perché le classi che invecchiano (gruppi (c), (d)) sono più consistenti numericamente delle classi che subentrano (gruppi (a), (b)).

Seconda osservazione: il numero dei sacerdoti romani tende a diminuire in cifre assolute. Per qualche anno ciò non apparirà: infatti le classi giovani subentrano nel conto alle classi dei gruppi (f), (g), poco numerosi. Ma il fenomeno emergerà nella sua ampiezza quando le classi che dovranno essere sostituite saranno quelle dei gruppi (c) e (d).

Terza osservazione: in cifre relative la diminuzione del clero romano appaare ancor più rilevante; infatti al decrescere del numero dei preti, si accoppia il progressivo aumento della popolazione (battezzata) della città.

In sintesi queste prime tre osservazioni possono così esprimersi: la diocesi di Roma, per quanto riguarda il clero diocesano si avvia ad avere un numero sempre minore di sacerdoti sempre più anziani, per una popolazione sempre più numerosa.

La situazione che queste cifre ed osservazioni rivelano è senz’altro degna di considerazione attenta. Prima di esprimere altri pensieri desideriamo allargare la conoscenza del problema fornendo altri dati.

Dallo stesso Annuario della Diocesi di Roma, alle pagg. 237-269, per i 380 sacerdoti romani ivi compresi, anziché 399, abbiamo ricavato la tabella sulla distribuzione del clero diocesano secondo l’attività dei singoli.

Tabella 2

DISTRIBUZIONE DEL CLERO DIOCESANO

SECONDO L’ATTIVITA’ DEI SINGOLI

QUALIFICA

NUMERO

TOTALI

(a) parroci 102
(b) viceparroci 64
(c) insegnanti di religione 24
(d) negli uffici diocesani 54
(e) in seminari o università 35
(f) EFFITTIVAMENTE IMPEGNATI

IN COMPITI DIOCESANI

279
(g) canonici 26
(h) in uffici internazionali (Vaticano) 46
(i) in altri uffici 19
(l) attività non indicata (!) 11
(m) IMPEGNATI IN COMPITI

EXTRADIOCESANIi

102
(n) TOTALE GENERALE 381

Anche riguardo a questa tabella ci limitiamo a fornire qualche chiarimento sulle cifre.

Il gruppo (a) parroci, comprende in effetti molti sacerdoti non romani che per necessità giuridica sono stati aggregati alla diocesi al momento della nomina a parroco. Questa notizia aprirebbe da sé sola un nuovo giro di osservazioni sulla consistenza numerica del clero romano, che di proposito abbiamo tralasciato parlando della Tabella 1, e che ancora tralasciamo.

La linea (f) indica il totale dei sacerdoti che agiscono nella diocesi. Il clero diocesano che opera in diocesi atempo pieno si riduce da 399 [Tabella 1] a 279 sacerdoti dei quali 89 impegnati indirettamente (uffici del Vicariato e addetti ai seminari e università) e 190 direttamente (“in cura d’anime” come si dice: parroci, viceparroci e professori di religione).

La linea (m) comprende i sacerdoti romani impegnati negli uffici centrali della chiesa (46) o di organizzazioni nazionali (19) o in pensione (canonici, 26) o in attività non indicate (11): un totale di 102 sacerdoti non impegnati nella vita diocesana: circa il 25%.

Non esistono indicazioni ufficiali sulla età media per ciascuno dei gruppi. Tuttavia è possibile affermare che gli anziani si trovano più numerosi dei giovani in quegli uffici che richiedono titoli di studio o una preparazione specifica (uffici centrali della chiesa, uffici nazionali specializzati, docenti universitari). Questa affermazione può essere altrimenti detta in questi termini: titoli di studio a specializzazione nel lavoro sono più presenti tra i sacerdoti anziani che tra i giovani. Mancano anche sotto questo profilo dati ufficiali.

Per meglio inquadrare la presenza del clero diocesano nella diocesi di Roma, diamo infine la

Tabella 3

PARROCCHIE DELLA DIOCESI DI ROMA

SECONDO IL CLERO CUI SONO AFFIDATE

CLERO N° Parrocchie
Al clero diocesano 102
A comunità di sacerdoti di altre diocesi 4
A Congregazioni ed ordini religiosi 135
TOTALE 239

Abbiamo intenzione di sviluppare su queste cifre alcuni pensieri. Lo faremo. Sentiamo di aver fatto un primo passo portando a conoscenza degli amici la situazione nel suo aspetto quantitativo. Ora abbiamo bisogno del contributo di pensiero di tutti, e lo attendiamo.

Val solo la pena di dire che riteniamo “il clero di Roma” un fatto assolutamente di nostra competenza, di tutti i cristiani della diocesi. Fatto da conoscere, da esaminare e sul quale maturare prospettive per il futuro.

Il futuro dipende da noi.

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